[Nonviolenza] Telegrammi. 4896



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4896 del 15 luglio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. "Contro la guerra". Un incontro di riflessione a Viterbo con Paolo Arena
2. Giuseppe Vacca: Antonio Gramsci (2002) (parte seconda)
3. Una minima notizia su Leonard Peltier
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. "CONTRO LA GUERRA". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO CON PAOLO ARENA

La sera di giovedi' 13 luglio 2023 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", si e' tenuto un incontro di riflessione sul tema: "Contro la guerra, salvare le vite".
All'incontro ha preso parte Paolo Arena.
*
Una minima notizia su Paolo Arena
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it

2. REPETITA IUVANT. GIUSEPPE VACCA: ANTONIO GRAMSCI (2002) (PARTE SECONDA)
[Dal sito www.treccani.it riproponiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Egli diresse L'Ordine nuovo quotidiano fino al maggio 1922 quando fu inviato a Mosca per rappresentare il partito presso l'Internazionale. Ma anche a Mosca, dove trascorse lunghi mesi in sanatorio, fino alla meta' del 1923 non si distacco' da Bordiga. L'opposizione del G. alla nuova tattica del Komintern era condizionata dalla visione del processo rivoluzionario maturata nel biennio 1919-20; il documento piu' significativo in tal senso e' l'intervento all'esecutivo allargato del Komintern del giugno 1923, nel quale il G. si opponeva alla fusione con i "terzini" voluta dall'Internazionale comunista dopo la scissione dei riformisti.
Intanto, nell'agosto 1922, conclusi i lavori della II Conferenza dell'esecutivo allargato dell'Internazionale comunista, il G., nel sanatorio di Serebrjanyj Bor nelle vicinanze di Mosca, aveva incontrato Julija (Giulia, Jul'ka, Iulca) Schucht, sua futura moglie, da cui ebbe i due figli Delio e Giuliano.
Figlia di Apollon A. Schucht (un "nobile senza patrimonio", oppositore antizarista, funzionario bolscevico e amico personale di Lenin), Giulia era nata nel 1896 a Ginevra e aveva studiato a Roma dove, nel 1915, si era diplomata in violino presso l'Accademia di S. Cecilia. Iscritta dal settembre 1917 al partito bolscevico, aveva partecipato, insieme con la famiglia, alla Rivoluzione d'ottobre e dal 1920 si era trasferita a Ivanovo-Voznesenk dove, al momento dell'incontro con il G., lavorava come segretaria di sezione della direzione del Sindacato dei lavoratori delle arti.
La relazione con la Schucht e' uno dei capitoli piu' importanti della biografia gramsciana: tra il G. e la famiglia di lei si sviluppo' nel tempo un legame destinato a essere parte rilevante del complesso intreccio di rapporti e di conflitti con il PCd'I, con il partito russo e con il Komintern che segnarono la vita del dirigente italiano nel carcere di Turi.
La "scelta larghissima" dei testi gramsciani raccolti nella prima edizione delle Lettere dal carcere, preparata da Togliatti con F. Platone, lasciava appena intuire i contorni di un rapporto matrimoniale e familiare che, anche a causa delle omissioni decise da Togliatti, appariva scandito e dolorosamente segnato dalla malattia e dalla lontananza di Giulia, mitigata dalla presenza assidua e affettuosa della sorella di lei Tatiana (Tania). Le successive edizioni delle lettere (Milano 1964; Torino 1965) restituivano il versante affettivo del rapporto con Giulia ma suscitavano interrogativi senza risposta sulle cause dei lunghi silenzi di lei negli anni del carcere che, come scrisse il G. nel 1931, avevano "contribuito ad aggravare il mio isolamento, facendomelo sentire piu' amaramente". L'epistolario del G., i carteggi a esso correlati, le fonti testuali conservate negli archivi ex sovietici permettono oggi di documentare quell'intreccio indissolubile tra dimensione privata e dimensione politica che caratterizzo' l'intera vicenda sentimentale e coniugale del Gramsci. Le differenze di carattere, di sensibilita', di modelli educativi e comportamentali - che si acuirono drammaticamente negli anni del carcere - sono evidenti fin dai primi tempi del rapporto e sono testimoniate dalle lettere del periodo 1922-26. Il nodo attorno al quale si complico' fin dall'inizio il dialogo con Giulia era determinato dall'incapacita' del G. di tenere separate la sfera affettiva e quella intellettiva, e dalla scelta di individuare il punto di forza del rapporto affettivo con la moglie nella condivisione del lavoro intellettuale e politico. Da Giulia, invece, questo atteggiamento era sofferto come una intollerabile coercizione alla sua volonta', un impedimento allo sviluppo libero e autonomo della sua personalita'.
