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All'universita' di Berkely torna in piazza il pacifismo
- Subject: All'universita' di Berkely torna in piazza il pacifismo
- From: Paola Lucchesi <paola.lucchesi at mail.inet.it>
- Date: Wed, 26 Sep 2001 20:19:11 +0200
(purtroppo chi ha inviato questo articolo ad un'altra listaa si e' dimenticato di citare il giornale da cui l'ha tratto...) >Gli studenti sfilano dove nacque la contestazione del '64 >"Occhio per occhio e il mondo diventa cieco" > >All'università di Berkeley torna in piazza il pacifismo >Si diffonde la voce di un ritorno alla leva obbligatoria >Non è vero ma i ragazzi hanno paura > >dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI > >---------------------------------------------------------------------------- >---- > BERKELEY - Mentre l'America si avvolge nella bandiera nazionale, qui a >Berkeley l'hanno tolta dai camion dei pompieri. Per evitare quello che >successe nel 1991 durante le manifestazioni contro la Guerra del Golfo, >quando gli studenti assalirono i vigili del fuoco? "Il clima politico a >Berkeley è diverso, dobbiamo pur tenerne conto" si giustifica il capo dei >pompieri locali Rick Guzman, sommerso dalle polemiche. È vero: l'università >californiana che inventò la contestazione nel 1964 e fece da modello per il >Maggio '68 parigino, è tornata in pochi giorni al centro di un nuovo >movimento pacifista che dilaga a macchia d'olio nei campus americani. > >Qui la più grossa manifestazione ha mobilitato 12.000 studenti. In testa al >corteo un grande striscione con le parole di Gandhi "Occhio per occhio: e il >mondo diventa cieco". Come ai tempi delle manifestazioni contro la guerra in >Vietnam, gli studenti cantano "One, two, three, four, we don't want another >war! Five, six, seven, eight, stop the violence, stop the hate!". > >Non passa giorno senza che un corteo attraversi le vie alberate di questo >enorme campus a 20 chilometri da San Francisco. In tutta la Baia >improvvisamente fioriscono i dibattiti politici, le firme di appelli, i >concerti per la pace. Di colpo si è ricreata una magica intesa fra leader >religiosi, militanti di lunga data delle tante organizzazioni terzomondiste >californiane, e una nuova generazione di giovani che hanno scoperto la >politica per uno shock istantaneo, di fronte alla strage terroristica >dell'11 settembre. "Chi andremo a colpire? - si chiede sfilando in corteo lo >studente Paul George - Che cosa chiameremo giustizia?". > >Sembra quasi impossibile che la memoria storica di questa università >riaffiori così in fretta: eppure gli anni Sessanta sono davvero lontani. >Questi ragazzi che oggi manifestano a Berkeley hanno studiato la guerra del >Vietnam sui manuali scolastici. Ai tempi del conflitto contro Saddam >Hussein, erano alle elementari. Oggi la loro prima preoccupazione, come per >i loro padri ai tempi del Vietnam, è di autodifesa e sopravvivenza. > >Nonostante tutte le smentite ufficiali, gira di bocca in bocca la voce di un >(improbabile) ritorno alla leva obbligatoria. E hanno paura. È vero che nel >clima patriottico sono aumentate le domande di arruolamento nell'esercito. >Ma per lo più accorrono quarantenni, spesso già troppo vecchi per >combattere. > >Le differenze con gli anni Sessanta ci sono eccome. Intanto qui nessuno >dimentica il punto di partenza, la tragedia che l'11 settembre ha cambiato >il mondo: 6.000 civili americani morti ammazzati. Le stesse manifestazioni >studentesche sono cominciate come veglie funebri, in solidarietà con le >vittime. Poi hanno preso una piega diversa. Ma ancora oggi questo non è un >movimento antiUsa e neppure ipocritamente "equidistante" fra America e >terrorismo. La parola d'ordine che meglio lo rappresenta è lo slogan che >rimbalza dai dibattiti alle manifestazioni, "Restrained Response": reazione >contenuta. > >Spesso i professori di Berkeley, ex sessantottini, sono più a sinistra dei >loro studenti