9 giugno: Missione compiuta! - L'editoriale di Radio Cit tà Aperta



9 giugno: Missione compiuta!
L’editoriale di <http://www.radiocittaperta.it/>Radio Città Aperta –
domenica 10 giugno 2007

<http://www.radiocittaperta.it>www.radiocittaperta.it


150 mila persone, provenienti dai più lontani angoli del nostro paese,
hanno espresso il loro sdegno nei confronti della guerra permanente e
infinita di Bush e di quelle “umanitarie” gestite dal Governo Prodi. Una
indignazione tutta italiana: contro il tappeto rosso srotolato sotto i
piedi del criminale di guerra accolto come un amico e un fedele alleato da
un esecutivo che ha dimostrato per l’ennesima volta di essere lontano anni
luce dal popolo che lo ha votato. Una indignazione espressa, però, anche in
nome e per conto di tutti quei popoli aggrediti, violentati e occupati
dalle truppe imperiali di Washington ma anche dai “nostri bravi ragazzi”,
quei mercenari in divisa che l’Italietta di D’Alema manda a morire e ad
ammazzare per potersi sedere al tavolo delle grandi potenze.

Questa volta niente biglietti regalati da Cgil Cisl e Uil, niente
pensionati intruppati sui pullman e portati in gita a Roma con tanto di
pranzo al sacco, niente battaglioni di funzionari stipendiati coi soldi del
finanziamento pubblico. Le persone arrivate a Roma sono tutte persone vere,
in carne ed ossa, che con sacrificio e determinazione hanno deciso di
investire soldi ed energie per difendere il proprio futuro e quello dei
propri figli. “Oggi qui c’è la vera ‘piazza del popolo” si gridava dai
camion che sfilavano per il centro di Roma. L’allusione era al “sit
in-ghetto” nel quale il poco lungimirante ceto politico della sinistra
governista aveva deciso di rinchiudersi in nome della priorità della
permanenza al governo rispetto ad una identità alternativa ormai obsoleta e
anzi controproducente ai fini della governabilità. Già a metà pomeriggio le
facce scure dei vari Giordano, Pecoraro Scanio e Diliberto parlavano da
sole: da una parte un intero popolo in marcia, dall’altra una piazza vuota
con 500 (500!) persone in attesa di un miracolo che non è mai arrivato. La
frattura, speriamo definitiva, tra un movimento contro la guerra che ha
deciso di camminare con le proprie gambe e una sinistra governista,
radicale a parole ma subalterna nei fatti, è stata notata addirittura da
quotidiani come Unità e Corriere della Sera e dall’agenzia di informazione
dell’Unione Europea Euronews, che non hanno esitato a sbeffeggiare i
generali senza truppa di Piazza del Popolo.

Come pensavano lorsignori di portare migliaia di persone dentro una piazza
che prendendo di mira solo Bush sorvolava completamente sulle enormi
responsabilità di un governo Prodi che la sinistra parlamentare appoggia
senza mai mettersi di traverso? Tra gli organizzatori del non evento c’era
addirittura chi aveva lasciato intendere che la protesta era contro Bush e
non contro l’amministrazione statunitense nel suo complesso. Ai promotori
di piazza del Popolo lanciamo una sfida: chi ci sa dire quante guerre,
invasioni, occupazioni, colpi di stato, dittature militari e attacchi
terroristici hanno scatenato i governi del Partito Democratico e quante
quelli del Partito Repubblicano?

Il successo del corteo No War di ieri non era scontato: i segnali di
insofferenza nei confronti della sinistra dell’Unione sono da tempo
crescenti, ma in troppi casi si sono ridotti a mugugni, mal di pancia e
strappi parziali immediatamente ricuciti in nome della mancanza di
un’alternativa credibile e del ritorno del babau Berlusconi. Ma da quando
Vicenza si è mobilitata contro la militarizzazione del Dal Molin qualcosa
sembra essere cambiato. Alle recenti amministrative il ricatto del “se no
torna la destra” non ha funzionato: migliaia di cittadini contrari alla
base USA si sono astenuti mandando un segnale inequivocabile ai partiti
dell’Unione: non abbiamo più bisogno di voi, da ora facciamo da soli.

Il bel corteo di ieri ha ripreso il testimone di Vicenza: un corteo
unitario, determinato, radicale e pacifico; le scaramucce tra gli imitatori
nostrani del black block e le truppe schierate a difesa dei pre–Potenti
vanno considerate un episodio più che marginale. Missione compiuta quindi.

Adesso però è fondamentale che quel popolo che è sceso in piazza il 9
giugno non torni a casa e non firmi cambiali in bianco a nessuno. Se è vero
che allo stato non esiste un’alternativa politica organizzata alla
ex-sinistra radicale, è anche vero che la forza del vasto movimento di
massa che si oppone alla guerra non è poca cosa.

Sarà düra? Indubbiamente. Ma se il vasto e finora informe movimento
popolare che è sceso in campo prima a Vicenza e poi a Roma saprà uscire
dalla logica degli eventi singoli per iniziare a costruire un percorso
unitario e dotato di strumenti politici e organizzativi efficaci, sarà
l’inizio di una nuova fase per la sinistra di classe di questo paese.