Ma furono gli incarichi di lei nelle strutture del partito russo, in particolare il lavoro svolto in quelle della polizia politica dal 1924, a determinare quei condizionamenti al rapporto sentimentale - per esempio l'impossibilita' di vivere insieme a Vienna - dei quali, fino al novembre 1926, il G. e Giulia ebbero piena consapevolezza, considerandoli limitazioni imposte dal lavoro politico alla vita privata che comunque venivano accettate. Solo nel 1930 - dopo che erano intervenuti il fallimento di alcuni tentativi di liberazione attraverso uno scambio di prigionieri fra il governo sovietico e quello italiano e la svolta imposta alla linea del partito italiano dal VI congresso e dal X plenum dell'Internazionale comunista - i primi sospetti del G. sul comportamento del partito italiano si saldarono all'intuizione dell'esistenza di difficolta' diverse dalla malattia nella corrispondenza della moglie. Nel maggio, egli affrontava apertamente l'argomento in una lettera a Tatiana. Le rassicurazioni contenute nelle lettere della cognata saranno una conferma indiretta dei sospetti del G.; da Tatiana soprattutto arrivo' la rivelazione dell'ostilita' violenta manifestata dalla maggiore delle sorelle Schucht, Eugenia, nei confronti del legame coniugale di Giulia. Il G. scopri' cosi' uno scenario insospettato dei rapporti familiari a Mosca, determinato - come suggeriscono le nuove fonti documentarie - non tanto dalla acritica condivisione delle accuse politiche contro di lui che circolavano negli ambienti del Komintern e del partito russo, quanto dal timore degli Schucht di vedere accresciute le difficolta' che si trovavano ad affrontare nella Russia staliniana a causa dei rapporti politici e di amicizia che li avevano legati a Lenin e alla sua famiglia. Pur a conoscenza delle difficolta' e dei pesanti condizionamenti ai quali erano sottoposti Giulia e i suoi familiari a Mosca, solo dal febbraio 1933 il G. collego' apertamente lo stato dei rapporti con Giulia alla coscienza di essere ormai ai margini del partito ed espresse i sospetti sul legame strettissimo tra questo stato di cose e l'agire della moglie. Nonostante la lontananza, i silenzi, i sospetti, il G. non manifesto' la volonta' di distaccarsi da Giulia: tra le carte che riguardano l'ultimo anno della sua vita e' presente la minuta, manoscritta da P. Sraffa, datata 18 aprile 1937, della domanda che, una volta libero, egli avrebbe indirizzato alle autorita' italiane, chiedendo di poter espatriare in Unione Sovietica per ricongiungersi con Giulia e con i figli.
Nel maggio 1923, da Mosca, il G. avviava un carteggio con Togliatti, Terracini e Scoccimarro con l'intento di formare, intorno al vecchio nucleo "ordinovista", un nuovo gruppo dirigente del partito. Cominciava cosi' il suo impegno di direzione politica, interrotto dall'arresto l'8 novembre 1926.
Ai partiti comunisti nazionali, nella nuova congiuntura di relativa stabilita', era assegnato il compito di inquadrare nazionalmente la classe operaia e di raccogliere le forze in attesa di una nuova ondata rivoluzionaria. Era maturata la consapevolezza che, quand'anche questa avesse assunto l'irruenza e la simultaneita' del dopoguerra, avrebbe presentato problemi nuovi e diversi in ciascun paese, e cio' domandava ai partiti comunisti la capacita' di divenire un fattore attivo della politica nazionale e di conoscere a fondo le particolarita' dello sviluppo capitalistico e della struttura del potere nei rispettivi paesi. Nell'Internazionale il rifiuto della "tattica di fronte unico" aveva condotto il PCd'I in un vicolo cieco: esso era schierato con la minoranza di sinistra del Komintern e Bordiga mirava a farne il centro propulsore di essa. L'Internazionale comunista non poteva fare altro che cercare di "spezzargli le reni" (Gramsci). D'altro canto, l'assoluta mancanza d'iniziativa della direzione bordighiana aveva ridotto il partito al ruolo di "frazione esterna" del PSI, senza alcuna prospettiva. Nella situazione creata dal fascismo tale condizione era insostenibile. Per contro, in una fase di "stabilizzazione relativa" del capitalismo il G. ora riconosceva nel "fronte unico" la sola tattica che consentisse al partito di perseguire una linea di massa e di sviluppare un'iniziativa politica. La revisione, quindi, andava portata a fondo, fino a mettere in discussione le modalita' della scissione di Livorno. Ripensata dal punto di vista internazionale, essa era consistita nel "distacco della maggioranza del proletariato italiano dall'Internazionale comunista" e aveva favorito "il piu' grande trionfo della reazione" (Togliatti, La formazione del gruppo dirigente..., p. 102). Dal punto di vista nazionale "fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della societa' italiana" (ibid., p. 357).
