Siamo in guerra! e noi nonviolenti che facciamo?



Carissimi,
in allegato una proposta: prendere una posizione comune come area
"nonviolenta e antimilitarista", sulla cui base confrontarci con il
movimento.
Pensate possa interessarvi?
Credete sia opportuno coinvolgere altre realtà?
Potreste parlarne con i gruppi ed i singoli aderenti alle vostre associazioni?
In attesa di una vs. risposta, vi saluto.
Stefano Guffanti
Lega Obiettori di Coscienza




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Appello ai gruppi nonviolenti e antimilitaristi

"Contaminiamo il movimento"

Premessa
Il movimento per una diversa / anti globalizzazione (Rete Lilliput e Social
Forum), è nato sulla centralità dei problemi economici ed ambientali.
Anche nella Rete Lilliput, dove si è operata la scelta nonviolenta, il tema
"pace - disarmo" è stato collocato in una posizione secondaria rispetto ad
altri aspetti e tematiche (debito del terzo mondo, impronta ecologica,
boicottaggi vari, etc).
Nel tavolo intercampagne non è rappresentata nessuna delle campagne
antimilitariste e/o nonviolente.
Durante l'assemblea della Rete, tenutasi a Marina di Massa nell'ottobre
2000, il tema Pace venne relegato in un gruppo di lavoro insieme al tema
"Migranti".
Evidentemente i più pensavano che il problema del militarismo fosse un
problema ormai superato; i rischi di guerra, in una situazione di pace, si
potevano scongiurare semplicemente lottando per una società (nazionale ed
internazionale) più giusta.
Lo specifico della lotta al militarismo rimase una questione per pochi
addetti ai lavori.
Poche attenzioni in più ottenne la tematica "Pace" nel corso della
mobilitazione di Genova.
La presenza di Bush, promotore dell'idea di Scudo stellare, richiamò la
necessità del disarmo, principalmente per evitare che ingenti risorse
venissero spostate da politiche di sviluppo a politiche di guerra.
L'enormità delle spese militari è denunciata principalmente per
sottolineare la pochezza di risorse destinate allo sviluppo, più che per
condannare l'espansione del settore bellico.
Anche il primo appello di convocazione per la Marcia Perugia Assisi
(iniziativa storicamente legata al tema pace e nonviolenza), ha focalizzato
l'attenzione su cibo, acqua e lavoro per tutti, come se la necessità di
disarmare il mondo e smilitarizzare le coscienze fosse ormai superata e il
conflitto si giocasse tutto ed esclusivamente sul piano economico.
Oggi, alla vigilia della prima entrata in guerra ufficiale dello Stato
italiano, dalla fine della II Guerra Mondiale, diviene ancora più urgente
hanno riportare il tema pace / disarmo al centro dell'agenda politica del
movimento italiano, dimostratosi finora abbastanza impreparato sul piano
della proposta.
Da un lato il movimento non ha ancora sviluppato grandi elaborazioni su
come avviare politiche di disarmo e di opposizione concreta alla guerra,
rimanendo ancora legato alla logica del "corteo" contro la guerra.
Dall'altro i gruppi dell'area nonviolenta ed antimilitarista non sono stati
in grado, almeno fino ad ora, di fare proposte a tutto il movimento,
affinché le esperienze specifiche maturate in questi anni, diventino
patrimonio comune.

Antimilitaristi e nonviolenti: in ordine sparso
La responsabilità di questo ritardo ad elaborare una strategia pacifista
non è completamente ed esclusivamente attribuibile a chi ha dato vita al
movimento.
Possiamo pretendere che chi proviene da un impegno centrato su temi
economici o ecologici ponga come centrale il tema del disarmo e le pratiche
di disobbedienza civile nonviolente?
E' evidente che la responsabilità politica di rappresentare queste istanze
spetterebbe ai "militanti" dell'area antimilitarista nonviolenta, i quali,
in realtà, o sdegnano di impegnarsi nel movimento o, sebbene coinvolti in
esso, partecipano a livello personale, finendo così per perdere di vista la
specificità di provenienza e disperdendo il loro bagaglio esperienziale.
Altre aree del movimento hanno una propria vitalità, una propria
elaborazione politica, una autonomia organizzativa che arricchiscono il
movimento e che questo assume come proprie.
Questo è possibile solo perché le associazioni presenti in queste altre
aree (p.e. quella antirazzista) hanno sviluppato da tempo la capacità di
dialogare in rete tra loro.
Il ritardo dell'area pacifista, da questo punto di vista, è spaventoso:
molte microassociazioni incapaci di relazionarsi non solo tra di loro, ma
nemmeno al loro interno.
Il rischio è che così facendo si disperdano anni di riflessioni, di
esperienze e di pratiche politiche nonviolente ed antimilitariste, che il
movimento si trovi a dover ripartire da zero, come se in tutti questi anni
non vi fosse stato nulla, nessun tipo di elaborazione, nessuna proposta
concreta, nessuna campagna.
Non è così!
Il movimento antimilitarista e nonviolento, in questi ultimi decenni, ha
prodotto molto e, in considerazione delle piccole forze a sua disposizione,
ottenuto anche dei risultati interessanti (si pensi alla legge
sull'obiezione di coscienza oppure alla legge che mette al bando delle
mine).
E' da questa esperienza che dobbiamo ripartire.

