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Da Nablus, aggiornamenti e riflessioni
- Subject: Da Nablus, aggiornamenti e riflessioni
- From: nathan never <natnev at interfree.it>
- Date: Thu, 21 Apr 2005 13:42:26 +0200
Inoltro un resoconto delle attivita' del presidio di pace a Nablus mandatomi da Quico e alcune sue riflessioni su come i palestinesi e le palestinesi stiano vivendo l'attuale fase di "finta-tregua" a Nablus. Nathan Never Ciao a tutti, sono arrivato a Nablus alla fine di Febbraio. Il compito principale nella mia permanenza qui era quello di avviare un corso di lingua italiana presso l'Università An Najah di Nablus. Dopo alcune difficolta' iniziali il corso ha ora circa 12 studenti. Nel frattempo mi sono reso disponibile per fare dei corsi di lingua inglese che qui sono molto richiesti, al momento ne sto facendo 5. Due corsi li svolgo all'interno della Palestinian Working Women Society (uno è un corso per donne sui 20-30 anni, l'altro per adolescenti, ragazzi e ragazze sui 14-17 anni). Altri due nello Youth Center del Medical Relief (uno per donne sui 40 anni, un altro per uomini e donne sui 30-40 anni.) Infine un ultimo corso è per un gruppo di adolescenti (ragazzi e ragazze) sui 16-19 anni, che svolgo all'interno dei locali della Mubadara. Tutti i corsi hanno dai 7 ai 15 studenti per classe e faccio con ogni gruppo 3 o 4 ore settimanali. Cerco di impostare i corsi sulla conversazione, che è ciò in cui gli studenti sono più carenti, anche se poi preparo anche varie altre attività di ascolto (dialoghi e canzoni) e di lettura. Soprattutto nelle classi di livello più basso (che poi sono quasi tutte....) spiego anche la grammatica, sempre attraverso i testi e le attività che svolgiamo in classe. Lo spaccato di società palestinese che ritrovo in classe è molto vario, e anche le classi sociali presenti sono molto variegate e mi pare di capire molte cose su questa società, di sicuro mi pare di capire molto di più che nei miei precedenti viaggi qui..... Mi colpisce molto la volontà degli adulti di mettersi in discussione, di accettare di fare attività orali (o anche attività di carattere ludico) davanti al resto della classe, mi colpisce la loro voglia di imparare per riuscire a comunicare. Anche gli adulti con una storia personale abbastanza "pesante" vedo che dimostrano interesse verso una lingua straniera, alcuni di loro si presentano dicendo "Ho 34 anni, vivo nel campo profughi di Balata, ho 5 figli e faccio il poliziotto" e poi partecipano con molto interesse alle lezioni, accettano di fare "giochi" per usare la lingua o mi fermano dopo lezione per chiedermi ulteriori spiegazioni. Quando poi in una classe di donne ho fatto un esercizio di ascolto sulla canzone "Blowing in the Wind" appena le studentesse hanno avuto il testo sottomano hanno cominciato entusiaste a cantare anche se nessuna di loro conosceva prima la canzone. In alcune classi provo a usare come argomento di conversazione testi di giornale su temi vari di carattere mondiale (come il riscaldamento del pianeta, i diritti delle donne). Questo perchè mi sembra a volte che la chiusura militare di Nablus diventi spesso una chiusura degli argomenti di conversazione, e mi dispiace; credo infatti che tentare di rompere l'assedio della città sia anche non parlare solo ed esclusivamente di ciò che accade in Palestina, cerco però di non imporre nulla e di farlo con cautela perchè alcuni temi semplicemente non suscitano interesse tra le persone e bisogna avere, credo, il massimo rispetto verso quello che la gente sente. Sto provando comunque anche a parlare in inglese in merito alla loro storia, abbiamo discusso in classe dell'origine della giornata della terra e della prima intifada. Nei giovani la consapevolezza di questi argomenti è minima, è molto più facile parlarne con gli adulti. La cosa più difficile è proprio lavorare con i ragazzi, in loro ritrovo spesso una certa rassegnazione e deresponsabilizzazione che molte volte si sente nei giovani palestinesi. Mi sono