LA VIOLENZA DEL POTERE
La storia che conosciamo è una storia di violenza continua, esercitata da singoli o gruppi per conquistare un potere più o meno vasto, simbolico o reale. Le vittime di questi scontri, oltre ai protagonisti, diretti interessati, sono state miliardi di esseri umani, utilizzati come combattenti dalle parti in conflitto, o abitanti dei luoghi teatro delle guerre, esposti alla distruzione delle armi e ai soprusi dei vincitori. Tutti i modelli di potere, dalle città greche agli imperi, dai feudi medioevali agli stati moderni, dalle monarchie alle repubbliche hanno creato, mantenuto e usato mezzi violenti, fisici e morali, per ricavare rendite dal lavoro dei sudditi, tenerli in obbedienza, punire i ribelli. L’uso alternativo dei metodi nonviolenti, sia per conquistare sia per mantenere il potere, è apparso nel mondo solo all’inizio del 1900, con Gandhi, in Sudafrica e in India, in molti altri paesi lungo il secolo, e ha raggiunto la massima espressione teorica e politica in Occidente con Aldo Capitini. Nel mondo contemporaneo, governato ovunque con i vecchi schemi, la critica alla violenza culturale e militare, con cui il potere è stato gestito da tutti in passato e con cui viene tuttora gestito, è bandita dalle scuole e ignorata dalla cultura ufficiale: con due eccezioni. Il genocidio degli ebrei compiuto dal regime nazista e le tragiche lotte interne dei paesi comunisti. Nel primo caso è stata la comunità mondiale degli ebrei a impedire il silenzio sulla enormità dell’evento. Nel secondo caso, a tenere sempre vivo l’ipocrita concerto delle accuse di violenza, c’è l’ovvio interesse dei poteri tradizionali, da sempre legati alle classi più ricche e arricchite, a esorcizzare un sistema esterno ai loro schemi, collegato teoricamente alle classi finora subalterne, pericoloso per gli equilibri economici e sociali del mondo capitalista. Quello che ci dispiace è che a questo concerto unilaterale contribuisca anche la cultura non allineata all’impero. Giornali come "Repubblica", studiosi come Lucio Villari, che ignorano Gandhi, Capitini, la nonviolenza, riempiono una pagina, come é accaduto il 17 maggio 2003, per commentare un esecrabile episodio di violenza uscito alla luce dagli archivi sovietici e sentenziano: "…un percorso storiografico e conoscitivo è stato compiuto in ricerche, romanzi, film, biografie dedicati allo stalinismo e al libro nero del comunismo. Comunque, anche se ancora dell’utopia comunista sopravvivono sparuti eredi e orfani, i conti con la storia sono stati già fatti…" In perfetta sintonia con gli intellettuali di Bush, non vogliono sentir parlare di proposte di sinistra, come il liberalsocialismo di Capitini, anche se la storia, come quella della democrazia, dimostri la possibilità e la necessità di ripetute esperienze per tutte le idee. Gli esorcismo contro il comunismo, di cui si nutre il nostro cavaliere, fanno capire che il timore è proprio questo e ci fa ridere che "Repubblica" la aiuti in questo gioco. Affari loro. Noi continuiamo a lavorare con il pensiero di Capitini perché ricerche, romanzi, film, biografie, libri di testo, pagine di giornali siano dedicate agli orrori del potere violento della storia di ieri e di oggi, in tutti i luoghi del mondo, e alla volontà e ai modi per sostituirlo finalmente con il potere nonviolento di tutti. |