Dossier sugli Stati Uniti: Carcer, quando la pena è un business



La rivista Missione Oggi, dei Saveriani di Brescia, ha pubblicato, sul
numero di Febbraio, un interessantissimo dossier sugli Stati Uniti.
Ve lo allego: è da leggere a tutti o costi.
Leggete e fate leggere: è bene che la gente sappia!
Una saluto
Aldo



------------------------------------------
CARCERI USA: QUANDO LA PENA E' UN BUSINESS
Se Dostojevski sosteneva che "la qualità  della società si misura dalla
qualità. delle sue prigìoni", il modello penitenziario made in Usa ne è la
sua traduzione reale. Ma in senso negativo. Scrivendo del suo sistema
repressivo, ogni anno Amnesty Internationai denuncia le brutalità compìute
dalle forze di polizia, aggiungendo poi che "le carceri statunitensi sono
spesso teatro di gravi abusi e sono sovente caratterizzate da condizioni di
vita molto dure. Maltrattamenti e torture sono ampiamente diffuse, anche ai
danni di minori e di donne. In molti penitenziari, i detenuti sono vittime
di abusí: fisici e sessualí sia da parte delle guardie sia da parte di
altri reclusi. Inoltre, sono stati segnalati frequenti abusi nell'ufflIzzo
di strumenti elettrici spray irritanti e dispositiví di costrizione".
Ogni anno sono miglìaia le denunce contro le forze dell'ordíne; queste
hanno colpito e ucciso persone sospette, che non opponevano alcuna
resistenza. Il dipartimento di polizia di San Diego ha identificato ben 94
casi d i morti in custodia avvenute tra il 1982 e il '92 a seguito di tali
sistemi.

Attualmente, negli Stati Uniti, ci sono poco meno di due milioni di
detenuti su una popolazione di 275 milioni di persone. Si stima che la
tendenza sia in ulteriore crescita, tanto che si paventa uno scenario a dir
poco inquietante: un americano ogni 20, nella sua vita, avrà buone
probabilità di finire almeno una volta dietro le sbarre. Se poi al numero
dei carcerati veri e propri, sommiamo i condannati che usufruiscono della
libertà sulla parola (685mila), o di uno stato di sorveglianza (3.260.000),
vedremo che quasi sei milioni di cittadini della più ricca potenza mondiale
sono sotto tutela penale.
Se ancora nel '75 il numero dei detenuti non andava oltre le 380mila unità,
solo dieci anni dopo era raddoppiato (740mila), per superare il milione e
600mila nel '95, con un incremento annuo dell'8%, lungo tutto il decennio.
In sostanza, tra gli anni '80 e '90, il numero dei carcerati è triplicato.
Nel '97 si poteva contare un numero di imprigionati da sei a 10 volte
superiore a quelli dei paesi europei. Nel Sud Africa dell'apartheid,
paradossalmente, la pena carceraria è stata comminata con minor frequenza
che nell'America di oggi. E riguardava ovviamente la popolazione nera. Come
negli Stati Uniti. Infatti dal 1989, per la prima volta nella sua storia, i
neri rappresentano la maggioranza dei prigionieri, benché non superino il
12% della popolazione; se il 60% dei carcerati è composto dalle minoranze
etniche, quasi la metà è afroamericana. Nel '95, su 22 milioni di neri in
età adulta, 767mila stavano dietro le sbarre, 999mila erano in libertà
vìgilata e 325 erano rilasciati sulla parola.
Anche il numero delle donne imprigionate è sensibilmente cresciuto,
passando dalle 5.600 dei '70 alle 75mila del '97. E anche in questo caso,
quelle di colore sono le più colpite. Quasi 3mila condannati stanno
aspettando di percorrere per l'ultima volta il miglio verde che lì porterà
davanti dal boia.

Da un punto di vista statistico, il numero di carcerati vede gli Stati
Uniti al secondo posto dopo la Cina e prima della Russia. Anche se l'Europa
non è stata a guardare; copiando l'esempio del "grande fratello"
d'oltreoceano, negli ultimi vent'anni, il tasso di detenzione è aumentato
del 20-30%. In Italia del 20%.

