[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Dossier sugli Stati Uniti: Carcer, quando la pena è un business
- Subject: Dossier sugli Stati Uniti: Carcer, quando la pena è un business
- From: "ednran" <ednran at tin.it>
- Date: Wed, 13 Feb 2002 09:29:21 +0100
La rivista Missione Oggi, dei Saveriani di Brescia, ha pubblicato, sul numero di Febbraio, un interessantissimo dossier sugli Stati Uniti. Ve lo allego: è da leggere a tutti o costi. Leggete e fate leggere: è bene che la gente sappia! Una saluto Aldo ------------------------------------------ CARCERI USA: QUANDO LA PENA E' UN BUSINESS Se Dostojevski sosteneva che "la qualità della società si misura dalla qualità. delle sue prigìoni", il modello penitenziario made in Usa ne è la sua traduzione reale. Ma in senso negativo. Scrivendo del suo sistema repressivo, ogni anno Amnesty Internationai denuncia le brutalità compìute dalle forze di polizia, aggiungendo poi che "le carceri statunitensi sono spesso teatro di gravi abusi e sono sovente caratterizzate da condizioni di vita molto dure. Maltrattamenti e torture sono ampiamente diffuse, anche ai danni di minori e di donne. In molti penitenziari, i detenuti sono vittime di abusí: fisici e sessualí sia da parte delle guardie sia da parte di altri reclusi. Inoltre, sono stati segnalati frequenti abusi nell'ufflIzzo di strumenti elettrici spray irritanti e dispositiví di costrizione". Ogni anno sono miglìaia le denunce contro le forze dell'ordíne; queste hanno colpito e ucciso persone sospette, che non opponevano alcuna resistenza. Il dipartimento di polizia di San Diego ha identificato ben 94 casi d i morti in custodia avvenute tra il 1982 e il '92 a seguito di tali sistemi. Attualmente, negli Stati Uniti, ci sono poco meno di due milioni di detenuti su una popolazione di 275 milioni di persone. Si stima che la tendenza sia in ulteriore crescita, tanto che si paventa uno scenario a dir poco inquietante: un americano ogni 20, nella sua vita, avrà buone probabilità di finire almeno una volta dietro le sbarre. Se poi al numero dei carcerati veri e propri, sommiamo i condannati che usufruiscono della libertà sulla parola (685mila), o di uno stato di sorveglianza (3.260.000), vedremo che quasi sei milioni di cittadini della più ricca potenza mondiale sono sotto tutela penale. Se ancora nel '75 il numero dei detenuti non andava oltre le 380mila unità, solo dieci anni dopo era raddoppiato (740mila), per superare il milione e 600mila nel '95, con un incremento annuo dell'8%, lungo tutto il decennio. In sostanza, tra gli anni '80 e '90, il numero dei carcerati è triplicato. Nel '97 si poteva contare un numero di imprigionati da sei a 10 volte superiore a quelli dei paesi europei. Nel Sud Africa dell'apartheid, paradossalmente, la pena carceraria è stata comminata con minor frequenza che nell'America di oggi. E riguardava ovviamente la popolazione nera. Come negli Stati Uniti. Infatti dal 1989, per la prima volta nella sua storia, i neri rappresentano la maggioranza dei prigionieri, benché non superino il 12% della popolazione; se il 60% dei carcerati è composto dalle minoranze etniche, quasi la metà è afroamericana. Nel '95, su 22 milioni di neri in età adulta, 767mila stavano dietro le sbarre, 999mila erano in libertà vìgilata e 325 erano rilasciati sulla parola. Anche il numero delle donne imprigionate è sensibilmente cresciuto, passando dalle 5.600 dei '70 alle 75mila del '97. E anche in questo caso, quelle di colore sono le più colpite. Quasi 3mila condannati stanno aspettando di percorrere per l'ultima volta il miglio verde che lì porterà davanti dal boia. Da un punto di vista statistico, il numero di carcerati vede gli Stati Uniti al secondo posto dopo la Cina e prima della Russia. Anche se l'Europa non è stata a guardare; copiando l'esempio del "grande fratello" d'oltreoceano, negli