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trad, in italiano dell'art. di Pilger
- Subject: trad, in italiano dell'art. di Pilger
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Tue, 23 Oct 2001 08:22:36 +0200
Una guerra secondo la tradizione americana Lo scopo ultimo degli attacchi all'Afganistan non è la cattura di un fanatico, ma l'accelerazione del potere occidentale. L'attacco anglo-americano sull'Afganistan attraversa nuovi confini. Significa che le guerre economiche dell'America sono appoggiate dalla minaccia perpetua di attacchi militari contro ogni paese, senza alcuna pretesa di legalità. È inoltre il primo a mettere in pericolo la popolazione all'interno. Lo scopo ultimo non è la cattura di un fanatico, ciò che non sarebbe degno di molto più che un circo mediatico, ma l'accelerazione del potere imperiale occidentale. Questa è una verità che i moderni imperialisti e i loro compagni di viaggio non riveleranno e che il pubblico occidentale, ora esposto ad una jihad su grande scala, ha il diritto di sapere. Nel suo zelo, Tony Blair è giunto vicino più di ogni altro leader britannico dopo Anthony Eden alla rivelazione delle intenzioni reali. Blair, che non è semplicemente l'ancella di Washington, nella verbosità vittoriana del suo straordinario discorso alla conferenza del Labour Party, ci mette al corrente che il viaggio di ritorno dell'imperialismo verso la rispettabilità è ben in corso. Ascoltate la visione di un gentiluomo-lancia-bombe cristiano di un mondo migliore per "quelli che muoiono di fame, gli sventurati, gli spossessati, gli ignoranti, quelli che vivono nel bisogno e nello squallore dai deserti del Nord Africa alle catapecchie di Gaza alle catene montuose dell'Afganistan". Ascoltate la sua preoccupazione ipocrita per i "diritti umani delle donne afgane che soffrono" mentre si fa complice delle loro sofferenze bombardandole ed impedendo che il cibo possa raggiungerne i figli che muoiono di fame. È uno scherzo di cattivo gusto tutto questo? Lungi dall'esserlo, come Frank Furedi ci ricorda in La nuova ideologia dell'imperialismo, non molto tempo fa "le rivendicazioni morali dell'imperialismo erano raramente messe in discussione in occidente. L'imperialismo e l'espansione globale delle potenze occidentali erano rappresentate in termini senza dubbio positivi come uno dei maggiori contributi alla civilizzazione umana". La ricerca fallì quando divenne chiaro che il fascismo, con tutte le sue idee di superiorità razziale e culturale, era anch'esso imperialismo, e la parola scomparve dal discorso accademico. Nella migliore tradizione stalinista, l'imperialismo cessò di esistere. A partire dalla fine della guerra fredda si è presentata una nuova opportunità. Le crisi economiche e politiche nel mondo in via di sviluppo, in gran parte risultato dell'imperialismo, come gli spargimenti di sangue in Medio Oriente e la distruzione dei mercati delle merci in Africa, servono ora come giustificazione retrospettiva all'imperialismo. Benché la parola resti impronunciabile, l'intelligentsia occidentale, conservatori e liberali indistintamente, oggi fa eco con forza all'eufemismo preferito di Bush e Blair, "civilizzazione". Il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, e l'ex redattore liberale Harold Evans condividono una parola il cui vero significato poggia sul paragone con coloro che sono non civilizzati, inferiori e potrebbero mettere in pericolo i "valori" dell'occidente, specificamente il diritto di concessione divina di controllare e saccheggiare i non civilizzati. Se c'era un qualsiasi dubbio che gli attacchi al World Trade Center fossero il risultato diretto dei saccheggi dell'imperialismo, Osama bin Laden, un mutante dell'imperialismo, lo ha dissipato nella sua diatriba videoregistrata riguardo alla Palestina, all'Iraq e alla fine dell'inviolabilità americana. Ahimé, non ha detto nulla del suo odio per la modernità e le