|  Caro Lorenzo (e caro Enrico), d'accordo sul Natale 
ridotto (da tempo) al più vile dei commerci... forse non sarebbe sbagliato ricordarsi dell'origine pagana di questa 
festività: anticamente (in Italia) in quella data si festeggiavano i Saturnalia che, per pochi giorni, invertivano il 
rapporto schiavo-padrone... per ristabilire, simbolicamente, l'Età dell'Oro (mondo senza classi, governato da 
Saturno prima che s'ammalasse di smania e abuso di potere..). E la croce forse altro non è che l'Albero della 
Vita, l'albero cosmico presente un po' in tutte le culture... Isabella Horn, della Fucina per la Nonviolenza 
(sezione fiorentina del Movimento Nonviolento) P.S. Personalmente, sono laica. Ma i simboli, usati 
bene (e NON imposti) possiedono una grande forza         
suggestiva: per questo sono simboli (cioè polivalenti, mobili...) 
  ----- Original Message -----  Sent: Wednesday, November 25, 2009 1:46 
  PM Subject: R: [pace] Il crocifisso e la 
  logica di guerra 
 
    
    
      | Questa difficoltà di alcuni credenti e non alla vista del 
        crocifisso mi ricorda tanto vecchi film dove il diavolo 
        terrorizzato arretra difronte alla croce. Al contrario dei 
        mussulmani che sono orgogliosi dei propri simboli, molti cristiani si 
        vergognano del crocifisso e dello stesso Cristo, cercando di ridurlo ad 
        un buon'uomo dei tempi andati, che si è fatto incastrare maldestramente. 
        Continuano ad etichettarsi come cristiani, ma come nelle festività 
        del Natale, ni sembra che c'è di tutto fuorchè Cristo. --- Mar 17/11/09, Enrico Peyretti 
        <e.pey at libero.it> ha scritto:
 
 Da: 
          Enrico Peyretti <e.pey at libero.it>
 Oggetto: [pace] Il 
          crocifisso e la logica di guerra
 A: "lista Peacelink Pace" 
          <pace at peacelink.it>, "lista pax christi gr discussione" 
          <paxchristi at yahoogroups.com>, "lista nonviolenti" 
          <nonviolenti at liste.retelilliput.org>, "lista Mir dibattito" 
          <mir-riconciliazione at yahoogroups.com>, "Lista Menapace" 
          <lista123lm at gmail.com>, "lista lilliput glt NV" 
          <glt-nonviolenza at liste.retelilliput.org>, "lista eco-fem-nv" 
          <eco-fem-nonviolenta at lists.unbit.it>, "lista BCP" 
          <ml-beati at beati.org>, "lista angelo casati 01" 
          <sullasoglia at yahoogroups.com>
 Data: Martedì 17 novembre 2009, 
          10:20
 
 
 
          
          
          Il crocifisso 
          e la logica di guerra    La questione del crocifisso ha 
          anche questo profilo: se la croce, strumento di supplizio (come 
          potrebbe essere la forca, o il muro dei fucilati), è emblema dei 
          seguaci di Cristo, allora la vita di questi appare come il culto del 
          sacrificio, la religione che vuole ed esalta il dolore. Questa, 
          infatti, è l’idea di molti, ed è buon motivo per rifiutare il 
          cristianesimo, come religione dei vili e dei necrofili. 
           Il concetto di sacrificio è 
          totalmente ambiguo: l’offerta di animali, o persino di esseri umani, 
          nell’illusione di ottenere la benevolenza divina; l’offerta di sé, con 
          amore coraggioso, per salvare altri. Il primo è far morire altri per 
          salvare me (Abramo era disposto a farlo, se Dio non lo correggeva). Il 
          secondo è dispormi anche a morire per salvare altri (come quello che 
          annega salvando un bambino dall’annegare). 
           Solo nel secondo senso, ma a 
          rischio di grave equivoco terminologico, si può parlare di sacrificio 
          di Gesù. Infatti, Gesù è finito in croce perché, con amore coraggioso, 
          si è offerto fino in fondo alla sua missione di annunciare la nuova 
          alleanza di Dio, che «vuole misericordia e non sacrifici». Ha 
          affrontato i poteri religioso e politico, tra loro complici, che 
          volevano impedire quel messaggio di fede e libertà. La sua croce 
          ricorda, a chi lo accoglie con fiducia, la forza di amore, di verità e 
          di coraggio – il satyagraha gandhiano - con cui Gesù è vissuto, 
          ha insegnato e beneficato, ed è morto ammazzato. 
           La sua croce condanna per 
          sempre tutte le torture e le violenze dei potenti inflitte, usando il 
          nome di Dio, a chi gli fa resistenza e li smaschera. La croce di 
          Cristo è eversione, non rassegnazione. Impugnata dai potenti sulle 
          bandiere e negli stemmi statali, dagli stendardi di Costantino e dei 
          crociati, fino alle “guerre umanitarie” di oggi, e all’esibizione 
          ecclesiastica, è un furto ipocrita, è bestemmia assurda e ridicola. 
          Essi inchiodano sulla croce liberatori e innovatori, o semplici 
          resistenti e “insorgenti”, come hanno fatto a Cristo. 
           La guerra, la fame, il dominio 
          ideologico, sono la croce con la quale, nella logica di Caifa («che 
          uno muoia per tutti»), si fanno vittime per salvare gli assetti 
          dell’ingiustizia, i poteri di fatto, il disordine costituito. La 
          logica di guerra è usare il male per togliere un male (cioè quello che 
          non piace a chi ha il coltello per il manico). In questa logica, il 
          crocifisso è addirittura la minaccia del supplizio. Oh, se armi e 
          condanne eliminassero i malvagi dal mondo! Ma, come avverte il saggio 
          Kant, «la guerra è un male perché fa più malvagi di quanti ne toglie 
          di mezzo». 
           La guerra è questa criminale 
          stoltezza, eppure celebrata come eroica e giustiziera. La croce, 
          nell’animo con cui Cristo la affrontò e la accettò, è la sapienza 
          suprema del vincere il male col farsene carico e con l’affondarlo in 
          un supremo abbraccio di vita. Un così forte amore e coraggio – è 
          questa la fede dei cristiani (può essere anche una osservazione di 
          fatto?) – ricolma l’abisso di male su cui pencola la storia, a rischio 
          di distruzione totale (rischio descritto con estreme immagini poetiche 
          nei testi apocalittici), e permette a noi di impegnarci analogamente, 
          con umiltà e speranza. 
           Il simbolo di ciò, l’immagine 
          di Cristo in croce, vale e ha senso solamente in questa visione. Usato 
          da stati e chiese come palo di confine e di sovranità, prima offende 
          Cristo e i cristiani, poi disturba chi vi vede soltanto una scena 
          impressionante. Tocca alle chiese, se hanno fede, ritirare i 
          crocifissi dagli ambienti di vita comune, salva la libertà di chi ci 
          vive. Tocca a tutti conservarli quando sono immagini d’arte o oggetti 
          di valore storico, come i templi pagani.  
          
           Enrico 
          Peyretti, 17 novembre 2009
            
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