Emergency contro la guerra



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notizie inviate: 1



Mercoledi 19 Settembre 2001 ore 06:55 PM
argomento: Afganistan  fonte: ketty agnesani   Sede

Emergency: dalla parte delle vittime

Ciao a tutti,

nell’ultima news vi abbiamo comunicato, in fretta e furia e senza
spenderci troppe parole, la nostra imminente partenza per l’Afganistan
(quella di Gino Strada, per la precisione, insieme con Kate Rowlands,
la responsabile del nostro programma in Afganistan).

A qualche giorno di distanza possiamo confessarvi quanto questa
decisione ci sia pesata e ci abbia preoccupato, perchè siamo tutti
consapevoli di quanto possa essere più pericoloso che mai, in questo
momento, trovarsi in Afganistan.

Sono stati giorni tremendi, quelli, ed eravamo tutti sconvolti per
quanto era appena accaduto a New York e Washington. In molti hanno
detto parole importanti per descrivere emozioni e sentimenti che anche
noi provavamo, e non vogliamo aggiungerne altre, di parole. Vi
raccontiamo fatti che ribadiscono e riconfermano i valori che fondano
le attività di Emergency.


Non abbiamo potuto impedire a Gino e a Kate di "andare a dare man
forte" ai 4 membri internazionali dello staff medico e agli oltre 100
dipendenti afgani che lavorano nel nostro ospedale di Anabah. Quindi
sono partiti per Islamabad, in Pakistan (dove sono stati raggiunti da
Yussuf, l’infermiere che era nel nostro ospedale di Kabul tuttora
chiuso), determinati a raggiungere il nostro ospedale nel nord. La
chiusura dei voli delle Nazioni Unite e delle frontiere afgane glielo
stanno impedendo, ma siamo sicuri che troveranno una strada
alternativa, probabilmente quella delle montagne.


Abbiamo detto che "non abbiamo potuto" impedirlo, ma forse non abbiamo
neanche voluto.

I volti sconvolti nel centro di Manhattan sono uguali a quelli che
abbiamo conosciuto nei paesi in cui i bombardamenti e le mine antiuomo
interrompono improvvisamente o sospendono per lunghi anni l’illusione
di poter vivere il quotidiano. Vittime civili della barbarie, appunto.
Tutte. Dovunque.

La decisione di sostenere ancora di piu’ le donne, gli uomini e i
bambini dell’Afganistan deriva dalla pura constatazione di una
condizione che li rende ancor piu’ tragicamente vittime: sono soli,
non hanno attestazioni di solidarietà, pagano il costo di una
scorretta identificazione con chi ha occupato con la forza il loro
paese, non si possono permettere il lusso di manifestazioni pacifiste
(in altri paesi abbiamo visto fugaci espressioni di tripudio per la
tragedia americana: ne siamo rimasti sconvolti e insieme abbiamo
provato un’enorme pena).

Ma la prossima mossa dev’essere solo per la pace. I "nostri" che sono
partiti non si sentivano certo eroi. Vanno a fare il loro lavoro.
Hanno chiesto che noi, a nostra volta, intensifichiamo l’impegno
perchè si allarghi a macchia d’olio la consapevolezza che alla
barbarie non si puo’ rispondere con altrettanta barbarie; che non
debbano mai essere i civili a pagare le colpe di pochi potenti; che
alla pace non si puo’ arrivare attraverso la guerra e l’uso
indiscriminato della forza e delle armi; che quello in cui vogliamo
vivere è un mondo in pace e non un mondo in guerra.

Una nostra amica ci ha riproposto una considerazione di Herman Hesse
datata 1927 ma tragicamente attuale «...ma nessuno vuole riflettere,
nessuno vuole evitare la prossima guerra, nessuno vuol risparmiare a
se' e ai propri figli il prossimo macello di milioni di individui.

Rifletterci un'ora, chiedersi un momento fino a qual punto ognuno è
partecipe e colpevole del disordine e della cattiveria del mondo:
vedi, nessuno vuol farlo.

E così si andrà avanti e la prossima guerra è preparata giorno per
giorno con ardore da molte migliaia di uomini.

[....]

Non ha scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli, non ha scopo
rimuginare in testa pensieri di bontà: per due o tre persone che lo
fanno ci sono in compenso ogni giorno migliaia di giornali e di
riviste e discorsi e sedute pubbliche e segrete che vogliono il
contrario e lo ottengono.»

H. Hesse, Il Lupo della steppa, 1927


Ma, nonostante il pessimismo della ragione, vogliamo credere che abbia
scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli. Vogliamo continuare
a credere che le voci che chiedono la pace siano tante e ottengano di
essere ascoltate.








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Allistante 1.0 - Sistema di Informazione
Autore: Donato Apollonio - mailto:info at allistante.it
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