MENO REATI E ... PIU CARCERATI
E' fin troppo facile pensare che l'aumento delle carcerazioni sia la logica
conseguenza dell'incremento delle infrazioni alle leggi. Il senso comune
vede di solito nel popolo dei reclusi un indicatore di criminalità. Più
reati, più gente in cella. Un'equazione a prova di bomba. Ma non è così.
Se è vero che negli Stati Uniti, dalla metà degli anni '70, c'è stato un
vertiginoso balzo in avanti nel numero dei detenuti, quello delle vittime,
cioè dei reati commessi, ha continuato a decrescere. Dal '73 al '90, il
tasso di quelli contro la persona è sceso del 24,5%, mentre i reati contro
la proprietà del 26,1 %. La spiegazione di questa apparente contraddizione
sta nel fatto che è aumentata la durezza della sanzione penale. L'aumento
del numero di persone che finiscono in cella è l'effetto di politiche
penali più severe e non la necessaria conseguenza di un aumento dei reati.
Così si finisce dentro anche per atti, per i quali sarebbero possibili pene
alternative. Qualche esempio: nello stato della Georgia, un ragazzo di 11
anni è stato incarcerato per aver minacciato la sua insegnante. Uno di 12
per aver molestato una persona con una telefonata. Una ragazza di 14 anni è
finita in prigione per aver fatto dei graffiti su un muro. Si può essere
imprigionati a 16 anni per aver trasgredito le regole fissate dal padre e
per non voler andare a scuola. Sono stati buttati in cella ragazzi scappati
da casa o accusati di "minacce terroristiche", solo perché avevano
imprecato contro i propri professori.
Il numero di persone rinchiuse nei vari istituti correzionali del paese è
passato da 17.300 (1975) a 48.300 (1985), per raggiungere quota 130mila
nell'95. Fa buon gioco la manipolazione delle paure dell'opinione pubblica
allo scopo di creare, un giorno sì e uno ancora sì, una "emergenza
sicurezza permanente. Anche noi italiani ne sappiamo qualcosa... Ciò che
conta, in questo caso, non sono i dati reali sulla criminalità, ma la
percezione che l'uomo della strada ha di questo fenomeno.
Sull'ona di tutto questo, in America si sta affermandouna vera e propria
"lobby delle prigioni": gruppi di faccendieri, di imprenditori di carceri
private, interessati ad aumentare i propri profitti, si danno da fare
perché le nuove procedure, le norme per la libertà sulla parola o i nuovi
stanziamenti in materia carceraria, non entrino in conflitto con i loro
interessi, facendo pressione sul governo e sulla magistratura a favore dì
un incremento delle carcerazioni. Gli appaltatori delle prigioni, i
fornitori delle forze dell'ordine e il sindacato delle guardie sono
riusciti a far approvare una legge, che allunga i termini della detenzione.
Così le celle non rimarranno mai vuote.
Nella capitale della California, il sindacato delle guardie degli
stabilimenti di pena, è la corporazione più forte, più importante di quella
del tabacco e dell'agricoltura. Grazie alla sua influenza, lo stipendio di
un secondino supera del 30% quello di un docente incaricato universitario.

DEI PROFITTI E DELLE PENE
Tra il 1979 e il '90, la spesa dei vari stati della confederazione nel
settore carcerario è aumentata del 325% in ordine al funzionamento e del
612% in ordine alla costruzione, con un ritmo tre volte maggiore di quello
della spesa militare a livello nazionale. Secondo stime credibili, il
bilancio di gestione del sistema penitenziario statunitense si aggira sui
20 miliardi di dollari l'anno e ogni anno si spendono circa sei miliardi di
dollari per costruire nuove celle. L'Amministrazione Clinton non si è
discostata molto dai suoi predecessori repubblicani. Mentre tagliava le
spese sociali, faceva costruire 213 nuove prigioni (senza contare qulle
private); così il personale delle sole carceri federali e di stato è
passato da 264mila a 347mila dipendenti, pari ad un aumento del 31 %. Tra
tutte le attività, nell'ultimo decennio, la formazione e l'assunzione di
guardie è quella che ha visto la più rapida crescita.
