Ho evitato di rispondere nella lista ai precedenti interventi, per evitare
di intasarla. Ho risposto con e-mail agli indirizzi privati.
Rispondo a Marco Trotta, perché secondo me ha fatto un discorso generale
che esula dalla questione del contendere.
Ricordo a tutti che la discussione è nata dalla e-mail di Alba Basso,
deputata DS, che scriveva:
Il dibattito su temi tanto ampi e complessi come quelli della pace
e dell'opposizione alle logiche di guerra sembra in questi ultimi
giorni voler affrontare solo una questione: la legittimità o la illegittimità
di azioni di disobbedienza civile, come il blocco dei treni o i presidi
alle stazioni e sui binari.
Credo, piuttosto, che sia opportuno e
doveroso che ci si inizi a porre un altro e differente interrogativo: se cioè
è legittimo e normale che l'intero nostro paese sia attraversato da treni
carichi di armi e di altro materiale dalla natura finora non precisata, senza
che il Governo abbia finora avvertito la benché minima esigenza di riferire
sulla questione in Parlamento.
Credo che sia un discorso condivisibile, che tenta di evitare una rottura
all'interno del Movimento su chi è d'accordo con il blocco ed il rallentamento
dei treni della morte e chi non è, ponendo l'attenzione su una questione
fondamentale che (come li avrebbe definiti il grande Fortebraccio) i
commentatori "benpensanti" non hanno sviscerato sulle prime pagine dei
giornali ad alta diffusione.
A questo discorso, l'amico Federico Razzoli risponde rinfacciando le
malefatte del governo D'Alema nel Kossovo e conclude testualmente:
"Ma ai pacifisti il suo partito non piace lo stesso."
Da lì parte la mia puntualizzazione.
Sono d'accordo con moltissime cose che tu scrivi. Non mi piacciono però le
barricate tra i partiti della sinistra.
Credo che
1) nessuno possa arrogarsi il diritto di rappresentare "i pacifisti" in
toto, come universo. Per fortuna è un movimento variegato e di tante anime che
discutono e si confrontano e trovano anche percorsi diversi ma paralleli, che
portino ad un unico obiettivo: scongiurare questa guerra e non soltanto
manifestare contro o esprimere una testimonianza.
2) nessuno possa affermare che ai pacifisti non piace questo o quel
partito. SE cominciamo a mettere barricate tra di noi, come possiamo dirci
pacifisti?
Con questo non dico che dobbiamo girare pagina e non discutere delle
nefandezze del passato di certa sinistra. C'è modo e modo. Se una parlamentare
DS esprime una idea ragionevole, noi gli rispondiamo no grazie, lei è della
congregazione dei bombardieri del Kossovo?
Per me quello che non va ben è l'arroccarsi nelle sigle (di partito, di
associazione e di movimenti). L'82% degli italiani che sono contro la guerra ed
il 65% contrari anche in caso di risoluzione ONU, non sono soltanto di sinistra
o di centro sinistra. Avere una visione strategica e lungimirante ci richiede,
per vincere questa sfida, una politica del dialogo, anche con chi la pensa
diversamente; figuriamoci con quelli che si mobilitano insieme.
Dobbiamo imparare la politica delle somme e delle moltiplicazioni, invece
di quella delle sottrazioni e divisioni. Anche questo è una lezione della
Nonviolenza.
Cordialmente.
Farid Adly
PS. Sì, sono anche corrispondente di Radio Popolare.
----- Original Message -----
Sent: Friday, February 28, 2003 5:22
PM
Subject: su guerra del Kossovo e guerra
in Iraq
Salve a tutt*,
Associazione Culturale Mediterraneo,
Giovedì, 27 febbraio 2003 ore 22:31:47 +0100 ha scritto a tutt* in "Re:
sui "treni delle armi"" >Signor Federico
Razzoli, >parli per se. Nessuno l'ha mai autorizzato a parlare a
nome dei pacifisti. >Tutti. Lei lavora per la divisione del
movimento pacifista tra appartenenti >ai DS e non. Una simile
azione serve a questo governo di centro-destra e >non va
bene. >Se i compagni DS sono contro questa guerra di Bush, non si
deve ricordare >loro il passato, ma si deve lavorare per il
futuro. Altrimenti cerchiamo >soltanto la divisione.- Se Lei lo
vuole fare è liberissimo, ma non lo >faccia a nome mio e di molti
altri pacifisti che non la pensano come Lei. >Ciascuno si assuma
le sue responsabilità, invece di sparare nel
mucchio >trincerandosi dietro termini generici oppure etichette
inesistenti. >Anch'io ho criticato la posizione del governo
D'Alema sul Kossovo. Ma in >questo momento dobbiamo lavorare per
rendere forte l'opposizione alla >guerra. Altrimenti portiamo
acqua al mulino di chi vuole trascinare >l'Italia nella sporca
guerra del petrolio. >Ad ogni caso, Lei non è autorizzato a
parlare a nome dei pacifisti. Si >limiti ad esprimere le sue
posizioni senza arrogarsi diritti e >rappresentanze che non
ha. >Cordialmente. >Farid
Adly > >PS. Non sono mai stato iscritto ai
DS.