minigonne, la spiegazione fornita da quelli intossicati e castrati dal superculto dell'americanismo. Una valutazione della scala completa e della continuità e delle conseguenze della violenza imperiale americana è il tabù più resistente delle nostre elite. Contrariamente al mito, anche l'invasione assassina del Vietnam era stata considerata dai critici della sua tattica una "nobile causa" nella quale gli USA "inciamparono" e "si impantanarono". Hollywood ha a lungo spurgato la verità di quella atrocità, così come per molti di noi ha dato forma al modo in cui percepiamo la storia contemporanea ed il resto dell'umanità. Ed ora una parte così cospicua delle notizie stesse sono di marca hollywoodiana, amplificate da una tecnologia terrificante e con la missione intrinseca di minimizzare la responsabilità occidentale, che non sorprende affatto che molti oggi non vedano la striscia di sangue. Come è giusto che il bombardamento dell'Afganistan sia condotto, in parte, da quegli stessi bombradieri B52 che 30 anni fa distrussero gran parte dell'Indocina. Solo in Cambogia, 600 mila persone morirono sotto le bombe americane, fornendo il catalizzatore dell'ascesa di Pol Pot, come chiariscono gli archivi della CIA. Ancora volta, i commentatori si riferiscono a Diego Garcia senza fornire spiegazione. È dove i B52 fanno carburante. 25 anni fa, nella massima segretezza e in spregio alle Nazioni Unite, il governo inglese di Harold Wilson espulse l'intera popolazione dell'isola di Diego Garcia nell'Oceano Indiano allo scopo di affidarla agli americani come deposito perpetuo di armi nucleari e come base da cui i suoi bombardieri a grande autonomia potessero presidiare il Medio Oriente. Fino a che gli abitanti dell'isola non vinsero una causa presso l'Alta Corte l'anno scorso, quasi nulla di questo esproprio imperialista era mai apparso nei media britannici. Che felice combinazione che John Negroponte sia l'ambasciatore di Bush alle Nazioni Unite. Questa settimana, ha trasmesso la minaccia dell'America al mondo: potrebbe "dover" attaccare ancora altri paesi. Come ambasciatore USA in Honduras agli inizi degli anni '80, Negroponte soprintendeva ai finanziamenti americani agli squadroni della morte del regime, conosciuti come Battaglione 316, che cancellarono l'opposizione democratica, mentre la CIA conduceva la sua guerra di "contras" e di terrore contro il confinante Nicaragua. Assassinare gli insegnanti e sgozzare le ostetriche era una specialità. Questo era tipico del terrorismo che l'America Latina ha a lungo sofferto, essendo i suoi principali torturatori e tiranni addestrati e finanziazi dal grande combattente contro il "terrorismo globale", che probabilmente ospita più terorristi ed assassini nella sola Florida di qualunque altro paese della terra. Ciò che non si dice nei notiziari di oggi è che la "guerra contro il terrorismo" viene sfruttata allo scopo di raggiungere obiettivi che consolidano il potere americano. Questi includono: la corruzione e il soggiogamento di governi corrotti e vulnerabili nell'Asia centrale ex-sovietica, cruciale per l'espansione americana nella regione e lo sfruttamento dell'ultima riserva di petrolio e gas al mondo che non sia stata ancora spillata; l'occupazione Nato della Macedonia, che marca uno stadio finale della sua odissea colonia nei Balcani; l'espansione dell'industria militare americana; e l'accelerazione della liberalizzazione dei commerci. Cosa intendeva Blair a Brighton, quando ha offerto ai poveri "l'accesso ai nostri mercati cosicché pratichiamo il libero scambio che predichiamo così appassionatamente"? Stava simulando empatia per il senso di ingiustizia e rabbia di gran parte dell'umanità: il "sentirsi lasciati fuori". Così, mentre le bombe cadono, "un maggiore inserimento", come la mette la World Trade Organisation, viene offerto ai poveri--cioè maggiori privatizzazioni, maggiori aggiustamenti strutturali, maggior furto di risorse e