D'altro canto, il centralismo del Komintern e l'inevitabile predominio in esso del gruppo dirigente russo facevano si' che la "tattica di fronte unico" avesse assunto caratteri astrattamente normativi, che non avevano aiutato i partiti comunisti a diventare fattori attivi della politica nazionale. Essi invece dovevano procedere a una "ricognizione nazionale" delle condizioni della rivoluzione proletaria e questo era un compito assolutamente autonomo di cui ciascun partito era responsabile. A tal fine il G. fissava innanzi tutto le differenze fra la Rivoluzione russa e la rivoluzione italiana, inserendole in una riflessione piu' ampia sulle differenze morfologiche fra Oriente e Occidente. Riprendendo il filo della sua riflessione sul nesso fra produzione e politica il 9 febbraio 1924, da Vienna - dove era giunto, proveniente da Mosca, nel dicembre 1923 -, scriveva a Togliatti e Terracini: "La determinazione, che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all'assalto rivoluzionario, nell'Europa centrale e occidentale si complica per tutte queste superstrutture politiche, create dal piu' grande sviluppo del capitalismo, rende piu' lenta e prudente l'azione della massa e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben piu' complessa e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo ed il novembre 1917" (ibid., p. 197). Era posto cosi' un tema che avrebbe avuto il piu' ampio sviluppo nei Quaderni, quello del passaggio dalla "guerra manovrata", che aveva avuto un'applicazione vittoriosa in Russia, alla "guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente".
Il mutamento di paradigma poneva al partito la necessita' di elaborare una propria visione della storia d'Italia e di studiare i modi in cui si era formata e operava l'egemonia della borghesia capitalistica. Naturalmente questo studio era indisgiungibile dallo sviluppo dell'azione politica. Il fascismo al potere non era ancora consolidato, ma procedeva velocemente nell'instaurazione - prima esperienza europea del dopoguerra - di un regime autoritario di nuovo tipo. Questo creava "un dilemma molto crudo e tagliente: quello della rivoluzione in permanenza e della impossibilita' non solo di cambiar forma allo Stato, ma semplicemente di mutar governo altro che con la forza armata" (ibid., pp. 152 s.). A tal fine il G. si proponeva di definire il campo di azione del partito attraverso lo studio della societa' italiana e individuava nel Mezzogiorno la parte del paese piu' duramente sacrificata dal fascismo, che pertanto sarebbe potuta diventare la sua "fossa" oppure "il maggior serbatoio e la piazza d'armi della reazione nazionale e internazionale" (ibid., p. 201).
Quindi il G. si domandava se la parola d'ordine del "governo operaio e contadino", che il Komintern aveva lanciato come traduzione operativa della "tattica di fronte unico", ma che finora non aveva avuto determinazioni concrete, non dovesse essere adattata alla situazione italiana e riformulata in quella di "Repubblica federativa degli operai e dei contadini", prevedendo la "possibilita' di fare alcune concessioni di carattere politico a queste popolazioni" (ibid., p. 225).
A ogni modo, la questione meridionale doveva diventare il centro del programma del partito e, sia per conoscere meglio l'Italia, sia per dare plastica evidenza alla "funzione nazionale" che esso intendeva far assolvere alla classe operaia, nel gennaio 1924 il G. fondo' un nuovo quotidiano scegliendo come testata l'Unita' (sottotitolo, "giornale degli operai e dei contadini").
Per combattere il fascismo era necessario seguirne attentamente le crisi interne, gli spostamenti e le lotte che si sviluppavano fra le sue componenti, e saper trovare punti di contatto con le altre forze antifasciste. A tal fine, nel marzo 1924, il G. proponeva al partito di far propria la parola d'ordine dell'Assemblea costituente, sostenuta dal movimento politico diretto da Giovanni Amendola, e poneva il problema della lotta per la democrazia (ibid., pp. 245 s.). Naturalmente, essa rimaneva iscritta in una prospettiva rivoluzionaria, volta, cioe', a creare le condizioni della "dittatura del proletariato".
Adeguando la precedente interpretazione antigiacobina di questa formula alla situazione attuale, il G. prevedeva che, anche alla ripresa di una fase rivoluzionaria (che nel febbraio 1924 egli riteneva possibile a breve), il PCd'I sarebbe stato "ancora minoranza, che la maggioranza della classe operaia" avrebbe seguito i riformisti "e che i borghesi democratici liberali" avrebbero avuto "ancora da dire molte parole". Quindi, diversamente dalla Russia del 1917, in Italia la "rivoluzione in permanenza" sarebbe stata un periodo denso di "fasi intermedie", nel quale avrebbe avuto "il sopravvento quel partito che meglio [avesse] capito questo processo necessario di transizione" (ibid., pp. 200, 246).
