Diritti umani, pace e informazione. Intervista a Carlo Gubitosa



A cura di Megachip
http://www.megachip.info/mc/articolo.jsp?id=174

D: Quale è stata la molla che ha dato vita a PeaceLink nel 1991, molti anni
prima del fiorire di siti sull'informazione alternativa?

CG: Tutto nasce durante la prima guerra del Golfo quando un insegnante di
italiano, Alessandro Marescotti, oggi presidente di PeaceLink, fa il giro
delle classi con il suo computer portatile, trasformandolo in una redazione
virtuale ambulante, dalla quale ogni tanto veniva stampato un bollettino di
notizie, informazioni e messaggi contro la guerra. PeaceLink nasce dall'
incontro di Alessandro con Giovanni Pugliese e Marino Marinelli, due
appassionati di telematica che danno a quei messaggi di pace un respiro più
ampio, con la creazione del primo nodo di PeaceLink, che prima di essere un
sito internet è stata una rete di bacheche elettroniche, i cosiddetti "BBS"
nati in California negli anni '80 e ben presto diventati lo strumento
principale delle culture alternative. Quelle bacheche elettroniche erano
molto più libere degli attuali servizi Internet, la pubblicità era bandita e
il flusso dei messaggi non passava attraverso i computer delle grandi
compagnie di telecomunicazioni. Ogni nodo della rete PeaceLink era un
computer presente in casa di un attivista che di notte programmava il suo
calcolatore per scambiare messaggi quando la bolletta era meno salata. Con
il passare del tempo quella tecnologia è tramontata e anche noi ci siamo
gradualmente spostati su Internet. L'idea iniziale, tuttavia, è rimasta:
trasformare il salotto di ogni cittadino in una micro-agenzia di
informazione indipendente, grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie
dell'informazione.

D: Che cosa c'entra la pace e i diritti umani con l'informazione?

CG: Negli ultimi anni il cosiddetto Information Warfare (macchina da guerra
dell'informazione) è diventato uno tra i principali filoni di ricerca
all'interno degli apparati militari che in questo settore sono anni luce più
avanti della società civile. La guerra in Vietnam è stata una guerra persa
sul fronte interno, con un crollo del consenso dell'opinione pubblica. Il
crollo di questo consenso non è stato un frutto delle tattiche Vietcong ma
nasce dal giornalismo coraggioso di persone come Walter Cronkite che hanno
avuto il coraggio di cambiare opinione dopo aver visto con i propri occhi l'
orrore della guerra. Da allora, però, le strutture militari hanno imparato
la lezione e la guerra in Vietnam è stata l'ultima guerra della storia dove
i giornalisti hanno avuto accesso diretto e senza filtri al teatro delle
operazioni. Già nel 1991 i giornalisti, e quelli non americani più degli
altri, sono stati sottoposti a fortissime pressioni e censure. Oggi i
militari teorizzano che l'informazione sia allo stesso tempo un campo di
battaglia, un'arma di guerra e un obiettivo militare legittimo, come è
avvenuto con il bombardamento dei palazzi della televisione serba durante la
guerra contro la Jugoslavia del 1999. Purtroppo la riflessione culturale,
strategica e politica sull'uso nonviolento dell'informazione è ancora molto
indietro, e questo mi spinge a pensare che l'informazione e la comunicazione
non siano solamente degli "accessori" da mettere al servizio dei contenuti
ma dei veri e propri ambiti strategici nei quali si decide la partita tra i
fautori di una politica estera basata sulla pacificazione armata e chi
propone in alternativa una sicurezza mondiale basata sulla giustizia
sociale, la cooperazione internazionale e il rispetto dei diritti umani.

D: Hai pubblicato un libro dal titolo "L'informazione alternativa" per le
Edizioni Missionarie Italiane dove ti proponi di offrire una sorta di
"cassetta degli attrezzi" ai tuoi lettori per poter affrontare un analisi
critica dei media... Potresti farci un esempio di quali possono essere
questi strumenti?

CG: A mio avviso il più importante di questi strumenti è il consumo critico
dei media. Oggi sappiamo che dietro il caffè e le banane ci possono essere
storie di sfruttamento, lavoro minorile e devastazione ambientale, ma
difficilmente ci chiediamo che cosa c'è dietro un giornale, come si lavora
nelle redazioni, che differenza c'è tra un'inchiesta fatta con criterio e un
'accozzaglia di Ansa ricucinate. Con che tempi, regole e modalità lavorano i
giornalisti? Quali sono i tre grandi gruppi editoriali che producono il 90%
di quello che troviamo in edicola? Che ruolo gioca la
distribuzione e la raccolta pubblicitaria nel decretare la vita o la morte
di una rivista? Perché certi libri arrivano negli autogrill e nei
supermercati mentre altri no e tutta una serie di domande scomode che non
troveranno mai risposta se non all'interno della società civile.

D: Un "consulente della Nato", per ora anonimo, vi cita in udienza il 18 di
febbraio per danni fino a 50.000 di euro. Ci puoi spiegare in sintesi che
cosa è successo?

CG: Nel febbraio 2000 troviamo su un sito collegato a rifondazione
(comunista, ndr) un appello ambientalista firmato da 68 persone, dove si
afferma che anche le azioni
militari provocano dei danni ambientali, e lo pubblichiamo integralmente su
peacelink.it citandone la fonte. Nel dicembre 2002 ci arriva un atto di
citazione per 50.000 euro, e scopriamo che uno di quei 68 è un consulente
Nato, che però si qualifica anche come "il presidente della più antica
associazione ambientalista italiana". Questo personaggio
militar-ambientalista sostiene di essere stato danneggiato nella sua
professionalità perché abbiamo ereditato sul nostro sito un errore fatto da
altri che hanno inserito il suo nome tra gli aderenti all'appello. Mi chiedo
quanti giornalisti verificano una per una le adesioni ad un appello prima di
pubblicarlo e mi chiedo se ad un normale periodico non sarebbe stata
richiesta una semplice rettifica anziché 100 milioni di danni