Sono d'accordo su: - bisogna rendere forte l'opposizione alla
guerra - non bisogna concedere favori al partito della guerra e della mafia
che ha un degno rappresentante a palazzo chigi
Non sono
d'accordo sul tuo "come".
Prima di tutto: mettiamoci d'accordo su due
termini fondamentali - cosa significa e chi rappresenta socialmente, oggi,
la parola "pacifisti" - cosa intendiamo per DS (ma io parlerei di tutto
l'Ulivo)
Se i pacifisti, oggi, sono rappresentati socialmente da quelli
che dicono "no alla guerra, senza se e senza ma, con o senza l'ONU", il
problema per Fassino&co. non si pone. Fassino l'ha già fatto sapere che
lui non è "un pacifista alla Gino Strada", mentre su D'Alema ed il suo
foglio "Ri(tras)formista" il discorso è ancora più chiaro in termini di
critica per certi versi cerchio bottista tanto al movimento quanto al
governo, salvo il fatto poi di sentire, dal deputato di Gallipoli che "se
ci fosse stato lui al governo in Afghanistan sarebbe già stato issato il
tricolore". Ne consegue che Fassino e D'Alema (come Violante) non sono
pacifisti e sono tutt'altro che nonviolenti. Il 15 erano in coda al corteo
e sono stati doppiati dal movimento ogni volta che hanno indetto
manifestazioni loro sulla pace. Questo vuol dire anche che il movimento
pacifista, nei termini rigorosi che ho segnalato, sa bene anche chi sono
costoro e cosa vogliono.
Per DS, a questo punto, sarebbe corretto
intendere la dirigenza politica di un partito che fa fatica ad organizzare
a Bologna, quindi non certo "giocando fuori casa", una fiaccolata per la
pace degna di questo nome dopo anni di distruzione sistematica di ogni
radicamento del territorio a partire dalle sezioni. Ne consegue che chi
oggi scende in piazza per la pace con la tessera dei DS, o mette bandiere
alle finestre, o fa blocchi dei treni, o si impegna nei social forum e nei
movimenti per la pace, lo fa *indipendentemente* da una linea di partito
sancita dalla dirigenza. E' giusto? Certo che è giusto. Come è giusto
chiedere a questa gente di non rinunciare alla propria identità.
Soprattutto se questo significa un adagio logoro e fuorviante come "lo
sciogliersi in un movimento" dove, con buona pace dei cultori dei
parallelismi con gli anni '60 e '70, delle masse "indifferenziate" in
movimento, sono proprio le differenze ad essere ascoltate e
rispettate.
Vista così, allora, la domanda è un'altra: qual'è la
convinzione sociale che porta tante persone a Roma il 15, a Firenze al
Forum Sociale Europeo, a Porto Alegre, alla Marcia Perugia-Assisi? Non
certo le strutture organizzate, confessionali, laiche, della sinistra più o
meno moderata. Basta guardare i numeri: vi sembra che li avremmo potuti
raggiungere sommando, da ragionieri di una politica che sposta pedine, aree
e numeri di tessere? Neanche per sogno. La mia interpretazione dei fatti
è che c'è un'intera società civile, nata agli inizi, protagonista e figlia
del secono breve, del tragico novecento, che dalle lotte sociali e dai
sistemi ideologici, nei cicli lunghi di una scolarizzazione di massa, dalla
capacità sociale di riappropriazione dell'innovazione tecnologica (quella
che ci fa comunicare indipendentemente da "Raiset", Repubblica, Corsera,
Panorama, Espresso, ecc.), ha tratto almeno due convinzioni: 1) che le
contraddizioni di questo modello sociale, economico e politico non sono
riformabili 2) che è la partecipazione, la capacità di contarsi e non farsi
contare, di chiamarsi in piazza e non farsi chiamare, di interpretare le
forme di piazza e non farsele apiccicare addosso, a rendere possibile
l'impegno sociale e la convinzione politica che possiamo davvero arrivare
ad un altro mondo possibile
Le due convinzioni sono state suffragate
nel tempo dalle tante contraddizioni e delusioni che si sono sommate.