ultimi vent'anni, il tasso di detenzione è aumentato del 20-30%. In Italia del 20%. MENO REATI E ... PIU CARCERATI E' fin troppo facile pensare che l'aumento delle carcerazioni sia la logica conseguenza dell'incremento delle infrazioni alle leggi. Il senso comune vede di solito nel popolo dei reclusi un indicatore di criminalità. Più reati, più gente in cella. Un'equazione a prova di bomba. Ma non è così. Se è vero che negli Stati Uniti, dalla metà degli anni '70, c'è stato un vertiginoso balzo in avanti nel numero dei detenuti, quello delle vittime, cioè dei reati commessi, ha continuato a decrescere. Dal '73 al '90, il tasso di quelli contro la persona è sceso del 24,5%, mentre i reati contro la proprietà del 26,1 %. La spiegazione di questa apparente contraddizione sta nel fatto che è aumentata la durezza della sanzione penale. L'aumento del numero di persone che finiscono in cella è l'effetto di politiche penali più severe e non la necessaria conseguenza di un aumento dei reati. Così si finisce dentro anche per atti, per i quali sarebbero possibili pene alternative. Qualche esempio: nello stato della Georgia, un ragazzo di 11 anni è stato incarcerato per aver minacciato la sua insegnante. Uno di 12 per aver molestato una persona con una telefonata. Una ragazza di 14 anni è finita in prigione per aver fatto dei graffiti su un muro. Si può essere imprigionati a 16 anni per aver trasgredito le regole fissate dal padre e per non voler andare a scuola. Sono stati buttati in cella ragazzi scappati da casa o accusati di "minacce terroristiche", solo perché avevano imprecato contro i propri professori. Il numero di persone rinchiuse nei vari istituti correzionali del paese è passato da 17.300 (1975) a 48.300 (1985), per raggiungere quota 130mila nell'95. Fa buon gioco la manipolazione delle paure dell'opinione pubblica allo scopo di creare, un giorno sì e uno ancora sì, una "emergenza sicurezza permanente. Anche noi italiani ne sappiamo qualcosa... Ciò che conta, in questo caso, non sono i dati reali sulla criminalità, ma la percezione che l'uomo della strada ha di questo fenomeno. Sull'ona di tutto questo, in America si sta affermandouna vera e propria "lobby delle prigioni": gruppi di faccendieri, di imprenditori di carceri private, interessati ad aumentare i propri profitti, si danno da fare perché le nuove procedure, le norme per la libertà sulla parola o i nuovi stanziamenti in materia carceraria, non entrino in conflitto con i loro interessi, facendo pressione sul governo e sulla magistratura a favore dì un incremento delle carcerazioni. Gli appaltatori delle prigioni, i fornitori delle forze dell'ordine e il sindacato delle guardie sono riusciti a far approvare una legge, che allunga i termini della detenzione. Così le celle non rimarranno mai vuote. Nella capitale della California, il sindacato delle guardie degli stabilimenti di pena, è la corporazione più forte, più importante di quella del tabacco e dell'agricoltura. Grazie alla sua influenza, lo stipendio di un secondino supera del 30% quello di un docente incaricato universitario. DEI PROFITTI E DELLE PENE Tra il 1979 e il '90, la spesa dei vari stati della confederazione nel settore carcerario è aumentata del 325% in ordine al funzionamento e del 612% in ordine alla costruzione, con un ritmo tre volte maggiore di quello della spesa militare a livello nazionale. Secondo stime credibili, il bilancio di gestione del sistema penitenziario statunitense si aggira sui 20 miliardi di dollari l'anno e ogni anno si spendono circa sei miliardi di dollari per costruire nuove celle. L'Amministrazione Clinton non si è discostata molto dai suoi predecessori repubblicani. Mentre tagliava le spese sociali, faceva costruire 213 nuove prigioni (senza contare qulle private); così il personale delle sole carceri federali e di stato è