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Sinodo valdese metodista sulla guerra



Enrico Peyretti

"Mi scandalizza di più la guerra dei democratici
che la violenza dei dittatori.
Questa è ovvia, coerente ingiustizia.
Quella è fallimento della giustizia".

L'Italia ripudia la guerra.
Il governo non ripudia la guerra.
L'Italia ripudia il governo.


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DOCUMENTAZIONE

GUERRA E PACE

Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione
straordinaria a Torre Pellice (Torino) il 22-23 marzo 2003, ha approvato il
seguente documento:

Mai si era verificata una così vasta opposizione ad una guerra in ogni parte
del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso così unanime
in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra è stata
scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando le
Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a questa
decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa per
primo, la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolo
degli Stati Uniti d'America.
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda ferita
inferta a tutto l'Occidente. Così come non abbiamo dimenticato il 6 giugno
1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle spiagge del
nostro continente per la comune libertà. E non abbiamo dimenticato le radici
culturali, religiose, politiche che legano indissolubilmente i nostri due
continenti. Ma proprio in base a questa solidarietà che riaffermiamo nel
momento della lacerazione, vogliamo rivolgere un appello al popolo
statunitense e ai suoi governanti, anzitutto a quanti fra loro accostano
troppo facilmente il nome di Dio alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesù chiama beati i
mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano per
la pace (Mt. 5,5-6.9); insegna ad anteporre al culto la riconciliazione con
l'avversario (5,23-26); indica nell'amore per i nemici lo straordinario del
comportamento cristiano (5,43-47). Guardatevi dunque, nel passare dall'etica
individuale ad un programma politico, dal contraddire e stravolgere del
tutto questo insegnamento, inventando una missione di repressione del male
con l'uso della violenza preventiva, catturando dalla vostra parte un "Dio
che non è neutrale", accorciando indebitamente la distanza incommensurabile
che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is. 55,9).
E al di là di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di
abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale
di solidarietà accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo
cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli l'egemonia
di una potenza che decide ciò che è bene e ciò che è male, in un pericoloso
miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone le sue
decisioni con la forza.
È una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non può che produrre una
crescente instabilità e non può non avvitarsi in una spirale di guerre
continue. Il dittatore iracheno è certo uno dei più sanguinari e odiosi tra
quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce ne sono
altri ugualmente odiosi e forse più pericolosi. Andrete avanti per questa
strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla
voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo
indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni
ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a
rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una
governabilità nella giustizia e perciò nella stabilità.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra
non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la pace
e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo contribuito
a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di odio con
politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a Dio
nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre chiese, in
un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei combattimenti, per l'
accoglienza delle vittime, per la ricostruzione futura quando poi le armi
taceranno.