La parabola del “manifesto” da “Viva il Mose” di Rossanda al “picchia i russi” di Dakli ai “terroristi islamici” di Sgrena



di Fulvio Grimaldi - 5/12/06

Il solco l’aveva tracciato Bertinotti, prima di convolare a nozze con le istituzioni dello Stato mafio-clerical-atlantico-capitalista da guerra. E quindi non ci interessa più di un manifesto del 1920 dell’Amaro Ramazzotti. Vada il parvenu vippomane a giuggiolarsi tra la sua becera fauna e ci resti.

Il “manifesto” - e spiace per le penne d’onore che vi sopravvivono e per il rapporto d’amore-delusione che ci lega tutti da decenni a questo foglio -, pur obiettando qua e là, lo difende. A dispetto delle poche lettere di critica e, a volte, di stizzita rivolta, i responsabili del quotidiano non si sono mai posta la domanda che direttori ed editori tutti si fanno allorché le vendite si raggrinzano: “perché perdiamo lettori?”. Se se lo chiedono è per deviare su una causa esterna, i cattivi che li vorrebbero fuori dalle palle. In compenso rivendicano di meritare prezzi antiproletari all’edicola, donazioni con la frequenza di una gabella per il transito sul ponte, accorruomo a difesa della sua “diversità”. Noi vogliamo che il “manifesto” viva e prosperi, ma non ci stiamo se ci rifila a elevato prezzo, sotto la testatina “quotidiano comunista”, una micidiale subalternità alle bugie e alle malefatte del potere. “Diverso”, cari compagni, significa non consolidare con la vostra autorevolezza i pilastri sui quali si basa il malgoverno del paese e del mondo. “Diverso” non è riempire paginoni con chi, coda di paglia lunga fino a Langley, gratifica di “dietrologo paranoico” e di “psicopatico complottista” chi butta lo sguardo nelle voragini della versione ufficiale sull’11 settembre e su tutto il terrorismo “islamico”.

“Diverso” non è confermare la bufala ufficiale e tacere le scoperte mai smentite sull’attentato del 9 novembre 2005 e dei 54 morti ad Amman che ci dicono come le vittime siano dirigenti e cittadini palestinesi e il mandante, non il fantomatico Al Zarkawi, ma una manina antipalestinese di chiara e provata identità. “Diverso” non è euforicamente chiamare, con la firma economica più autorevole del giornale, l’emissario di Soros e Goldman-Sachs, il privatizzatore pazzo e ora governatore di Bankitalia, Mario Draghi, “compagno di strada”. “Diverso” non è avallare l’ennesima montatura umanitaria, quella del Darfur, convalidando tutti gli strumenti propagandistici usciti dalla fucina di Langley - e corredati dal plauso di Ong e pacifisti - per spianare la strada al nuovo episodio della guerra “antiterrorista” sfasciapaesi. Tanto da fornire al Bertinotti-bonsai con la voce da Orietta Berti, Franco Giordano, quello strato di giornale che lo elevi, cappello da bersagliere in testa, a proclamatore dell’intervento in Darfur. Chissà che ne pensano lettori come i congiunti di coloro che ci hanno lasciato la pelle servendo Bush a Nassiriya, o di quei 150 iracheni che, fin nelle ambulanze, i “nostri ragazzi” hanno ivi “annichilito”.

“Diverso” non è, ma è letale, accreditare con il prestigio di una Rossana Rossanda vuoi Zarkawi, Osama, Al Qaida, Moretti, vuoi il Mose di Venezia. Rifilare tali truffe del secolo a un popolo davvero di sinistra (anche se ormai ammutolito e a tastoni nel buio), allorché questo popolo sente, più nelle viscere che nell’inchiostro del giornale, la verità su tutte le operazioni delle élites impegnate nella controrivoluzione antiproletaria mondiale.

“Diverso” non è fosforizzare i Cobas con ben dieci bombe in due giorni, perché a un governo amico dei nemici dei precari (e della pace) hanno detto che è amico dei nemici dei precari. Potrei continuare per dolorose ore: “diverso” non è rilanciare russofobicamente - copiando il migliore Paolo Guzzanti - lo spurgo di latrina cucinato da terroristi Cia contro un Putin, sempre più autonomo e dignitoso, con la megabufala di Polonio, Litvinenco, Scaramella (scusate la puzza), con la stessa tecnica dell’11 settembre, dell’assassino che grida “prendetelo”. E il discorso si appesantisce su Cecenia e Kosovo (quando non ne parla Tommaso De Francesco, cui però si dovrebbe estrarre dal linguaggio il compulsivo “contro” quando parla di “contropulizia etnica” e così rinsangua l’ormai anemica menzogna della “pulizia etnica” di Milosevic), dove si riesce israelianamente a invertire l’ordine dei fattori carnefice e vittima, cambiando radicalmente il risultato. E senza una volta approfondire l’aspetto geostrategico di quei luoghi, perfettamente sufficiente a individuare gli attori in campo.