La vittoria del neoliberismo alla fine ha interessato anche questo settore:
le privatizzazioni del sistema penitenziario erano iniziate già negli anni
'80 con un considerevole aumento dei contratti tra società private, stati e
città per sistemare 	i detenuti e gestire le prigioni. Questo perché,
come recita l'ideologia tuttora in auge, tutto quello che il "pubblico" può
fare, l'impresa privata lo può fare meglio e a costi inferiori.
Prigione vuol dire denaro. Negli States, lo chiamano il correctional
business: è una specie di speculazione affaristica sulle disgrazie altrui.
L'amministrazione della pena è diventata, come tutto del resto, una fonte
di profitti. Maggiore è la "domanda" di internamento, maggiore l'offerta;
il problema è di poter vendere bene la merce "pena" e far fun	zionare a
regime l'industria del controllo sulle "classi pericolose": i poveri, i
disoccupati, gli afroamericani, i giovani delle periferie urbane, gli
	immigrati "clandestini".
Nel 2000, cinque società si dividevano la gestione di 120 stabilimenti di
pena privati per un totale di 120mila detenuti. Anche se il numero di
imprese che dominano questo mercato, si riduce in pratica a due società: la
Correctional Corporation of America e la Wackenhut Corrections Corporation.
Queste gestiscono una trentina di carceri di minima e media sicurezza. Il
resto del mercato è in mano a piccola compagnie, che vendono prigioni a
comunità rurali, le quali vedono in esse un'opportunità per nuovi posti di
lavoro e maggiori entrate fiscali. - La Wackenhut amministra attualmente 11
carceri, in pratica il 22% del mercato dei posti-cella affidati ai privati;
inoltre ne gestisce altre due in Australia, mentre cerca di penetrare anche
sui "mercati" latinoamericano, asiatico ed europeo. Nel 1999, il suo giro
d'affari ammontava a 2,2 miliardi di dollari e controllava il 55% del
mercato penitenziario privato non statunitense.
La Correctional Corporation è invece considerata la pioniera nella
costruzione e nell'amministrazione degli istituti di pena privati; sta
gestendo 21 prigioni, cioè il 5 1 % del mercato interno, soprattutto negli
stati del Sud (Texas, Tennessee, Florida, New Mexico), dove la
privatizzazione delle carceri si è andata sviluppando a partire dagli anni
'80 e oggi rappresenta un vero e proprio settore industriale con una
crescita del 35% l'anno. Ma non solo: come l'industria manifatturiera,
oltre ad aver stabilito rapporti anche con la Gran Bretagna e l'Australia,
è disponibile a spostare le sue "aziende" oltre il confine messicano dove
possono essere impiantate delle autenti-
che maquilladoras penitenziarie. Lo stato dell'Arizona ha in progetto la
costruzione di una prigione privata in Messico, per 2mila detenuti
chicanos. Quotata alla borsa di Wall Sreet, la Correctional Corporation
rappresenta la quinta società sul mercato finanziario newyorkese.
Stiamo parlando di due "multinazionali delle sbarre". Alcune previsioni
danno per certo che, entro il 2003, la percentuale del vantaggioso mercato
della detenzione negli Usa crescerà più del doppio. Già dal 1983 al '96, i
posti letto nelle prigioni private sono passati a 87.072 (+ 48%). Le
previsioni ci assicurano poi che, entro il 2006, raggiungeranno quota
350-400mila. E qui balzano all'occhio alcune cifre: nei primi anni del
decennio scorso, il costo medio di un letto carcerario era di 53.100
dollari contro i 42mila degli anni '87-88.
