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Un significativo articolo scritto prima dell'11 settembre 2001
- Subject: Un significativo articolo scritto prima dell'11 settembre 2001
- From: <cobas at inwind.it>
- Date: Fri, 28 Sep 2001 11:54:16 +0200
Un significativo articolo scritto prima dell'11 settembre 2001 spunti da un articolo apparso sul N. 86 de "La Contraddizione" chiuso in redazione il 3 settembre 2001 a cura di Vinicio Gasparrone Sfoglio annoiato gli indicatori statistici. Il Superindice americano èpositivo per la quarta volta di seguito. Poi vai a leggere dentro e scopri che è positivo perché è aumentata l'offerta di moneta, sono diminuite le domande di sussidi di disoccupazione, che è sempre più difficile richiedere ecc. ecc .. La produzione è invece in calo per il decimo mese consecutivo. E allora capisci che la recessione deve ancora venire. E che sarà dura. Gli americani sono liberisti finché il dollaro è sopravvalutato e flussi di capitali si riversano a comprare la "mondezza" della new economy. Ma per combattere la recessione ora devono abbassare il dollaro. Un poco, solo un poco, quel tanto che gli basta per recuperare quote di mercato. Se per caso di abbassa un po' di più la frittata è fatta. Devono atterrare tenendo su il muso dell'aereo. Se no è la fine di tutto ... Gli Stati Uniti oggi attirano il 64 % del totale dei flussi netti di capitale, pari al 7,75%, del risparmio mondiale. Se i "mercati' si convincono che il dollaro può scendere assisteremo al più grande deflusso di capitali della Storia... Il liberismo è l'ideologia rovesciata del monopolio monetario e finanziario che l'America impone sul resto del mondo. Comprate quello che volete, basta che lo paghiate in dollari. Fate tutti i debiti che volete, basta che li contraete presso una banca americana e che siano denominati in dollari. Ma questa volta il buco è troppo grosso : 450 miliardi di dollari nel 2000. Nel solo mese di giugno 2001 il disavanzo commerciale è di 29,41 miliardi di dollari. Alzare le spese militari. Questo è l'unico sistema.Investire in armi, venderle, usarle. Distruggere ricchezza e poi ricostruirla : warfare invece di wefflare. Benessere selettivo, keynesismo elitario e quìndi ampiamente giustificato e gradito dai 1iberisti" del Texas. L'unico dubbio è dove. Qui entrano in scena i geopolitici.Attenzione sono una famiglia con strette regole di eugenetìca e filiazione spirituale. Prendiamo Condoleeza Rice,stella emergente nel "clan" dei Bush. 1 suoi mentoris sono il Gen. Brent Scowcroft (consigliere alla sicurezza di papà Bush) e Josef Korbel, che è stato mentore e padre adottivo anche di quella gentildonna che risponde al nome di Madeleine Albright. Korbel era un professore specializzato in "Russia e comunismo", amico di Zbìgnew Brezinski, quello della Grande Scacchiera. Tutti fanno capo a due grandi vecchi della politica estera usa : Kissinger e Huntington, l'autore indimenticabile dello Scontro di civiltà. Zbygniew Brzezinsky, La grande scacchiera: "L'Eurasia occupa la scacchiera sulla quale si svolge la lotta per il dominio sul mondo. La maniera in cui gli Usa "gestiscono" l'Eurasia è di importanza cruciale. Il più grande "continente" sulla faccia del pianeta ne costituisce anche l'asse geopolitico. Qualunque potenza che la controlli, controlla anche due delle tre aree più sviluppate e maggiormente produttive. Il compito più urgente per gli Usa è sorvegliare affinché nessuno stato o gruppo di stati abbia la possibilità di cacciarli dall'Eurasia o anche solo di indebolirne il ruolo di arbitro. Nel 2010, la collaborazione franco-tedesca (polacco-ukraina) potrebbe diventare la colonna portante geostrategica dell'Europa. Ma potrebbe anche presentarsi uno scenario potenzialmente molto insidioso: la nascita di una grande coalizione tra Cina, Russia, e forse Iran, in chiave antiegemonica". Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale: "La guerra del Golfo è stata la prima "guerra tra civiltà" dell'epoca post-guerra fredda. La posta in gioco era stabilire se il grosso delle maggiori riserve petrolifere del mondo sarebbe stato controllato dai governi saudita e degli emirati oppure da regimi indipendenti antioccidentali in grado e forse decisi a utilizzare l'arma del petrolio contro l'occidente. Si assicurò un'imponente presenza militare nel Golfo anche in tempo di pace. Al termine del conflitto, il Golfo Persico era diventato un lago americano. Se avrà seguito, l'ascesa della Cina produrrà nei primi anni del XXI secolo tensioni tremende sulla stabilità internazionale. L'emergere della Cina quale potenza dominante in Asia orientale e sudorientale andrebbe contro gli interessi americani così come questi sono stati storicamente concepiti." Israele è la miccia sempre accesa. Quanto è lunga la miccia e fino a dove può bruciare? La polveriera non è in Medioriente. Il Medioriente al massimo è la seconda parte dellamiccia. La polveriera è in un punto imprecisato della cosiddetta area "turanica"(Iran, Afghanistan, Tagikistan, Khirghisistan Azerbaijan, Uzsbekistan, Pakistan) : da secoli il ventre molle della Russia; ma (attenzione) è il ventre molle anche della Cina. Dalle etnie Uigure (turche) si risale verso lo Xin Xiang: il più grande bacino minerario e petrolifero del mondo. Da lì si controlla tutta l'Eurasia. Si controllano "corridoi" del terzo millennio. Da lì - da quei "corridoi eurasiatici" - passano gli oleodotti. Da lì passano le vie della droga. Da lì passano i mercanti di "schiavi" che riforniscono le industrie e i commerci di tutto il mondo. 1 democratici di Clinton avevano preferito la più nota "via dei Balcani". Puntavano anche loro verso il centro dell'Eurasia, ma volevano arrivarci con le bandiere della "democrazia", la Nato, gli europei. E soprattutto non volevano problemi con la Cina. Anzi volevano "pacificare" tutto il Pacifico. Bush no. Ha bloccato qualsiasi accordo sulla riunificazione delle Coree, ha ripreso le "guerre stellari" .... "Octopus"come viene chiamato il complesso militare di spionaggio e droga (intelligence, dicono) che da oltre 40 anni governa la politica estera americana punta verso l'Eurasia. Da troppo tempo per mollare la presa oggi. E arrivò l'11 settembre ...... IlSole24ore,18-9-01 ANALISI Sull'Afghanistan dei talebani convergono gli interessi strategici legati a oleododdi e gasdotti Kabul siede sulle vie del greggio di Roberto Capezzuoli Il petrolio è la materia prima i cui scambi sovrastano quelli di ogni altro prodotto di base. Il volume d'affari dei combustibili nel commercio internazionale rappresenta, in valore, più del 50% del volume che si registra per tutte le commodity nel loro complesso. Le direttrici dell'oro nero e del gas naturale sono quindi altrettanto importanti del petrolio stesso. Questa è, da sempre, la chiave che consente di dare spiegazioni a guerre senza fine, combattute in Paesi che spesso sono poverissimi e privi di risorse. Essa fornisce anche spiegazioni al periodico affacciarsi di nazioni come l'Afghanistan sul proscenio della politica internazionale. Gli oleodotti (e naturalmente anche i gasdotti) sono un impareggiabile mezzo di trasporto per le aree che non hanno sbocco al mare, accorciano le distanze tra i pozzi e le attrezzature portuali, danno garanzie di durata e, normalmente, anche di economicità di gestione. Sono però "vie" poco flessibili, esposte alle alterne vicende geopolitiche, soggette a possibili attentati. Ma il loro valore è immenso, perchè oltre a trasportare le principali fonti di energia sono in grado di modificare proprio la sudditanza