Nelle elezioni del 6 aprile 1924 il G. fu eletto deputato nel Veneto e in maggio rientro' da Vienna in Italia. In agosto fu eletto segretario dal comitato centrale del partito, nel pieno della crisi Matteotti. Il suo maggior impegno fu quello di avviare, sulla linea del V congresso del Komintern (giugno 1924), la "bolscevizzazione" del partito, cioe' la sua riorganizzazione sulla base di cellule di fabbrica, e di costituire un organismo per la sua penetrazione fra i contadini. Al tempo stesso egli conduceva il partito a distinguersi dal blocco delle opposizioni aventiniane con la proposta che esse si costituissero in "antiparlamento" e lottassero per ottenere il disarmo delle camicie nere e abbattere il governo con la proclamazione di uno sciopero generale. Inoltre, il PCd'I proponeva di armare il proletariato e lanciava la parola d'ordine di un "governo operaio e contadino". L'Aventino si risolse in un fallimento, il PCd'I resto' isolato sulle sue posizioni e nel gennaio 1925 la crisi Matteotti si chiuse con il rafforzamento del regime.
Il maggior impegno del G. fu quindi quello di sconfiggere le posizioni bordighiane, che erano ancora molto radicate nel partito, di inserire i "terzini" che in agosto, Serrati per primo, vi erano confluiti e di preparare, in condizioni di quasi completa illegalita', il III congresso del PCd'I che si tenne a Lione nel gennaio 1926.
Le "tesi di Lione" costituiscono un documento singolare nella letteratura dei partiti. Nella prima parte esse contengono un vero e proprio saggio, sia pure sintetico, sulla storia politica italiana dall'Unita' in poi e un abbozzo di analisi della "struttura della societa' italiana". La loro originalita' era nell'assunzione della questione meridionale come tema centrale del programma del partito. La "funzione nazionale" della classe operaia veniva quindi individuata nella capacita' di risolvere il problema del dualismo italiano, dando al paese quella solida unita' che la borghesia capitalistica non era riuscita a creare e avviando a soluzione il problema della sua debole competitivita' internazionale. La chiave di volta era indicata nell'alleanza fra gli operai del Nord e i contadini del Sud. Infatti, il G. rivendicava a merito del PCd'I l'aver compreso, diversamente dal partito socialista, che "i contadini meridionali [erano], dopo il proletariato industriale e agricolo del Nord, l'elemento sociale piu' rivoluzionario della societa' italiana" (La costruzione del partito comunista, p. 10). A questa conclusione egli giungeva sulla base di un'analisi dello sviluppo capitalistico italiano secondo la quale "economicamente e politicamente tutta la zona meridionale e delle isole funziona come un'immensa campagna di fronte all'Italia del Nord, che funziona come un'immensa citta'". Nell'Italia meridionale questo determinava "il formarsi e lo svilupparsi di determinati aspetti di una questione nazionale". Vale a dire, il Mezzogiorno fungeva da "colonia" interna del capitalismo italiano e, come nelle rivoluzioni anticoloniali, la liberazione dei contadini meridionali poteva raggiungersi soltanto attraverso un'alleanza con il proletariato industriale del Nord volta a determinare un mutamento delle classi dominanti e della classe dirigente.
Queste linee d'analisi scaturivano dall'approfondimento dell'indagine sul fascismo, che per un verso veniva considerato il continuatore del blocco protezionista e nordista che aveva dominato l'Italia dall'Unita' in poi, e per l'altro presentava significative novita'. Esse erano individuate nella base di massa del Partito nazionale fascista (PNF), costituita dalla piccola borghesia inquadrata per la prima volta in una formazione politica unitaria, e nella necessita' di procedere a una trasformazione autoritaria dello Stato, basata sulla identificazione di Stato, governo e partito unico.
Il 1926 segno' una ripresa della crisi economica e in Europa fu un anno di grandi sommovimenti operai, a cominciare dal lungo sciopero generale inglese. Questo indusse il G. a ipotizzare che il periodo della "stabilizzazione relativa" stesse per terminare. Tuttavia, anticipando un tema che avrebbe approfondito nei Quaderni, egli rifiutava l'idea che le crisi economiche potessero generare una situazione rivoluzionaria paragonabile a quella del 1917.
Nei paesi periferici dello sviluppo capitalistico, fra i quali vi era l'Italia, la capacita' di resistenza dello Stato era indebolita dalla presenza di "un largo strato di classi intermedie" capaci di influenzare politicamente e ideologicamente larghi strati del proletariato e soprattutto le masse contadine, ma a loro volta influenzabili da questi qualora si fossero mostrati capaci di "iniziativa storica". Dinanzi al riemergere della crisi economica si poneva quindi il problema di saldare lotta al fascismo e lotta al capitalismo elaborando obiettivi politici "intermedi" e creando nuove forme di organizzazione. Nelle tesi di Lione essi erano sintetizzati nella parola d'ordine: "Assemblea repubblicana sulla base di Comitati operai e contadini; controllo operaio sull'industria; terra ai contadini" (La costruzione..., p. 520). Si delineava cosi' una politica di alleanze molto ampia, con la quale pero' stridevano sia l'idea che il partito comunista dovesse essere il partito di "una sola classe" (il proletariato industriale), sia la sua contrapposizione a tutti gli altri partiti, anche di sinistra e di centro, considerati a vario titolo tutti "reazionari" e compromessi col fascismo. La "fase intermedia" doveva essere condotta in modo da disgregare le forze politiche alleate mostrandone i limiti e le incongruenze nella opposizione al fascismo. Rispetto alla complessa articolazione analitica delle forze sociali e della forze politiche, la previsione di poter sottrarre loro il consenso "smascherandone" i capi era quanto mai improbabile.
