NOTIZIARIO
TELEMATICO DELLA CARITAS DI BOLOGNA SPECIALE GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO 13 GIUGNO 2003 – n. 49
DA DOMENICA
15 A DOMENICA 22 GIUGNO TUTTE LE INIZIATIVE PROMOSSE DALLA CARITAS DI
BOLOGNA PER LA III GIORNATA MONDIALE DEL
RIFUGIATO.
DOMENICA 15 - DOMENICA 22 "Iraq 1991-2003": Mostra
Fotografica realizzata da Luciano Nadalini fotoreporte appena rientarato
dall'Iraq. Mostra Fotografica (realizzata da Elena Rossini e Valentina
Pozzi, allestimento di Anna Perani) e di TESTI degli studenti della scuola di
italiano “Akuna Matata”. c/o Centro Poggeschi in Via
Guerrazzi, 14 a Bologna.
MERCOLEDI’ 18 ore 18: incontro dibattito: "Cosa
fa la Caritas?" e testimonianze di rifugiati politici. c/o Centro Poggeschi in Via
Guerrazzi, 14 a Bologna.
VENERDI’ 20 ore 9-13 - GIORNATA
SEMINARIALE ore 9, interventi di:
Michele Manca di Nissa (vice
delegato Acnur), Avv. Nazzarena Zorzella (Ass. per gli studi giuridici
sull’immigrazione), maresciallo Orlando Amodeo (testimonianza su un percorso di
immigrazione da Crotone), testimonianza rifugiato politico. ore 11, tavola rotonda sulla
realtà cittadina: Raul Collina
(resp. settore immigrazione del Comune di Bologna), rappresentante della
Prefettura di Bologna. Modera Avv. Matteo Festi (legale
di Caritas Bologna) c/o Provincia di Bologna (Sala
Zodiaco, Via Zamboni, 13)
ore 20,30: proiezione del FILM
“Cose di questo mondo” presso il cinema “Lumiere” in Via Pietralata, 55/a a
Bologna. L’ingresso
è di 5 euro. Durante la serata verranno raccolte offerte per le attività della
Caritas di Bologna a favore dei rifugiati.
SABATO 21 ore 15: PARTITA DI CALCIO
amichevole Rifugiati Caritas vs Ufficio stranieri Questura
presso il Campo Bernardi (Via
degli Orti, 60 - Lunetta Gamberini). Sarà presente Giacomo
Bulgarelli. ore 20: SPETTACOLO TEATRALE (unica data a Bologna) del Teatro
Nascosto di Volterra in collaborazione con Medici senza frontiere, Ics e Amnesty
International. A seguire FESTA e musica. All’interno della giornata di apertura
della settimana “Festa Zonarè” presso il “Centro Interculturale Massimo
Zonarelli” in Via Vezza, 15 a
Bologna. DOMENICA 22 - ore 10.15 S. Messa animata dal coro Rifugiati presso la
Basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano (sotto le 2 torri). -------------------------------------------------------------------------------- TUTTO QUELLO CHE AVEVANO DA CAMMINARE LO HANNO GIA' CAMMINATO LAGGIU'...... (di Francesca Tiberio - responsabile Ufficio Profughi e Rifugiati della Caritas di Bologna) L’Italia è l’unico paese
europeo a non avere una legge organica sull’asilo politico. L’unico paese europeo a non
aver pensato di legiferare in merito ad un argomento che comprende la vita,
l’accoglienza e il modo di vedere chi fugge , chi lascia tutto, chi passa
all’improvviso dalla propria vita bella o brutta, più o meno modesta, a un film
che mai avrebbe pensato di vivere. E’ una legge sulla civiltà
quella che dovremmo pretendere, una legge di civiltà e sviluppo che sarebbe
nell’interesse stesso dell’Italia avere. Di 34 articoli della legge
sull’immigrazione solo due riguardano l’asilo politico. Per questo è importante
ricordare e parlare di asilo politico. Per questo, anche per questo
il 20 giugno, giornata mondiale dell’asilo politico. E’ molto complicato parlare
e descrivere ciò che avviene nel nostro ufficio da circa tre anni e mezzo, da
quando si è aperto uno sportello richiedenti asilo
politico. E’ impossibile trasmettere
attraverso parole le sofferenze, le fatiche e le paure di chi entra in questo
ufficio e al contempo tutte le comprensioni, le emozioni, le intuizioni e le
infinite occasioni di crescita umana e spirituale che l’incontro con queste
persone genera in chi accoglie. Mi piace ricordare che tutto
parte lontano da qui, che tutto inizia con una fuga. Non avere il tempo né lo
spazio di raccogliere le proprie cose, di salutare o informare i propri cari, di
decidere dove o quando. Fuggire di notte, di
nascosto, senza identità, verso l’ignoto, senza sapere, senza immaginare,
fuggire per salvarsi, perché è ciò che si conosce, il proprio ambiente, che
minaccia che aggredisce che fa scappare. Ecco il fallimento
personale, la distruzione di ogni speranza, dei progetti, delle cose che si
credeva di essere o fare e il fallimento collettivo, soprattutto per il
rifugiati per motivi politici, rispetto a cause ad alto valore sociale e
democratico. Si sceglie di fuggire?