dalle alternative politicamente scomode, o comunque vulnerabili. E' un interesse economico quello che guida i tracciati delle grandi vie del petrolio. Ma è soprattutto un interesse strategico. Proprio in questo contesto Kabul - città rasa al suolo più volte, poverissima, con le sue donne coperte dal bourqa e con la legge islamica che abbatte statue e rifiuta la tv - gioca nello scacchiere internazionale un ruolo tutt'altro che nuovo. Da secoli l'Afghanistan è considerato dai russi il naturale sfogo verso i mari caldi, per evitare le forche caudine del Bosforo, troppo facili da chiudere, strozzando l'economia russa e costringendola, come alternativa, a fare i conti con i mari ghiacciati dell'estremo Nord. Per secoli il paese è stato anche l'ambizione degli inglesi, desiderosi di uno sbocco verso le aree dell'Asia centrale, dove le frequenti lotte tra etnie diverse lasciavano (e lasciano) spazi a una colonizzazione indiretta. Come è noto le invasioni finora hanno avuto, per l'occupante, un esito disastroso. Ma non abbastanza per cancellare l'Afghanistan dall'elenco dei progetti strategici. La posta in gioco sono le strade del greggio e del gas, e non da ieri (si veda <Il Sole-24 Ore> del 10 maggio scorso). La Russia, indebolita ma desiderosa di tenere il controllo sulle frontiere asiatiche, vede ancora nell'Afghanistan un nodo importante, come all'epoca dell'invasione di Breznev. Gli Stati Uniti, oggi con gli occhi puntati sul paese asiatico per ben altri motivi, sono forse ancor più interessati da un punto di vista economico e strategico a Kabul, che potrbbe ospitare una pipeline capace di aggirare la Russia e di evitare l'Iran, conducendo gas e petrolio dal Turkmenistan e dalle altre repubbliche ex-sovietiche verso il Pakistan o verso l'India, e poi verso il mare, senza quindi affrontare i nodi politici di paesi di cui Washington ha buone ragioni per diffidare. Sicuramente anche la Cina, reduce da un patto di non aggressione con Mosca, ha suoi piani precisi sulla struttura più vantaggiosa da dare all'area, e tutto ciò anche se finora nessuno ha trovato in Afghanistan giacimenti di petrolio, di gas, e nemmeno di oro e di pietre preziose. Per gli Stati Uniti una pipeline che tagli fuori Caucaso e Iran costituirebbe l'affrancamento dai rifornimenti di greggio provenienti dal Golfo Persico. Una considerazione che difficilmente sarà trascurata, anche in questi frangenti. La via migliore per una condotta, che sembrava passare per Herat, è oggi saldamente controllata dai Talebani, anzi, è stata la loro prima grande conquista, non a caso. Però non sono all'orizzonte alternative al regime pashtun, quello che è oggi al potere a Kabul, e nemmeno in caso di guerra dichiarata si può prevedere una stabilità politica che restituisca vigore ai giochi nell'area. Un oleodotto infatti non è investimento di poco conto. Leonardo Maugeri, nel suo recente libro <Petrolio>, ricorda che il prezzo medio di un oleodotto è di un milione di dollari al chilometro, stazioni di pompaggio e valvole comprese, ma può salire di molto se la zona è geograficamente impervia. Non costituisce invece un problema la lunghezza: l'oleodotto "dell'Amicizia", che collega il Volga russo alla Germania, ha una portata di 1,4 milioni di barili al giorno ed è lungo più di 2mila chilometri, mentre la pipeline che dalla città canadese di Edmonton conduce a Chicago arriva a 3mila chilometri. Quel che è da ridurre ai minimi termini è invece il rischio di furti e di sabotaggi. Forse è anche su questi interrogativi che si sviluppano oggi le considerazioni dei vertici economici e militari americani, che per garantirsi un appoggio russo o pakistano rischiano di dover concedere ad altri il controllo delle highway del petrolio.
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