http://www.lettera43.it/attualita/33880/siria-opposizione-a-pezzi.htm
Siria, opposizione a pezzi
Saggi in esilio. Disertori senza armi.
Civili pronti alla guerra.
di Gea Scancarello
Su una cosa soltanto non ci sono dubbi: dovranno fare
da soli. Gli ultimatum della Lega araba, le riunioni delle Nazioni Unite e le
condanne delle potenze confinanti suonano bene, ma non portano
aiuto concreto. I siriani lo hanno capito dopo nove mesi di
stragi, 5 mila vittime civili e troppe promesse
disattese: se il regime di Bashar al Assad cadrà, sarà grazie alla
loro lotta e alla loro tenacia.
OPPOSIZIONE INDEBOLITA. La prospettiva, però, non
è affatto vicina. Paradossalmente, anzi, sembra allontanarsi: più
la repressione si fa dura, più lo scontro tra popolazione ed esercito scivola
verso la guerra civile, e più l’opposizione al regime si
scopre debole e frammentata.
In Siria manca una Bengasi, «un paradiso protetto», per usare le
stesse parole affidate dagli attivisti a Internet: l’enclave in
cui costruire una base logistica, progettare le operazioni e,
magari, ricevere aiuto e supporto dall’Occidente.
La resistenza al regime si costruisce invece intorno a tre poli,
spesso in aperto contrasto tra loro: il Consiglio nazionale di
transizione (Cnt), l’Esercito siriano libero (Free salvation army)
e i cittadini armati che combattono ogni giorno contro le forze di
sicurezza.
Il Cnt riceve fondi dai siriani in esilio,
ma non vuole usarli per le armi
L’ispirazione, per le piattaforme di oppositori ad
Assad, è la Libia, dove un’alternativa al regime è emersa con
chiarezza fin dalle prime battute della guerra.
Il Consiglio nazionale di transizione siriano è in effetti una
imitazione del Cnt costituito in Cirenaica da Mahmud Jibril e
soci, che gli occidentali hanno sostenuto e riconosciuto in fretta
e furia. Tuttavia, più che un governo provvisorio, quello siriano
è un gruppetto di saggi che con Damasco, il regime e la sua gente,
ha poco o niente a che vedere.
IL CIRCOLO DEI PENSATORI. Riorganizzato
nell’agosto 2011, il Cnt era già nato nel 2005, come piattaforma
di pensatori e intellettuali che avrebbero potuto dare un
contributo allo sviluppo di uno Stato democratico: allora, Bashar
al Assad, succeduto al sanguinario padre Hafez nel 2000, veniva
salutato da Londra, Parigi e Washington come un riformista.
Nell’estate scorsa, quando la primavera siriana era già scivolata
in un lungo inverno, il Cnt fu ricostituito a Istanbul, con tanto
di uffici di rappresentanza; il board oggi è composto da otto
persone, guidate da Burhan Ghalioun, 66enne docente di
Sociologia politica all’Università Sorbona.
NO ALLE ARMI. Nelle casse del Consiglio
confluiscono finanziamenti da cittadini in esilio e altri Paesi
arabi; non è chiaro di quale importi si tratti, di certo si sa che
dovrebbero servire ad aiutare la popolazione civile intrappolata
in Siria. Non, però, per comprare armi. «Vogliamo proteggere i
civili, non attaccare il regime» ha fatto presente con una certa
dose di diplomazia Samir Nashar, uno dei membri del Cnt, impegnato
a rilasciare interviste e stringere le mani della diplomazia
internazionale.
Ma proprio sull’ipotesi di un intervento militare si consuma lo
scontro con l’Esercito siriano libero, braccio armato del gruppo.
I combattenti: 10 mila uomini addestrati
dall'intelligence occidentale
I ribelli del colonnello Riad al Asaad, assiepati nel
campo profughi di Karbayaz, nei pressi di Kilis, al confine tra la
Turchia e la Siria, fremono infatti dalla voglia di passare al
contrattacco. In questa tendopoli, sorvegliata e separata dalle
altre sei allestite dal governo di Ankara per accogliere i rifugiati siriani, si sono concentrati i
disertori delle forze armate di Damasco.
