G. Chiesa: Vicenza, quel popolo pacifico che ripulirà il paese



di Giulietto Chiesa - Megachip

Vicenza-Violenza, questo è davvero un motto, un'invettiva, da collocare su un qualche “muro della vergogna” dell'informazione contemporanea. Il concetto è stato il leitmotiv delle settimane che hanno preceduto la manifestazione del 17 e, a quanto pare, era il desiderio neanche troppo recondito che davvero le cose andassero in quel modo. A dimostrazione del fatto, ormai inconfutabile, che il mainstream informativo distribuisce desideri (i propri) al posto delle ‘informazioni; calunnie e pettegolezzi al posto delle analisi e delle spiegazioni degli eventi.

Ma, lasciando da parte la “colonna infame” (nel senso più stretto del termine) dei Pierluigi Battista, Vicenza è stata sede di un esperimento molto interessante. Tanto più perché nessuno, nemmeno i suoi organizzatori, era stato in grado di preventivarlo. Un esperimento spontaneo. Si è cercato di mostrarlo come una manifestazione di radicalismo delle sinistre, appunto, radicali; ovvero come una manifestazione di antiamericanismo, oppure come una ennesima prova del localismo-provincialismo dei no-global. E così via storpiando, intorbidando, provocando (parlo adesso sia dei media sia della classe politica italiana, destra effettiva e presunta sinistra).

Invece cosa è venuto fuori? Un movimento molto variegato e composito, di massa senza alcun dubbio, ma niente affatto esagitato, senz'ombra di violenza, molto consapevole di sé e della propria forza, misurato nelle parole d'ordine (che nessuno aveva dettato), deciso a proseguire nella propria lotta.

E c'era a Vicenza un'altra cosa importante: la consapevolezza diffusa che questa classe politica che si è insediata al potere in Italia non è più rappresentativa né della sinistra, né della destra. Perché l'inciucio non è prodotto del popolo ma, appunto, è il distillato di una classe politica ormai divenuta trasversale. E, a questa trasversalità vissuta ormai con grande repulsione da milioni di italiani (molti di più di quelli che erano convenuti a Vicenza), si contrappone ormai un'altra trasversalità, che sorpassa gli orizzonti angusti dell'inciucio e cerca una propria rappresentanza, che per il momento non c'è ancora, ma che potrebbe presto cominciare a formarsi.

A Vicenza abbiamo assistito alla “crisi della politica”. Ma non di tutta la politica, perché i 200 mila manifestanti sapevano perfettamente di “fare politica”. Un'altra politica rispetto a quella ufficiale. E cioè sapevano di “fare democrazia”.

Molto più di quella che la politica ufficiale pretenderebbe di dettare al paese, fatta di votazioni in gran parte pilotate (dalla TV), una volta tanto, e per il resto delega ai conducenti di turno, perché facciano quello che vogliono. Mai come a Vicenza la lotta per la pace è diventata un motore di democrazia. Da lì si dovrà ripartire non solo per impedire che la base militare sia costruita, ma per ripulire il paese.


da E-Polis