e si candidano al ruolo di coscienze critiche del movimento. >Uno di questi docenti, Robert Lovato, ha raccontato gli interrogatori a cui >sottopone i suoi allievi: "Sapete situare il Pakistan su un mappamondo? >Avete idea di cosa sia una guerra?" > >Ieri a Berkeley si sono riuniti in tremila sulla Sproul Plaza per ascoltare >la testimonianza di uno studente, Yes Duffy, 22 anni. Sua zia, Renee Newell, >lavorava per l'American Airlines. Era sul volo numero 11, si è schiantata >contro una torre del World Trade Center. "I terroristi hanno ucciso mia >zia - ha esordito Duffy in un silenzio di tomba - ma quando accendo la tv >vedo le sigle degli speciali che dicono: l'America in guerra. Il mio >cuginetto non ha più la sua mamma. Ma io non voglio che altri bambini in >altri paesi debbano dire: l'America ha ucciso mia madre, mio padre". > >Berkeley è la punta avanzata ma questa mobilitazione dilaga in tutte le >università: San Francisco City College, Santa Clara University, perfino la >privata Stanford è coinvolta; dalla East Coast arrivano le notizie di tante >manifestazioni simili. Qui nella Baia il movimento ha anche la sua stazione >radio di riferimento, la Kgo dalle cui onde Bernie Ward lancia una >requisitoria: "Credo che oggi è nostro dovere chiederci che cosa hanno fatto >gli Stati Uniti per provocare la rabbia di tanti popoli del mondo contro di >noi. La mia è una domanda, solo una domanda. Ma perché non se la pongono i >nostri leader, quelli che stanno per prendere gravi decisioni?". > >Berkeley-Oakland è il collegio elettorale rappresentato dall'unica >parlamentare che ha votato contro i poteri di guerra a Bush. La voce di >Barbara Lee, donna nera di 55 anni, è risuonata solitaria al Congresso >contro i 420 sì dei suoi colleghi parlamentari: "Un'azione militare non >impedirà nuovi atti di terrorismo internazionale negli Stati Uniti. Stiamo >attenti a non avventurarci in una guerra dai tempi indefiniti, senza avere >un bersaglio preciso né una strategia di uscita". > >Qui in California la sua non è una posizione estrema. Ieri un sondaggio del >Field Institute ha rivelato una preoccupazione diffusa tra i californiani: >il 46% è preoccupato che "il governo esagererà nelle misure antiterrorismo e >potrebbe limitare troppo le libertà personali". > >In tutte le università californiane, le più multietniche del mondo, uno dei >timori è che si crei un clima di sospetto indiscriminato contro arabi e >musulmani. L'organizzazione terzomondista Global Exchange di San Francisco >sta distribuendo dei manifesti gialli con su scritto "Hate Free Zone", zona >libera dall'odio: da regalare ai negozianti di origine mediorientale perché >li appendano alle vetrine, contro atti di vandalismo o di ostilità. > >Nei campus cresce l'allarme per la voce - non infondata - che >l'Amministrazione Bush voglia restringere la concessione di visti agli >studenti stranieri, dopo le rivelazioni sulla storia dei dirottatori. Fanno >paura anche le nuove leggi di sicurezza che il ministro della Giustizia >vuole varare in tempi rapidi: le forze di polizia potrebbero arrestare a >tempo indeterminato o deportare un cittadino straniero sulla base di >sospetti di terrorismo, senza dover passare al vaglio della magistratura. I >californiani ricordano le rivelazioni sul trattamento subito proprio in >questo Stato dagli immigrati giapponesi e italiani dopo Pearl Harbor: campi >di prigionia, espropri, vessazioni. > >Nessuno oggi pensa seriamente che l'America possa ripetere quegli errori >della seconda guerra mondiale, di cui ha fatto ammenda. Ma intanto si >segnalano già molti casi di studenti arabi che hanno fatto le valigie in >fretta e furia, da qualche giorno abbandonano l'università per tornarsene a >casa. Se dovesse andare così, i terroristi avranno un'altra vittoria, perché >un'America senza di loro sarà più povera di prima. > >(22 settembre 2001)
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