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Re: Uno sguardo sulla potente Lobby Ebraica di Mark Weber



Su questo discutibile pezzo, trovate un ottimo articolo sul
Manifesto di ieri, a questo link.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Novembre-2002/art91.html




 Che succede, compagni di Action for Peace?  
Ebrei contro l'occupazione: «Perché un testo revisionista
nel sito contro la guerra di Sharon?» 
MARINA DEL MONTE * 

Ho sempre considerato Action for Peace espressione pratica
della possibilità di coordinamento tra diverse realtà
dell'universo pacifista. Leggo quindi con estremo stupore
che ad inviare l'orrido pezzo revisionista ad una mailing
list di compagni è il suo Gruppo di Ricerca. Autore del
testo Mark Weber (nulla a che vedere con il sociologo Max
Weber), uno dei maggiori esponenti del revisionismo
americano, direttore di quella che nella presentazione del
testo viene definita «prestigiosa rivista», organo ufficiale
dell'Institute for Historical Review. Molti esponenti di
questo movimento si sono distinti proprio per le proprie
tesi negazioniste dell'Olocausto. Inoltrare in tal modo un
testo, senza commenti, può equivalere al condividerlo. Fino
ad oggi mi era capitato di trovare riferimenti tratti dal
sito revisionista soltanto sui siti del Msi Fiamma Tricolore
e su quello di Radio Islam. Cosa succede, compagni? A cosa
si deve questo cambiamento di rotta, che niente ha a che
vedere con il quotidiano impegno da parte di Action for
Peace per l'affermazione delle idee di pace, giustizia, non
violenza, solidarietà? In che modo si colloca questo testo
all'interno dell'obiettivo condiviso di fare Cultura di
Pace? Più volte nel testo compare il concetto di «potente
lobby ebraica», termine che dovrebbe essere bandito dal
vocabolario di ogni compagno in quanto utilizzato per le
proprie finalità razziste dal fascismo e dall'antisemitismo.
Evocare l'Olocausto per sponsorizzare l'insediamento di
nuovi coloni, la costruzioni di muri, l'espulsione dei
palestinesi, è un errore culturale prima che politico, che
presta il fianco al bieco revisionismo di chi vuole ridurre
o addirittura negare la memoria storica di una tragedia. Che
esista un nesso tra l'Olocausto e la nascita dello Stato
d'Israele è fuor di dubbio. Ma la storia non può essere
cancellata; con essa è nostro impegno fare quotidianamente i
conti. Soltanto un pensiero primitivo può sperare che
cancellando l'Olocausto si possa automaticamente ricomporre
la questione palestinese. «Non è il movimento che sostiene
la causa palestinese composto dagli stessi compagni che si
battono con ogni mezzo contro ogni forma di antisemitismo,
che lottano quotidianamente contro i rigurgiti fascisti e il
razzismo strisciante?» Il carattere retorico della frase
interrogativa di Jacopo Venier non mi appare più così
scontato. Che dire del riferimento, contenuto nel testo,
allo stereotipo dell'ebreo attaccato al danaro, uno tra i
capisaldi della propaganda antisemita di tutti i tempi, da
quella di stampo cristiano a quella fascista. E ancora non
voglio neppure nominare un antisemitismo di sinistra.
L'utilizzo, nel testo, di citazioni tratte da autori di
origine ebraica rappresenta la ciliegina sulla torta: un
sottile tentativo di strumentalizzazione, utilizzato anche
nei confronti del nostro gruppo «Ebrei contro l'Occupazione»
dall'opportunismo di alcuni «compagni» per beghe di partito.
Sono convinta che il sostegno alla causa palestinese non
possa in alcun modo pregiudicare la pratica
dell'antifascismo. Da essi deve trarre origine e vigore il
nostro impegno per la pace e l'autodeterminazione dei
popoli. Concordiamo con la necessità di scindere ogni
riferimento all'Olocausto ed evitare ogni confusione di
termini fra governo israeliano e stato d'Israele, tra
Israele e mondo ebraico nell'affrontare la drammaticità
della questione israelo-palestinese. Tale sovrapposizione è
pericolosissima per l'esistenza culturale della stessa
Israele. La diffusione di un simile testo rischia di
cancellare ogni nostro sforzo fatto in tal senso come «Ebrei
contro l'occupazione». Ma se ci sono, tra i compagni,
elementi che su questa confusione giocano e giocano duro,
alimentando l'odio verso il popolo ebraico piuttosto che
favorire la pacifica coesistenza dei due popoli, allora
questi elementi vanno isolati. Sono sintomi gravi,
pericolosissimi, che vanno rintuzzati sul nascere, e il
tacerli assume l'aspetto di connivenza. Da essi prendiamo le
distanze, come ebrei dissidenti e come marxisti. Ma non
pensavamo che queste distanze - come noi hanno fatto in
questi giorni la Cgil e l'Arci - dovessimo prenderle anche
da Action for Peace. 

* di Ebrei contro l'occupazione 

"Action for Peace.Info" wrote:
> 
> A cura del Gruppo ricerca dell'Action for Peace
> 
> Uno sguardo sulla potente Lobby Ebraica
> 
> di Mark Weber
> 
> Mark Weber è il direttore del Institute for Historical Review. Ha studiato
> storia all'università dell'Illinois (Chicago), all'Università di Monaco di
> Baviera, alla Università statale di Portland e all'Indiana University
> (M.A.,1977). Per nove anni è stato editore della prestigiosa rivista dell'
> IHR il Journal of Historical Review.
> 
> Institute for Historical Review Http://www.ihr.org
> 
> Per decenni Israele ha violato i principi codificati del diritto
> internazionale e sfidato numerose risoluzioni delle Nazioni Unite a
> proposito dei territori palestinesi occupati, delle uccisioni extra
> giudiziarie e dei suoi ripetuti atti d'aggressione militare. Gran parte del
> mondo considera la politica israeliana, e specialmente la sua oppressione
> dei Palestinesi, come vergognosa e criminale. Questa opinione comune
> internazionale è riflessa, per esempio, in numerose risoluzioni dell'ONU
> che condannano Israele e che sono state approvate da schiaccianti
> maggioranze.
> 
> "Il mondo intero - ha recentemente affermato il segretario generale delle
> Nazioni Unite Kofi Annan - chiede che Israele si ritiri (dai territori
> palestinesi occupati). Ed io non credo che il mondo intero possa essere in
> errore. (1)
> 
> Solo negli Stati Uniti i politici ed i media sostengono ancora fedelmente
> Israele e la sua politica. Per decenni gli Stati Uniti hanno fornito ad
> Israele un cruciale sostegno militare, diplomatico e finanziario oltre ad
> un aiuto economico annuo di più di tre miliardi di dollari. Perché gli
> Stati Uniti restano il solo bastione di supporto per Israele? Il Vescovo
> del Sud Africa Desmond Tutu, che fu insignito nel 1984 del premio Nobel per
> la Pace, ha candidamente illustrato la ragione: "Il governo d'Israele è
> posto su di un piedistallo (negli Stati Uniti) e la sua critica è
> immediatamente sospettata d'antisemitismo. La gente di questo paese ha
> paura di dire pane al pane e vino al vino perché la lobby ebraica è
> potente, molto potente.(2)
> 
> Il Vescovo Tutu dice il vero. Sebbene gli ebrei costituiscano solo circa il
> tre per cento della popolazione degli Stati Uniti, essi controllano un
> immenso potere ed esercitano un'influenza molto maggiore di quella d'ogni
> altro gruppo etnico o religioso. Come l'autore ebreo e professore di
> Scienze Politiche Benjamin Ginsberg ha argutamente mostrato: "Dagli anni
> sessanta gli ebrei sono arrivati a detenere una considerevole influenza in
> America sull'economia, la cultura, la vita politica ed intellettuale. Gli
> ebrei hanno giocato un ruolo centrale nella finanza americana durante gli
> anni ottanta ed essi sono stati i maggiori beneficiari di fusioni e
> riorganizzazioni economiche. Oggi, sebbene appena il 2% della popolazione
> nazionale sia ebraica, quasi la metà dei suoi miliardari è ebrea. I vertici
> degli uffici esecutivi dei tre maggiori network televisivi e i quattro
> maggiori proprietari degli studios cinematografici sono ebrei come i
> proprietari dei più influenti giornali, il New York Times .Il ruolo e
> l'influenza degli ebrei nella politica americana è egualmente
> significativo. Gli ebrei sono meno del tre per cento della popolazione
> nazionale ma comprendono l'undici per cento di quello che gli studi
> definiscono l'élite nazionale. Inoltre gli ebrei costituiscono più del 25%
> delle élite giornalistica e editoriale, più del 17% dei leader d'importanti
> organizzazioni di volontariato ed interesse pubblico e più del 15% degli
> alti ranghi dell'amministrazione statale. (3)
> 
> Stephen Steinlights ex-direttore del National Affairs of the American Jews
> Committeee similmente rilevava "lo spropositato potere politico" degli
> ebrei che è " senza dubbio il più grande rispetto ad ogni altro gruppo
> etnico/culturale in America." Egli proseguiva spiegando che "il potere e l'
> influenza economica degli ebrei sono concentrate in modo spropositato a
> Hollywood, nella televisione e nell'industria mediatica. (4)
> 
> Due ben noti scrittori ebrei, Seymour Lipset ed Earl Raab scrivevano nel
> loro libro Jews and the New American Scene del 1995: "Durante gli ultimi
> tre decenni, gli ebrei (negli Stati Uniti) hanno superato il 50% tra i
> maggiori 200 intellettuali . il 20% tra i professori nelle università più
> prestigiose . il 40% tra i soci dei maggiori studi legali a New York e a
> Washington . il 59% dei direttori, scrittori, e dei produttori delle 50
> maggiori pellicole cinematografiche dal 1965 al 1982, e il 58% dei
> direttori, scrittori e produttori in due o più serie televisive di prima
> serata. (5)
> 
> L'influenza dell'ebraismo americano a Washington, notava il quotidiano
> israeliano Jerusalem Post "è largamente sproporzionata rispetto alle
> dimensioni della comunità, ammettono i leader ebrei ed americani. Ma così è
> l'ammontare della somma di denaro che essi elargiscono per le campagne
> (elettorali)." Uno dei membri dell'influente Conference of Presidents of
> Major American Jewish Organizations "stimava che gli ebrei hanno da soli
> contribuito con il 50% dei fondi per la campagna di rielezione del
> Presidente Bill Clinton del 1996. (6)
> 
> "E' completamente privo di senso cercare di negare la realtà del potere
> ebraico ed il suo predominio nella cultura popolare" ammette Michael Medved
> un noto scrittore e critico cinematografico ebreo "Ogni lista dei più
> influenti produttori cinematografici produrrebbe una preponderante
> maggioranza di riconoscibili nomi ebraici. (7)
> 
> Una delle persone che ha più attentamente studiato questo argomento è
> Jonathan J. Goldberg, adesso editore dell'influente settimanale della
> comunità ebrea Forward. Nel suo libro Jewish Power del 1996 scriveva: "Nei
> settori chiave dei media, specialmente negli studi cinematografici di
> Hollywood, gli Ebrei sono così numericamente dominanti che definire questi
> affari sotto controllo ebreo è poco più che un'osservazione statistica .
> Hollywood alla fine del ventesimo secolo è ancora un'industria con una
> pronunciata coloritura etnica. Praticamente tutti i capi delle produzioni
> cinematografiche sono ebrei. Scrittori, produttori, e anche i meno evoluti
> direttori sono in larga maggioranza ebrei - un recente studio ha mostrato
> come superino il 59% tra i produttori di film a budget più elevato. Il peso
> di tanti ebrei in una delle più lucrose ed importanti industrie americane
> conferisce loro uno straordinario potere politico.
> 
> Essi sono la maggior riserva di denaro per i candidati Democratici. (8)
> 
> Specularmente alla loro forte presenza nei media americani gli ebrei sono
> abitualmente descritti come molto intelligenti, altruistici, degni di fede,
> compassionevoli e meritevoli di simpatia e sostegno. Mentre milioni di
> americani si adattavano prontamente a queste immagini stereotipate qualcuno
> non si lasciava impressionare. "Sono molto arrabbiato con qualcuno degli
> ebrei - dichiarava l'attore Marlon Brando in un intervista del 1996 - essi
> sanno perfettamente che tipo di responsabilità possiedono. Hollywood è
> governato dagli ebrei, ed essi dovrebbero manifestare una grande
> sensibilità per la gente che sta soffrendo. (9)
> 
> A Well - Entrenched Factor
> 
> Il potere d'intimidazione della "lobby ebraica" non è un fenomeno recente,
> ma è stato da molto tempo un importante fattore della vita sociale
> americana. Nel 1941 Charles Lindbergh parlò della pericolosità del potere
> ebraico nei media e nel governo. Il timido trentanovenne - famoso in tutto
> il mondo per il suo primo ed epico volo transatlantico del 1927 da New York
> a Parigi, - si rivolgeva a settemila persone a Des Moines, Iowa, l'undici
> settembre del 1941 illustrando il pericolo del coinvolgimento degli Stati
> Uniti nella guerra che si stava svolgendo in Europa. Egli spiegò che i tre
> più importanti gruppi di pressione che spingevano gli Stati Uniti verso la
> guerra erano i britannici, gli ebrei e l'amministrazione di Roosevelt. A
> proposito degli ebrei egli disse: "Il più grande pericolo per questo paese
> sta nelle loro immense proprietà e nella loro grande influenza nel nostro
> cinema, sulla nostra stampa, la nostra radio e il nostro governo." E
> aggiunse: "Per ragioni che sono comprensibili dal loro punto di vista, che
> non è il nostro per il motivo che essi non sono americani, desiderano
> coinvolgerci nella guerra. Noi non possiamo biasimarli poiché essi
> perseguono quelli che ritengono essere i loro interessi ma dobbiamo
> difendere i nostri. Noi non possiamo seguire le naturali pulsioni e i
> pregiudizi degli altri popoli per condurre il nostro paese alla distruzione.
> 
> Nel 1978, l'autore ebreo americano Alfred M. Lilienthal scrisse nel suo
> dettagliato studio The Zionist Connection scrisse: "Come è stata imposta la
> volontà sionista al popolo americano? .E' la 'Jewish connection', la
> solidarietà tribale tra correligionari, l'incredibile vantaggio sui non
> ebrei, che ha forgiato questo potere senza precedenti . Nelle grandi aree
> metropolitane la 'Jewish-Zionist connection' pervade completamente gli
> influenti circoli finanziari, commerciali, sociali e ricreativi. (10)
> 
> Il risultato del dominio ebraico sui media, scriveva Lilienthal, è che la
> copertura informativa delle notizie sul conflitto Israelo - Palestinese
> nella televisione e sulla stampa americana è inesorabilmente a favore d'
> Israele. Ciò si manifesta per esempio nel deformante ritratto del
> "terrorismo" palestinese. Come puntualizza Lilienthal: " I reportage
> unilaterali sul terrorismo, in cui la causa non è mai relazionata all'
> effetto, sono possibili perché la più efficiente parte della 'Jewish
> connection' è probabilmente il controllo dei media."
> 
> One - sided 'Holocaust' History
> 
> Il controllo ebraico della vita culturale ed accademica ha avuto un
> profondo impatto sul modo in cui gli americani guardano al loro passato. In
> nessun posto più che nella campagna mediatica sull'Olocausto e sul destino
> degli ebrei in Europa durante la seconda guerra mondiale la visione giudeo
> - centrica della storia è più radicata.
> Lo storico israeliano Yehuda Bauer professore all'università ebraica di
> Gerusalemme ed esperto dell'Olocausto ha notato: "Sia se presentato
> realisticamente o in modo inautentico, sia se compatibile con i fatti
> storici o in contraddizione con questi, sia se rappresentato con empatia e
> comprensione o come un monumento al kitsch, l'olocausto è diventato un
> simbolo dominante della nostra cultura . Difficilmente trascorre un mese
> senza una nuova produzione televisiva, un nuovo film, un nuovo spettacolo,
> dei nuovi libri di prosa o poesia commercializzino il tema, e il flusso è
> in crescita più che in diminuzione.(11)
> Le sofferenze dei non-ebrei non meritano le stesse attenzioni. Fuori dal
> focus della vittimizzazione ebraica sono, per esempio, i milioni di vittime
> del colonialismo, quelle della Russia stalinista, più di dieci milioni di
> vittime del regime maoista in Cina e dai 12 ai 14 milioni di tedeschi,
> vittime della fuga e delle espulsioni dal 1944 - 1949 in cui circa due
> milioni persero la vita. La ben finanziata campagna mediatica ed
> 'educativa' sull'Olocausto è di cruciale importanza per gli interessi di
> Israele. Paula Hyman professore di storia ebraica moderna all'università di
> Yale ha osservato: "Con i ringraziamenti d'Israele, l'Olocausto può essere
> usato per prevenire le critiche politiche e sopprimere il dibattito; esso
> rinforza il senso degli ebrei di essere un popolo assediato che può
> difendersi solo facendo affidamento solo su se stesso. L'invocazione delle
> sofferenze patite dagli ebrei sotto i nazisti,spesso, occupa il posto delle
> argomentazioni razionali ed è usato per convincere i dubbiosi della
> legittimità dell'attuale politica del governo d' Israele. (12)
> 
> Norman Finkelstein, autore ebreo che insegna scienze politiche all'
> università di New York (Hunter College), scrive nel suo libro, The
> Holocaust Industry (ed. italiana "L'industria dell'Olocausto" Rizzoli
> 2002): "invocare l'Olocausto è un espediente per delegittimizzare ogni
> critica rivolta agli ebrei. Attraverso il conferimento delle totale
> impunità degli ebrei, il dogma dell'Olocausto immunizza Israele e
> l'ebraismo americano da ogni legittima censura. L'ebraismo organizzato ha
> sfruttato l'olocausto nazista per deviare le critiche rivolte ad Israele e
> la sua moralmente indifendibile politica." Egli scrive della vergognosa
> "estorsione di denaro" fatta alla Germania, alla Svizzera e ad altri paesi
> da Israele e dalle organizzazioni ebraiche "per estorcere miliardi di
> dollari." "L'Olocausto -predice Finkelstein -può trasformarsi nella più
> grande rapina della storia del genere umano. (13)
> 
> "Gli ebrei in Israele si sentono liberi di effettuare ogni atto di
> brutalità contro gli arabi"- scrive il giornalista israeliano Ari Shavit -
> "credendo con certezza assoluta, che ora, con la Casa Bianca, il Senato e
> molti dei media americani nelle loro mani, la vita degli altri non conta
> come quella ebraica." (14)
> 
> L'Ammiraglio Thomas Moorer, ultimo presidente del US Joint Chiefs of
> Staff,ha parlato con schiettezza esasperata della supremazia
> ebraico-israeliana negli Stati uniti: "Non ho mai visto un presidente - non
> importa chi egli sia - che li abbia contrastati (gli israeliani). E'
> difficile anche solo immaginarlo. Essi hanno sempre ottenuto quello che
> vogliono. Gli israeliani sanno sempre quello che succede. Arrivai al punto
> che mi era impossibile scrivere qualcosa sull'argomento. Se il popolo
> americano capisse che tipo di dominio questa gente ha sul nostro governo
> insorgerebbe in armi. I nostri cittadini certamente non hanno nessun idea
> di quello che succede. (15)
> 
> Oggi il pericolo è più grande che mai. Israele e le organizzazioni
> ebraiche, in collaborazione con le lobby filo-sioniste di questo paese
> stanno incitando gli Stati Uniti - la maggior potenza mondiale militare ed
> economica - ad una nuova guerra contro i nemici d'Israele. Come ha
> recentemente riconosciuto l'ambasciatore francese a Londra, Israele - che
> egli ha definito "that shitty little country" - è una minaccia per la pace
> mondiale. "Perché il mondo dovrebbe rischiare a causa di questa gente la
> terza guerra mondiale? (16)
> 
> Riassumendo: gli ebrei controllano un immenso potere ed esercitano una
> pesante influenza negli Stati Uniti. "La lobby ebraica" è un fattore
> decisivo per il sostegno statunitense ad Israele. Gli interessi
> ebraico-sionisti non sono identici agli interessi americani. Nei
> fatti,spesso, sono in conflitto. Fino a che la potentissima lobby ebraica
> rimarrà al suo posto non ci sarà fine alla sistematica distorsione degli
> avvenimenti presenti e della storia, alla dominazione ebraico - sionista
> del sistema politico degli Stati Uniti, all'oppressione sionista in
> Palestina, al sanguinoso conflitto tra ebrei e non-ebrei nel Medio Oriente
> e alla minaccia israeliana alla pace.
> 
> 1. Citato da Forward (New York City), 19 Aprile 2002, p.11.
> 2. D. Tutu, "Apartheid in the Holy Land", The Guardian (Gran Bretagna), 29
> Aprile 2002.
> 3. Benjamin Ginsberg, The Fatal Embrace: Jews and the State (Università di
> Chicago, 1993), pp.1, 103.
> 4. S. Steinlight, "The Jewish Stake in America's Changing Demography:
> Reconsidering a Misguided Immigration Policy", Center for Immigration
> Studies, Novembre 2001. Http://www.cis.org/articles/2001/back1301.html
> 5. Seymour Martin Lipset e Earl Raab, Jews and the New American Scene
> (Harvard Univ. Press, 1995), pp. 26-27.
> 6. Janine Zacharia, "The Unofficial Ambassadors of the Jewish State", The
> Jerusalem Post (Israele), 2 Aprile 2000.Ristampato in "Other Voices" ,
> Giugno 2000, p. OV-4, un supplemento al The Washington Report on Middle
> East Affairs.
> 7. M. Medved, "Is Hollywood Too Jewish?", Moment, Vol. 21, No. 4 (1996), p. 37.
> 8. Jonathan Jeremy Goldberg, Jewish Power: Inside the American Jewish
> Establishment (Addison - Wesley, 1996), pp. 280, 287, 288. Vedi anche pp.
> 39-40, 290-291.
> 9. Intervista con Larry King, CNN network, 5 Aprile 1996. "Brando Remarks",
> Los Angeles Times, 8 Aprile 1996, p. F4 (OC). Poco tempo dopo Brando fu
> obbligato a chiedere scusa per le sue considerazioni.
> 10. Lilienthal, The Zionist Connection (New York: Dodd, Mead, 1978), pp.
> 206, 218, 219, 229.
> 11. Da una conferenza del 1992, pubblicata in: David Cesarani, ed., The
> Final Solution: Origins and Implementation (London e New York: Routledge,
> 1994), pp. 305, 306.
> 12. Paula E. Hyman, "New Debate on the Holocaust", The New York Times
> Magazine, 14 Settembre 1980, p. 79.
> 13. Norman G. Finkelstein, The Holocaust Industry (London, New York: Verso,
> 2000), pp.130, 138, 139, 149 ed. italiana: L'industria dell'Olocausto,
> Milano, Rizzoli, 2002.
> 14. The New York Times, 27 Maggio 1996. Shavit è un giornalista di
> Ha'aretz, un quotidiano israeliano in lingua ebraica, "da cui questo
> articolo è adattato."
> 15. Intervista con Moorer, 24 Agosto 1983. Citata in: Paul Findley, They
> Dare to Speak Out: People and Institutions Confront Israel's Lobby
> (Laurence Hill, 1984, 1985), p. 161.
> 16. D. Davis, "French Envoy to UK: Israel Threatens World Peace", Jerusalem
> Post, 20 Dicembre 2001. L'ambasciatore francese citato è Daniel Bernard.

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"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla 
liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione 
delle controversie internazionali"
(Costituzione della Repubblica Italiana, art. 11)

"Italy shall repudiate war as an instrument of offence 
against the liberty of other peoples and as a means for 
settling international disputes  
(Italian Constitution, art. 11)
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