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A mezzo stampa



ASTRIT DAKLI http://www.ilmanifesto.it/oggi/art7.html
Un'informazione libera era una volta tra le principali richieste che un
paese «nuovo» - fresco d'indipendenza, o appena reduce dal comunismo -
doveva soddisfare per ottenere dalla comunità internazionale (intesa come
Occidente libero) la patente di «democrazia». Era una richiesta posta in
modo spesso discutibile ma in fondo corretta; una richiesta però che a molti
governi non piaceva per nulla. Alcuni si sono sempre rifiutati di
soddisfarla, pensando (con lungimiranza) che non fosse poi una cosa tanto
importante - di certo, portatrice di vantaggi assai inferiori a quelli
garantiti da una stampa asservita. E' per questo, anche, che paesi come la
Siria (per citarne uno a caso, ma sono tantissimi) non hanno mai avuto la
patente di «democrazia», mentre Israele sì. Una distinzione giusta, perché
basata su elementi chiari ed eticamente ineccepibili - andava infatti di
pari passo con altre chiare e fondamentali differenze nella gestione della
società, dal sistema politico a quello penale, alle garanzie per i diritti
fondamentali della persona.

Ora però le carte sembrano essersi mischiate: se alcune differenze rimangono
molte altre non si vedono più, o si sono addirittura rovesciate. In Siria
non risulta sia mai stato ucciso nessun giornalista straniero per impedirgli
di lavorare: in Israele sì - anzi, è diventata quasi una pratica corrente,
con sette reporter, operatori e fotografi assassinati (non dimentichiamo
Raffaele Ciriello) fino all'ultimo, ieri, l'inglese James Miller, preceduto
di soli quindici giorni dal palestinese Nasi Darwaseh. Centinaia sono stati
feriti dal 20 ottobre 2000, quando per primo venne colpito alla schiena il
reporter palestinese Abdel al-Khatib. Parlare di «libertà d'informazione»,
in un paese dove i soldati sparano deliberatamente sui cronisti che danno
fastidio (inutile negare l'evidenza) è ormai una chiara falsità; o
un'esagerazione apologetica, per usare un eufemismo. Ognuno tragga le sue
deduzioni circa le conseguenze che questo ha sul valore della «patente di
democrazia» data una volta per tutte. Del resto Israele non fa che marciare
come sempre in parallelo con gli Stati uniti - non era americano il tank che
ha sparato sull'albergo dei giornalisti «non militarizzati» (e dunque non
sottoposti a censura) a Baghdad, uccidendone due? - cioè della democrazia
per antonomasia.

Martedì si dovrebbe celebrare in tutto il mondo la «giornata della libertà
d'informazione», patrocinata dall'Unesco (che sarebbe l'organismo dell'Onu
preposto alla cultura) per cercar di salvare il salvabile. Ma c'è ben poco
da celebrare. La libertà d'informazione (e con essa la democrazia) non fa
passi avanti nei paesi «nuovi» e ne fa indietro in quelli dove avrebbe
dovuto esserci già, in modo stabile e definitivo: è chiaro che ormai si
tratta di lussi superflui. La Federazione internazionale dei giornalisti
chiede che l'uccisione di giornalisti, deliberata o frutto di gravi
negligenze, venga considerata un crimine di guerra. A noi basterebbe che
l'uccisione di chiunque venisse considerata un crimine.