(Fwd) Un articolo da leggere: La faccia telegenica del jihadis



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Subject:        	Un articolo da leggere: La faccia telegenica del jihadismo
Date sent:      	Thu, 10 Jun 2004 19:37:53 +0200


Giuliano Ferrara - Panorama del 7.6


Un articolo da leggere su Panorama.it     La faccia telegenica del
jihadismo
http://www.panorama.it/opinioni/archivio/articolo/ix1-A020001024979 


Con i loro video, con la loro ferocia, con le loro ordinanze di morte
tecnologica o ruspante, i seguaci di Bin Laden sono diversi da come 
li
pensa l'Occidente.



Occupare per alcune ore la città del petrolio saudita, seminare il
terrore in un paese e in luoghi fra i più custoditi e cruciali
dell'universo islamico, far fuori una ventina di persone e mettere la
tremarella addosso alla prima industria energetica del mondo, 
sgozzare
gli stranieri nel bagno del ristorante di lusso, rivendicare via web
il «dono» fatto al governo italiano, «allo sciocco e superbo
Berlusconi», distinguere nel sangue tra fedeli musulmani e infedeli 
di
ogni altra religione da fare meticolosamente a pezzi, il tutto per
così dire con poca spesa e pochi effettivi: ci vuole altro per capire
che questi picchiano, che il loro odio è intenso e fanatico, che non
sono in rivolta contro una guerra coloniale sbagliata, sono bensì
all'attacco ormai da anni e in nome di secoli di pirateria e di
purismo religioso frammisti, e non demordono, e ci daranno filo da
torcere? La feroce e spettacolare incursione nella culla del lusso
petrolifero, kalashnikov e coltellacci alla mano, dovrebbe aver fatto
capire la differenza tra un semplice fenomeno di terrorismo, che si
potrebbe combattere con l'intelligence, riducendo il livello
dell'acqua in cui nuotano i pesci combattenti, applicando il soft
power delle lusinghe occidentaliste attraverso il rinsaldamento dei
legami con il famoso partito degli islamici moderati, e il jihadismo
che è tutt'altra cosa, che è dialettica armata nella civiltà islamica
e contro la civiltà occidentale, i suoi simboli disumanizzati, fino
all'assassinio del cuoco italiano o svedese. 

Il jihadismo non è terrorismo fino a ora conosciuto: non ha base
nazionale o di classe, evolve rapidamente verso la sua vera origine o
radice, si mostra come rivolta di un mondo contro un altro mondo,
corrisponde ai criteri simbolici dell'11 settembre in ogni suo atto,
in ogni decapitazione, in ogni attentato, in ogni proclama, in ogni
trasformazione del martirio in assassinio e prima dell'assassinio in
quella speciale magia, in quell'esoterismo coranico delle madrasse,
che ha sfondato di brutto tra folte minoranze d'avanguardia al riparo
delle ambiguità e dei sostegni degli stati canaglia. Con i loro 
video,
con l'impostazione iperbolica della loro telegenica ferocia, con le
loro mascherate e bellurie, con le loro ordinanze di morte 
tecnologica
(l'aereo contro il grattacielo) o ruspante, terragna, primitiva e
sacrificale come l'uccisione del maiale o dell'agnello o di Daniel
Pearl o di Nick Berg, i jihadisti non mentono. Mentono invece, 
mentono
prima di tutto a se stessi, quegli occidentali che pensano o fingono
di pensare a cause sociopolitiche, che s'interrogano in modo
riduzionista sui perché della rivolta, che non sanno coglierne il
livello effettivo, il grado di esplosiva penetrazione spirituale,
tradizionalista e profetica, nel mainstream musulmano in giro per il
mondo. 

Non è che si debba insistere moralisticamente sulla cattiveria dei
terroristi della guerra santa, bisogna invece coglierne la superbia,
la estrema e irriducibile forza, la completa autonomia morale dalle
nostre categorie, il terribilismo cocente che viene da lontane
predicazioni, da eresie e ortodossie maturate lungo i secoli che 
fanno
friggere e bollire un pezzo di mondo alle prese con una modernità
rifiutata in toto. Certo che è bella la lettera al kamikaze islamico
scritta dall'islamico moderato, occidentalista, Khaled Fouad Allam 
(la
trovate nei brevi saggi della Rizzoli). È ispirata e lirica, è un
tentativo encomiabile di leggere a uno che è ormai dall'altra parte,
che si prepara a uccidersi e a uccidere nella prospettiva del
paradiso, il gran libro della religione e della cultura islamica in
una versione edulcorata e progressista, introducendo nuove domande
sincretistiche sul senso della vita e della morte, cercando di
contaminare con la cultura moderna e altre culture religiose il 
nucleo
refrattario dell'Islam vero e puro e duro, quello che rigetta il
sistema di vita in via di globalizzazione. 

Ma leggendo quelle righe piene di buone intenzioni si sente il
richiamo dell'altra parte in ombra, si sente quanto è più forte nel
proselitismo il più elementare credo islamico e profetico, nella sua
versione attivistica e politica, di qualunque tentativo di riforma e
correzione spirituale. Ho paura che l'Islam moderato e riformatore
appaia come l'unica prospettiva a cui aggrapparsi, ma che sia anche
una prospettiva cieca, sorda e muta di fronte alla violenza guerriera
e alla giustificazione spirituale del richiamo fondamentalista.
L'altro Allam, Magdi Allam, sembra invece essersi accorto prima di
molti altri della realtà effettuale della cosa, come diceva Niccolò
Machiavelli. Il suo libro mondadoriano e tutto il suo lavoro di scavo
giornalistico sull'Islam, anche quello europeo, è una spietata
denuncia della sordità occidentale e delle nostre paure, che ci
impediscono di cogliere la vera portata dell'emergenza. È una guerra
in senso proprio quella dichiarata all'Occidente, non una riedizione
della lotta di classe o un risveglio nazionale; è una guerra totale
che implica la messa in gioco del comando, perché si deve stabilire
chi farà la legge, chi imporrà la propria struttura di legittimazione
dell'obbligo politico, chi saprà dare l'impressione di tenere nelle
sue mani la sorte e il destino delle genti. 




che ne dite?
associazione partenia


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