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“Economia a mano armata. Gli intrecci tra industria, finanza e spesa pubblica”
- Subject: “Economia a mano armata. Gli intrecci tra industria, finanza e spesa pubblica”
- From: "kowalski" <kowalski at informationguerrilla.org>
- Date: Sat, 4 May 2002 01:17:11 +0200
Il totale mondiale degli aiuti allo sviluppo è pari a un quinto delle spese militari statunitensi. Il dossier di ''Sbilanciamoci'' PADOVA – E’ stato presentato questa mattina a Civitas il dossier “Economia a mano armata. gli intrecci tra industria, finanza e spesa pubblica”, curato dalla campagna Sbilanciamoci, una coalizione di associazioni sostenute anche da banca Popolare Etica. Il dossier è un lavoro collettivo, che propone un uso alternativo della spesa pubblica, coerente con politiche di promozione dei diritti, di pace e solidarietà internazionale, di tutela dell’ambiente. La globalizzazione e i nuovi assetti politici mondiali hanno accentuato in questi anni la tendenza, da sempre esistente, alla forte collusione tra potere economico e potere militare, deludendo tutte le ottimistiche speranze successive alla fine della guerra fredda. I ricercatori che hanno redatto il dossier si occupano da anni di spese militari, commercio internazionale di armi, eserciti, trattati internazionali, politica della difesa, allo scopo di mettere insieme la maggior parte dei dati disponibili sulla cosiddetta economia a mano armata. Sbilanciamoci analizza ogni anno la spesa pubblica italiana e, a partire da questa, avanza proposte alternative su come spendere i soldi di ciascuno di noi per la pace, i diritti, l’ambiente. Così facendo la campagna vuole mettere in evidenza come le priorità della spesa pubblica, sostenendo un modello di sviluppo che crea enormi squilibri a livello planetario, debbano essere diverse; così come dovrebbero essere cambiati gli elementi costituenti dell’ordine economico mondiale quali gli eserciti, i loro interventi nelle crisi internazionali, il commercio e la produzione internazionale di armi. L’esempio più clamoroso dell’intreccio indissolubile tra economia, spesa pubblica e produzione, commercio e utilizzo di armi è dato dall’enorme impegno di spesa per gli armamenti preso dall’amministrazione Bush. L’ aumento della spesa militare americana tra il 2000 e il 2003 equivale alle cifre necessarie per attuare gli accordi di Kioto, aumentare la cooperazione allo sviluppo, abbassare il costo dei farmaci essenziali nei paesi poveri. Il totale mondiale degli aiuti allo sviluppo nel 2000 era pari a circa un quinto delle spese militari statunitensi (53 miliardi di dollari contro 288,8 miliardi di dollari). L’Italia nel suo piccolo è l’11° paese al mondo per spese militari e il 9° esportatore mondiale, con un volume di affari per il 2001 pari a 177 milioni di dollari. Il nuovo ordine internazionale, rileva il dossier, si è costruito sempre più sul ruolo centrale della politica estera e militare degli Stati Uniti e della Nato. La guerra è tornata ad essere considerata uno strumento ordinario, considerato da esperti e strateghi del tutto normale, di politica estera. Come evidenziato dalla ricerca di Sbilanciamoci la corsa agli armamenti di questi ultimi anni soddisfa essenzialmente due esigenze: quella della ricerca di alti profitti dell’industria privata e quella di dotare il potere politico di preponderanti strumenti di intervento sul piano dei rapporti internazionali. Lo studio di questa economia a mano armata evidenzia le connivenze di interessi tra apparati pubblici, potere politico, settori della difesa, istituti di credito e industria privata. Interessi intorno ad una merce come le armi, che non ha niente di “umanitario”, “giusto”, “necessario”, socialmente dannosa, umanamente disastrosa, moralmente riprovevole, ma economicamente vantaggiosa e politicamente molto utile. La strada auspicabile secondo Sbilanciamoci è quella di un diverso ordine mondiale possibilmente guidato dalla democrazia internazionale e fondato sulla prevenzione dei conflitti, sulla pace e sulla sicurezza, su uno sviluppo sostenibile con rapporti economici fondati sulla giustizia e sulla promozione dei diritti umani. La corsa al riarmo statunitense, che ha subito un’impennata dopo l’11 settembre, rappresenta un progetto che, notano gli estensori della ricerca, persegue due importanti traguardi: quello della supremazia egemonica sul res to del pianeta e quello del conseguimento per il complesso industriale statunitense di giganteschi profitti. Gli Stati Uniti da soli sono titolari del 40% della spesa mondiale per gli armamenti, e la politica estera dell’ amministrazione Bush, riformulata in maniera palese dopo l’11 settembre, sta riducendo l’Alleanza Atlantica, nata come alleanza difensiva dell’integrità territoriale degli stati membri della Nato, ad una sorta di agenzia di servizio: si usano le basi sul territorio di un alleato, si chiede di intervenire in Afghanistan a fare la polizia militare, ma si scelgono gli alleati con i quali portare avanti le campagne militari al di fuori dei labili vincoli dell’Alleanza. Il bilancio di previsione per la difesa degli Stati Uniti presentato dal governo per il 2003 è di 396 miliardi di dollari, cioè 6 volte quello russo e 26 volte la somma di quanto stanziato da quelli identificati dal Pentagono come “Stati canaglia” (Cuba, Iraq, Libia, Corea del Nord, Sudan e Siria). Gli Stati Uniti ed i suoi alleati (Nato più Australia, Giappone e Corea del Sud) spendono più di tutto il resto del mondo messo insieme: i due terzi della spesa militare globale. Insieme spendono 39 volte quello che spendono gli stati canaglia. La spesa militare globale è diminuita da 1200 miliardi di dollari del 1985 a 812 nel 2000. Nello stesso periodo, la percentuale americana di questo totale è aumentata da 31% a 36%. Tutto questo secondo il Center for Defence Information, un importante centro studi americano. Fonte: http://www.redattoresociale.it
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