[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
La Guerra di Rachel
Carissimi,
come "Traduttori per la Pace" abbiamo tradotto alcuni messaggi molto
interessanti di Rachel Corrie (si chiama CORRIE e non Corey come a volte si
vede scritto).
Da noi, si sa, "martire" vuol dire in origine "testimone". E così anche in
arabo, "shahid.
Come vedrete da questi testi, Rachel non è stata "martire/shahida" solo nel
senso di vittima dell'oppressione. E' stata anche una lucidissima
testimone. E anche una testimone a favore del suo popolo, proprio in questo
momento in cui le sue mani si macchiano di sangue.
Miguel Martinez
***************************
La guerra di Rachel
Rachel Corrie, una pacifista ventitreenne americana, è
stata schiacciata e uccisa da una ruspa mentre tentava
di impedire che l’esercito israeliano distruggesse le
case nella striscia di Gaza.
In una straordinaria serie di e-mail dirette alla sua
famiglia spiega per quali motivi rischiava la vita.
7 febbraio 2003
Ciao amici e famiglia e tutti gli altri,
sono in Palestina da due settimane e un’ora e non ho
ancora parole per descrivere ciò che vedo. È
difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo
qui quando mi siedo per scrivere alle persone care
negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale
verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano
mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri
armati sui muri delle case e le torri di un esercito
che occupa la città che li sorveglia costantemente da
vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura,
che anche il più piccolo di questi bambini capisca che
la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un
bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un
carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi
qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome - Alì -
o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri. I
bambini amano anche farmi esercitare le poche
conoscenze che ho di arabo chiedendomi "Kaif Sharon?"
"Kaif Bush?" e ridono quando dico, "Bush Majnoon",
"Sharon Majnoon" nel poco arabo che conosco. (Come sta
Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo. Sharon è pazzo.).
Certo, questo non è esattamente quello che credo e
alcuni degli adulti che sanno l’inglese mi correggono:
"Bush mish Majnoon" ... Bush è un uomo d’affari. Oggi
ho tentato di imparare a dire "Bush è uno strumento"
(Bush is a tool), ma non penso che si traduca
facilmente. In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di
otto anni molto più consapevoli del funzionamento
della struttura globale del potere di quanto lo fossi
io solo pochi anni fa.
Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o
passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà
della situazione che ho trovato qui. Non si può
immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è
sempre più consapevoli che l’esperienza stessa non
corrisponde affatto alla realtà: pensate alle
difficoltà che dovrebbe affrontare l’esercito
israeliano se sparasse a un cittadino statunitense
disarmato, o al fatto che io ho il denaro per
acquistare l’acqua mentre l’esercito distrugge i pozzi
e naturalmente al fatto che io posso scegliere di
andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito,
mentre andava in macchina, da un missile sparato da
una torre alla fine di una delle strade principali
della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere
l’oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso
essere relativamente certa che non ci sarà un soldato,
pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud
Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il
potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei
e se posso tornare a casa quando ho finito. Dopo tutto
questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di
circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi,
molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre
camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano
delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivolto
la parola dall’altro lato del confine. “Vai! Vai!” mi
hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E
poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto “come ti
chiami?”. C’è qualcosa di preoccupante in questa
curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in
che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini
curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano
a donne straniere che si avventurano sul percorso dei
carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri
armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta
accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in
piedi davanti ai carri armati con degli striscioni.
Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui
carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte
salutano con la mano, molti di loro costretti a stare
qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle
case mentre noi ci allontaniamo.
Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto
del mondo qui, ma sento dire che un’escalation nella
guerra contro l’Iraq è inevitabile. Qui sono molto
preoccupati della "rioccupazione di Gaza". Gaza viene
rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che la
paura sia quella che i carri armati entrino in tutte
le strade e rimangano qui invece di entrare in alcune
delle strade e ritirarsi dopo alcune ore o dopo
qualche giorno a osservare e sparare dai confini delle
comunità. Se la gente non sta già pensando alle
conseguenze di questa guerra per i popoli dell’intera
regione, spero che almeno lo iniziate a fare voi.
