Questa difficoltà di alcuni credenti e non alla vista del crocifisso mi ricorda tanto vecchi film dove il diavolo terrorizzato arretra difronte alla croce. Al contrario dei mussulmani che sono orgogliosi dei propri simboli, molti cristiani si vergognano del crocifisso e dello stesso Cristo, cercando di ridurlo ad un buon'uomo dei tempi andati, che si è fatto incastrare maldestramente. Continuano ad etichettarsi come cristiani, ma come nelle festività del Natale, ni sembra che c'è di tutto fuorchè Cristo.
Da: Enrico Peyretti <e.pey at libero.it>
Oggetto: [pace] Il crocifisso e la logica di guerra
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Data: Martedì 17 novembre 2009, 10:20
Il crocifisso e la logica di guerra
La questione del crocifisso ha anche questo profilo: se la croce, strumento di supplizio (come potrebbe essere la forca, o il muro dei fucilati), è emblema dei seguaci di Cristo, allora la vita di questi appare come il culto del sacrificio, la religione che vuole ed esalta il dolore. Questa, infatti, è l’idea di molti, ed è buon motivo per rifiutare il cristianesimo, come religione dei vili e dei necrofili.
Il concetto di sacrificio è totalmente ambiguo: l’offerta di animali, o persino di esseri umani, nell’illusione di ottenere la benevolenza divina; l’offerta di sé, con amore coraggioso, per salvare altri. Il primo è far morire altri per salvare me (Abramo era disposto a farlo, se Dio non lo correggeva). Il secondo è dispormi anche a morire per salvare altri (come quello che annega salvando un bambino dall’annegare).
Solo nel secondo senso, ma a rischio di grave equivoco terminologico, si può parlare di sacrificio di Gesù. Infatti, Gesù è finito in croce perché, con amore coraggioso, si è offerto fino in fondo alla sua missione di annunciare la nuova alleanza di Dio, che «vuole misericordia e non sacrifici». Ha affrontato i poteri religioso e politico, tra loro complici, che volevano impedire quel messaggio di fede e libertà. La sua croce ricorda, a chi lo accoglie con fiducia, la forza di amore, di verità e di coraggio – il satyagraha gandhiano - con cui Gesù è vissuto, ha insegnato e beneficato, ed è morto ammazzato.
La sua croce condanna per sempre tutte le torture e le violenze dei potenti inflitte, usando il nome di Dio, a chi gli fa resistenza e li smaschera. La croce di Cristo è eversione, non rassegnazione. Impugnata dai potenti sulle bandiere e negli stemmi statali, dagli stendardi di Costantino e dei crociati, fino alle “guerre umanitarie” di oggi, e all’esibizione ecclesiastica, è un furto ipocrita, è bestemmia assurda e ridicola. Essi inchiodano sulla croce liberatori e innovatori, o semplici resistenti e “insorgenti”, come hanno fatto a Cristo.
La guerra, la fame, il dominio ideologico, sono la croce con la quale, nella logica di Caifa («che uno muoia per tutti»), si fanno vittime per salvare gli assetti dell’ingiustizia, i poteri di fatto, il disordine costituito. La logica di guerra è usare il male per togliere un male (cioè quello che non piace a chi ha il coltello per il manico). In questa logica, il crocifisso è addirittura la minaccia del supplizio. Oh, se armi e condanne eliminassero i malvagi dal mondo! Ma, come avverte il saggio Kant, «la guerra è un male perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo».
La guerra è questa criminale stoltezza, eppure celebrata come eroica e giustiziera. La croce, nell’animo con cui Cristo la affrontò e la accettò, è la sapienza suprema del vincere il male col farsene carico e con l’affondarlo in un supremo abbraccio di vita. Un così forte amore e coraggio – è questa la fede dei cristiani (può essere anche una osservazione di fatto?) – ricolma l’abisso di male su cui pencola la storia, a rischio di distruzione totale (rischio descritto con estreme immagini poetiche nei testi apocalittici), e permette a noi di impegnarci analogamente, con umiltà e speranza.
Il simbolo di ciò, l’immagine di Cristo in croce, vale e ha senso solamente in questa visione. Usato da stati e chiese come palo di confine e di sovranità, prima offende Cristo e i cristiani, poi disturba chi vi vede soltanto una scena impressionante. Tocca alle chiese, se hanno fede, ritirare i crocifissi dagli ambienti di vita comune, salva la libertà di chi ci vive. Tocca a tutti conservarli quando sono immagini d’arte o oggetti di valore storico, come i templi pagani.
Enrico Peyretti, 17 novembre 2009
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