Non sempre, non
esattamente. Ma la scelta è tra la vita e
la morte e la vita è futuro anche per chi si lascia, perché chi rimane non saprà
subito, non capirà subito, ma avrà garantito un futuro solo se chi scappa non
avrà paura e riuscirà poi a farsi raggiungere. Senza nulla, si lascia
tutto. Questo passaggio merita
silenzio e riflessione per comprendere almeno in minuscola parte il senso
dell’enorme lacerazione che questo comporta. Il viaggio può essere di
vari tipi con documenti di altri, senza, chiusi in containers o dentro un
camion, senza sapere dove si arriverà, senza sapere dove si è, senza sapere come
e se si riuscirà. Il viaggio controllati da
qualcuno o allo sbando, soli, disorientati. Il viaggio è raccontato a
volte come un incubo di odori e morte. Poi si arriva, si
giunge. C’è chi sapeva di arrivare
in Europa, ma non in quale paese, chi invece non ha idea di nulla, chi non
conosceva Bologna, chi viene lasciato di notte in stazione o di giorno in
periferia. Poi incomincia una parte
incredibile, decifrare dove come e perché, decifrare cosa e chi, capire
come. L’arrivo è come quando nasce
un bimbo e determina molto del dopo. Da quel momento il
richiedente asilo prima e il rifugiato dopo saranno un richiedente asilo o un
rifugiato, prima erano un dottore,
un falegname, un’insegnante, un ingegnere, una segretaria, ora solo un
richiedente o un rifugiato nel suo rifugio, nella migliore delle ipotesi, quando
riesce a sentirsi al sicuro quando il
contesto lo fa sentire protetto come in un rifugio. Così egli sa che ha
trovato protezione, ma ha la consapevolezza dell'aver perso tutto ciò che aveva
e tutto ciò che era. Le fasi che la Caritas cerca
di curare di più sono proprio queste, quelle della nascita del bambino, perché
crediamo che ogni volta che un bambino nasce sia un miracolo meraviglioso, ogni
volta che un richiedente asilo arriva nel nostro ufficio , significa che si è
salvato la vita. Allora tentiamo goffamente
di accoglierlo con le risorse esistenti, con informazioni e tutto quello che
crediamo gli darà la possibilità di capire e orientarsi e sapere cosa lo
aspetta, cosa deve e cosa può fare. Allora tentiamo di
sorridergli, di fargli fare un esame della realtà molto duro, rispetto alle
aspettative e all’idea che spesso
chi arriva qui ha dell’Europa, ma di farlo garantendogli che non sarà
solo. Ogni cosa è peggio se la si
affronta da soli. Ci sono le pratiche
burocratiche, i documenti da presentare alla Questura per poter essere davvero
richiedenti asilo, non solo nell’intenzione, c’è il bisogno di riposare di
mangiare di un luogo dove stare, della lingua da imparare per poter ricominciare
a comunicare. C’è l’impotenza di non poter
fare, di essere forzatamente messi a riposo. Non si può lavorare, si toglie
all’individuo la dignità di chi si guadagna il pane e anche la libertà di poter
provvedere a sé stessi e ai propri cari. C’è la fatica di chiedere,
di aspettare aiuti. C’è l’atteggiamento della
gente. Ci sono coloro che si è lasciati a casa, lontano, che si
sentono abbandonati, che non capiscono perché chi è riuscito ad arrivare in
Europa non ha la possibilità almeno di aiutare chi è rimasto e ha
bisogno. C’è lo strazio e i sensi di
colpa di padri e di madri che piangono e si impietriscono al telefono con i loro
figli lontani, lì in quell’ufficio davanti a noi, testimoni rispettosi ed
esterefatti davanti a tanto dolore. C’è la volontà di assistere,
consolare informare e accompagnare in tutte queste fasi i richiedenti
asilo. Parliamo di dieci mesi
circa, spesso dodici o quindici, in cui vediamo le persone quotidianamente, in
cui incontriamo e conosciamo ognuno di loro per come può o vuole essere
conosciuto. Mesi in cui il tentativo è
quello di assicurargli un luogo dove vivere, creando reti o contatti con
parrocchie volontari, associazioni, privati, qualcosa da fare, cercando corsi di
formazione professionale, di italiano, volontariato, in cui ricordargli chi è e
chi tornerà ad essere appena i tempi lo permetteranno, attraverso incontri e
ascolto, in cui garantirgli beni di prima necessità, informazioni sui luoghi e
sul territorio, piccole risorse per potersi muovere in città con i mezzi
pubblici, per poter telefonare a casa o cose simili. Spesso dico loro che quello
che stanno vivendo non è la loro vita, ma solo una parte di essa, una parte in