mercati, maggiore distruzione dei dazi. Lunedì, il segretario di stato per il commercio e l'industria, Patricia Hewitt, ha convocato un meeting delle agenzie di assistenza volontaria per dir loro che "dall'11 settembre, ha una importanza travolgente" che ai poveri sia data "una maggiore liberalizzazione dei commerci". Avrebbe potuto usare l'esempio di quei paesi impoveriti nei quali il Dipartimento, chiamato per ironia della sorte per lo sviluppo internazionale, della sua collega Clare Short sostiene rapaci campagne di privatizzazione per conto di multinazionali britaninche, come quelle che gareggiano per fare una strage con una risorsa preziosa come l'acqua. Bush e Blair sostengono che "l'opinione mondiale" è con loro. No, con loro hanno le elites, ciascuna con il suo programma: come lo schiacciare la Cecenia per Vladimir Putin, cosa che ora può essere consentita, e il rastrellamento da parte cinese di tutti i suoi dissidenti, anche questo ora permissibile. In aggiunta, con ogni bomba che cade sull'Afganistan e forse prossimamente sull'Iraq, la militanza islamica e araba crescerà e traccerà le linee di uno "scontro di civiltà" che i fanatici da ambo le parti hanno a lungo desiderato. Nelle società che ci vengono rappresentate solo caricaturalmente, la politica del "due pesi, due misure" dell'occidente è compresa così chiaramente che ciò scavalca, tragicamente, la solidarietà che la gente comune ovunque ha provato per le vittime dell'11 settembre. Ciò, unito al contributo che ha dato al riemergere della xenofobia in Gran Bretagna, è l'unico risultato eccezionale del messianico Blair. Le sue logore, bellicose certezze rappresentano una elite politica e mediatica che non ha mai conosciuto la guerra. Il popolo, in contrasto, non gli ha dato alcun mandato per uccidere gente innocente, come quegli afgani che rischiavano la vita per eliminare le mine anti-uomo, uccisi nei loro letti dalle bombe americane. Questi atti omicidi collocano Bush e Blair allo stesso livello di quelli che organizzarono e sollecitarono gli assassini delle Twin Towers. Forse mai un primo ministro è stato così sfalsato rispetto all'umore pubblico, che è di difficoltà, preoccupazione e moderazione per ciò che devrebbe essere fatto. Gallup riscontra che l'82 percento dice che "l'iniziativa militare dovrebbe essere assunta solo dopo che l'identità degli esecutori sia stata chiaramente stabilita, anche se questo processo dovesse richiedere mesi prima di concludersi". Tra i membri di queste elite pagati e ritenuti degni di fiducia per dire le cose chiaramente, c'è molto silenzio. Dove sono coloro che in Parlamento una volta si fecero un nome parlando chiaro e ora si svergognano tacendo? Dove sono le voci di protesta della "società civile", specialmente di quelli che guidano le sempre più multinazionalizzate organizzazioni di assistenza e ricevono le sovvenzioni del governo e ne accettano spesso la linea, poi dichiarano il loro stato "a-politico" quando la loro sincerità per conto dei depauperati e dei bombardati potrebbe salvere delle vite? L'instancabile Chris Buckley di Christian Aid e pochi altri sono con onore esclusi. Dove sono coloro che propongono la libertà accademica e l'indipendenza politica, di sicuro uno dei "gioielli" della civilizzazione occidentale? Anni di promozione del gergo del "realismo liberale" e di mascheramento dell'imperialismo in forma di gestione delle crisi, piuttosto che come causa delle crisi, hanno esatto il loro prezzo. Alzare la voce in favore del diritto internazionale e della giusta ricerca di giustizia, finanche della diplomazia, e contro il terrorismo potrebbe non far bene alla propria carriera. O come la mise Voltaire: " È pericoloso avere ragione quando il governo ha torto". Ciò non cambia il fatto di aver ragione. Nello change the world before the world changes you www.peacelink.it/tematiche/latina/latina.htm
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