Un saluto a tutti. Un saluto alla mia mamma. Un saluto
a smooch. Un saluto a fg e a barnhair e a sesamees e
alla Lincoln School. Un saluto a Olympia.
Rachel
20 febbraio 2003
Mamma,
adesso l’esercito israeliano è arrivato al punto di
distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed
entrambi i checkpoint principali sono chiusi.
Significa che se un palestinese vuole andare ad
iscriversi all’università per il prossimo quadrimestre
non può farlo. La gente non può andare al lavoro,
mentre chi è rimasto intrappolato dall’altra parte non
può tornare a casa; e gli internazionali, che domani
dovrebbero essere ad una riunione delle loro
organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci
in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se
facessimo davvero pesare il nostro privilegio di
internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo
comunque un certo rischio di essere arrestati e
deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di
illegale.
La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C’è chi
parla della “rioccupazione di Gaza”, ma dubito
seriamente che stia per succedere questo, perché credo
che in questo momento sarebbe una mossa
geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo
che dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle
piccole incursioni al di sotto del livello di
attenzione dell’opinione pubblica internazionale, e
forse il paventato “trasferimento di popolazione”.
Per il momento non mi muovo da Rafah, non penso di
partire per il nord. Mi sento ancora relativamente al
sicuro e nell’eventualità di un’incursione più
massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il
rischio più probabile sia l’arresto. Un’azione
militare per rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione
molto più forte di quanto non facciano le strategie di
Sharon basate sugli omicidi che interrompono i
negoziati di pace e sull’arraffamento delle terre,
strategie che al momento stanno servendo benissimo
allo scopo di fondare colonie dappertutto, eliminando
lentamente ma inesorabilmente ogni vera possibilità di
autoderminazione palestinese. Sappi che un mucchio di
palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di
me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi
hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la
signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora
dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una
parola d’inglese ma riesce a chiedermi molto spesso
della mia mamma - vuole essere sicura che ti chiami.
Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti.
Rachel
27.02.03
(alla madre)
Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi
terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori
dalla nostra casa, con me e voi dentro. A volte,
l'adrenalina funge da anestetico per settimane di
seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la
cosa mi colpisce di nuovo: un po' della realtà della
situazione. Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho
visto un padre che portava fuori i suoi bambini
piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri
armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di
jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare
in aria la casa. In realtà, l'esercito israeliano in
quel momento faceva detonare un esplosivo nel terreno
vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla
resistenza palestinese.
Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini
furono rastrellati la scorsa domenica e confinati
fuori dall'insediamento mentre si sparava sopra le
loro teste e attorno a loro, e mentre i carri armati e
i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da
vivere a 300 persone. L'esplosivo era proprio davanti
alle serre, proprio nel punto in cui i carri armati
sarebbero entrati, se fossero ritornati.
Mi spaventava pensare che per quest'uomo, era meno
rischioso camminare in piena vista dei carri armati
che restare in casa. Avevo proprio paura che li
avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di mettermi in
mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede
tutti i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due
bambini così tristi, proprio lui ha colto la mia
attenzione in quel particolare momento, forse perché
pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri
problemi di traduzione.
Ho pensato tanto a quello mi avete detto per telefono,
di come la violenza dei palestinesi non migliora la
situazione. Due anni fa, sessantamila operai di Rafah
lavoravano in Israele. Oggi, appena 600 possono
entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi
600, molti hanno cambiato casa, perché i tre
checkpoint che ci sono tra qui e Ashkelon (la città
israeliana più vicina) hanno trasformato quello che
una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in
un viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile.
