Re: [pace] Re: [nonviolenti] DOVE SONO I PACIFISTI ?
- Subject: Re: [pace] Re: [nonviolenti] DOVE SONO I PACIFISTI ?
- From: Assopace Balcani <balcani at assopace.org>
- Date: Mon, 07 Mar 2011 15:57:37 +0100
Giro la mail di Sullo ricevuta su altra lista, che penso sia un
utile contributo alla riflessione. ettore -------- Original Message --------
Care e cari, scusate la molestia ma sentivo la necessità
urgente di far qualcosa: quel che so fare (forse) è
scrivere, quindi ho scritto, e messo nel sito di Democrazia
chilometro zero (www.democraziakmzero.org),
un mio testo sull'indifferenza sostanziale con cui sinistre,
movimenti, pacifisti, ecc. - e i loro mezzi di comunicazione
- guardano ai ribelli libici e al massacro che Gheddafi sta
compiendo. Trovo tutto questo scandaloso. Ditemi, se avrete
la pazienza di leggere, cosa ne pensate e, se siete
d'accordo, fate girare il testo in tutte le liste cui siete
iscritti. Lo stesso farò io. Vi allego l'articolo e lo metto
anche qui nel messaggio. I libici sono soli
di Pierluigi Sullo In questi giorni mi domando con crescente angoscia: perché sinistre, movimenti, sindacati, centri sociali, pacifisti e società civile variamente attiva sembrano più che altro indifferenti a quel che sta avvenendo in Libia? Nel paese nostro dirimpettaio, sul Mediterraneo, un dittatore al potere da più di quaranta anni sta macellando il suo popolo e qui nessuno o quasi sembra turbato. Non dico convocare una manifestazione di sostegno ai rivoluzionari libici (così loro chiedono di essere chiamati, proprio come i tunisini e gli egiziani) e per fermare il massacro, ma un appello, una indignazione diffusa, articoli di fuoco su giornali e siti di sinistra o dei vari movimenti. Io stesso ho partecipato al primo sit in davanti all’ambasciata di Gheddafi a Roma, intorno al 20 di febbraio: c’era qualche libico che vive qui, qualcuno dei centri sociali, di Rifondazione e della Fiom. Una parte del discorso di Nichi Vendola, nel meeting di qualche domenica fa, era dedicata alla ribellione e al dittatore libico, citato come tale. Poi, quasi più nulla. E quando, domenica 6 marzo, nel Tg3 serale, ho visto Walter Veltroni invocare un mobilitazione a favore del popolo libico, per la prima volta in molti anni ho pensato «ha ragione». Frequento, un
po’ per professione e un po’ per vizio,
molti «mezzi di comunicazione» di sinistra o di movimenti
vari, e sono
stupefatto della sostanziale assenza di reazione. Certo,
il manifesto pubblica
ogni giorno reportage e commenti, ha anche un inviato
(sebbene «embedded» come
lui stesso si definisce) a Tripoli. Ma il giornale che sta
a cuore a tutti noi
e che continua a influenzare l’opinione di sinistra, o
almeno a rappresentarne
una parte rilevante, sembra finito in una «no fly zone»,
in una terra morta tra
la rievocazione un po’ disperata di quel che fu, ossia
delle rivoluzioni
militar-progressiste e socialiste nei paesi arabi, e
l’allarme per il possibile
intervento militare degli occidentali e degli Stati uniti.
La vecchia logica
per la quale chi è amico del mio nemico è mio nemico
sembra irresistibile. Nel sito di «Mémoires des luttes», la rivista francese che fa capo a Ignacio Ramonet e a Bernard Cassen, che non si può dire non guardino con simpatia ai governi «progressisti» latinoamericani, e a quello di Chavez in particolare, si può trovare un articolo di Bernard Perrin, pubblicato in origine sul sito del quotidiano indipendente svizzero Le Courrier, che giudica uno «stupefacente e inquietante parallelismo» quello tra l’inquietudine di molti governi europei di fronte alla possibilità che Gheddafi venga rovesciato dal suo popolo, e la paura, che si è impadronita dei governi di sinistra dell’America latina, di veder cadere «un compagno rivoluzionario». Infatti, aggiungo io, Chavez ha proposto una mediazione che è piaciuta solo a uno degli agenti in gioco: Gheddafi. Ma anche il governo del boliviano Evo Morales non scherza. Quel che vedono, questi governanti, è solo il tentativo occidentale di accaparrarsi il petrolio libico. «Finché la sinistra disprezzerà la questione del rispetto dei diritti dell’uomo, considererà che la realpolitik possa giustificare tutto e confonderà la lotta anti-imperialista con la lotta a morte delle élites burocratiche – scrive Perrin citando Hervé do Alto, politologo francese legato all’edizione boliviana di Le Monde diplomatique – non ci potremo aspettare niente di buono da essa». E, sempre citato da Perrin, aggiunge Raul Zibechi, giornalista e scrittore uruguayano: «Bisogna guardare l’orrore in faccia: talvolta la sinistra non ha voluto vedere né sentire né capire le sofferenze della gente in basso, sacrificata sull’altare della rivoluzione. Ma questa volta non potremo dire che non sapevamo». Sconcertato dall’atteggiamento del manifesto, sono andato allora a vedere cosa ne scrive Liberazione, il quotidiano di Rifondazione. Nel cui sito si trovano poche e scarne notizie, quasi tutte di carattere diplomatico-internazionale. Potrei sbagliare - non vedo con continuità il giornale diretto da Dino Greco - ma se avessero promosso un appello, una chiamata alla solidarietà con i libici, questo sul sito ci sarebbe certamente. E allora Global
Project, il sito dei centri sociali del
nord est: molto ben fatto e pronto a reagire, in genere.