Come buona regola di ogni sistema produttivo che si rispetti, a questo
punto entra in campo l'indotto. Esistono più di cento ditte specializzate
soltanto nella progettazione di carceri, che guadagnano dai quattro ai sei
miliardi di dollari l'anno con il mercato di questo genere di edilizia. Sul
Correction Today, una pubblicazione edita dall'Associazione penitenziaria
statunitense, si possono leggere inserzioni del tipo: costruttori "chiavi
in mano", servizi di gestione penitenziaria, bracciali elettronici, armi
speciali., sistemi di controllo per detenuti pericolosi, una perfetta
show-room per un giro d'affari valutato in miliardi di dollari all'anno. Ci
troviamo di fronte ad una vera "economia del controllo repressivo".
Negli ultimi anni, prigioni e istituti per minori hanno dato in gestione a
fornitori privati una serie di servizi, compresa la ristorazione, la
sanità, l'assistenza psicologica, l'orientamento professionale,
l'istruzione e il trasporto dei carcerati.
Naturalmente il "privato" è sinonimo, per principio, di creatività: via le
uniformi paramilitari e il rozzo vocabolario che puzza troppo di caserma.
Con maglioni color cammello che portano il marchio della ditta, le guardie
che diventano "tecnici della sicurezza aziendale" o "residenti
supervisori", le prigioni che si trasformano in "imprese di correzione" e i
carcerati che vengono chiamati "residenti", il gioco è fatto. Ciò che conta
è l'idea innovativa: il logo.

QUALITA E PREZZO
In questo nuovo sistema penitenziario, tolta la funzione che istituzional
mente e moralmente spetterebbe allo stato, ciò che rimane è l'efficienza.
Com'è possibile lasciare ai privati la gestione della pena, senza che venga
sacrificato il fine della privazione della libertà, che è (o dovrebbe
essere) il recupero e la reintegrazione sociale del recluso? E quali
strumenti esistono per verificare se gli interessi collettivi sono nei
fatti sacrificati a quelli delle compagnie private che gestiscono il
sistema carcerario?
	Al di là della propaganda sul "più efficienza, miglior qualità del
servizio, minor costo", tanto utilizzata per convincere che"privato è
bello", anche negli States ci si sta accorgendo che i gestori privati
dell'industria penitenziaria non solo non garantiscono i taanto sbandierati
risparmi, ma soprattutto svolgono un lavoro sacrificando la "qualità" dello
stesso: se la pena è pura e semplice detenzione, ingabbiamento associato
più alla violenza repressiva che alla fomitura di beni sociali e materiali,
allora la soluzione può apparire economicamente conveniente. Ma se, come
dovrebbe essere in una moderna civiltà fondata sul diritto, alla detenzione
deve accompagnarsi anche il recupero parziale o totale del carcerato, le
sue eventuali cure, il sistema privato entra in contraddizione con se
stesso, poiché "rieducare " significherebbe perdere dei potenziali futuri
"clienti".
Questo sistema non è interessato a persone che escono per sempre dal giro
del crimine, ma a potenziali utenti che ci devono cascare di nuovo per
pagare, con una pena ancora più dura della precedente, il nuovo debito
contratto.
Un solo esempio: i funzionari di una della due maggiori società private
americane, la Wackenhut Corporation, sono stati accusati di essersi
appropriati indebitamente di più di 700mila dollari dei fondi pubblici del
Texas. Fondi statali, destinati a programmi di riabilitazione dalla
tossicodipendenza, usati invece per acquistare telefoni cellulari e per
viaggi privati in Inghilterra.
La Correction Corporation ha costruito e gestito il primo carcere femminile
privato al mondo, situato nel bel mezzo del deserto del New Mexico. In
questa prigione, le donne soffrono discriminazioni e deprivazione
sensoriale a causa del regime di isolamento a cui sono soggette. La
compagnia si è rifiutata di provvedere ai programmi educativi, ricreativi e
lavorativi, così come al servizio postale. Se risparmio ci dev'essere, va
fatto allora, come in qualsiasi altro comparto produttivo, soprattutto
sugli stipendi del personale, sul loro regime sanitario e pensionistico,
sulla loro "professionalità". E' quasi inevitabile dunque che una guardia
pagata male non solo faccia male il suo lavoro (come ogni lavoratore
dipendente), ma cerchi anche di arrotondare lo stipendio con qualche extra:
ad esempio spacciando droga tra i detenuti, o favorendo fughe.
