Un articolo da leggere: La faccia telegenica del jihadismo



Giuliano Ferrara - Panorama del 7.6


Un articolo da leggere su Panorama.it     La faccia telegenica del
jihadismo
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Con i loro video, con la loro ferocia, con le loro ordinanze di morte
tecnologica o ruspante, i seguaci di Bin Laden sono diversi da come li
pensa l'Occidente.



Occupare per alcune ore la città del petrolio saudita, seminare il terrore
in un paese e in luoghi fra i più custoditi e cruciali dell'universo
islamico, far fuori una ventina di persone e mettere la tremarella addosso
alla prima industria energetica del mondo, sgozzare gli stranieri nel bagno
del ristorante di lusso, rivendicare via web il «dono» fatto al governo
italiano, «allo sciocco e superbo Berlusconi», distinguere nel sangue tra
fedeli musulmani e infedeli di ogni altra religione da fare meticolosamente
a pezzi, il tutto per così dire con poca spesa e pochi effettivi: ci vuole
altro per capire che questi picchiano, che il loro odio è intenso e
fanatico, che non sono in rivolta contro una guerra coloniale sbagliata,
sono bensì all'attacco ormai da anni e in nome di secoli di pirateria e di
purismo religioso frammisti, e non demordono, e ci daranno filo da torcere?
La feroce e spettacolare incursione nella culla del lusso petrolifero,
kalashnikov e coltellacci alla mano, dovrebbe aver fatto capire la
differenza tra un semplice fenomeno di terrorismo, che si potrebbe
combattere con l'intelligence, riducendo il livello dell'acqua in cui
nuotano i pesci combattenti, applicando il soft power delle lusinghe
occidentaliste attraverso il rinsaldamento dei legami con il famoso partito
degli islamici moderati, e il jihadismo che è tutt'altra cosa, che è
dialettica armata nella civiltà islamica e contro la civiltà occidentale, i
suoi simboli disumanizzati, fino all'assassinio del cuoco italiano o
svedese.

Il jihadismo non è terrorismo fino a ora conosciuto: non ha base nazionale
o di classe, evolve rapidamente verso la sua vera origine o radice, si
mostra come rivolta di un mondo contro un altro mondo, corrisponde ai
criteri simbolici dell'11 settembre in ogni suo atto, in ogni
decapitazione, in ogni attentato, in ogni proclama, in ogni trasformazione
del martirio in assassinio e prima dell'assassinio in quella speciale
magia, in quell'esoterismo coranico delle madrasse, che ha sfondato di
brutto tra folte minoranze d'avanguardia al riparo delle ambiguità e dei
sostegni degli stati canaglia.
Con i loro video, con l'impostazione iperbolica della loro telegenica
ferocia, con le loro mascherate e bellurie, con le loro ordinanze di morte
tecnologica (l'aereo contro il grattacielo) o ruspante, terragna, primitiva
e sacrificale come l'uccisione del maiale o dell'agnello o di Daniel Pearl
o di Nick Berg, i jihadisti non mentono. Mentono invece, mentono prima di
tutto a se stessi, quegli occidentali che pensano o fingono di pensare a
cause sociopolitiche, che s'interrogano in modo riduzionista sui perché
della rivolta, che non sanno coglierne il livello effettivo, il grado di
esplosiva penetrazione spirituale, tradizionalista e profetica, nel
mainstream musulmano in giro per il mondo.

Non è che si debba insistere moralisticamente sulla cattiveria dei
terroristi della guerra santa, bisogna invece coglierne la superbia, la
estrema e irriducibile forza, la completa autonomia morale dalle nostre
categorie, il terribilismo cocente che viene da lontane predicazioni, da
eresie e ortodossie maturate lungo i secoli che fanno friggere e bollire un
pezzo di mondo alle prese con una modernità rifiutata in toto.
Certo che è bella la lettera al kamikaze islamico scritta dall'islamico
moderato, occidentalista, Khaled Fouad Allam (la trovate nei brevi saggi
della Rizzoli). È ispirata e lirica, è un tentativo encomiabile di leggere
a uno che è ormai dall'altra parte, che si prepara a uccidersi e a uccidere
nella prospettiva del paradiso, il gran libro della religione e della
cultura islamica in una versione edulcorata e progressista, introducendo
nuove domande sincretistiche sul senso della vita e della morte, cercando
di contaminare con la cultura moderna e altre culture religiose il nucleo
refrattario dell'Islam vero e puro e duro, quello che rigetta il sistema di
vita in via di globalizzazione.

Ma leggendo quelle righe piene di buone intenzioni si sente il richiamo
dell'altra parte in ombra, si sente quanto è più forte nel proselitismo il
più elementare credo islamico e profetico, nella sua versione attivistica e
politica, di qualunque tentativo di riforma e correzione spirituale.
Ho paura che l'Islam moderato e riformatore appaia come l'unica prospettiva
a cui aggrapparsi, ma che sia anche una prospettiva cieca, sorda e muta di
fronte alla violenza guerriera e alla giustificazione spirituale del
richiamo fondamentalista. L'altro Allam, Magdi Allam, sembra invece essersi
accorto prima di molti altri della realtà effettuale della cosa, come
diceva Niccolò Machiavelli. Il suo libro mondadoriano e tutto il suo lavoro
di scavo giornalistico sull'Islam, anche quello europeo, è una spietata
denuncia della sordità occidentale e delle nostre paure, che ci impediscono
di cogliere la vera portata dell'emergenza. È una guerra in senso proprio
quella dichiarata all'Occidente, non una riedizione della lotta di classe o
un risveglio nazionale; è una guerra totale che implica la messa in gioco
del comando, perché si deve stabilire chi farà la legge, chi imporrà la
propria struttura di legittimazione dell'obbligo politico, chi saprà dare
l'impressione di tenere nelle sue mani la sorte e il destino delle genti.




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