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da Amman - UNA CAROVANA NELLA TERRA DI NESSUNO
- Subject: da Amman - UNA CAROVANA NELLA TERRA DI NESSUNO
- From: GlobalRadio <info at globalradio.it>
- Date: Thu, 5 Jun 2003 13:51:41 +0200
UNA CAROVANA NELLA TERRA DI NESSUNO Siamo arrivati ad Amman il 30 giugno: 42 tra donne e uomini rappresentanti di Amministrazioni locali, Università, associazioni per la globalizzazione dei diritti, o semplicemente singoli individui determinati a disobbedire alla logica della guerra globale permanente. Il nostro intento era quello di raggiungere l´Iraq, la terra madre della civiltà, devastata, umiliata, saccheggiata dal fuoco di una guerra vergognosa scatenata dai potenti della terra. Volevamo vedere Baghdad con le nostre telecamere, i nostri mezzi di comunicazione, per poi prestare i nostri occhi a chi ancora non ha capito cosa significa vivere sotto le bombe, addormentarsi con i colpi di mitragliatrice, camminare per le strade di una città morta. Volevamo incontrare, dando visibilità e voce, i mille frammenti diversi in cui è stata frantumata la società irachena dopo la guerra. Una società stremata da anni di dittatura e di embargo. Volevamo costruire progetti di solidarietà e di cooperazione dal basso con ospedali, scuole, artisti e intellettuali; progetti non inquinati dalle mani colpevoli dei governi occidentali. Ma come sempre i potenti della terra hanno ritenuto pericoloso quello che volevamo. Cavilli burocratici prima, armi puntate addosso poi, ci hanno impedito di entrare nell´Iraq "liberato". La prima volta il 31 maggio abbiamo attraversato il deserto giordano di terra e pietra, ma siamo stati bloccati dai marines americani alla frontiera irachena di Al Karama: NO BUSINESS, NO ENTRY. Senza un permesso ufficiale e come semplici cittadini non possiamo varcare il confine. Tutti possono passare: autobotti di benzina a centinaia, tir di merci globalizzate, traffici di tutti i tipi sui mezzi più improvvisati, business men, organismi di volontariato di ogni genere. Ma i soldati ci spingono nelle nostre jeep e ci ricacciano nella `no man´s land´, la fascia terrosa di qualche chilometro che divide l´Iraq dalla Giordania. Qui aspettiamo ore, prigionieri del sole che brucia e della polvere, allo stesso modo delle migliaia di profughi palestinesi, curdi, sudanesi, bedun, costretti a vivere qui dalla fine del conflitto senza radici nè diritti. Noi, cittadini del mondo, ostaggi delle divise americane; come noi, più di noi, migliaia di uomini e donne in fuga dall´orrore della guerra, ostaggi in un una terra di nessuno, anime invisibili umiliate dalla miseria e dall´arroganza dell´impero. Nell´Iraq liberato non c´è più posto per loro; sono considerati indesiderati dal governo della Giordania, governo complice di chi ha voluto la guerra e che ora gestisce con le armi il loro vivere che è sopravvivere. La seconda volta il 2 giugno arriviamo al confine iracheno con la notifica ufficiale del comando militare americano a Baghdad, ottenuto il giorno prima dopo ore di occupazione dell´ambasciata italiana ad Amman. Ancora una volta, però, non possiamo entrare in Iraq. Soldati armati, jeep militari e carri armati americani ci circondano e ci vietano l´ingresso. Il permesso ufficiale che abbiamo ottenuto deve essere controllato. Aspettiamo un´intera giornata nel deserto e dopo 10 ore arriva la risposta: in un quarto d´ora dobbiamo sgomberare da questi dieci metri di suolo iracheno che abbiamo calpestato, altrimenti ci sparano addosso. Siamo determinati a non andarcene da questo confine inesistente per le merci, ma invalicabile per i cittadini del mondo. Ancora una volta sono i nostri corpi l´unica arma con cui opporci a questa pace armata: rimaniamo seduti a terra. I marines avanzano verso di noi e sollevandoci di peso con violenza ci buttano fuori dall´Iraq: due di noi sono feriti e quattro contusi. Presi in giro per due giorni, finalmente scopriamo qual´è il problema: siamo un´organizzazione antiglobalizzazione; i nuovi padroni dell´Iraq non vogliono che persone libere camminino e domandino, discutano ed ascoltino la voce della società irachena. Hanno paura di chi vuole vedere con i propri occhi la `libertà´ che hanno portato. Hanno paura di chi disobbedisce. Ma noi non ci fermiamo, determinati ad arrivare a Baghdad, determinati ad arrivare a Ramallah, determinati a lottare insieme a tutte le donne e gli uomini i cui diritti sono calpestati. Fiumi di carovane disobbedienti inonderanno questa terra arida e non si fermeranno davanti a chi impone con le armi la propria perversa libertà. Saremo la voce di chi è nessuno, di chi è invisibile prigioniero in campi profughi in cui non esistono diritti. Amman, 4 giugno 2003 La Carovana verso Baghdad
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