lo spero di cuore



Title: lo spero di cuore
Da: " Sergio Serrao"
Data: Sat, 29 Jan 2005 10:49:39 +0100
Oggetto: [antiamericanisti] le banche centrali sposteranno nei prossimi anni le loro riserve da asset denominati in dollari a titoli emessi in euro

l'ora s'avvicina della loro rovina
S.

Verdone senza fascino
Il dollaro comincia a perdere l'appeal nei confronti delle banche centrali.
Il governo americano sta diventando un «cattivo debitore» e i governatori
preferiscono l'euro. Sarà caduta libera per il biglietto verde?
GIANNI DEL VECCHIO
«Good bye, Mr.Dollar. Welcome, Mr.Euro»: queste parole non sono state ancora
pronunciate da nessun banchiere centrale ma c'è più di un indizio che fa
presumere che in molti le stiano pensando. Si sta infatti facendo largo sui
mercati internazionali dei capitali una convinzione che è al contempo una
piccola rivoluzione: le banche centrali sposteranno nei prossimi anni le
loro riserve da asset denominati in dollari a titoli emessi in euro. Il
trasferimento di enormi masse di denaro dal biglietto verde all'euro non è
tuttavia solo una rumor di mercato ma è la risultante di un'inchiesta
condotta da un autorevole società ricerca specializzata nell'alta finanza,
la Central Banking Publications. Uno studio condotto sull'analisi delle
strategie, presenti e future, di 65 banche centrali che controllano quasi la
metà delle riserve mondiali globali: 1.700 miliardi di dollari. I risultati
sono sul tavolo: il 70% dei banchieri centrali consultati ha ammesso di aver
incrementato - negli ultimi 2 anni - l'esposizione nei confronti dell'euro a
scapito del dollaro. Quasi la metà ha detto di aspettarsi una significativa
diminuzione per i prossimi quattro anni (dal 66 al 20%) del tasso di
crescita delle riserve ufficiali immobilizzate nei greenback. Nei prossimi
anni, quindi, ci sarà la forte probabilità di assistere a una fuga dal
dollaro. Il punto è che le banche centrali sono convinte che gli Usa
diventeranno un cattivo debitore. Il problema non riguarda tanto la
situazione attuale dei conti pubblici americani ma quella futura: nonostante
già adesso la questione dei «deficit gemelli» (disavanzo contemporaneo del
bilancio e della bilancia commerciale) condizioni non poco le scelte del
presidente Bush, il vero pericolo deriva dalla dinamica futura di tali
squilibri. Deficit di bilancio e deficit commerciale difficilmente potranno
essere ridimensionati durante il prossimo mandato presidenziale. Vediamo
perché.

Cominciamo con il disavanzo federale: non scenderà sotto i 400 miliardi di
dollari annui se il presidente decidesse di tener fede alle promesse
elettorali. Le stime previsionali del Congressional Budget Office, organismo
non-partisan che si occupa di previsioni economiche per il governo, vedono
infatti un rientro del deficit ma non tengono conto di tre fattori destinati
gonfiare la spesa governativa. Prima di tutto, i costi per la guerra e la
sicurezza interna. Sicuramente saranno più bassi degli ultimi anni ma non si
può pensare che spariscano di colpo. Infatti, in settimana la Casa Bianca ha
chiesto ulteriori 80 miliardi per le spese militari in Iraq e Afghanistan.
Bisognerà poi affrontare i costi della promessa riforma del sistema
tributario. Si stima che rendere permanenti i tagli fiscali del primo
mandato graverebbe sulle casse statali per circa 1.845 miliardi di dollari,
nel periodo 2006-2015. Sempre sul versante fiscale, Bush ha prospettato
anche la riforma dell'Alternative minimum tax- una tassa nata 30 anni fa per
colpire i più ricchi ma che adesso erode gran parte dei redditi della middle
class. Il costo della riforma per i prossimi 7 anni è di 500 miliardi di
dollari. Da ultimo, il capitolo di spesa che riguarda uno dei cavalli di
battaglia dell'amministrazione: la creazione di un sistema previdenziale
privato. Anche in questo caso ciò non avverrà a costo zero: una nuova Social
Security significherà meno entrate per 2 mila miliardi per i prossimi dieci
anni. Le cose non stanno meglio per l'altro «gemello», il deficit
commerciale. Gli ultimi dati mostrano come a novembre sia esploso a 60,3
miliardi di dollari, nonostante l'export possa contare sul vantaggio di un
dollaro debole. E le previsioni non sono rosee, almeno nel breve periodo.

Gli Usa, stando così le cose, saranno sempre più indebitati nei prossimi
anni. Le banche centrali hanno subodorato la cosa e hanno iniziato a
diversificare i propri investimenti. Dove porterà ciò? Nella peggiore delle
ipotesi (per gli Stati Uniti), lo switch sui titoli di stato dell'eurozona
potrà determinare un rialzo dei tassi d'interesse dei Treasury bonds, cosa
difficile da digerire per l'economia americana: gli investimenti saranno
«spiazzati» e la crescita del pil rallenterà mentre il dollaro si troverà
sempre più in caduta libera. Questo scenario è però possibile solo in caso
di massicce vendite del biglietto verde sui mercati internazionali. Ci
saranno? Difficilmente proverranno dalle banche centrali di Cina e Giappone,
che insieme detengono il 40% delle riserve mondiali di dollari. Una forte
svalutazione della valuta americana non solo diminuirebbe il valore delle
proprie riserve ma provocherebbe anche un forte apprezzamento delle valute
nazionali: due effetti non particolarmente graditi per le economie dei due
paesi. Forti vendite di titoli americani però potrebbero derivare da tutti
quei paesi (per lo più asiatici) il cui operato non influenza la quotazione
del biglietto verde, almeno nel breve, ma la cui azione congiunta potrebbe
portare alle stesse conseguenze di un'uscita di Cina o Giappone. E' un caso
che la Banca di Thailandia ha ridotto le sue riserve in dollari dall'80 al
50% nell'ultimo anno e la Russia ha fatto lo stesso?

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/28-Gennaio-2005/art76.html