passato da 264mila a 347mila dipendenti, pari ad un aumento del 31 %. Tra tutte le attività, nell'ultimo decennio, la formazione e l'assunzione di guardie è quella che ha visto la più rapida crescita. La vittoria del neoliberismo alla fine ha interessato anche questo settore: le privatizzazioni del sistema penitenziario erano iniziate già negli anni '80 con un considerevole aumento dei contratti tra società private, stati e città per sistemare i detenuti e gestire le prigioni. Questo perché, come recita l'ideologia tuttora in auge, tutto quello che il "pubblico" può fare, l'impresa privata lo può fare meglio e a costi inferiori. Prigione vuol dire denaro. Negli States, lo chiamano il correctional business: è una specie di speculazione affaristica sulle disgrazie altrui. L'amministrazione della pena è diventata, come tutto del resto, una fonte di profitti. Maggiore è la "domanda" di internamento, maggiore l'offerta; il problema è di poter vendere bene la merce "pena" e far fun zionare a regime l'industria del controllo sulle "classi pericolose": i poveri, i disoccupati, gli afroamericani, i giovani delle periferie urbane, gli immigrati "clandestini". Nel 2000, cinque società si dividevano la gestione di 120 stabilimenti di pena privati per un totale di 120mila detenuti. Anche se il numero di imprese che dominano questo mercato, si riduce in pratica a due società: la Correctional Corporation of America e la Wackenhut Corrections Corporation. Queste gestiscono una trentina di carceri di minima e media sicurezza. Il resto del mercato è in mano a piccola compagnie, che vendono prigioni a comunità rurali, le quali vedono in esse un'opportunità per nuovi posti di lavoro e maggiori entrate fiscali. - La Wackenhut amministra attualmente 11 carceri, in pratica il 22% del mercato dei posti-cella affidati ai privati; inoltre ne gestisce altre due in Australia, mentre cerca di penetrare anche sui "mercati" latinoamericano, asiatico ed europeo. Nel 1999, il suo giro d'affari ammontava a 2,2 miliardi di dollari e controllava il 55% del mercato penitenziario privato non statunitense. La Correctional Corporation è invece considerata la pioniera nella costruzione e nell'amministrazione degli istituti di pena privati; sta gestendo 21 prigioni, cioè il 5 1 % del mercato interno, soprattutto negli stati del Sud (Texas, Tennessee, Florida, New Mexico), dove la privatizzazione delle carceri si è andata sviluppando a partire dagli anni '80 e oggi rappresenta un vero e proprio settore industriale con una crescita del 35% l'anno. Ma non solo: come l'industria manifatturiera, oltre ad aver stabilito rapporti anche con la Gran Bretagna e l'Australia, è disponibile a spostare le sue "aziende" oltre il confine messicano dove possono essere impiantate delle autenti- che maquilladoras penitenziarie. Lo stato dell'Arizona ha in progetto la costruzione di una prigione privata in Messico, per 2mila detenuti chicanos. Quotata alla borsa di Wall Sreet, la Correctional Corporation rappresenta la quinta società sul mercato finanziario newyorkese. Stiamo parlando di due "multinazionali delle sbarre". Alcune previsioni danno per certo che, entro il 2003, la percentuale del vantaggioso mercato della detenzione negli Usa crescerà più del doppio. Già dal 1983 al '96, i posti letto nelle prigioni private sono passati a 87.072 (+ 48%). Le previsioni ci assicurano poi che, entro il 2006, raggiungeranno quota 350-400mila. E qui balzano all'occhio alcune cifre: nei primi anni del decennio scorso, il costo medio di un letto carcerario era di 53.100 dollari contro i 42mila degli anni '87-88. Come buona regola di ogni sistema produttivo che si rispetti, a questo punto entra in campo l'indotto. Esistono più di cento ditte specializzate soltanto nella progettazione di carceri, che guadagnano dai quattro ai sei miliardi di dollari l'anno con