Perchè NO a Bonino ministro della difesa



Se c'è un aspetto davvero irritante del chiacchericcio politico di questi
giorni è l'attenzione spasmodica di media e politica istituzionale sul tema
del "totoministri." Pagine intere di quotidiani dedicate a ricostruzioni
minuziose spesso legittimate solo da qualche voce di corridoio. E poi
commenti, per analizzare questa o quella dichiarazione e provare a
immaginare il governo che verrà. O che si vorrebbe. Un esempio su tutti? Il
corsivo di ieri di Paolo Franchi sul Corriere della Sera, un classico del
"risiko politico" per invocare buon senso e riformismo, qualunque cosa
significhi alle parti di Via Solferino.  O forse non proprio qualunque cosa
visto che sullo stesso giornale Di Vico due giorni prima ha, neanche tanto
velatamente, equiparato i critici della legge 30 del precedente governo
(quelli di sinistra che "per attaccarla la definiscono legge 30 o
addirittura legge Maroni") ai terroristi che uccisero Marco Biagi. D'altra
parte dal giorno dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, le
più alte gerarchie della Chiesa, da Papa Ratzinger in giù non hanno
aspettato neanche l'insediamento ufficiale di Napolitano per ricordare
l'opposizione a Pacs, aborto, ecc.
Il vero problema, però, è un altro. Il chiacchericcio in questo momento sta
eludendo una questione ben più seria ovvero il rapporto tra politica e
mandato degli elettori, quel nesso sottile che c'è tra il programma votato
e le persone che verranno scelte per l'esecutivo. A questa categoria di
problemi appartiene l'ipotesi che Emma Bonino diventi il futuro ministro
della Difesa. Si è molto discusso di come si è usciti dalle elezioni e
delle divisioni nel paese. Ritanna Armeni su Liberazione di domenica ha
parlato di un centrodestra con ampio consenso sociale nel paese, ma scarso
peso politico, mentre all'opposto il centrosinistra avrebbe un peso
politico maggiore grazie alla seppur risicata maggioranza in parlamento ma
poco radicamento sociale. E' un'analisi condivisibile, ma andrebbe
contestualizzata meglio. E' piuttosto improbabile, infatti, che l'Unione
potrebbe godere oggi anche di quel peso politico se sul tema della svolta
in politica sociale economica e su quello della guerra non fossero arrivati
segnali piuttosto importanti di discontinuità rispetto al passato. Questo è
ben chiaro dalle parti del Corriere della Sera e delle gerarchie
cattoliche, ed è il motivo più forte per il quale da quell'11 aprile non
sono gli unici che hanno fatto pressioni pubbliche, nell'ordine è arrivato
prima il monito del Fondo Monetario Internazionale sui conti pubblici e
perfino il Financial Times con l'ipotesi di uscita dall'Euro. In questo
contesto Emma Bonino alla Difesa sembra più un elemento di stabilizzazione
conservatrice che una scelta coerente con il programma dell'Unione. I
radicali, ed Emma Bonino in particolare assumendo anche ruoli
istituzionali, sono stati protagonisti di un interventismo violento a
sostegno di tutte le guerre degli anni '90 e della battaglia contro
l'articolo 18 e i diritti sociali costituzionali. Per questo motivo nel '99
il congresso del movimento nonviolento chiese al partito di Bonino e
Pannella, l'uscita dalla "War Resister International" (l'internazionale dei
nonviolenti) e la fine dell'utilizzo dell'immagine di Gandhi, ben poco
attinente alla realtà rispetto all'immagine mediatica di questo partito.
Per questo motivo stupiscono ancora di più le prese di posizioni a favore
di esponenti della sinistra dei DS come Cesare Salvi e Fulvia Bandoli che
ieri hanno apertamente sostenuto questa candidatura, e il tono sopra le
righe con il quale Furio Colombo, ex direttore dell'Unità, ha commentato le
dichiarazioni di Oliviero Diliberto dei Comunisti Italiani, unica forza
politica insieme a Vittorio Agnoletto, che per il momento ha fatto sentire
la loro voce contro. Una posizione che, a proposito di consenso sociale, è
legittimata anche da un'altra considerazione. La Rosa nel Pugno che tanti
opinionisti "terzisti" in Italia avevano definito l'unica vera novità delal
precedente campagna elettorale non è andata oltre la somma dei risultati
elettorali già noti dei socialisti di Boselli e dei radicali di
Bonino-Pannella. Segno che, nonostante una campagna elettorale condotta
tutta all'insegna della difesa dei diritti civili, la maggioranza
dell'elettorato che sui temi della pace e delle politiche economiche aveva
espresso chiare convinzioni, non si è fatta illudere. Tocca ora a quella
parte dell'Unione che non si è ancora fatta sentire e che si è impegnata su
questi temi dire la propria. E' giusto, anche in ragione di questa
considerazione, dare ad un loro esponente un ministero così importante? Ma
soprattutto è una occasione importante per il già troppe volte invocato (e
poco ascoltato) popolo delle bandiere di pace e della difesa dell'art. 18,
dei movimenti che si sono impegnati contro la guerra, il neoliberismo e il
razzismo negli ultimi cinque anni, per far sentire la propria voce. Una
voce che ora più che mai manca nel dibattito generale e che invece in
questa ed altre scelte può avere un peso determinante per quel pezzo di
decisioni pubbliche che verranno prese attraverso il governo nei prossimi
cinque anni.

Marco Trotta