L'"egemonia del proletariato", categoria centrale nel dibattito interno al gruppo dirigente bolscevico fra 1923 e 1924, assunta dal G. per procedere alla bolscevizzazione del partito, esigeva ben altri approfondimenti. In particolare, andava approfondito il tema delle "superstrutture complesse" che facevano la principale differenza fra Oriente e Occidente, e fra gli stessi paesi capitalistici. Emergeva con forza "la quistione politica degli intellettuali" e non a caso, data la conformazione dello Stato italiano, il tema veniva affrontato per la prima volta nello scritto sulla questione meridionale. Elaborato nei mesi che precedettero immediatamente l'arresto del G. e rimasto incompiuto, esso fu pubblicato per la prima volta a Parigi, nel gennaio 1930, su Lo Stato operaio con il titolo redazionale Alcuni temi della quistione meridionale.
Il saggio ricapitolava l'elaborazione del decennio precedente e fissava alcune linee di un nuovo "programma di ricerca" che venne poi sviluppato nei Quaderni. Tutto lo scritto ruota attorno al ruolo degli intellettuali come figure di collegamento fra le masse, l'organizzazione dell'economia e dello Stato. Ma l'attenzione e' rivolta soprattutto al Mezzogiorno che nelle sue caratteristiche generali viene descritto come "una grande disgregazione sociale", dominata da un "blocco agrario" nel quale predominano i grandi proprietari terrieri. Lo strato intellettuale intermedio, che fornisce a tutta l'Italia il personale statale, proviene principalmente dalla piccole borghesia rurale e assolve il ruolo di subordinare le masse contadine al blocco agrario. Questo e' di natura stazionaria e, alleato alla borghesia industriale del Nord, le consente di dominare la vita economica e di governare il paese. Infatti, la piccola borghesia intellettuale assolve una funzione reazionaria nella faccia rivolta verso lo Stato, ma e' anche influenzata dalle pulsioni radicali che percorrono il mondo contadino e gli strati popolari poiche' e' legata a essi dalle sue funzioni professionali e politiche. I principali esponenti del "blocco intellettuale" sono G. Fortunato e B. Croce, i quali, percio', possono essere giudicati come "i reazionari piu' operosi della penisola". Poiche' la centralizzazione del blocco agrario avviene soprattutto "nel campo ideologico", essi rappresentano "le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due piu' grandi figure della reazione italiana"; essi guidano spiritualmente la massa degli intellettuali intermedi e in tale veste hanno "compiuto una altissima funzione "nazionale" distaccando "gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea" e facendoli cosi' "assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario". Per disgregare quest'ultimo il proletariato, che "come classe e' povero di elementi organizzativi", deve formare "un proprio strato di intellettuali [...]. Ma e' anche importante e utile che nella massa degli intellettuali si determini una frattura di carattere organico" e si formi "una tendenza di sinistra, nel significato moderno della parola, cioe' orientata verso il proletariato rivoluzionario". Sotto questo profilo il G. considera emblematica la figura di P. Gobetti. Fondamentale sarebbe dunque "disgregare il blocco intellettuale che e' l'armatura flessibile ma resistentissima del blocco agrario" (ibid., pp. 150, 156-158). Veniva impostato cosi' un tema centrale del programma dei Quaderni: quello dell'"anti-Croce".
Nella primavera 1926 la lotta per il potere nel gruppo dirigente bolscevico raggiunse l'acme. In luglio, in una drammatica riunione del comitato centrale del partito comunista russo, si consumo' lo scontro decisivo fra il blocco delle opposizioni, guidato da L. D. Trockij, e la maggioranza del partito raccolta intorno a I. V. Stalin e a N. I. Bucharin. Fin dal 1925 nell'Internazionale comunista si era convenuto che le lotte di fazione del partito russo non venissero trasferite negli altri partiti comunisti e questi non ne venissero coinvolti. Ma nell'estate 1926 la maggioranza di Stalin e Bucharin rompeva questo accordo e chiedeva agli altri partiti di prendere posizione sulle "questioni russe". Da Mosca, dove dal febbraio 1926 rappresentava il PCd'I nell'esecutivo dell'Internazionale, Togliatti sollecito' il comitato centrale del partito italiano a pronunciarsi. Ma questo si limito' ad approvare a fine luglio la destituzione di G. E. Zinov'ev da presidente dell'Internazionale comunista in quanto era motivata da ragioni disciplinari, mentre si rifiuto' di prendere posizione sui contenuti dello scontro fra maggioranza e minoranza. Sempre piu' allarmato per il profilarsi di una rottura definitiva del gruppo dirigente bolscevico, l'ufficio politico del PCd'I scelse una forma di pronunciamento irrituale: incarico' il G. di scrivere una lettera al comitato centrale del partito comunista dell'URSS per esprimere, si', un'adesione alla linea della maggioranza, ma anche per manifestare la sua preoccupazione per quanto stava accadendo e invitare tutte le fazioni a evitare la rottura.