il mercato di questo genere di edilizia. Sul Correction Today, una pubblicazione edita dall'Associazione penitenziaria statunitense, si possono leggere inserzioni del tipo: costruttori "chiavi in mano", servizi di gestione penitenziaria, bracciali elettronici, armi speciali., sistemi di controllo per detenuti pericolosi, una perfetta show-room per un giro d'affari valutato in miliardi di dollari all'anno. Ci troviamo di fronte ad una vera "economia del controllo repressivo". Negli ultimi anni, prigioni e istituti per minori hanno dato in gestione a fornitori privati una serie di servizi, compresa la ristorazione, la sanità, l'assistenza psicologica, l'orientamento professionale, l'istruzione e il trasporto dei carcerati. Naturalmente il "privato" è sinonimo, per principio, di creatività: via le uniformi paramilitari e il rozzo vocabolario che puzza troppo di caserma. Con maglioni color cammello che portano il marchio della ditta, le guardie che diventano "tecnici della sicurezza aziendale" o "residenti supervisori", le prigioni che si trasformano in "imprese di correzione" e i carcerati che vengono chiamati "residenti", il gioco è fatto. Ciò che conta è l'idea innovativa: il logo. QUALITA E PREZZO In questo nuovo sistema penitenziario, tolta la funzione che istituzional mente e moralmente spetterebbe allo stato, ciò che rimane è l'efficienza. Com'è possibile lasciare ai privati la gestione della pena, senza che venga sacrificato il fine della privazione della libertà, che è (o dovrebbe essere) il recupero e la reintegrazione sociale del recluso? E quali strumenti esistono per verificare se gli interessi collettivi sono nei fatti sacrificati a quelli delle compagnie private che gestiscono il sistema carcerario? Al di là della propaganda sul "più efficienza, miglior qualità del servizio, minor costo", tanto utilizzata per convincere che"privato è bello", anche negli States ci si sta accorgendo che i gestori privati dell'industria penitenziaria non solo non garantiscono i taanto sbandierati risparmi, ma soprattutto svolgono un lavoro sacrificando la "qualità" dello stesso: se la pena è pura e semplice detenzione, ingabbiamento associato più alla violenza repressiva che alla fomitura di beni sociali e materiali, allora la soluzione può apparire economicamente conveniente. Ma se, come dovrebbe essere in una moderna civiltà fondata sul diritto, alla detenzione deve accompagnarsi anche il recupero parziale o totale del carcerato, le sue eventuali cure, il sistema privato entra in contraddizione con se stesso, poiché "rieducare " significherebbe perdere dei potenziali futuri "clienti". Questo sistema non è interessato a persone che escono per sempre dal giro del crimine, ma a potenziali utenti che ci devono cascare di nuovo per pagare, con una pena ancora più dura della precedente, il nuovo debito contratto. Un solo esempio: i funzionari di una della due maggiori società private americane, la Wackenhut Corporation, sono stati accusati di essersi appropriati indebitamente di più di 700mila dollari dei fondi pubblici del Texas. Fondi statali, destinati a programmi di riabilitazione dalla tossicodipendenza, usati invece per acquistare telefoni cellulari e per viaggi privati in Inghilterra. La Correction Corporation ha costruito e gestito il primo carcere femminile privato al mondo, situato nel bel mezzo del deserto del New Mexico. In questa prigione, le donne soffrono discriminazioni e deprivazione sensoriale a causa del regime di isolamento a cui sono soggette. La compagnia si è rifiutata di provvedere ai programmi educativi, ricreativi e lavorativi, così come al servizio postale. Se risparmio ci dev'essere, va fatto allora, come in qualsiasi altro comparto produttivo, soprattutto sugli stipendi del personale, sul loro regime sanitario e pensionistico, sulla loro "professionalità". E' quasi