fatto una idea, non so se sia corretta. Credo che quest'ultimo atteggiamento sia dovuto al fatto che i ragazzi sono cresciuti in anni in cui TUTTO (scuola, università, vita) poteva essere costantemente interrotto da jeep e tanks, tutto era precario...ora (di giorno almeno) non ci sono nè jeep nè tanks, ma la sostanza non cambia, mi sembra quasi che la rassegnazione con cui vivono l'occupazione la riversino in un atteggiamento similmente apatico o almeno "deresponsabilizzato" anche nello studio. Ovviamente ci sono delle SPLENDIDE eccezioni, ho in classe ragazzi che hanno una gran voglia di imparare e anche fra i giovani di Nablus in generale ci sono delle persone grandiose che continuano a darsi da fare, come i volontari del Medical Relief (vi scriverò delle loro iniziative in una prossima mail) In ogni caso mi accorgo che lavorare con i ragazzi a volte è complesso. Non sono abituati a parlare in classe (di sicuro non in inglese, ma credo neppure in arabo) sono pronti a fare attività in cui sono "passivi", come esercizi di completamento, ma mi pare che spaventi loro tutto ciò che prevede interazione con altri o una iniziativa autonoma. Di sicuro questo dipende dal fatto che vanno a scuola in classi da 40 e più persone e non sono abituati ad essere attivi, però ci sono di sicuro anche altri fattori. Allo stesso tempo è però proprio con loro per me che bisogna lavorare. Certe volte mi accorgo che sto sbagliando metodo o che devo trovare altri modi per renderli interessati e attivi, bisogna sapersi inventare sempre qualcosa di diverso. In ogni caso credo che lavorare tra i ragazzi sia fondamentale perchè sono loro il futuro della Palestina e proprio loro soffrono più di tutti di quelli che per me sono i più gravi problemi interni della Palestina: la frammentazione, la rassegnazione e l'apatia. "Devono smettere di credere che non si possa fare nulla per resistere, o meglio devono smettere di credere che sia giusto delegare la resistenza ai fighters e ai loro M16, devono sentirsi partecipi della società in cui vivono" questo è quello che mi dicono le persone più lucide e mature che incontro qui. Come aiutare i ragazzi a credere ancora nella resistenza? Come aiutare a credere in una "altra" resistenza rispetto a quella fatta con gli M16? Come vincere la disillusione di chi ha vissuto tutta l'adolescenza durante la seconda Intifada? Qualche giorno fa i coloni volevano marciare sulla spianata delle moschee Al-Aqsa. Ovviamente Sharon non lo ha concesso, ora che tutto il mondo lo applaude come l'uomo della pace non vuole certo perdere la facciata che si è costruito, ma tutti sanno che è solo un assassino e che tornerà ad uccidere: "sta solo aspettando che il mondo lo premi per il ritiro da Gaza, e poi..." mi dicono, e qui tutti sanno che anche il ritiro da Gaza è una farsa, che non garantisce nessuna reale sovranità ai Palestinesi. Beh, quella mattina della marcia dei coloni mi colpiva percepire chiaramente che gli abitanti di Nablus sembravano quasi desiderare che i coloni arrivassero ad Al-Aqsa, e questo per aver un pretesto per poter fare esplodere la rabbia che hanno accumulato in questi 2 mesi di "tregua", "così inizierà la terza intifada" mi hanno detto in tanti... La loro rabbia è giustamente dovuta al fatto che nulla o quasi è cambiato, i check point sono rimasti, i prigionieri sono in carcere e quei pochi liberati sarebbero stati comunque fuori dalla prigione nei prossimi 6 mesi, le colonie si espandono e con nuovi insediamenti si vuole tagliare fuori Gerusalemme Est dalla West Bank, la costruzione del muro va avanti e nei giorni scorsi hanno pure ucciso 3 ragazzi a Gaza mentre giocavano a calcio. Come convogliare questa rabbia in qualcosa di attivo? In qualcosa che non li faccia sentire impotenti? Per me, in questi mesi di "calma", il nostro essere qui deve porsi queste domande. Quico Presidio di pace a Nablus - http://assopace.blog.tiscali.it/ Associazione per la Pace - www.assopace.org
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