Crisi di governo: tornano i fantasmi, non i conti - da Megachip



di Francesco De Carlo - Megachip

È inutile prendersi in giro: la cosiddetta sinistra radicale in Senato c'entra poco con lo spettacolo andato in scena ieri (se non per il ruolo di sedicente rappresentante di un popolo accarezzato in piazza e tradito in Parlamento). La colpa o il merito non può essere di Franco Turigliatto e Fernando Rossi, i quali, anche se avessero votato a favore della mozione della Finocchiaro, non sarebbero stati sufficienti a salvarla, visto che i presenti sarebbero saliti a 321 e il quorum a 161, mentre i favorevoli sarebbero passati da 158 a 160.

Quindi sgombriamo il campo da un equivoco: Pdci, Prc o chi per loro, non hanno alcun merito o colpa nella crisi di fiducia incassata ieri dalla politica estera di Massimo D'Alema.

Per capire quanto imminente fosse questo momento bastava leggere le pagine del compromissorio programma dell'Unione o contare gli effetti della legge elettorale in Senato, che dopo il passaggio di De Gregorio al centrodestra disegnava una spartizione dei seggi nella misura di 157 a 157, al netto dei senatori a vita.

Il governo, dopo aver esasperato l'importanza vitale di questo voto, si è affidato all'inaffidabilità politica di Andreotti, Pininfarina e De Gregorio. Basterebbero i curricula per dimostrare quanto fosse difficile alla vigilia scommettere sull'appoggio, più o meno manifestatamene annunciato, di questi senatori. Se a questo si aggiungono le turbolenze interne legate ai dissidenti il quadro è compiuto e quantomeno consigliava al governo di tutelarsi con il voto di fiducia. E invece niente, si è proceduto con determinazione verso il baratro. E allora delle due una: o il governo ha sbagliato nuovamente i conti e allora sarebbe consigliabile un corso accelerato di aritmetica; oppure siamo davanti a una strategia premeditata di cui si possono solo intuire contorni e mandanti.

Il progetto latente di una grosse koalition o di un'intesa centrista è scritto da tempo e apprezzato dai poteri forti, alcuni settori di Confindustria, tutti i settori della Chiesa, gran parte degli uffici del Dipartimento di Stato: pensare che l'estro istrionico del senatore Rossi o l'influenza di Scalfaro possano in qualche modo interferire con tali piani di recupero delle istituzioni appare alquanto bizzarro. La realtà è ben più brutale: Giulio Andreotti e le istanze che lo sostengono e l'hanno sempre sostenuto riescono ancora ad avere l'ultima parola sulle scelte di governo di questo paese. Che il trappolone neocentrista si traduca ora in un'intesa tra D'Alema e Berlusconi, tra Veltroni e Casini, tra Rutelli e Tabacci conta poco. Si è voluto dare una lezione pubblica alle velleità di pacifismo della base e di liberalizzazioni del Presidente del Consiglio e dare un segnale chiaro di ordine parlamentare. Per questo c'è ben poco da esultare. Ma credere che il moribondo governo Prodi potesse davvero riuscire a vincere le pressioni dei poteri forti e segnare realmente una discontinuità con il passato atlantista e confessionale di questo paese, dalla giustizia alla lotta alla mafia, dai diritti civili al lavoro, dalle televisioni alla politica estera è convinzione da aggiornare, magari costruendo un'altra politica, che non affidi la propria rappresentanza all'ambiguità di Rifondazione e non lasci dicasteri determinanti nelle mani di Mastella. Per adesso si tranquillizzi chi teme un ritorno dei fantasmi: i poteri che li hanno generati non se ne sono mai andati e continuano a condizionare fortemente entrambi i poli di questo bipolarismo amatriciano.