Inoltre, mentre nel settore pubblico c'è sempre il rischio di scioperi che
possono coinvolgere il personale di sorveglianza, in quello privato è più
facile che tra le clausole poste dal governo per concedere l'appalto della
gestione di una prigione, ci sia il divieto di esercitare tale diritto; in
caso contrario, il contratto potrebbe essere scisso unilateralmente o il
secondino scioperante licenziato.

LE NUOVE TECNOLOGIE
PER IL CONTROLLO SOCIALE
Il "sistema industriale delle carceri" è quindi uno di quelli in maggiore
crescita. Non solo per quanto riguarda l'aspetto immobiliare, ma anche per
l'alta tecnologia impiegata all'interno delle prigioni.
In primo luogo, la schedatura. L'espansione delle banche dati ha fatto in
modo che negli Usa ci siano 50 milioni di schede criminali riguardanti
ormai 30 milioni di persone, pari a quasi un terzo della popolazione
maschile dei paese. Un sistema di controllo diffuso, insinuante, che non
interessa solo chi è incappato nei rigori della legge, ma che si allarga "a
rete" tirando dentro familiari, parenti prossimi, vicini di casa,
conoscenti. Se uno è un "criniinale", è possibile che infetti l'ambiente,
ricerchi e riceva complicità; per questo deve essere monitorato per poi
essere "bonificato".
Data poi la forbice che si è aperta tra le pene inflitte e la complessiva
capacità ricettiva del sistema carcerario -tra domanda e offerta c'è sempre
un relativo squilibrio-, l'industria high tech ci da una mano, realizzando
prodotti sofisticati che permettono una diversa gestione della detenzione.
Tra quelle di sorveglianza, le tecnologie più in uso sono ovviamente quelle
elettroniche e, in primo luogo, il cosiddetto "braccialetto ", conosciuto
anche in Italia e utilizzato per assicurare il controllo del condannato
fuori dal carcere. E' collegato ad un apparecchio telefonico; se il
sorvegliato si allontana dalla sua abitazione, trasformata così in una vera
prigione, il collegamento con il telefono si interrompe e nella caserma di
polizia suona l'allarme.
Le tecnologie di "seconda generazione ", in fase di sviluppo, vengono
progettate invece per seguire l'individuo 24 ore su 24. Contemplano
dispositivi che permettono di registrare il ritmo cardiaco, la pressione,
il tasso di adrenalina e l'eventuale presenza di alcool o droga nel sangue.
Gli strumenti per la sorveglianza elettronica di "terza generazione ", le
cui ricerche sono in corso, non prevedono un uso per la semplice
sorveglianza del "soggetto pericoloso", ma anche un'interazione con lo
stesso. Il sistema indicherà, infatti, se la persona controllata è sul
punto di commettere qualche infrazione; nel qual caso, sarà possibile
intervenire sul suo organismo attraverso segnali sonori, scariche
elettriche o altro. Il sistema elettronico sarà in grado di avvisare,
punire o tentare di impedire l'infrazione.
Anche la famosa Mitsubishi - sì, proprio quella delle auto, delle moto e
degli stereo - non ha perso l'occasione di lucrare sulle disgrazie altrui.
Già da dieci anni offre un kit completo che contiene non solo il
tradizionale bracciale, ma anche un telefono collegato con un trasmettitore
televisivo e uno strumento per misurare il livello di alcool nel sangue.