Non è noto quanti siano esattamente i nuovi combattenti: secondo
alcuni analisti si tratta in tutto di 10 mila uomini, scarsamente
equipaggiati ma ben addestrati. Forse, suggeriscono gli analisti
internazionali, anche dalle intelligence occidentali.
LE AZIONI DIMOSTRATIVE. Non tutti i membri del
neocostituito esercito hanno riparato in Turchia: alcuni si
nascondono nelle periferie della capitale e di Aleppo, e da lì
hanno sferrato attacchi contro le sedi del partito Baath.
Azioni senza reale capacità offensiva - e comunque inesistente
rispetto alla potenza delle truppe scelte di Maher al Assad,
fratello del presidente - ma dall’importante valore dimostrativo.
Il nuovo esercito vuole dimostrare al mondo che le forze del
regime non sono più solide e granitiche come sembra, che
basterebbe insomma un po’ di aiuto per rovesciare l’autocrate.
La richiesta, però, non è da fraintendere: il colonnello Riad al
Asaad e i suoi uomini si sono affrettati a precisare che non
vogliono un intervento internazionale in stile libico. Quello di
cui hanno bisogno, semmai, sono le armi.
Le armi arrivano da Libano, Iraq e
Turchia; 2 mila dollari per un Ak47
I campi profughi che si estendono per una quindicina di
chilometri lungo il confine - in cui sono transitate, da maggio,
circa 20 mila persone, di cui 8.422 ancora presenti – sono il
formicaio perfetto per introdurre armi e munizioni in Siria.
Stando a quanto scritto dal quotidiano britannico Guardian,
i trafficanti hanno cambiato le loro rotte ma anche le loro merci:
non più alcol e tabacco, bensì kalashnikov e mitragliette passano
dai porosi confini che separano la Siria dai vicini.
I percorsi sono tre: due a Nord e uno a Sud.
La pista meridionale, quella libanese, attraversa le montagne
della Bekaa, nei pressi di Balbeek, roccaforte di Hezbollah, e
arriva nelle campagne nei pressi di Damasco. Quella turca dai
campi profughi rifornisce la provincia siriana di Idlib, nel Nord;
infine, ci sono le rotte dei tuareg, che da Mosul, in Iraq, si
addentrano nelle cittadine nordorientali del Paese.
OGNI MUNIZIONE COSTA 2 DOLLARI. Raccontano che
non una sola pistola sia rimasta a Mosul: i contrabbandieri le
hanno requisite tutte per rivenderle agli amici siriani. I prezzi
si fanno e disfano a seconda della disponibilità: per un vecchio
kalashikov ci vogliono dai 1.700 ai 2 mila dollari, per una
mitraglietta 5 mila, per un proiettile bastano due bigliettoni.
Quando le cose funzionano a pieno ritmo i carichi arrivano tre
volte al giorno.
Le trattative sono condotte per lo più da miliziani - alcuni ex
oppositori del regime incarcerati ai tempi della repressione
contro i Fratelli musulmani e recentemente liberati grazie alle
amnistie - o disertori dell’esercito di Damasco.
LE ARMI ARRIVANO NELLE MANI DEI CIVILI. Da questi
le armi filtrano poi ai civili, la vera spina dorsale della
rivoluzione. E, soprattutto, quella oggi più interessata a
imprimere un nuovo corso agli eventi.
Dopo essere scesi in strada a manifestare pacificamente e aver
accettato di farsi trucidare dal regime - bambini inclusi - in
nome della libertà, i siriani oggi sono intenzionati a passare al
contrattacco. Hanno fretta di ricevere armi e supporto logistico.
Sanno che, se vogliono che qualcosa cambi, il tempo dei cortei è
finito: oggi è l'ora di resistenza armata.
Martedì, 13 Dicembre 2011