A Mosca Togliatti giudico' la lettera "inopportuna" e chiese al comitato direttivo del PCd'I di autorizzarlo a sospenderne l'inoltro in attesa dell'esecutivo allargato del Komintern che si sarebbe riunito in novembre per discutere le "questioni russe". Inoltre, annunciava l'invio di J. Humbert-Droz, delegato dell'esecutivo dell'Internazionale, alla riunione del comitato centrale del PCd'I, gia' convocata per i primi di novembre, perche' esso potesse ricevere tutte le informazioni necessarie per pronunciarsi.
Il comitato direttivo autorizzo' Togliatti a sospendere l'inoltro della lettera, ma il G. rimase fermo sulle sue posizioni. Il primo novembre, alla presenza di Humbert-Droz, il comitato centrale si riunì clandestinamente in una localita' della Valpolcevera, nei pressi di Genova, e aderi' alle richieste della maggioranza del partito bolscevico. Ma il G. non pote' partecipare alla riunione perche', riconosciuto dalla polizia mentre vi si recava, rientro' a Roma, dove l'8 novembre venne arrestato.
Ai vertici del partito sovietico la sua lettera aveva creato il sospetto che il PCd'I potesse passare sulle posizioni di Trockij e da allora quella lettera fu il pretesto di recriminazioni e di accuse di "oscillazioni" reiterate piu' volte dal Komintern contro il PCd'I fra 1929 e 1938. Il sospetto nasceva dalle motivazioni che il G. aveva addotto a sostegno dell'appello a non rompere l'unita' del partito: egli ravvisava il rischio che, dividendosi irreparabilmente il "vecchio nucleo bolscevico", venisse meno il centro dirigente dell'Internazionale e l'intero "partito mondiale dei lavoratori" si disgregasse. Quindi, sebbene dichiarasse di condividere le posizioni della maggioranza e rivolgesse le sue critiche all'opposizione, sul punto cruciale che riguardava le sorti della rivoluzione mondiale il G. poneva sullo stesso piano le responsabilita' della minoranza e della maggioranza.
In realta' il sostegno dato alle posizioni della maggioranza non poteva nascondere piu' di tanto l'avversione del G. per la linea del "socialismo in un solo paese", che anche le opposizioni russe contrastavano. L'opposizione del G., pero', aveva motivazioni sue proprie: come si e' detto, nel corso del 1926 egli era giunto a mettere in discussione il concetto di "stabilizzazione relativa" sul quale il gruppo staliniano basava le sue scelte. Il carteggio fra il centro del PCd'I e Togliatti, dal mese di marzo in poi, documenta come, nell'"analisi di fase" e nel modo di concepire la "stabilizzazione relativa", si fossero generate differenze significative anche fra lui e il G., fissate poi nel carteggio dell'ottobre.
Dopo un breve periodo di confino a Ustica, dove insieme con Bordiga diede vita a una scuola per i confinati politici, fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e avviato alle carceri milanesi di S. Vittore (ove rimase dal 7 febbraio 1927 all'11 maggio 1928); il processo inizio' a Roma il 28 maggio e, il 4 giugno 1928, il G. venne condannato a oltre venti anni di carcere. In luglio fu assegnato al reclusorio di Turi, in provincia di Bari, ove rimase fino al 19 novembre 1933 per essere poi ricoverato, dal 7 dicembre, in stato di detenzione, nella clinica del dottor G. Cusumano a Formia. Vi rimase fino al 24 agosto 1935, dal 25 ottobre 1934 in liberta' condizionata. Quindi fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma, dove, appena riacquistata la piena liberta', la sera del 25 aprile 1937 venne colto da emorragia cerebrale.
Il G. mori' a Roma il 27 aprile 1937.
Per sua volonta' il corpo venne cremato e vi provvide il fratello Carlo; le ceneri vennero inumate al cimitero acattolico di Roma, dove si trovano tuttora.
(Parte seconda - segue)

3. REPETITA IUVANT. UNA MINIMA NOTIZIA SU LEONARD PELTIER

Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944.
Nell'infanzia, nell'adolescenza e nella prima giovinezza subisce pressoche' tutte le vessazioni, tutte le umiliazioni, tutti i traumi e l'emarginazione che il potere razzista bianco infligge ai nativi americani. Nella sua autobiografia questo processo di brutale alienazione ed inferiorizzazione e' descritto in pagine profonde e commoventi.
