Una Cassandra si
aggira per l'America. A un anno dall'11 settembre l'americano medio è
assillato da un assunto marxista: chi è complice nel togliere la
libertà agli altri non può, egli stesso, essere libero. Era convinto
che il comunismo, l'islamismo, il terrorismo e tutto ciò che non è
americano fosse di per sé repellente e destinato alla sconfitta. Per la
verità confidava anche nell'FBI, nella CIA e in una pletora di servizi più
o meno segreti. Gli sembrava che i rassicuranti killer
supertecnologici combattessero solo nemici fuori dai confini, per
l'export di democrazia, libertà e benessere. Adesso incomincia a
rendersi conto con orrore che uno stato di polizia totalitario, assoluto,
orwelliano, si erge da anni contro gli stessi cittadini americani e che i
killer ormai non fanno più differenza fra interno ed estero.
Cassandra aveva supplicato i troiani di non portare il
gran cavallo entro le mura. Ma l'America è nata col cavallo in grembo.
Dallo sterminio dei nativi agli eccidi di operai essa non ha mai smesso di
essere in guerra con sé stessa. Ora il cittadino americano scopre che per
la "sicurezza interna" non bastano i trenta milioni di persone sotto
controllo elettronico, i quattrocento milioni di telefonate all'anno
ascoltate sui posti di lavoro da polizie federali, statali e private, i
due milioni e mezzo di carcerati, la violazione sbirresca di tutte le
leggi scritte e non scritte. Scopre che tutto ciò non rappresenta qualche
eccesso ma un sistema. Dopo l'attacco dell'11 settembre solo
pochi intellettuali e i soliti studenti di Barkeley avevano osato
criticare i bellicosi discorsi dell'amministrazione bushita, mentre il
coro dei media strillava all'unisono col presidente. Oggi il coro
non è più così compatto. La frattura non è dovuta a profonde analisi
politiche ma al semplice fatto che gli Stati Uniti non possono
dichiarare guerra al mondo senza dichiararla anche alla loro stessa
popolazione. Potente materialismo dei fatti.
Ormai Cassandra è ovunque e incomincia a rompere le
scatole alla grande. I vari Chomsky, Sontag, Vidal, LaRouche, ecc., non
gridano più nel deserto. Affermazioni un tempo inaudite per le ovattate
orecchie di milioni di americani oggi sono sulla bocca di molti: l'attacco
a Pearl Harbor fu voluto da Roosevelt; le atomiche di Hiroshima e Nagasaki
non erano contro il Giappone esausto ma contro la Russia rampante; la
guerra coreana fu un atto "illegale" fatto passare come "operazione di
polizia" per conto dell'ONU; l'escalation nel Vietnam fu cercata e
s'inventò l'incidente del Tonchino; bin Laden fu assoldato dalla CIA per
evitare che i boys americani andassero a morire in Afghanistan
contro i russi; ancora la CIA sapeva dell'attacco al WTC ma lo lasciò
compiere; il Pentagono non è stato distrutto da un aereo ma da un
attentato; e così via. Alla propaganda brutale corrisponde la
semplificazione brutale della realtà improvvisamente recepita. Gli
americani son fatti così.
L'America repubblicana non è morta con Roosevelt e quella
imperiale non è nata dopo: per noi era già imperialista quando era ancora
una colonia. Ma è vero che oggi per i suoi cittadini sta avanzando
qualcosa di ben più grave del rozzo maccartismo. Per cervelli abituati al
mito della democrazia-libertà-benessere è una catastrofe. La dittatura di
un regime che sembra una dinastia, la fine della libertà di stampa e
d'informazione, gli interessi di una classe che si difende a oltranza,
fanno paura. Fa impressione una borghesia che non ha nessuna intenzione di
veder sminuito il suo potere planetario, ma fa impressione anche l'enorme
pressione sociale interna. Gli Stati Uniti hanno il proletariato più
numeroso del mondo.
