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[REP] SE ASSISI TENTA LA SINISTRA
- Subject: [REP] SE ASSISI TENTA LA SINISTRA
- From: Marco Trotta <mrta at libero.it>
- Date: Sat, 13 Oct 2001 22:02:27 +0200
_[Ripostato da: La Repubblica - http://www.repubblica.it ]________________ [http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20011013/commenti/0113baffo.html] 13 ott. 2001 SE ASSISI TENTA LA SINISTRA MICHELE SALVATI Più di 80 anni fa, in una Germania sconvolta dalla guerra civile che fece seguito alla sconfitta nella Prima guerra mondiale, Max Weber tenne a Monaco due conferenze che rimangono a tutt'oggi monumenti altissimi, ineguagliati nel loro campo, della nostra civiltà. Una di queste - «La politica come professione (o vocazione)» - m'è tornata in mente leggendo delle tensioni che sono scoppiate nel centrosinistra al momento del voto in Parlamento sulle risoluzioni relative all'intervento angloamericano in Afghanistan, e che restano alte a proposito della partecipazione di esponenti di alcuni partiti di questo schieramento alla tradizionale marcia della pace tra Perugia e Assisi. Mi dispiace di non aver sottomano il testo, ma credo di ricordarlo bene: è nella seconda parte della conferenza che Weber sviluppa la famosa distinzione tra etica della responsabilità (un'etica che si riferisce alle presumibili conseguenze di diversi corsi d'azione e dunque può giustificare che si compia il male se è l'unico modo per evitare un male peggiore) ed etica della convinzione (o etica della testimonianza, etica assoluta: avvenga quel che avverrà, io devo comportarmi così). Weber rintraccia l'origine della distinzione in una lunga storia che parte dall'India dei Veda, passa per la Grecia e Roma, riemerge nel Rinascimento e costituisce il fondamento della distinzione tra il santo e il politico, tra chi rifiuta la violenza e la guerra in modo assoluto e chi invece l'accetta alla luce delle conseguenze presumibili della nonviolenza, della nonguerra. In quella conferenza Weber dimostra in modo inconfutabile (e commovente), come si tratti di una distinzione ineliminabile tra due atteggiamenti etici che esigono grande rigore e il cui perseguimento comporta estreme difficoltà, come le vite di Francesco d'Assisi e del conte di Cavour testimoniano. Assisi è la meta finale della marcia della pace, e c'era molto di francescano, di etica della convinzione, nei promotori delle prime marce, o almeno in Aldo Capitini il cui pensiero conosco un po' meglio. Non mi pare che siano rimaste tracce significative di questo tipo di etica nelle argomentazioni di chi si oppone alla guerra in Afghanistan e - sulla base del No a questa guerra specifica - ha organizzato la marcia della pace di quest'anno. La lettera degli esponenti politici che intendono partecipare alla marcia della pace (Rutelli, Fassino, Amato, D'Alema, Dini), pubblicata ieri l'altro, era tutta argomentata in termini di etica della responsabilità, né poteva essere altrimenti. Ciò che ho trovato più singolare è che anche la risposta degli organizzatori della marcia, pubblicata ieri a nome di diversi movimenti e associazioni, è argomentata nello stesso modo e si preoccupa di smontare le affermazioni della precedente alla luce degli effetti presumibili dell'azione bellica, difendendo un diverso corso di azione politica come il più efficace allo scopo di raggiungere valori condivisi. Se non avessimo capito che si tratta di etica della responsabilità e dunque di politica, ciò viene affermato nel modo più chiaro alla fine della lettera. «Noi da più di vent'anni abbiamo dato corpo e voce a un pacifismo politico che vuole portare la nonviolenza dal cielo dell'utopia alla polvere della storia...» (affermazione che farebbe sussultare Max Weber nella sua tomba). «Crediamo che sia venuto il momento di riconoscere che la politica con la P maiuscola non è un patrimonio esclusivo dei partiti. Non accettiamo la contrapposizione tra «sognatori» e «realisti» . Se però di politica si tratta, di un diverso giudizio su come organizzare nel modo più efficace una risposta al terrorismo rimanendo nella «polvere della storia», e dunque sulla base dei presumibili effetti nel breve e nel lungo periodo di diversi corsi di azione, non capisco (fingo di non capire) perché rappresentanti di partiti della sinistra che hanno dato un giudizio favorevole alla guerra e l'hanno espresso con un voto in Parlamento vogliano poi partecipare ad una manifestazione palesemente egemonizzata da altri «politici» che sulla guerra danno un giudizio diverso. La situazione sembra a me del tutto simile a quella delle manifestazioni di Genova durante l'incontro dei G8: perché i rappresentanti di partiti che quell'incontro avevano organizzato quando erano al governo si posero il problema di partecipare a una manifestazione il cui ovvio significato era quello di contestarlo, o di contestare la globalizzazione tout court? Non posso entrare nel problema di chi abbia ragione nel giudizio politico sugli effetti della guerra (in riferimento ai valori ultimi che sia i politici dei partiti, sia quelli dei movimenti dicono di voler perseguire): si tratta di un problema maledettamente difficile riguardando effetti di eventi futuri ed incerti su uno scacchiere di variabili immenso. Ma un giudizio i politici dei partiti l'hanno dato e, se ne sono ragionevolmente convinti, devono difenderlo, anche a costo di mettersi in contrasto con gruppi di giovani animati dalle migliori intenzioni e che essi vorrebbero poter rappresentare. Così, per ora non è, e al danno si aggiungerebbero le beffe (i fischi paventati da D'Alema o i ceffoni promessi da Francesco Caruso di Rete Sud Ribelle) se i politici dei partiti di sinistra volessero partecipare ad una manifestazione egemonizzata da politici di movimento con un giudizio sulla guerra diverso dal loro. Fra poche settimane si terrà il congresso dei Democratici di sinistra, partito nel quale albergano diversi atteggiamenti nei confronti del «pacifismo politico» che anima i noglobal e molti gruppi che parteciperanno alla marcia. Il congresso da cui nacque il Pds, nel 1991 si svolse nel pieno della guerra contro l'Iraq e, nonostante la scissione non produsse un chiarimento. Anche il prossimo congresso si svolgerà durante una guerra. I pericoli di scissione sono però oggi molto minori e i costi di un mancato chiarimento - la guerra del Kosovo non è ovviamente bastata - sempre più alti. Non sarebbe il caso che la maggioranza che vincerà il congresso dicesse con chiarezza da che parte sta ed evitasse comportamenti ambigui, com'è inevitabilmente quello di partecipare a questa marcia per la pace? __________________________________________________________________________
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