Nei primi anni Settanta incontra l'American Indian Movement (Aim), fondato nel 1968 proprio per difendere i diritti e restituire coscienza della propria dignita' ai nativi americani; e con l'impegno nell'Aim riscopre l'orgoglio di essere indiano - la propria identita', il valore della propria cultura, e quindi la lotta per la riconquista dei diritti del proprio popolo e di tutti i popoli oppressi.
Partecipa nel 1972 al "Sentiero dei trattati infranti", la carovana di migliaia di indiani che attraversa gli Stati Uniti e si conclude a Washington con la presentazione delle rivendicazioni contenute nel documento detto dei "Venti punti" che il governo Nixon non degna di considerazione, e con l'occupazione del Bureau of Indian Affairs.
Dopo l'occupazione nel 1973 da parte dell'Aim di Wounded Knee (il luogo del massacro del 1890 assurto a simbolo della memoria del genocidio delle popolazioni native commesso dal potere razzista e colonialista bianco)  nella riserva di Pine Ridge - in cui Wounded Knee si trova - si scatena la repressione: i nativi tradizionalisti ed i militanti dell'Aim unitisi a loro nel rivendicare l'identita', la dignita' e i diritti degli indiani, vengono perseguitati e massacrati dagli squadroni della morte del corrotto presidente del consiglio tribale Dick Wilson: uno stillicidio di assassinii in cui i sicari della polizia privata di Wilson (i famigerati "Goons") sono favoreggiati dall'Fbi che ha deciso di perseguitare l'Aim ed eliminarne i militanti con qualunque mezzo.
Nel 1975 per difendersi dalle continue aggressioni dei Goons di Wilson, alcuni residenti tradizionalisti chiedono l'aiuto dell'Aim, un cui gruppo di militanti viene ospitato nel ranch della famiglia Jumping Bull in cui organizza un campo di spiritualita'.
Proprio in quel lasso di tempo Dick Wilson sta anche trattando in segreto la cessione di una consistente parte del territorio della riserva alle compagnie minerarie.
Il 26 giugno 1975 avviene l'"incidente a Oglala", ovvero la sparatoria scatenata dall'Fbi che si conclude con la morte di due agenti dell'Fbi, Jack Coler e Ronald Williams, e di un giovane militante dell'Aim, Joe Stuntz, e la successiva fuga dei militanti dell'Aim superstiti guidati da Leonard Peltier che riescono ad eludere l'accerchiamento da parte dell'Fbi e degli squadroni della morte di Wilson.
Mentre nessuna inchiesta viene aperta sulla morte della giovane vittima indiana della sparatoria, cosi' come nessuna adeguata inchiesta era stata aperta sulle morti degli altri nativi assassinati nei mesi e negli anni precedenti da parte dei Goons, l'Fbi scatena una vasta e accanita caccia all'uomo per vendicare la morte dei suoi due agenti: in un primo momento vengono imputati dell'uccisione dei due agenti quattro persone: Jimmy Eagle, Dino Butler, Leonard Peltier e Bob Robideau.
Dino Butler e Bob Robideau vengono arrestati non molto tempo dopo, processati a Rapid City ed assolti perche' viene loro riconosciuta la legittima difesa.
A quel punto l'Fbi decide di rinunciare a perseguire Jimmy Eagle e di concentrare le accuse su Leonard Peltier, che nel frattempo e' riuscito a riparare in Canada; li' viene arrestato ed estradato negli Usa sulla base di due affidavit di una "testimone" che lo accusano menzogneramente del duplice omicidio; la cosiddetta "testimone" successivamente rivelera' di essere stata costretta dall'Fbi a dichiarare e sottoscrivere quelle flagranti falsita'.
Peltier viene processato non a Rapid City come i suoi compagni gia' assolti per legittima difesa ma a Fargo, da una giuria di soli bianchi, in un contesto razzista fomentato dall'Fbi.
Viene condannato a due ergastoli nonostante sia ormai evidente che le testimonianze contro di lui erano false, estorte ai testimoni dall'Fbi con gravi minacce, e nonostante che le cosiddette prove contro di lui fossero altrettanto false.
Successivamente infatti, grazie al Freedom of Information Act, fu possibile accedere a documenti che l'Fbi aveva tenuto nascosti e scoprire che non era affatto il cosiddetto "fucile di Peltier" ad aver ucciso i due agenti.
In carcere, si organizza un tentativo di ucciderlo, che viene sventato in modo rocambolesco; ma anche se riesce a salvarsi la vita Leonard Peltier viene sottoposto a un regime particolarmente vessatorio e le sue condizioni di salute ben presto si aggravano.
Tuttavia anche dal carcere, anche in condizioni di particolare durezza, Leonard Peltier riesce a svolgere un'intensa attivita' di testimonianza, di sensibilizzazione, di militanza, finanche di beneficenza; un'attivita' non solo di riflessione e d'impegno morale, sociale e politico, ma anche artistica e letteraria; nel corso degli anni diventa sempre piu' un punto di riferimento in tutto il mondo, come lo fu Nelson Mandela negli anni di prigionia nelle carceri del regime dell'apartheid.