L'esperienza del centro-sinistra al governo è stata fondamentale a far
capire a tutt*, che se una classe dirigente, ex figlia dei fiori e
contestataria nel '68, poteva concepire un proprio progetto di vita
identificato con "l'andare al potere" per poi essere obbligata al suicidio
di una avventura bellica come forma di accreditamento nei confronti
dell'Alleato atlantico, quella strada non avrebbe più convinto nessuno. E
fu il funerale della "Terza Via", infatti, che dalla tomba sta facendo
nascere mostri di cinismo politico come gli accordi e le vedute condivise
tra D'Alema, Blair, Berlusconi e Putin. Nella nascente costituzione
europeo, chi si sta opponendo ad introdurre articoli simili al nostro
"ripudio della guerra" costituzionale o a sancire il princpio della
legittimità degli scioperi è un asse che va da Blair, ad Aznar e
D'Alema. Da tutto questo ne consegue che l'attuale movimento pacifista,
sempre nei termini rigorosi scritti sopra, non solo ha prodotto un rifiuto
sociale di queste dinamiche, ma ha nutrito le proprie convinzioni e le
proprie proposte dell'idea che indietro non si sarebbe tornati. Mai più
guerre "umanitarie", che piaccia o meno al signor Adriano Sofri. Deve
essere un tabù parlare di Kossovo, allora? Tutt'altro!. I miei amici di
rete lilliput bologna, il 15 a Roma, passando sotto le finestre di
un Fassino modello "Papa benedicente" in via Nazionale, gli hanno
ricordato "Kos-so-vo, Kos-so-vo", costringendolo ad una ritirata strategica
nelle stanze del palazzo. Io credo che noi dovremmo tenere a mente
queste considerazioni proprio perché, chi ha oggi la possibilità di
rilanciare idee a pezzi ampi della società, ha una responsabilità ed un
problema da affrontare
1) La responsabilità è quella di sapere che
questo patrimonio di consapevolezza ed impegno forse non si potrà
arrestare, ma di certo rischia di essere oltremodo ostacolato dagli
oltranzisti delle semplificazioni e delle opportunità politiche
"basta-che-stiamo-tutt*-sullo-stesso-carro" e scordiamoci il
passato.
2) Il problema è capire come poter investire e progettare con
questo pratrimonio sociale costituente, quali respiri auspicare, come
consolidare gli sforzi fattivamente propositivi prima che contro la sua
carica rivoluzionaria si abbatta l'ultima carta che questa classe mediocre
e cinica di politicanti potrebbe giocarsi: la scelta rischiosa di una
guerra "senza se e senza ma" pur di mantenere gli attuali equilibri di
potere mondiali. Prima che, per farlo, usino la violenza delle menzogne,
dei tranelli, del panico generalizzato.
Io credo, allora, che
dobbiamo tutt* auspicare che il movimento d'opinione che sta portando alla
generalizzazione delle forme di diserzione ai meccanismi di consenso alla
guerra (quelli che promuovi, volente o nolente, informato o meno, con il
tuo onesto lavoro di ferroviere, scaricatore di porto, operaio, impiegato,
ma anche disoccupato, lavoratore in nero, cognitario, ecc.) cresca a tal
punto da rendere davvero impossibile arrivare a sganciare la prima bomba.
Dobbiamo farlo pensando che sia così, alzando il prezzo politico che
dovranno pagare il più possibile, perché altrimenti non cadranno solo sulla
popolazione civile in Iraq e ci troveremo ad affrontare una fase che oggi è
difficile prevedere e che passa attraverso i pensieri più inconfessabili e
drammatici di ciascun* di noi. Per questo nessun*, singolo o gruppo, può
pensare di bastare a se stess* e, allo stesso modo, non si può pensare di
nascondere la consapevolezza diffusa ed inequivocabile che la guerra sui
Balcani nel '99 è stata un errore perché illeggittima, illegale, ignobile
ed inutile. Ma anche perché ha preparato politicamente la stagione che
abbiamo vissuto successivamente. Certamente non deve diventare un pretesto
politicante, la retorica di chi non riesce a nascondere la propria
vocazione al minoritarismo, ma allo stesso modo deve e può alimentare
ragionamenti, nella capacità sociale fin qui manifestata, che hanno molto a
che fare con il presente.
Un esempio? In questi giorni "Striscia la
notizia" sta facendo vedere le testimonianze di famiglie i cui figli,
partiti volontari per la Bosnia, sono in seguito deceduti per tumori
maligni di diversa natura. Ci sarebbe molto da dire sul trattamento
mediatico di simili questioni - con una certa cautela Greggio e soci hanno
detto "forse dovuti all'uranio impoverito e forse a vaccini sbagliati" - ma
il dato importante è un altro. Lo vogliamo dire o no che è, invece, noto
che i soldati italiani in Bosnia hanno fatto brillare materiale e munizioni
all'uranio impoverito in modi che dire "incauti" sarebbe ancora un
eufemismo? Lo vogliamo dire che questo pericolo esiste per i "nostri"
Carabinieri dislocati in Kossovo? Lo vogliamo dire che i "nostri"
Alpini sono andati in Afghanistan a sostituire il contigente Inglese - che
è un modo subdolo di partecipare alla guerra in Iraq - nelle zone delle
caverne dove, per stanare Bin Laden con bombe ad altro potenziale
perforante è molto probabile che si siano usati armi all'uranio impoverito
i cui effetti potrebbero essere ancora più pericolosi? E soprattutto: lo
vogliamo dire che se fanno male ai "nostri" figuriamoci ai civili che lì ci
vivono e alle nuove generazioni che nasceranno? Personalmente non ho
intenzione di sacrificare queste analisi sull'altare di nessuna cautela
"preventiva" per fare in modo che i dirigenti politici dell'Ulivo vengano
in piazza con il resto della società civile che vorrebbero (e dicono di)
rappresentare. Contro la guerra, senza se e senza ma, con o senza l'Onu,
con o senza Fassino.
Marco Trotta.
PS: una curiosità, ma sei
quel Farid Adly corrispondente di Radio
Popolare?
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