L'INDUSTRIA DELLE SBARRE
L'apparato penitenziario americano svolge un compito molto preciso riguardo
alle fasce socialmente più deboli della popolazione: si tratta di quella
moltitudine di persone in tutto o in parte escluse dal mercato del lavoro
dipendente regolare, o da un'assistenza pubblica che si sta avvicinando al
sistema di carità.
La "criminalizzazione della miseria" prima e la carcerazione poi
rappresentano gli strumenti ideologici e pratici per ridurre
artificialmente il livello stesso della disoccupazione, sottraendo dal
mercato del lavoro decine di migliaia di persone: gli esuberi. L'altro
risvolto della medaglia è rappresentato invece dall'incremento
dell'occupazione nel settore dei beni e dei servizi carcerari. Si è
valutato che, nel decennio passato, le prigioni
Usa hanno ridotto di due punti il tasso di disoccupazione, assorbendo le
"eccedenze". Qualche ricercatore si è spinto ad affermare che l'alta
proporzione della popolazione incarcerata riduce il dato percentuale della
disoccupazione statunitense, ma il mantenimento di questo stesso livello
costringerà ad espandere sempre più il si
stema penale.
Una buona parte dei detenuti nelle prigioni americane, sia pubbliche che
private, rappresentano un autentico mercato del lavoro parallelo. In
California, dal 1990, una nuova legge prevede che le imprese private
possono utilizzare il lavoro dei detenuti. Ciò che una volta veniva
prodotto all'esterno, ora può essere fabbricato dalle mani di un carcerato
che riceve un salario pari al 20% di quello minimo convenuto, mentre
l'amministrazione ne trattiene l'80%. Non si tratta più di un lavoro
volontario, ma di un obbligo sancito per legge che definisce il dovere del
prigioniero di lavorare per pagare i "servizi", di cui usufruisce. Di
conseguenza, le prigioni non sono solo privatizzate, ma producono lavoro a
basso costo, diventando, soprattutto nelle aree rurali del paese, una parte
sostanziale delle economie locali.
Ad esempio, alla prigione di Lochart, gestita dalla Weckenhut, lavorano in
subappalto altre tre compagnie private. Una di queste, la Lochart
Technologies Inc., che produce componenti meccanici, con il lavoro dei
detenuti è riuscita a finanziarsi la costruzione di una fabbrica, chiudendo
quindi i propri impianti di Austin (Texas), licenziando i dipendenti e
traslocando nella fabbrica-carcere tutti i suoi macchinari. Quei
disoccupati potrebbero un domani far parte della nuova classe operaia della
"industria delle sbarre".
Molte corporazioni transnazionali stipulano contratti con gli States per
produrre merci e mettere su centri di televendita. La Twa e l'Eddie Bauer
Sorting Groups utilizzano i detenuti ai centralini telefonici, per ricevere
prenotazioni e ordini. La Microsoft ha fatto impacchettate, avvolgere nel
cellofan e spedire dai reclusi il suo Windows 95.
Lo stato della California ha prodotto un video a sostegno del programma per
costruire fabbriche nelle sue prigioni. Lo slogan è: "Perché andare
lontano, quando puoi avere una forza lavoro disciplinata a casa tua? ".
Per non lasciare soltanto gli Stati Uniti a fare la parte del brutto
anatroccolo, possiamo affermare che questa logica è imperante anche nelle
Repubbilche dell'ex unione sovietica e in Cina. Nel primo caso, la
produzione nei luoghi di detenzione rappresenta una parte vitale
dell'economia, responsabile di 8,5 miliari di rubli di entrate l'anno. Dal
sistema concentrazionario cinese escono invece merci per un valore di circa
100 milioni di dollari l'anno. Beni che vengono venduti in tutto il mondo.
Se è così, allora non può non farci riflettere quanto ha scritto Nils
Christie, noto criminologo norvegese: "I lager nazisti e i gulag sovietici
non erano frutto di menti criminali; erano soprattutto il prodotto della
razionalizzazione tecnica del controllo sui diversi. Allora fu l'ideologia
a legittimarli. Oggi è il mercato il business che c'è dietro, rischia di
legittimare questo sistema".