La sua liberazione viene chiesta da illustri personalita', ma e' costantemente negata da parte di chi ha il potere di concederla. Analogamente la richiesta di un nuovo pronunciamento giudiziario e' sempre respinta, cosi' come gli vengono negate tutte le altre guarentigie riconosciute a tutti i detenuti.
Nel 1983 e poi in seconda edizione nel 1991 viene pubblicato il libro di Peter Matthiessen che fa piena luce sulla persecuzione subita da Leonard Peltier.
Nel 1999 viene pubblicata l'autobiografia di Leonard Peltier (presto tradotta anche in francese, italiano, spagnolo e tedesco).
Ma nei primi anni Duemila il processo per la tragica morte di un'altra militante del'Aim, Anna Mae Aquash, viene strumentalizzato dall'Fbi per orchestrare una nuova squallida e grottesca campagna diffamatoria e persecutoria nei confronti di Leonard Peltier. E nel 2009 un agente speciale che aveva avuto un ruolo fondamentale nella "guerra sporca" dell'Fbi contro l'Aim, Joseph Trimbach, da' alle stampe un libro che e' una vera e propria "summa" delle accuse contro Leonard Peltier.
Tuttavia e' ormai chiarissimo che Peltier e' innocente, e la prova definitiva dell'innocenza la da' proprio il libro di Trimbach: in quest'opera il cui scopo dichiarato e' dimostrare che l'Aim e' nient'altro che un'organizzazione criminale e terroristica, e che Leonard Peltier e' nient'altro che un efferato assassino, l'autore non solo non presenta alcuna vera prova contro Peltier, ma di fatto conferma cosi' che prove contro Peltier non ci sono.
Ma gli anni continuano a passare e la solidarieta' con Leonard Peltier non riesce ad ottenerne la liberazione. Occlusa proditoriamente la via giudiziaria, resta solo la grazia presidenziale, ma quando alcuni presidenti statunitensi lasciano intendere di essere disposti a prendere in considerazione un atto di clemenza che restituirebbe la liberta' a Leonard Peltier la reazione dell'Fbi e' minacciosa. Clinton prima e Obama poi rinunciano. Pavidita' dinanzi alla capacita' di intimidazione anche nei confronti della Casa bianca da parte dell'Fbi?
E giungiamo ad oggi: Leonard Peltier, che e' gia' affetto da gravi patologie, alcuni mesi fa e' stato anche malato di covid: nuovamente chiediamo al presidente degli Stati Uniti che sia liberato e riceva cure adeguate. Non muoia in carcere un uomo innocente, non muoia in carcere un eroico lottatore per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per la difesa del mondo vivente.
Leonard Peltier deve essere liberato non solo perche' e' anziano e malato, ma perche' e' innocente.
Una bibliografia essenziale:
- Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Roberto Massari Editore, Bolsena Vt).
- Peter Matthiessen, In the Spirit of Crazy Horse, 1980, Penguin Books, New York 1992 e successive ristampe; in edizione italiana: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994.
- Leonard Peltier (con la collaborazione di Harvey Arden), Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999; in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005.
- Jim Messerschmidt, The Trial of Leonard Peltier, South End Press, Cambridge, MA, 1983, 1989, 2002 (disponibile in edizione digitale nel sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info)-
- Bruce E. Johansen, Encyclopedia of the American Indian Movement, Greenwood, Santa Barbara - Denver - Oxford, 2013 e piu' volte ristampata.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Joseph H. Trimbach e John M. Trimbach, American Indian Mafia. An FBI Agent's True Story About Wounded Knee, Leonard Peltier, and the American Indian Movement (AIM), Outskirts Press, Denver 2009.
- Roxanne Dunbar-Ortiz, An Indigenous Peoples' History of the United States, Beacon Press, Boston 2014.
- Dick Bancroft e Laura Waterman Wittstock, We Are Still Here. A photographic history of the American Indian Movement, Minnesota Historical Society Press, 2013.
- Michael Koch e Michael Schiffmann, Ein leben fur Freiheit. Leonard Peltier und der indianische Widerstand, TraumFaenger Verlag, Hohenthann 2016.

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Vittorio Foa, Il Cavallo e la Torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991, pp. VIII + 344.
- Vittorio Foa, Questo Novecento, Einaudi, Torino 1996, pp. X + 406.
*
Riedizioni
- Georges Simenon, Colpo di luna, Adelphi, Milano 2004, Gedi, Torino 2023, pp. 144, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
- Georges Simenon, Gli intrusi, Adelphi, Milano 2000, Gedi, Torino 2023, pp. 206, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4896 del 15 luglio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
Per non ricevere piu' il notiziario e' sufficiente recarsi in questa pagina: https://lists.peacelink.it/sympa/signoff/nonviolenza
Per iscriversi al notiziario, invece, l'indirizzo e' https://lists.peacelink.it/sympa/subscribe/nonviolenza
*
L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com