Confrontarsi e organizzarsi
Negli anni scorsi MIR e MN parlavano di una federazione nonviolenta Š
l'idea, per quanto interessante, non ha avuto seguito; credo che prima di
arrivare effettivamente ad una federazione (con tutti i cavilli burocratici
ad essa legati) sarebbe opportuno avviare un percorso di collaborazione
pratica su alcuni punti condivisi, per esempio un documento dell'area
pacifista da proporre a tutto il movimento.
Sono rimasto abbastanza stupito che non sia stato ancora tentato un
tentativo serio di riunire intorno ad un tavolo tutta l'area
antimilitarista e nonviolenta italiana, per cercare di produrre un
documento di tal genere.
Credo però che non si possa più rinviare.
La situazione esterno ce lo impone.

Cosa proporre?
Credo che si dovrebbe riuscire a stilare una piattaforma il cui obiettivo
sia quello di indicare una percorso pratico e comune di opposizione alla
guerra.
In questi anni ognuno ha sviluppato metodologie importanti, ma che sono
sempre state praticate da un numero di persone minimo, non si è riusciti ad
andare al di là della pura testimonianza.
Oggi ci troviamo in una situazione in cui (almeno sul piano teorico)
potremmo coinvolgere decine di migliaia di persone nelle nostre iniziative.
La nostra piattaforma dovrebbe  raccogliere le proposte maturate grazie
all'esperienza di ogni gruppo e presentare una quadro abbastanza ampio di
possibilità, da cui ogni gruppo locale (dei Social Forum e/o della Rete
Lilliput e/o altri soggetti), potrebbe trarre suggerimento per attuare
iniziative, sulla base delle competenze, specificità, affinità di ogni
realtà locale.
Di seguito propongo un ipotetico testo dell'appello al movimento,
ovviamente si tratta solo di uno spunto ed è completamente emendabile.
 Appello al movimento - Per opporsi concretamente alla guerra

Carissimi,
la voglia di opporsi alla guerra è sempre più diffusa, i dubbi sulla
efficacia di questo strumento assurdo si vanno sempre più diffondendo
nell'opinione pubblica.
Il movimento deve superare una impostazione completamente centrata sugli
aspetti economici e accogliere il tema del disarmo e della
smilitarizzazione delle coscienze e del territorio come uno degli elementi
prioritari della propria esistenza.
Sia ora, che siamo in guerra, sia domani (si spera) quando i soldati
avranno cessato di scagliare le loro bombe suoi villaggi afgani, irakeni e
palestinesi.
Per questo il movimento deve proporre a tutti i propri aderenti, militanti
e simpatizzanti di diventare operatori di pace, collaborando con le
associazioni nonviolente ed antimilitariste nella diffusione di pratiche
tese a contrastare la prosecuzione della guerra.
Non vogliamo dilungarci in analisi economico / politiche / sociali; ognuno
avrà la sua lettura dei fatti di questi mesi; ognuna con la sua parte di
verità legittima.
Vogliamo invece proporre al movimento di assumere una prassi, frutto
dell'esperienza maturata in questi ultimi decenni dalle associazioni
dell'area nonviolenta ed antimilitariste.
Cosa proponiamo?
Di informare e chiedere a tutti di aderire ai seguenti punti:
- l'obiezione di coscienza al servizio militare, insistendo sulla
consapevolezza e sul senso politico di questa scelta, quale opposizione
alla collaborazione attiva all'apparato bellico;
- l'obiezione di coscienza alle spese militari, quale opposizione al
sostegno finanziario (estorto mediante le tasse), alle forze armate;
- azioni dirette nonviolente per intralciare l'operatività delle caserme e
delle FFAA;
- iniziative dei Caschi bianchi, quale forma di prevenzione e risoluzione
nonviolenta dei conflitti, la cui finalità è la costituzione di un Corpo
civile di pace;
- sostegno ai gruppi antimilitaristi e nonviolenti locali, nonché agli
obiettori di coscienza e disertori degli eserciti coinvolti nel conflitto;
- sostegno alle iniziative di solidarietà alle vittime della guerra;
- di opporsi, nei luoghi di lavoro, alle produzioni belliche e chiedere la
riconversione dell'industria bellica;
- di sostenere le campagne di monitoraggio e denuncia sulla spesa bellica
dello stato italiano;
- di sviluppare forme creative per manifestare pubblicamente il dissenso
diffuso alla guerra.

Ovviamente questa lista è espandibile e ogni gruppo pacifista è invitato ad
arricchirla con le proprie esperienze e pratiche politiche.