inevitabile dunque che una guardia pagata male non solo faccia male il suo lavoro (come ogni lavoratore dipendente), ma cerchi anche di arrotondare lo stipendio con qualche extra: ad esempio spacciando droga tra i detenuti, o favorendo fughe. Inoltre, mentre nel settore pubblico c'è sempre il rischio di scioperi che possono coinvolgere il personale di sorveglianza, in quello privato è più facile che tra le clausole poste dal governo per concedere l'appalto della gestione di una prigione, ci sia il divieto di esercitare tale diritto; in caso contrario, il contratto potrebbe essere scisso unilateralmente o il secondino scioperante licenziato. LE NUOVE TECNOLOGIE PER IL CONTROLLO SOCIALE Il "sistema industriale delle carceri" è quindi uno di quelli in maggiore crescita. Non solo per quanto riguarda l'aspetto immobiliare, ma anche per l'alta tecnologia impiegata all'interno delle prigioni. In primo luogo, la schedatura. L'espansione delle banche dati ha fatto in modo che negli Usa ci siano 50 milioni di schede criminali riguardanti ormai 30 milioni di persone, pari a quasi un terzo della popolazione maschile dei paese. Un sistema di controllo diffuso, insinuante, che non interessa solo chi è incappato nei rigori della legge, ma che si allarga "a rete" tirando dentro familiari, parenti prossimi, vicini di casa, conoscenti. Se uno è un "criniinale", è possibile che infetti l'ambiente, ricerchi e riceva complicità; per questo deve essere monitorato per poi essere "bonificato". Data poi la forbice che si è aperta tra le pene inflitte e la complessiva capacità ricettiva del sistema carcerario -tra domanda e offerta c'è sempre un relativo squilibrio-, l'industria high tech ci da una mano, realizzando prodotti sofisticati che permettono una diversa gestione della detenzione. Tra quelle di sorveglianza, le tecnologie più in uso sono ovviamente quelle elettroniche e, in primo luogo, il cosiddetto "braccialetto ", conosciuto anche in Italia e utilizzato per assicurare il controllo del condannato fuori dal carcere. E' collegato ad un apparecchio telefonico; se il sorvegliato si allontana dalla sua abitazione, trasformata così in una vera prigione, il collegamento con il telefono si interrompe e nella caserma di polizia suona l'allarme. Le tecnologie di "seconda generazione ", in fase di sviluppo, vengono progettate invece per seguire l'individuo 24 ore su 24. Contemplano dispositivi che permettono di registrare il ritmo cardiaco, la pressione, il tasso di adrenalina e l'eventuale presenza di alcool o droga nel sangue. Gli strumenti per la sorveglianza elettronica di "terza generazione ", le cui ricerche sono in corso, non prevedono un uso per la semplice sorveglianza del "soggetto pericoloso", ma anche un'interazione con lo stesso. Il sistema indicherà, infatti, se la persona controllata è sul punto di commettere qualche infrazione; nel qual caso, sarà possibile intervenire sul suo organismo attraverso segnali sonori, scariche elettriche o altro. Il sistema elettronico sarà in grado di avvisare, punire o tentare di impedire l'infrazione. Anche la famosa Mitsubishi - sì, proprio quella delle auto, delle moto e degli stereo - non ha perso l'occasione di lucrare sulle disgrazie altrui. Già da dieci anni offre un kit completo che contiene non solo il tradizionale bracciale, ma anche un telefono collegato con un trasmettitore televisivo e uno strumento per misurare il livello di alcool nel sangue. L'INDUSTRIA DELLE SBARRE L'apparato penitenziario americano svolge un compito molto preciso riguardo alle fasce socialmente più deboli della popolazione: si tratta di quella moltitudine di persone in tutto o in parte escluse dal mercato del lavoro dipendente regolare, o da un'assistenza pubblica che si sta avvicinando al sistema di carità. La "criminalizzazione della miseria" prima e la carcerazione poi