Considerazioni per il movimento pacifista dall'intervento dell'on. Umberto Ranieri oggi alla Camera



Vorrei fare alcune osservazioni, tanto per tenere accesa la discussione
fra noi e rendere possibile una risposta attenta all'ormai certa
approvazione del decreto legge di rifinanziamento delle missioni di guerra
a cui partecipa l'Italia.
Rendendo conto che il nostro impegno non si ferma certo ad oggi, perché
non possiamo dirci certo sconfitti per un semplice Sì, dobbiamo stare
attenti a considerare punto per punto quello che la maggioranza di governo
espone a giustificazione di tale Sì, in maniera da poter focalizzare il
nostro impegno nelle fasi successive.
Un punto importante affermato dall'on. Umberto Ranieri stamattina è il
seguente:

"La partecipazione delle Forze armate italiane ad operazioni
multinazionali avviene in conformità ad un complesso di norme, talune
dettate direttamente dalla nostra Costituzione, altre di origine
internazionale, che sono presenti nel nostro ordinamento in virtù dei
principi di adattamento sia alle consuetudini internazionali sia ai
trattati di cui l'Italia è parte.
Norme costituzionali e norme di origine internazionale dettano una serie
di principi che non possono essere infranti.
Le missioni militari italiane all'estero operano nel quadro del principio
costituzionale sancito dall'articolo 11 della Carta, principio cardine del
nostro ordinamento, che prescrive il ripudio della guerra come strumento
di offesa alla libertà degli altri popoli, e insieme del principio
codificato dalla Carta delle Nazioni unite, che vieta l'uso della forza
contro l'integrità di qualsiasi Stato e lo considera ammissibile solo se
intrapreso per legittima difesa o su autorizzazione da parte del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni unite.
A questi principi si ispira l'azione del Governo italiano per quanto
riguarda l'impegno dei nostri militari all'estero."

Quindi il Governo Prodi è convinto di operare in conformità e ispirandosi
all'art.11 della Costituzione, oltre che alla Carta delle Nazioni Unite.
Certo l'Italia non ha dichiarato guerra all'AFghanistan, ci mancherebbe
altro, ma sta partecipando ad una missione che, pur definendosi di pace,
ha tutte le caratteristiche di una guerra. E' una guerra contro un nemico
non giuridicamente definito come Stato, ma contro una entità astrattamente
detta "terrorismo internazionale". Una guerra che finora vede vittime
sopratutto fra la popolazione civile, e che impedisce a chi veramente
opera per la pace di agire tranquillamente. Questo perché, come ci ha
detto Gino Strada, è assurdo che si porti la pace chiusi nei carri armati
ed è impossibile distinguere i civili dai militari e quindi si colpiscono
tutti e due.
Noi siamo convinti che questa missione è di guerra, che va contro l'art.11
della Costituzione e contro la Carta delle Nazioni Unite.
Siamo quindi convinti che un Governo che parta dai presupposti esposti
dall'on. Ranieri, sia veramente intenzionato ad attuare una exit-strategy?
Chiediamocelo questo, chiediamolo anche agli esponenti di Rifondazione,
dei Verdi, dei Comunisti Italiani, affinché aprano veramente gli occhi
sulle reali intenzioni del governo.
E' però importante leggere quanto più avanti detto dallo stesso Ranieri:

" La democratizzazione resta un obiettivo da perseguire, ma la realtà ci
testimonia che essa è il risultato di un processo complesso e che è
velleitario pensare che alla medesima si possa giungere ricorrendo
essenzialmente alla forza militare, dall'esterno, incuranti della
complessità di società segnate da storie politiche e civili complesse,
spesso antiche.
Il processo di democratizzazione da perseguire non può sottovalutare
fattori di fondo strutturali, che vanno affrontati, perché esso possa
procedere. Occorre rendersi conto che malcontento e disperazione possono
condurre ad una interpretazione estremistica della religione, che le
sofferenze per la miseria e le preoccupazioni per il futuro possono
spingere a rifugiarsi in una visione radicale dei precetti religiosi. Ecco
perché, affinché proceda l'obiettivo della democratizzazione, la comunità
internazionale e l'Occidente devono concentrare i propri sforzi nella
creazione dei presupposti per il miglioramento delle condizioni di vita
delle popolazioni"

Grazie a questo passo ci rendiamo conto che lo stesso Governo si è accorto
che la politica internazionale finora perseguita è stata fallimentare, e,
noi diremmo, che la democrazia non è assolutamente esportabile, ma deve
nascere spontaneamente, sopratutto alla luce della diversità enorme di
cultura fra quella americana e quella asiatica.
Bisogna anche chiedersi a che titolo abbiamo diritto noi, stati
occidentali, di proclamarci poliziotti della democrazia. Se noi guardiamo
al nostro interno abbiamo realtà che sono molto lontane dall'affermazione
di quei principi di Pace, Libertà e Democrazia che intendiamo esportare.
Gli Stati Uniti hanno ancora la pena di morte, hanno un carcere che si
chiama Guantanamo, e vogliono imporre la loro democrazia e la pace,
attraverso gli eserciti? Ci facciamo il piacere!!!
Noi europei e, nel piccolo, noi italiani, abbiamo il dovere di non essere
acritici servitori degli Stati Uniti, come Berlusconi ha reso l'Italia per
cinque anni.
Questo lo facciamo anche rispondendo all'offesa che è giunta purtroppo
dallo stesso presidente della Repubblica (ma non era di sinistra?) che ha
definito i pacifisti antiBush "piccoli gruppuscoli anacronistici"!!!
A questo spunto speriamo che l'affermazione conclusiva dell'on. Ranieri
trovi conferma dal percorso successivo che affronteremo dopo questo
decreto...

"Per quanto riguarda l'impegno militare italiano in Iraq, le decisioni
assunte dal Governo vanno nella direzione di un rientro della nostra
missione; le ragioni di questa scelta le ho ampiamente svolte nelle
considerazioni precedenti. Il rientro di questa missione non significa la
rinuncia a garantire, da parte del nostro paese, nelle forme che non
comportano una presenza di contingenti militari, un sostegno significativo
al processo di ricostruzione e riorganizzazione istituzionale e civile
dell'Iraq."

Noi chiediamo al Governo di ritirare immediatamente le truppe
dall'Afghanistan, impegnandosi a livello internazionale affinché questo
ritiro non sia solo nostro ma sia generale. E chiediamo al Governo di
sostenere quell'impegno civile che "non comporta una presenza militare" e
che già oggi, invece, trova forte ostacolo proprio dalla presenza
militare.

Alla luce di queste analisi, credo che l'impegno del movimento pacifista
non debba ritenersi "colpito" dall'eventuale Sì di oggi, ma debba,
differentemente ricompattarsi e sostenere una vera exit strategy,
nell'immediato futuro.
Grazie,
Ettore Lomaglio Silvestri




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