Inoltre, quelle che nel 1999 erano le potenziali fonti
di crescita economica per Rafah sono oggi
completamente distrutte: l'aeroporto internazionale di
Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per
il commercio con l'Egitto (oggi con una gigantesca
torre per cecchini israeliani al centro del punto di
attraversamento); accesso al mare (tagliato
completamento durante gli ultimi due anni da un
checkpoint e dalla colonia di Gush Katif).
Dall'inizio di questa intifada, sono state distrutte
circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che
non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma
vivevano lungo il confine. Credo che Rafah oggi sia
ufficialmente il posto più povero del mondo.
Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono
anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso
l'Europa venivano, a volte, ritardate per due
settimane al valico di Erez per ispezioni di
sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di
fiori tagliati due settimane prima sul mercato
europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono
arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i
giardini della gente. Cosa rimane per la gente da
fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non
ci riesco.
Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero
completamente soffocati, se vivessimo con i nostri
bambini in un posto che ogni giorno diventa più
piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze
passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer
ci possono attaccare in qualunque momento e
distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da
tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi
vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149
altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di
usare dei mezzi un po' violenti per proteggere i
frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando
vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da
frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e
a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e
quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in
una simile situazione, la maggior parte della gente
cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo
farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna la
farebbe. E penso che lo farei anch'io.
Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando
l'esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre
nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè,
mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto
momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata
sempre con tanta dolcezza da persone che vanno
incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati
Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la
grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi
segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa
sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che
qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo
senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero,
di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere
come possiamo far diventare così orribile questo
mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che
forse non riuscivate a credere completamente a quello
che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo
soprattutto all'importanza del pensiero critico e
indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo
con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie
affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran
parte questo è perché so che fate anche le vostre
ricerche. Ma sono preoccupata per il lavoro che
svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme
a tante altre cose, costituisce un'eliminazione, a
volte graduale, spesso mascherata, ma comunque
massiccia, e una distruzione, delle possibilità di
sopravvivenza di un particolare gruppo di persone.
Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi
con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono
atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su
questi, finirò per perdere il contesto. La grande
maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi
per fuggire altrove, anche se veramente volesse
smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene
semplicemente (e questo sembra essere uno degli
obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene.
Perché non possono entrare in Israele per chiedere un
visto e perché i paesi di destinazione non li
farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di
quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene
rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire,
e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco,
questo credo che si possa qualificare come genocidio.
Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe
sempre qualificare come genocidio. Forse potreste
cercare una definizione di genocidio secondo il
diritto internazionale. Non me la ricordo in questo
momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere
meglio questi concetti. Non mi piace usare questi
termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto
questo punto di vista: io do veramente molto valore
alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni
e di permettere alle persone di tirare le proprie
conclusioni. Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere.
Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono
testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e
che ho davvero paura, comincio a mettere in
discussione la mia fede fondamentale nella bontà della
natura umana. Bisogna che finisca. Credo che sia una
buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le
nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che
sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a
ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e
disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma
voglio anche che questo finisca. Quello che provo è
incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi
rendo conto che questa è la realtà di base del nostro
mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era
questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo
mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando
è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e
papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso
di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando
guardavo il lago Capital e dicevo, "questo è il vasto
mondo e sto arrivando!" Non intendevo dire che stavo
arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita
comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa
incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.
Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da
qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina,
probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa
per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare
tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una
delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi,
se sembro impazzita, o se l'esercito israeliano
dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di
non far male ai bianchi, attribuite il motivo
semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un
genocidio che io anch'io sostengo in maniera
indiretta, e del quale il mio governo è in larga
misura responsabile. Voglio bene a te e a papà.
Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino
a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e
ringraziarli.
Rachel
28 Febbraio 2003
(alla madre)
Grazie, mamma, per la tua risposta alla mia e-mail. Mi
aiuta davvero ricevere le tue parole, e quelle di
altri che mi vogliono bene.