Restando nel campo cruciale della politica estera, né “diverso” né “comunista” è far fare i commenti sulle pulizie etniche israeliane a un criptosionista come Zvi Schuldiner, con il suo codazzo di intellettualoni israeliani specializzati nell’obnubilare torti e ragioni dicendosi equidistanti tra aggressori (”esagerati”) e aggrediti (”terroristi”). Sono illusionisti che mettono tutti, ammazzanti ed ammazzati, occupanti e occupati, sullo stesso piano e danno del “criminali” a Hezbollah, ripetendo - con tutto il “manifesto” - la patacca-trappola di hezbollah penetrati in Israele per sequestrare soldati di Tsahal, quando era successo il contrario.

Non fanno molto “diverso” le acide e superficiali rimasticature di certe signore, perdutamente eurocentriche, su Iraq, Algeria, Afghanistan, basate sulla spasmodica esibizione di testimonianze della più bella acqua antislamica e di “società civile chic”. E altrettanto poco diverso” e “comunista” è il dilagare esponenziale nelle sempre più brutte pagine del giornale dello tsunami informativo cattolico, Terre Des Hommes, Lettera22, tutto in chiave caritatevole, moderatina, assistenziale, euroindulgente, e “lungi da noi ogni lotta armata”. Che poi, più di qualsiasi sodale di segno giulianferrariano del debole intellettuale e discutibile personaggio, ci si sia impegnati nella difesa di Adriano Sofri, sorvolando su altri meno repellenti detenuti d’antan, senza mai neppure borbottare qualche riserva sulle sconcezze filosioniste e filoimperialiste del Nostro, è davvero poco “diverso”. Basta andarsi a leggere “il Foglio” o cartaccia analoga.

Diversissimo è peraltro il “manifesto” nelle seconda metà del giornale, dove, perlopiù, ci si perde nella boscaglia inestricabile di iperspecialistiche astruserie letterarie, culturali, spettacolari che, ci scommetto la penna, risultano avvincenti o comprensibili a un 2% dei lettori e a uno 0,001% degli italiani e stanno all’interesse di un proletario come la nouvelle cuisine a quello di Nando.

Piccolo e non esaustivo florilegio, ma atto a trovare qualche attenuante ai reprobi che abbandonano questo “quotidiano comunista” e la rancorose risposte di Valentino Parlato a chi denuncia difetti di impostazione e carenze di verità. Amici e compagni di un “manifesto” che resta irrinunciabile, non adagiatevi sul conforto che non c’è di meglio (almeno dopo ‘autoaffondamento nel cassonetto della storia del giornale emiliofediano di Bertinotti). I lettori, soprattutto i lettori del vostro bacino, hanno ampia opportunità di documentarsi sui migliori siti e bollettini del mondo telematico dell’informazione vera. Quella che, ottusamente, qualcuno biasima come complottista. Come se non ci fossero complotti da smascherare in questo mondo di ladri. E di gente che da duemila anni cospira contro il 90% dell’umanità.

Al “manifesto” si chiede perché non contribuisca a smantellare le colonne di stereotipi, buonsenso, luoghi comuni e imposture che una classe dirigente criptohitleriana utilizza per imporre la sua dittatura alle menti, prima ancora che ai corpi. Ché, Giulietto Chiesa o Gianni Minà sono forse più fessi? O gli autori dello straordinario sito comedonchisciotte? Ci si dovrebbe essere abituati alle infinocchiature, dalla Donazione di Costantino all’Assunzione della Vergine, dalle armi di distruzione di massa dell’ottimo Saddam alla bufala dei dieci aerei da schiantare tra Londra e New York, svaporata, peraltro, ma servita a deviare lo sguardo atterrito del mondo dalla macelleria perpetrata da Israele a Qana e in tutto il Libano. Forse è solo questione di lento imborghesimento, di rendita di posizione, di mancanza di coraggio, di voglia di non guardare negli abissi, di restare al caldo.

Perché al “manifesto”, come a noi, non è mica inibito collegarsi alle fonti che raccontano e dimostrano un’altra realtà, quella radicalmente opposta e che nel “manifesto” ormai barluccica sempre più timida solo nei pezzi di mezza dozzina di compagni. Il 60 o 70% degli italiani ha disapprovato una spedizione nel Libano, con addosso quei caschi blu che dalla Corea ad oggi hanno condotto le più sconce operazioni belliche nell’interesse dell’imperialismo. Hanno ben visto, sotto quei caschi, l’elmetto atlantico, copiato pari pari da quello della Wehrmacht. Non c’è dubbio che quella percentuale contiene tutti i 25.000 lettori del “manifesto”.

Il “manifesto”, invece, salvo San Stefano Chiarini, ha traccheggiato. Ed era un questione davvero dirimente. Ve ne accorgerete. In una situazione del genere, con le contraddizioni e i crimini che esplodono e il “manifesto” a reggere il tendone contro lo tsunami della verità, è comprensibile che si perdano lettori. E, comunque, che non se ne guadagnino.