cui loro devono solo aspettare e raccogliere le energie per il dopo, per quando
torneranno ad essere protagonisti attivi del loro futuro e ci si aspetterà che
siano pronti. Dico lorospesso che ogni
cosa ha un significato profondo e che ad ognuno di noi è stato dato un carico di
dolore in base a quanto possiamo sopportare, ma ogni volta che lo dico penso poi
che è dura dar un significato a certe cose e che nascere in una certa fetta di
mondo rende sicuramente la propria razione di dolore minore in partenza e spesso
scopro che sono loro ad insegnare significati e dolore a
me. Molti di loro si
integreranno o si sono già integrati perfettamente, lo so e lo vedo, altri,
soprattutto chi ha subito le torture più pesanti si porteranno dentro dolore ,
odio e vendetta, che li segneranno indelebilmente. Ho conosciuto molte persone
grazie a questo lavoro e ogni volta mi stupisco perché vorrei che la mia stessa
fortuna potesse essere condivisa da tutti, perché incontrare certe persone è
assolutamente unico. Non riesco mai a spiegare
con le parole ciò che accade dentro all’ufficio, non riesco mai a raccontare gli
sguardi, i destini ma di ognuno so a memoria i difetti, le debolezze e il numero
di scarpe! Quando i mesi passano e i
fallimenti, le stanchezze, le paure e questo stato di abbandono in cui
nell’attesa della chiamata di Roma essi si sentono e i disagi e i ricordi e
tutto si acutizza, li vedo deprimersi, contorcersi immobili, gridare silenziosi,
ribellarsi pacificamente lasciarsi andare e perdersi… Allora penso a quel punto di
partenza e allora penso alla fuga e a tutta quella moltitudine di persone che in
questo momento cammina. Cammina e si sposta da un
luogo all’altro lasciando tutto, di nuovo, per salvarsi. Allora penso che tutto
quello che avevano da camminare l’hanno già camminato, laggiù da dove vengono,
laggiù da dove scappano e ora non possono più, l’energia è
finita. Penso spesso che è lì che
noi dobbiamo arrivare, a donare loro un po’ di riposo e a ridare la fiducia nel
cammino. Quest’anno oltre ai percorsi
personali di circa ottanta persone, quattrocento circa dall’apertura
dell’ufficio, abbiamo costituito una squadra di calcio e un coro
religioso. Due cose apparentemente
molto diverse. Stessa finalità, però, la
stessa finalità che solo elementi universali quali la musica e lo sport hanno il potere di alimentare:
azzerare le differenze, stare insieme, ridere, giocare,
essere. Mentre mi arrabbatto tra
consolati, questure, ricerca di un posto letto e altre cose di questo tipo,
spesso penso al sabato pomeriggio al campo da calcio, quando li vedo correre e
ridere o alle prove del venerdì, quando cantano e penso che vale e che ed è
forse il successo più grande del lavoro di quest’anno! Dopo la chiamata della
Commissione di Roma arriva il verdetto: rifugiato o no. Ecco incomincia una seconda
parte, ci si deve lentamente e ancora faticosamente come dopo il risveglio da un
lungo letargo riprendere la propria vita e allora cercare lavoro, casa, fare
venire i familiari, respirare, essere. Le difficoltà non finiscono,
ma cerchiamo di accompagnare anche in questa fase le persone con i limiti delle
poche risorse disponibili.
Il rifugiato è una persona
in pericolo costretta a lasciare il proprio paese, a fuggire in quanto
perseguitata per la sua razza, la sua religione, per la sua nazionalità o gruppo
etnico, o per ragioni politiche. La convenzione di Ginevra
nel 1951 così definiva. Noi pensiamo che un sistema
di accoglienza giusto ed efficace è quello in cui il rifugiato può trovare asilo
dalle persecuzioni nel pieno rispetto della sua persona e della sua dignità,
verso un corretto sviluppo personale e un adeguato inserimento
sociale. Pensiamo inoltre che la
diversità sia ricchezza e che l’incontro tra chi ha lasciato il proprio paese e
chi non lo ha mai fatto, lo scambio tra fissità e dinamicità, tra il niente e il
tutto, tra pensieri lontani allarghi la mente e i cuori. Che tutto questo non
sia da demonizzare, che nella terza giornata mondiale dell’asilo politico si
debba essere contenti ed emozionati pensando a coloro che sono fuggiti cercando
protezione, che hanno lasciato tutto e oggi sono qui, in una città con scarse
possibilità di accoglienza per loro, in uno stato senza una legge organica che
li tuteli, ma ce l’hanno fatta, non una ma cento
volte.
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