Dopo averti scritto ho perso i contatti con il mio
gruppo per circa dieci ore: le ho passate in compagnia
di una famiglia che vive in prima linea a Hi Salam. Mi
hanno offerto la cena, e hanno pure la televisione via
cavo. Nella loro casa le due stanze che danno sulla
facciata sono inutilizzabili perché i muri sono
crivellati da colpi di arma da fuoco, perciò tutta la
famiglia - padre, madre e tre bambini-dorme nella
stanza dei genitori. Io ho dormito sul pavimento,
accanto a Iman, la bimba più piccola, e tutti eravamo
sotto le stesse coperte. Ho aiutato un po' il figlio
maschio con i compiti d'inglese e abbiamo guardato
tutti insieme Pet Semetery, che è un film davvero
terrificante. Penso che per loro sia stato un gran
divertimento vedere come quasi non riuscivo a
guardarlo. Da queste parti il giorno festivo è
venerdì, e quando mi sono svegliata stavano guardando
i Gummy Bears doppiati in arabo. Così ho fatto
colazione con loro, e sono rimasta un po' lì seduta
così, a godermi la sensazione di stare in mezzo a quel
groviglio di coperte, insieme alla famiglia che
guardava quello che a me faceva l’effetto dei cartoni
della domenica mattina. Poi ho fatto un pezzo di
strada a piedi fino a B'razil, che è dove vivono
Nidal, Mansur, la Nonna, Rafat e tutto il resto della
grande famiglia che mi ha letteralmente adottata a
cuore aperto. (A proposito, l'altro giorno, la Nonna
mi ha fatto una predica mimata in arabo: era tutto un
gran soffiare e additare lo scialle nero. Sono
riuscita a farle dire da Nidal che mia madre sarebbe
stata contentissima di sapere che qui c’è qualcuno che
mi fa le prediche sul fumo che annerisce i polmoni).
Ho conosciuto una loro cognata, che è venuta a
trovarli dal campo profughi di Nusserat, e ho giocato
con il suo bebè. L'inglese di Nidal migliora di giorno
in giorno. È lui a chiamarmi "sorella". Ha anche
cominciato ad insegnare alla Nonna a dire "Hello. How
are you?" in inglese. Si sente costantemente il rumore
dei carri armati e dei bulldozer che passano, eppure
tutte queste persone riescono a mantenere un sincero
buon umore, sia tra loro che nei rapporti con me.
Quando sono in compagnia di amici palestinesi mi sento
un po’ meno orripilata di quando cerco di impersonare
il ruolo di osservatrice sui diritti umani o di
raccoglitrice di testimonianze, o di quando partecipo
ad azioni di resistenza diretta. Danno un ottimo
esempio del modo giusto di vivere in mezzo a tutto
questo nel lungo periodo. So che la situazione in
realtà li colpisce - e potrebbe alla fine schiacciarli
- in un’infinità di modi, e tuttavia mi lascia
stupefatta la forza che dimostrano riuscendo a
difendere in così grande misura la loro umanità - le
risate, la generosità, il tempo per la famiglia -
contro l’incredibile orrore che irrompe nelle loro
vite e contro la presenza costante della morte. Dopo
stamattina mi sono sentita molto meglio. In passato ho
scritto tanto sulla delusione di scoprire, in qualche
misura direttamente, di quanta malignità siamo ancora
capaci. Ma è giusto aggiungere, almeno di sfuggita,
che sto anche scoprendo una forza straordinaria e una
straordinaria capacità elementare dell’essere umano di
mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili
- anche di questo non avevo mai fatto esperienza in
modo così forte. Credo che la parola giusta sia
dignità. Come vorrei che tu potessi incontrare questa
gente. Chissà, forse un giorno succederà, speriamo.
Rachel
_____________________________________________________
Traduzioni di Miguel Martinez, Lucia De Rocco, Silvia
Lanfranchini, Nora Tigges Mazzone, Andrea Spila
Translators for Peace
Traduttori per la Pace [http://web.tiscali.it/traduttoriperlapace]
_____________________________________________________