rappresentano gli strumenti ideologici e pratici per ridurre artificialmente il livello stesso della disoccupazione, sottraendo dal mercato del lavoro decine di migliaia di persone: gli esuberi. L'altro risvolto della medaglia è rappresentato invece dall'incremento dell'occupazione nel settore dei beni e dei servizi carcerari. Si è valutato che, nel decennio passato, le prigioni Usa hanno ridotto di due punti il tasso di disoccupazione, assorbendo le "eccedenze". Qualche ricercatore si è spinto ad affermare che l'alta proporzione della popolazione incarcerata riduce il dato percentuale della disoccupazione statunitense, ma il mantenimento di questo stesso livello costringerà ad espandere sempre più il si stema penale. Una buona parte dei detenuti nelle prigioni americane, sia pubbliche che private, rappresentano un autentico mercato del lavoro parallelo. In California, dal 1990, una nuova legge prevede che le imprese private possono utilizzare il lavoro dei detenuti. Ciò che una volta veniva prodotto all'esterno, ora può essere fabbricato dalle mani di un carcerato che riceve un salario pari al 20% di quello minimo convenuto, mentre l'amministrazione ne trattiene l'80%. Non si tratta più di un lavoro volontario, ma di un obbligo sancito per legge che definisce il dovere del prigioniero di lavorare per pagare i "servizi", di cui usufruisce. Di conseguenza, le prigioni non sono solo privatizzate, ma producono lavoro a basso costo, diventando, soprattutto nelle aree rurali del paese, una parte sostanziale delle economie locali. Ad esempio, alla prigione di Lochart, gestita dalla Weckenhut, lavorano in subappalto altre tre compagnie private. Una di queste, la Lochart Technologies Inc., che produce componenti meccanici, con il lavoro dei detenuti è riuscita a finanziarsi la costruzione di una fabbrica, chiudendo quindi i propri impianti di Austin (Texas), licenziando i dipendenti e traslocando nella fabbrica-carcere tutti i suoi macchinari. Quei disoccupati potrebbero un domani far parte della nuova classe operaia della "industria delle sbarre". Molte corporazioni transnazionali stipulano contratti con gli States per produrre merci e mettere su centri di televendita. La Twa e l'Eddie Bauer Sorting Groups utilizzano i detenuti ai centralini telefonici, per ricevere prenotazioni e ordini. La Microsoft ha fatto impacchettate, avvolgere nel cellofan e spedire dai reclusi il suo Windows 95. Lo stato della California ha prodotto un video a sostegno del programma per costruire fabbriche nelle sue prigioni. Lo slogan è: "Perché andare lontano, quando puoi avere una forza lavoro disciplinata a casa tua? ". Per non lasciare soltanto gli Stati Uniti a fare la parte del brutto anatroccolo, possiamo affermare che questa logica è imperante anche nelle Repubbilche dell'ex unione sovietica e in Cina. Nel primo caso, la produzione nei luoghi di detenzione rappresenta una parte vitale dell'economia, responsabile di 8,5 miliari di rubli di entrate l'anno. Dal sistema concentrazionario cinese escono invece merci per un valore di circa 100 milioni di dollari l'anno. Beni che vengono venduti in tutto il mondo. Se è così, allora non può non farci riflettere quanto ha scritto Nils Christie, noto criminologo norvegese: "I lager nazisti e i gulag sovietici non erano frutto di menti criminali; erano soprattutto il prodotto della razionalizzazione tecnica del controllo sui diversi. Allora fu l'ideologia a legittimarli. Oggi è il mercato il business che c'è dietro, rischia di legittimare questo sistema".
- Prev by Date: Ritornano i mercanti di morte - aggiornamento
- Next by Date: Dossier sugli Stati Uniti: La libertà sacrificata nel nome della sicurezza
- Previous by thread: Ritornano i mercanti di morte - aggiornamento
- Next by thread: Dossier sugli Stati Uniti: La libertà sacrificata nel nome della sicurezza
- Indice: