[Pace] A un anno dal ritorno dei talebani in Afghanistan. Il racconto di Francesca Borri che da un anno vive a Kabul



IL MIO ANNO TRA I TALEBANI
Onestamente, i talebani più che ad al-Qaeda somigliano ai giapponesi.
Nel senso che sono proprio un mondo a sé.
Tra l'altro, mentre ricordo perfettamente il primo militante di Hamas, o di Hezbollah, che ho incontrato, o il primo jihadista dell'ISIS, non ricordo il primo talebano che ho visto. O con cui ho parlato. Ma perché in fondo, chi è un talebano, qui? I talebani non hanno un'uniforme, né un distintivo. Hanno un turbante nero, in genere. E un Kalashnikov. Ma come molti altri afghani. E questo dice già tutto: sono parte dell'Afghanistan.
Sono i nostri vicini di casa.
Letteralmente. Casa mia, poi, è di fronte a quella di al-Zawahiri.
Abito nel centro di Kabul, ma è curioso. Le notizie mi arrivano da fuori. Dalla stampa internazionale. Da cui apprendo che siamo tutte sotto un burqa, qui, e la musica è proibita. E se vai in bici ti impiccano. Cose così. In realtà, no. Cioè sì. Forse. Anche se vivo tra i talebani, non so dire come sia vivere tra i talebani: perché le regole non sono chiare. Intanto non si capisce mai se sono obblighi o raccomandazioni. Ma poi, non si capisce quali sono: perché non esiste una Gazzetta Ufficiale, e quindi sono annunciate da uno via Twitter, poi specificate da un altro su Facebook, smentite da un altro ancora su Tik Tok e di nuovo controsmentite su Twitter. E comunque, cambiano da città a città. Anzi. Da checkpoint a checkpoint. Le scuole, per esempio. Le scuole femminili. In 9 province su 34 non hanno mai chiuso. E così quelle private. E persino Suhail Shaheen, il portavoce dei talebani, la cui famiglia è a Doha, ha due figlie al liceo.
Ma al fondo, spesso, le scuole, materialmente, non ci sono.
Non è che sono state chiuse. Non sono mai state aperte.
Cioè. Non sono mai state costruite.
E quindi, quando parliamo delle scuole, di cosa parliamo davvero?
Magari fosse solo questione di talebani.
Fuori da Kabul, molte delle nuove regole non sono affatto nuove. Il burqa, per esempio. A Kandahar è normale. A Herat, il teatro è stato demolito cinque anni fa. E nel parco di Mazar-i-Sharif, ragazzi e ragazze entravano già a giorni alterni. Perché più che i talebani, contano i mashran. Gli anziani. L'Afghanistan è un paese di montagne. L'altitudine media è 1.884 metri: è un paese di valli, e comunità isolate dalla neve per larga parte dell'anno. Un paese in cui ognuno fa da sé. Indipendentemente da chi è al potere a Kabul.
Più che i talebani, qui conta la geografia.
E comunque, non sono al-Qaeda. Non sono l'ISIS. Ai talebani interessa solo l'Afghanistan. E diversamente da Hamas, o Hezbollah, o i Fratelli Musulmani, sono combattenti e basta. Non sono mai stati uno stato ombra. Si sono affermati dopo il ritiro dei sovietici, durante la guerra civile, come i paladini della sharia: della legge, nel senso proprio dell'ordine pubblico. E poi si sono opposti agli americani. Non si sono mai occupati d'altro. E ora sono un po' smarriti. Per quanto siano certi che il Corano abbia una risposta a tutto, ogni tanto uno ti chiama, ti chiede: Scusa, ma dove sta la CNN? Perché c'è scritto Netflix? E dopo mezz'ora, capisci che ha il telecomando del condizionatore.
Ed è uno ora ai vertici del ministero dell'Informazione.
Sono veramente come i giapponesi. Un mondo a sé.
Con logiche tutte sue.
Per molti talebani, relegare mogli e figlie in casa non è una forma di dominio, ma di rispetto. Perché la vita, qui, è fisicamente dura. Larga parte del paese è al Medioevo. E il rispetto è evitarti la fame, il freddo, la violenza: e lasciarti dedicare alla famiglia. Quando dico che sono una giornalista, spesso mi chiedono: Ma perché, sei orfana? Intendono dire: Sei proprio povera, per essere costretta a lavorare.
E lavorare con un mestiere così. Ma proprio disperata.
Non escludo che pensassero che tenersi al-Zawahiri a Kabul fosse in linea con l'impegno a non consentire ad al-Qaeda di fare base in Afghanistan. Cioè, che ospitarlo fosse il modo di controllarlo. La loro interpretazione degli arresti domiciliari.
Perché appunto, sono un'altra cosa rispetto ad al-Qaeda.
E non hanno la minima intenzione di perdere il potere per difenderla.
Ma in realtà questi sono dettagli. Per capire i talebani, bisogna capire gli americani. Perché gli afghani non hanno avuto niente dalla vita. Ma proprio niente. Solo guerra e miseria. Fuori da Kabul, l'Afghanistan è macerie. Macerie e basi NATO. E i morti non sono mai neppure stati contati: i morti, qui, non sono neppure un numero. Al fondo, questo è uno scontro di classe. Tra Kabul e l'Afghanistan: tra i pochi che hanno beneficiato degli americani, e i molti che li hanno subiti - tra i servi e i padroni, i ricchi e i poveri: i rapinati e i rapinatori. Quando dico che vengo dall'Italia, mi chiedono: E com'è, sicura?
Non mi hanno mai chiesto: E com'è, bella? Perché la bellezza, qui, non esiste.
Marx spiega i talebani molto più del Corano.
Il 15 agosto è un anno dal ritiro degli americani. E i giornalisti sono di nuovo tutti qui: per raccontare Kabul a un anno dalla fine della guerra. Anche se intanto, le nostre sanzioni hanno bloccato l'economia: e ora il 95% degli afghani è alla fame.
La guerra, qui, ha solo cambiato armi.
Dopo l'Undici Settembre, i talebani proposero di consegnare bin Laden al tribunale dell'Aja. Non è vero che non volevano estradarlo. Semplicemente, l'ospite, qui, non si consegna a un nemico. Ma l'avevate letto? Vi è stato detto?
Molto di quello che i talebani saranno, dipende da quello che saremo noi.

Francesca Borri
© La Gazzetta del Mezzogiorno

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