Ci trovo solo un
articolo, scritto da Giampaolo Calchi Novati per il
manifesto, in cui si parla
di «impropria alleanza tra giovani ed eserciti», in
Tunisia ed Egitto, e ci si
preoccupa soprattutto – di nuovo – che gli Stati uniti
possano mettere le mani
sul petrolio libico. Degli insorti, i ragazzi, gli
artigiani, le persone comuni
che si stanno difendendo dai mercenari e dai fedeli di
Gheddafi, nemmeno una
parola. Ma nel sito di Global si trovano anche testi e
discorsi video di un
seminario in più puntate sul «tumulto», sulla rivolta
cioè, che si tiene a
Roma. Datato 28 febbraio, c’è un testo di Alberto Do, per
altri versi
interessante, in cui si parla diffusamente di Tunisia ed
Egitto: sulla Libia
nemmeno una parola, benché la rivolta sia iniziata il 17
febbraio. La mia
impressione è che la rivoluzione dipende. Se le vie
di Tunisi o Piazza Tahrir al Cairo si riempiono di gente
che vuole abbattere
tiranni esplicitamente amici dell’Occidente, come Ben Ali
e Mubarak, allora si
inneggia alla ribellione (e Valentino Parlato, per
stabilire la differenza tra
un dittatore e un altro, scrive che l’«amicizia» tra
Gheddafi e Berlusconi è
stata «un errore» del dittatore libico); se invece il
tiranno è percepito come
un avversario degli occidentali, allora la ribellione
diventa dubbia. E siccome
a tutte le evidenze dubbia non è, anzi è autenticamente
popolare, come
testimoniano tutti i giornalisti che hanno potuto
incontrarne i protagonisti, e
sicuramente non è una manovra di Al Qaeda (come strilla il
tragico clown di
Tripoli), e non è neppure una longa manus
dell’imperialismo statunitense,
allora i ribelli di Bengasi e compagni cadono in un limbo:
non si può
sostenerli né parlarne male, quindi si preferisce evitare
il tema e ci si
rifugia in considerazioni geopolitiche, geostrategiche,
geoqualcosaltro. Come
dice Zibechi, le sofferenze della gente reale spariscono.
E d’altra parte i
libici resistono con le armi – quelle che hanno recuperato
grazie alle
diserzioni nell’esercito - quindi anche i pacifisti,
evidentemente, non provano
simpatia, anche se la non violenza non consiste
semplicemente nel lasciarsi
fucilare dai tiranni. E sì che le rivoluzioni arabe, non solo del Maghreb ma della penisola arabica e dell’Iraq, avrebbero molto da insegnarci. Ignacio Ramonet ha indicato quelle che secondo lui sono le diverse cause di una esplosione imprevista e intimamente democratica. Ci sono cause storiche, scrive Ramonet, ossia la degenerazione di regimi nati come «laici» o addirittura «socialisti» (quello algerino, ad esempio). Ci sono cause politiche, come il fatto che le dittature sono state sostenute dall’occidente in nome della lotta al «terrorismo islamico» e della diga all’invasione di migranti (come Gheddafi, che faceva il lavoro sporco per l’Italia e ora agita la minaccia una «invasione»). C’è la crisi economica globale, che lì colpisce più che altrove. C’è - a sorpresa, per una visione di sinistra - una causa ambientale: la siccità provocata dalla crisi climatica che due anni fa ha ridotto di un terzo la produzione di grano in Russia, la conseguente chiusura delle esportazioni e l’impennata del prezzo degli alimenti di base sui mercati internazionali, che – avverte in questi giorni anche la Fao – sta scuotendo tutte le società del Sud del mondo. E c’è, infine, una causa sociale: il contrasto durissimo tra livelli di scolarizzazione molto alti e livelli di occupazione bassissimi e di bassa qualità, in paesi molto giovani. Di questo
varrebbe la pena discutere. Guardando a quel
che succede dall’altra parte del Mediterraneo come a una
speranza. Le finte
democrazie egiziana e tunisina (e noi italiani di finta
democrazia ne abbiamo
in abbondanza) non avrebbero consentito cambi sostanziali
del modo di vita e
della partecipazione democratica. Non parliamo della
dittatura «verde» di
Gheddafi. Quindi quelle società sono esplose. Hanno
mostrato come si possa – in
modo pacifico, fin quando non si incontra un tiranno
omicida – cambiare le
cose. Perciò dovremmo in ogni modo possibile sostenere le
persone che
l’aviazione di Gheddafi bombarda e i suoi sicari ammazzano
per le strade.
Perciò mi chiedo, io che insieme a tanti altri reggevo lo
striscione della
manifestazione contro la guerra in Iraq, il 13 febbraio
del 2003, dietro al
quale si erano radunate tre milioni di persone, che fine
abbia fatto quella
aspirazione alla pace e alla democrazia. Per tutti. Libici
compresi. In ogni modo, per quel che serve, allego il link alla pagina di Twitter che i rivoluzionari libici hanno aperto per far circolare anche le loro informazioni: http://twitter.com/LibyanTNC __,_._,___
On 07/03/2011 12:08, tiziano cardosi wrote: caro Enrico teniamo ben la mente sveglia e gli occhi aperti: Veltroni attacca i pacifisti che non ci sono per preparare la guerra. |
- References:
- Libia. Politica e non guerra aiuta la libertà.
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- DOVE SONO I PACIFISTI ?
- From: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
- Re: [nonviolenti] DOVE SONO I PACIFISTI ?
- From: tiziano cardosi <tcardosi at indire.it>
- Libia. Politica e non guerra aiuta la libertà.
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