R: lettera aperta per R. T. Erdogan



Cari amici,
perché non si pensa in Turchia e Kurdistan ad un processo "Verità e
riconciliazione" come in Sudafrica?
L'amnistia generale (Come in Italia per i fascisti nel 1946, come in diversi
paesi dell'America Latina per le dittature militari e collaboratori) è un
vano tentativo di riconciliazione senza verità.
La giustizia punitiva (verità giudiziaria) cerca una verità a scopo di
punizione, senza vera riconciliazione.
Né l'una né l'altra soluzione assicurano la guarigione dall'odio e la fine
della violenza profonda.
Il modello sudafricano non garantisce la perfezione, ma avvicina molto di
più ad una pace fondata su verità storica e diritti umani.
Inoltre, richiede ad entrambe la parti, e non ad una sola (la più debole) di
riconoscere le proprie violenze, e chiede ad ogni autore di violenze (non
importa da quale parte) di guardare in faccia le vittime (o i familiari) e
di ascoltare la loro parola pubblica.
In questa impostazione, la vittima non è messa al margine del processo che
corre tutto tra giudice e imputato, e non è indotta tanto all'odio e alla
vendetta quanto invece ad esprimere pubblicamente la propria dignità
ricuperata, che nella violenza era stata oscurata e offesa.
Allora, l'amnistia non è generale (colpo di spugna, oblio, che lascia
memorie seppellite e avvelenate; vedi ex-Yugoslavia), ma è personale,
concessa a chi riconosce la verità dei fatti, ammette le proprie colpe,
dichiara anche le ragioni (giuste o sbagliate) che lo hanno indotto a fare
violenze.
Il bisogno dell'opinione pubblica (interna e internazionale), e delle
vittime, di veder condannata ogni violenza, non è frustrato, perché il
colpevole che fa ammissione pubblica della propria violenza, pur con le
giustificazioni che può addurre, rimane esposto alla riprovazione morale
della società.
Però, questa riprovazione non è una pena vendicativa, non infligge nuova
sofferenza fisica a chi ha fatto soffrire altri, non aggiunge un anello alla
catena maledetta di violenza-vendetta.
La riprovazione morale è una condanna che può essere diretta più contro
l'atto violento che contro la persona che l'ha compiuto (dall'una o
dall'altra parte), la quale però ora vuole uscire dalla situazione di
conflitto duro in cui ha fatto violenza.
Il modello sudafricano "Verità e riconciliazione" non chiede ai colpevoli, a
scanso di facili ipocrisie, il pentimento morale, ma solo quel pubblico
riconoscimento delle proprie azioni e ascolto delle vittime.
Se ne viene la riconciliazione personale tra violento e violentato, tanto
meglio. E' un frutto possibile, di alto valore terapeutico per tutta la
società, perché è la migliore riparazione alla violenza. Ma, certo, non è
facile, e non è richiesto.
L'esperienza sudafricana non ha avuto un successo totalmente pieno, ma è
valsa a risparmiare a quel paese, in tutte le sue componenti, enormi
violenze e dolori. Merita di essere studiata e ripresa in situazioni in
qualche modo simili.
Riporto in calce la bibliografia italiana a mia conoscenza sulla Commissione
Sudafricana Verità e Riconciliazione.
Enrico Peyretti
http://www.arpnet.it/regis
www.ilfoglio.org
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- Johan Galtung, Giurisprudenza di riconciliazione in Sudafrica, "Lectio
magistralis" nell'Università di Torino, 16 gennaio 1998, sulla Commissione
Verità e Riconciliazione presieduta da Desmond Tutu. Il testo è pubblicato
in inglese col titolo After the Violence: Truth and Reconciliation? South
Africa, Latin America: Reflections on a New Jurisprudence, sul Notiziario
dell'Università di Torino L'Ateneo, Anno XIV, n. 5, novembre-dicembre 1998,
pp. 17-22; testo italiano presso il Centro Studi Sereno Regis di Torino.
Galtung indica nell'esperienza sudafricana la possibilità di una modifica
della concezione del processo penale nel senso di ridurre la violenza
punitiva dello stato e di ricostruire il rapporto umano e sociale tra reo e
vittima.
- Marcello Flores (a cura di), Verità senza vendetta. L'esperienza della
commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione, manifestolibri
ed., Roma 1999. L'ampia introduzione del curatore premessa al rapporto
finale della commissione, mostra, nella storia del Sudafrica, il carattere
violento tanto della lotta anti-apartheid condotta principalmente
dall'African National Congress, quanto della repressione governativa, ma
indica l'originaria ispirazione nonviolenta data all'ANC da Albert Luthuli
negli anni '50 e '60 (p. 21); mostra la duplice de-escalation della violenza
per merito di De Klerk e Mandela dal 1990 (pp. 16-17). Nel rapporto della
commissione, introdotto dal presidente, il vescovo Desmond Tutu, si vede la
scelta di evitare la "giustizia dei vincitori" e di basare la
riconciliazione della società sulla base della verità e della dignità
restituita alle vittime, dell'amnistia personale in cambio della verità e
ammissione di colpa, piuttosto che sulla base della pura giustizia
retributiva.
- Antonello Nociti, Guarire dall'odio, Franco Angeli editore, Milano 2000:
lo straordinario insegnamento del Sudafrica per costruire una pace
interrazziale, che è problema della nostra società.
- Desmond Tutu, Non c'è futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001:
«Fare giustizia non significa punire bensì risanare» (p. 119-120).
Arcivescovo anglicano di Città del Capo e protagonista nella vicenda, Tutu
racconta intensamente e documenta l'esperienza sudafricana dall'apartheid
alla riconciliazione.
- Alejandro Bendaña, Charles Villa-Vicencio, La riconciliazione difficile.
Dalla guerra a una pace sostenibile, Ed Gruppo Abele, Torino 2002. La prima
parte del libro, stesa da Villa-Vicencio, direttore dell'Institute for
Justice and Reconciliation di Cape Town, analizza con acume critico l'
esperienza sudafricana.
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From: Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia <uiki.onlus at tin.it>
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Sent: Friday, June 13, 2003 3:26 PM
Subject: lettera aperta per R. T. Erdogan

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