Ovviamente i liberals non parlano di classi,
vedono solo "ricchi" e "poveri". Soprattutto combattono con innocue
opinioni. Ma quando realizzano che un centesimo della popolazione possiede
tutto, che un quinto esiste come pura sovrastruttura di servizio al
Capitale e che il restante 80% è relegato a condizioni di precarietà
assoluta, classi o non classi sono obbligati a trarne le conseguenze.
Quando il sistema è controllato da apparati segreti manipolabili come lo
furono i pretoriani del tardo impero, quando vara leggi in contrasto con i
sacri principii dei Padri Fondatori, quando ha più paura della propria
popolazione che del "nemico", non esiste, anche tra i più fanatici
idolatri della sacra trinità Denaro-Democrazia-Dominio, chi non incominci
a sua volta ad aver paura di piombare nella miseria o nelle grinfie degli
apparati polizieschi. È morto il mito delle opportunità per tutti. È lì, a
contatto con una dura realtà, assai diversa dai triti cliché
dell'american way of life, che il sacro perde il suo smalto e che
Cassandra è finalmente ascoltata. Ma ormai è tardi.
Persino i giornali ligi al sogno americano si mettono in
allarme. E c'è un crescendo nelle loro prese di posizione. Dopo l'11
settembre il massimo che erano riusciti a fare era stato mormorare: non
esageriamo. Il New York Times aveva scritto timidamente che il
governo americano avrebbe dovuto chiedere il sostegno della nazione per
azioni di guerra e che in tal caso avrebbe anche dovuto dimostrare di
sapere quel che faceva. L'International Heral Tribune aveva fatto
notare che gli Stati Uniti adesso avevano bisogno, più che di missili e
movimenti di truppe, di una fredda riflessione sul processo complessivo
che aveva portato all'attacco e soprattutto sul suo svolgersi futuro per
evitare di aggiungere disastri a disastri. Il Washington Post si
era preoccupato per la leggerezza con cui si arrestavano cittadini, si
perquisivano abitazioni senza mandato e si intercettavano le telefonate
senza permesso della magistratura. Pochi intuirono l'importanza di ciò che
stava accadendo. Uno fra questi, Gore Vidal, accolse al volo il tam-tam
che percorreva l'America scettica e "complottista" e scrisse che la
condotta dell'esecutivo bushita dopo l'attacco assomigliava troppo a
quella di Hitler dopo l'incendio del Reichstag, appiccato dagli stessi
nazisti. Negli anni '90, aggiunse, è iniziata la guerra civile americana e
se non ci fosse Osama bin Laden lo si dovrebbe inventare, tanto torna
utile.
Cassandra va sul pesante. L'America è inondata di
pubblicazioni sui misteri dell'11 settembre. I giornali pubblicano
editoriali sui pericoli di una politica cieca, basata solo sull'opzione
militare contro tutti. Le elezioni di medio termine da mesi non si
occupano più delle piccole beghe di paese per fare invece leva sulla paura
del futuro, di ciò che aspetta gli Stati Uniti in un mondo globalizzato e
ostile.
Quando l'esecutivo ha presentato un disegno di legge per
l'utilizzo segreto del 5% del bilancio federale (90 miliardi di
dollari!) "contro il terrorismo", qualcuno ha incominciato a parlare di
golpe strisciante. E comunque è passato uno stanziamento di 40
miliardi di dollari aggiuntivi per la sicurezza. Così, nella
ristrutturazione dell'apparato interno di intelligence, saranno
interessate 22 agenzie governative per un totale di 170.000 persone.
L'apparato esterno avrà poteri illimitati. Sono cose che costano. Anche il
bilancio propriamente militare sarà portato in due anni da 270 a 350
miliardi di dollari. E tutto sarà digerito, assicura The Economist,
perché niente permette di affermare che non ci sarà un secondo 11
settembre e un terzo, forse con bombe atomiche rudimentali. Per questo
bisogna prepararsi. Magari arrestando per prima cosa tutte le Cassandre e
tutti questi liberal piccolo-borghesi che hanno creduto nel mito
della libertà e della democrazia. E stiparli nel campo di concentramento
di Guantanamo. Un pezzo di America sospeso al di fuori del mondo e delle
sue leggi ma così tremendamente vicino…