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Dossier sugli Stati Uniti: La libertà sacrificata nel nome della sicurezza
- Subject: Dossier sugli Stati Uniti: La libertà sacrificata nel nome della sicurezza
- From: "ednran" <ednran at tin.it>
- Date: Wed, 13 Feb 2002 09:32:26 +0100
La rivista Missione Oggi, dei Saveriani di Brescia, ha pubblicato, sul numero di Febbraio, un interessantissimo dossier sugli Stati Uniti. Ve lo allego: è da leggere a tutti o costi. Leggete e fate leggere: è bene che la gente sappia! Una saluto Aldo ------------------------------------------------ LA LIBERTA' SACRIFICATA NEL NOME DELLA SICUREZZA La guerra al terrorismo può diventare un pretesto per restringere le basi dei diritti fondamentali delle persone. La "legge patriottica" è il più grave attacco alle libertà fondamentali degli Stati Uniti, da cinquant'anni a questa parte. Il Patriotic Act non darà più sicurezza, ma di certo limiterà i diritti dei cittadini americani e non. Un senatore repubblicano ha affermato, senza mezzi termini, che "in tempo di guerra è necessario considerare in maniera diversa le libertà civili". Benjamin Franklin, circa 250 anni fa, aveva invece detto: "Chi sacrifica la libertà in nome della sicurezza, non merita libertà né sicurezza". Ed è ciò che sta avvenendo. Verso uno stato penale? Con la legge patriottica, possono venire insediati tribunali militari speciali per cittadini stranieri accusati di terrorismo, concedendo una discrezionalità assoluta al governo di decidere chi sarà perseguito e in virtù di quali leggi, e di rivedere condanne e sentenze violando così il principio di separazione tra potere esecutivo e giudiziario. L'Unione americana per le libertà civili, dando voce alla protesta di altre 120 associazioni, ha obiettato che questi nuovi poteri potranno essere usati anche contro cittadini americani, che non risultano sott'inchiesta, contro immigrati che si trovano legalmente negli Stati Uniti e anche contro coloro le cui attività politiche o civili non piacciono al governo. La legislazione prevede, infatti, la detenzione obbligatoria di ogni cittadino straniero definito "presunto terrorista", che rischia così di rimanere in carcere per un "tempo ragionevole", rinnovabile ogni sei mesi, ovvero per un periodo indeterminato. Subito dopo l'attacco a Manhattan, l'Fbi ha proceduto a oltre mille arresti e ad alcune migliaia di interrogatori di persone sospette; il governo non ha fornito per diverse settimane i nomi dei fermati per "attività investigative legate agli attentati". Centocinquanta di questi erano stati in realtà fermati a causa di violazioni del visto d'ingresso, mentre altre centinaia di persone venivano detenute per aver violato leggi federali o locali o senz'alcuna accusa specifica. Alle varie proteste, gli inquirenti hanno replicato che gli arresti possono aver prevenuto altri attentati. Al 10 dicembre, i detenuti erano ancora in attesa di giudizio o di specifici capi di imputazione. A questo proposito, Amnesty International ha precisato che "sono centinaia le persone in carcere in violazione dei loro diritti processuali: non sono note le accuse, non si conosce il luogo di detenzione, non sono state informate le ambasciate. Sono molte le denunce di maltrattamenti e abusi ai danni dei detenuti...". Il Washington Post ha aggiunto che "il dipartimento di Giustizia sta facendo un uso straordinario dei suoi poteri di arresto e detenzione dei singoli. Sia i giuristi che i cittadini dicono di non ricordare un altro periodo, in cui tante persone siano state arrestate e imprigionate senza vincolo d'accusa. E già prima dell'11 settembre ricordava che "restrizioni della libertà personale, del diritto della libera espressione delle proprie opinioni, compresa la libertà di stampa, e dei diritti di associazione e di riunirsi in assemblea, violazioni della privacy delle comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche; permessi di perquisizione, ordini di confisca e restrizioni sulla proprietà, sono ritenuti leciti al di là dei limiti legali altrimenti prescritti". In forza anche dei nuovi poteri attribuiti, l'Fbi ha iniziato intanto ad indagare anche su organizzazioni che a suo avviso potrebbero essere "collegate a terrorismo"; tra queste il movimento delle "Donne in nero", che lotta contro la violenza in Israele e nei territori palestinesi occupati. La legge patriottica prevede inoltre il ricorso ad agenti da infiltrare nelle varie organizzazioni e incoraggia la delazione, criminalizzando chi non informa l'Fbi dei suoi "ragionevoli sospetti". Essa dà anche il potere di ascoltare le conversazioni tra i detenuti e i loro avvocati. L'American Civil Liberties Union, una delle maggiori organizzazioni statunitensi di difesa dei diritti civili, ha attaccato duramente la decisione di controllare i detenuti, in quanto "minaccia di negare la pietra angolare del nostro ordinamento, il diritto a una difesa legale competente". Saranno coinvolti in un simile trattamento quei detenuti "ragionevolmente sospetti di poter usare le comunicazioni per compiere o facilitare atti di terrorismo". Ma la possibilità di essere controllati indurrebbe invece molti detenuti a non parlare chiaramente con il proprio avvocato, minando così l'efficacia della difesa. I controlli riguarderanno sia le conversazioni detenuto-avvocato che le telefonate e la posta. Negli Stati Uniti, ogni anno, vengono già intercettate da funzionari del governo, due milioni di conversazioni telefoniche. Quei Tribunali molto "speciali" Con la nuova legge, Bush ha istituito le commissioni militari speciali, da cui verranno giudicati gli stranieri in odore di terrorismo. Il decreto prevede, infatti, la costituzione di corti speciali che hanno il potere di giudicare persone accusate di attività terroristiche, incarcerate a tempo indeterminato per indagini preventive, senza diritto a essere valutate da