La mia bandiera non è più sul balcone. L'ho
regalata a due amici americani, con la scritta "PACE" in italiano. Me l'hanno
chiesta loro, e mi è sembrato giusto darla a chi può rappresentare gli
Americani, che di guerre ne hanno fin sopra i capelli. Oggi la mia bandiera di
pace italiana è in qualche carcere in California (loro lavorano nei
penitenziari, sono i nostri corrispondenti "assistenti sociali"). Penso che i
privati della libertà possano apprezzarla....
Un abbraccio
Andrea Meloni
----- Original Message -----
Sent: Thursday, June 19, 2003 11:35
AM
Subject: Sui balconi resistono i drappi
arcobaleno (Repubblica 16/6/03)
Articolo di Repubblica (redazione di Napoli) apparso il 16
giugno 2003.
- Napoli non ammaina le bandiere della pace
- Sui balconi resistono i drappi arcobaleno
- di CARLOTTA MISMETTl
CAPUA
NO,
non se le sono dimenticate. Uno potrebbe pensarlo, vedendo le bandiere della
pace ondeggiare ancora, scolorite e sbrindellate, appese ai balconi dopo quasi
tre mesi dall’inizio della guerra. Invece no, semplicemente da allora chi era
contro la guerra in Iraq cominciata la notte del 19 marzo e non ancora
finita non ha cambiato bandiera. Qualcuno magari l’ha messa in lavatrice. O
ne ha comprata un’altra. Qualcuno l’ha anche tolta. Eppure ce ne sono ancora a
Napoli, molte, moltissime. “No, la bandiera non la levo; sarebbe come dire che
ho cambiato idea”, spiega Andrea Riccio, diciassette anni, studentessa al
liceo Mercalli. “A qualcuno che non l’ha appesa potrà anche sembrare
anacronistico, ma per me il messaggio è ancora valido”. Andrea appartiene allo
zoccolo duro del popolo arcobaleno, quel rinnovato movimento pacifista
italiano che nei giorni della guerra ha stupito tutti, politici e
commentatori, trasformando tre milioni e mezzo di bandiere in un fatto
politico, prima ancora che in un fenomeno sociale. Sono stati infatti
soprattutto loro, i giovani, a rispondere all’appello “Fuor l’Italia
dalla guerra”: a fare il tam tam su Internet: ad appendere alle finestre la
bandiera dai colori universale che Bertrand Russel aveva inventato negli anni
Cinquanta per protestare contro il nucleare. Oggi quelle bandiere che hanno
mostrato prima dei sondaggi quello che gli italiani pensavano otto persone su
dieci contro la guerra, secondo un sondaggio Eurisko-Repubblica sono
ancora lì. Se ne vedono appese ai palazzi borghesi del Vomero,
dietro le vetrine dei negozi di Spaccanapoli, dentro qualche automobile sui
portoni della chiesa di Baia, nelle scuole di Torre Annunziata, nelle parroc
chiedi Castellammare di Stabia. Sono ancora lì, a sventolare sotto il sole,
pure le bandiere di Frattaminore, dove i ragazzi della parrocchia di San
Simone avevano a marzo distribuito bandiere a mezza città, cucendole a mano in
casa, mamme e nonne al lavoro, colla stoffa che aveva donato un commerciante
della zona. Di bandiere se ne vedono, ma non se ne vendono più, spiega il
proprietario dello spaccio di piazza del Gesù: “Qualcuna, ai turisti. La
vedono appese ai balconi e se ne innamorano”. “La bandiera? Sì, è la
nostra> risponde Maria Teresa Frascalle inquilina con famiglia di via Rui
107, terzo piano. “La teniamo perché la guerra non ci sembra sia finita.
E poi, come fa piacere me vederla sul balcone degli altri penso che farà
piacere agli alti vedere la mia”, precisa la signora Frascalle, insegnante
alla scuola, insegnante alla scuola media Michelangelo di Bagnoli. “E’ un
segnale anche questo aggiunge il fatto che le bandiere siano rimaste, che non
ci va di toglierle". Corso Vittorio Emanuele 84, un palazzo rosso con quattro
file di finestre bordate di giallo: qui all’inizio della guerra c’erano sedici
bandiere, praticamente tutta la facciata. Ora ne sono rimaste otto: “Sì gli
altri le hanno tolte, ma io non sono d’accordo”, dice Davide Galante, filosofo
ed esperto di vino. La casa di Davide ha cinque finestre. E cinque bandiere
appese, “più una in macchina. Per me è anche un modo di dissentire da questo
governo. Come dire io no, non ci sto”. Un “io no” che potrebbe restare ancora
appeso ancora al lungo. Se le bandiere no-war sono state un fenomeno
senza precedenti in Europa non sono state, al contrario di quanto si pensi, un
fenomeno spontaneo: “Alex Zanotelli, Gino Strada e Don Ciotti hanno impostato
una campagna di immagine, di cui la bandiera è un vero e proprio logo
pacifista", spiega Alessandro Marescotti presidente dell’organizzazione
telematica PeaceLink e autore del libro “Bandiere di Pace mondo in
costruzione” (Chimienti Editore, dal 18 giugno in libreria). Don Albino
Bizzotto di Beati Costruttori di Pace ha fatto il resto. Invadendo l’Italia,
dall’autunno del 2002 alla primavera dell’anno seguente, con i sui camion
carichi di bandiere, diecimila al giorno, fatte in Veneto, “Si trattava di
coinvolgere e unire una fetta precisa della popolazione, non i No-globai
ma il ceto medio riflessivo, che in Italia, dal dopoguerra
in poi, è sempre stato pacifista", argomenta Marescotti. "Lo scopo era
mostrare in maniera eclatante, che tra il paese reale e quello rappresentato
c’era una spaccatura”, prosegue. “E sbaglia chi non vede i risultati tangibili
delle bandiere arcobaleno. Non abbiamo fermato la guerra, ma abbiamo impedito
la guerra italiana: Berlusconi aveva già pronta la flotta al porto di
Taranto. Tre milioni e mezzo dì bandiere gli hanno legato le mani”.
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