una giuria. Costoro possono essere condannati fino alla pena capitale con una sentenza emessa all'unanimità dagli ufficiali-giudici, al termine di un processo almeno in parte segreto e sulla base di prove non ammesse dai tribunali ordinari. "Chi sarà sospettato di avere legami terroristici, non si merita le stesse tutele costituzionali dei cittadini americani". Parola del ministro della Giustizia. Il New York Times ha scritto: "Il piano del presidente Bush di utilizzare tribunali militari segreti per processare i terroristi è un'idea pericolosa. Con un tratto di penna, ha in sostanza cancellato le norme della giustizia americana, meticolosamente riunite nel corso di oltre due secoli". E c'è dell'altro: la legge prevede non solo processi da tenersi su territorio statunitense contro cittadini non americani, ma l'istituzione di tribunali speciali militari americani, ovunque ciò venga unilateralmente ritenuto necessario: su un aereo che sorvola i cieli del Pakistan, dell'Arabia Saudita, o su una nave al largo delle coste indonesiane o europee. Cioè in tutti quei paesi che sono sospettati di praticare o coprire i terroristi di turno, a danno della politica estera e dell'economia statunitense. A questo punto, saranno Bush e il ministro della Difesa Rumsfeld a decidere chi perseguire e condannare. Il direttore del Centro per i diritti costituzionali dei cittadini americani e non, impegnato nelle lotte contro la discriminazione razziale e degli obiettori di coscienza nella guerra del Vietnam, ha ricordato che ci si trova davanti ad "una violazione delle norme e dei principi costituzionali che ispirano questo paese. Una discrezionalità presidenziale che si configura come abuso di potere da parte del presidente". Questo perché il concetto di "associazione terroristica" è stato tenuto volutamente ampio e vago: al suo interno (non per niente si parla già da tempo del "terrorismo ecologico" di alcune associazioni ambientaliste, di "terrorismo informatico", ecc.), ci può stare di tutto. L'Inghilterra non ha perso tempo nel seguire le orme dell'ex colonia: la nuova legge antiterrorismo dà alla polizia maggiori poteri e prevede il carcere per atti di protesta come "rivelare l'itinerario dei treni che trasportano scorie nucleari o rifiuti tossici". Greenpeace è avvisata! Diritto internaziona1e: quando le regole non valgono per tutti Da Carter fino a Clinton e Bush junior, tutti i presidenti americani hanno sempre sottolineato l'importanza dei diritti umani, quando questa retorica serviva per denunciare l'inefficienza dell'Onu; depotenziamento di cui - è bene ricordarlo - loro sono stati tra i maggiori responsabili sia sul piano politico che economico. Gli Stati Uniti hanno usato la legge internazionale, solo quando portava loro qualche vantaggio o non entrava in conflitto con la propria normativa: se nel '79 denunciarono l'Iran alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja perché teneva in ostaggio dei diplomatici americani, quattro anni dopo rifiutarono di riconoscere la giurisdizione di quella stessa Corte a seguito della denuncia nei loro confronti da parte del Nicaragua che li accusava di sostenere attività militari e paramilitari all'interno del proprio territorio nazionale. In tale occasione, Washington aveva esplicitamente ordinato all'esercito mercenario dei contras antisandinisti (definiti da Reagan "combattenti per la libertà") di colpire obiettivi non militari (soft targets), ovvero i civili indifesi. In sostanza, un via libera ad operazioni terroristiche. Tutti i commentatori del tempo, sulle maggiori testate americane, lodarono l'efficacia dei metodi utilizzati al fine "di rovinare l'economia (del Nicaragua) e condurre per procura una guerra lunga e sanguinosa". Pur essendo attaccato dal Golia del continente (armamenti, supporto logistico, consiglieri militari, istruttori, controllo aereo, ecc. erano tutti made in Usa), Managua non pensò di bombardare la capitale statunitense come legittimo atto di ritorsione nei confronti di chi stava massacrando il suo popolo. Così decise di affidarsi al diritto internazionale e quindi di ricorrere alla Corte internazionale dell'Aja, la quale le diede ragione, ordinando nel contempo agli Stati Uniti di fermarsi e di ripagare i danni materiali causati. Washington non solo respinse con sdegno tale sentenza, ma, in tutta risposta, intensificò gli attacchi omicidi. Pazientemente il Nicaragua si appellò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo mise a punto una risoluzione che chiedeva a tutti gli stati, indistintamente, di obbedire al diritto internazionale, ma gli Stati Uniti posero il loro veto. Allora Managua si rivolse all'Assemblea generale dell'Onu, dove fu presentata una mozione simile alla precedente, ottenendo finalmente l'approvazione della maggioranza (153 voti), meno quella di due membri: Stati Uniti e Israele. Il passaggio che non approvavano era quello in cui si affermava che "nulla nella presente risoluzione può in alcun modo pregiudicare il diritto all'autodeterminazione, alla libertà, all'indipendenza così come rivendicato nella Carta delle Nazioni Unite, dei popoli privati con la forza del loro diritto, in particolare i popoli soggetti a regimi coloniali razzisti e all'occupazione straniera o ad altre forme di dominazione coloniale, né il diritto dei popoli a lottare per questo fine e a cercare e ricevere aiuto". In pratica le lotte di liberazione o antirazziste, così come difendere il proprio territorio da attacchi esterni che ne minacciassero l'integrità, erano legittime. In sostanza, gli Stati Uniti sono l'unica nazione al mondo condannata per terrorismo dalla Corte internazionale, che si è rifiutata di sottostare al diritto accogliendo una risoluzione, la cui richiesta a tutti i governi era semplicemente quella di rispettare le leggi in vigore. (continua)
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