[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 106



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 106 dell'8 giugno 2021

In questo numero:
1. Stefano Rodota': Piero Calamandrei
2. Piero Calamandrei: Epigrafi per donne, uomini e citta' della Resistenza

1. MAESTRI. STEFANO RODOTA': PIERO CALAMANDREI
[Dal Dizionario biografico degli italiani, Vol. 16 (1973), nel sito www.treccani.it]

Piero Calamandrei nacque a Firenze il 21 aprile 1889 da Rodolfo e Laudomia Pimpinelli. La sua educazione si svolse quieta e severa, in un ambiente in cui le idealita' mazziniane del padre, professore di diritto commerciale e deputato repubblicano dal 1906 al 1908, non solo contribuirono alla formazione di un rigoroso costume morale, ma sollecitarono probabilmente quella inclinazione alla "bonta'" che quanti lo avvicinarono hanno sempre voluto mettere in evidenza. E i primi scritti del C. sono di letteratura infantile, versi e favole pubblicati tra il 1910 e il 1912 su Il giornalino della domenica, il Corriere dei piccoli, Primavera, e piu' tardi raccolti in due volumi, La burla di primavera (Firenze 1920), I poemetti della bonta' (ibid. 1925).
Il tempo degli "svaghi poetici" passo' presto. Seguendo la tradizione familiare, il giovane C. intraprese gli studi giuridici e vi si dedico' con impegno esclusivo nell'universita' di Pisa, sotto la guida di Carlo Lessona, con il quale discusse nel 1912 una tesi di laurea sulla chiamata in garanzia. Questo sara' il tema dei suoi primi lavori giuridici: una nota, pubblicata nel 1912 su Il Foro italiano, dal titolo Chiamata in garantia e giurisdizione arbitrale; e il volume La chiamata in garantia (Milano 1913), un'opera di grande impegno e serieta', ma abbastanza lontana dai caratteri che saranno ben presto tipici del lavoro scientifico del Calamandrei. In quegli anni, infatti, matura la svolta determinante per tutta la successiva attivita' dello studioso. Recatosi a Roma per perfezionarsi negli studi di diritto processuale civile sotto la guida di G. Chiovenda, che gia' aveva intrapreso la sua grande opera di rifondazione scientifica di quella disciplina, il C. fu ben presto conquistato dall'insegnamento del maestro, di cui, da allora in poi, volle professarsi e fu discepolo. I segni del nuovo orientamento sono ben presto evidenti nell'importante saggio su La genesi logica della sentenza civile (Firenze 1914). E, l'anno successivo, il C. divenne professore titolare della cattedra di diritto processuale civile nell'universita' di Messina.
Sopravvenuta la guerra, il C. si arruolo' volontario, da null'altro spinto che da un generico interventismo. Negli anni del conflitto, tuttavia, cominciarono a manifestarsi concretamente quegli atteggiamenti che avrebbero piu' tardi dato il tono alla sua attivita' pubblica. Egli, infatti, non fu soltanto il valoroso combattente, che aveva iniziato il conflitto con il grado di sottotenente e l'aveva terminato con il grado di capitano e la decorazione della croce di guerra, uno dei primi soldati italiani a entrare a Trento il 3 novembre 1919: e' anche l'ufficiale che, in uno dei tanti terribili processi di guerra, volle prendere le difese di otto soldati accusati di aver abbandonato il loro posto e riusci' ad evitar loro le pesanti conseguenze di quell'accusa.
Dopo la fine della guerra il C. torna all'insegnamento universitario, passando all'universita' di Modena nel 1918, e riprende il lavoro scientifico, che dara' un frutto tanto significativo con i due volumi su La Cassazione civile (Torino 1920). L'opera, monumentale nell'impianto e nello svolgimento, ha un dichiarato fine di politica del diritto: contribuire al superamento del sistema delle cinque corti di cassazione regionali, sostituendo loro una corte unica, capace di vegliare effettivamente sull'uniforme applicazione della legge. Il disegno politico avra' ben presto successo, ed e' rivelatore tanto della ispirazione del C., quanto delle vie che egli sceglie per concretarla. Appare chiara la sua predilezione per le imprese di riforma, rispetto a quelle di applicazione e commento; cosi' come sono evidenti la costante ricerca di strumenti capaci di assicurare la supremazia ai valori della legalita' e della certezza del diritto, la preoccupazione continua di costruire un quadro istituzionale nel quale sia possibile salvaguardare un "diritto perpetuamente in pericolo".
Negli scritti del C. il diritto processuale civile, una delle tante discipline in cui il trionfante formalismo celebrava ormai i suoi fasti, ritrova i suoi nessi con i problemi reali, le piu' ardue costruzioni teoriche vengono puntualmente ricondotte alle loro reali matrici ideologiche. Cio' corrisponde al programma scientifico del C.: "spiegare qual e' la funzione utile del diritto nella societa'", senza mai ritenere che "le teorie abbiano un valore per se'": che e', d'altra parte, la via per ritrovare quale sia il reale interlocutore del processualista, cioe' il cittadino con i suoi diritti.
In questo quadro deve essere spiegata l'adesione convinta e totale alle teorie chiovendiane, che segnavano una rottura netta con la visione liberale del processo, considerato un luogo dove trovavano realizzazione unicamente i diritti delle parti interessate, alle quali doveva conseguentemente essere riservata la disponibilita' assoluta degli strumenti processuali.
Al sistema del codice del 1865, individualista e liberale, Chiovenda tendeva a sostituire "un sistema nettamente orientato su principi pubblicistici e in un certo senso autoritari" (come ha scritto lo stesso C.), con l'attribuzione di larghi poteri al giudice volti anche a realizzare interessi generali. Di questo autoritarismo, implicito nella teoria da lui stesso accolta, il C. era dunque ben consapevole: e tuttavia egli nego' sempre che cio' potesse portare a una assimilazione con teoriche radicalmente stataliste, rappresentando la linea chiovendiana piuttosto una terza via tra queste ultime e il sistema liberale. Giustificata o no, che fosse questa interpretazione, e' certo che il processo liberale non puo' essere riguardato come un astratto luogo in cui pacificamente trovavano componimento i conflitti di parti egualmente capaci di utilizzare gli strumenti posti a loro disposizione: la reale disparita' di forze dei litiganti, dalla quale da tempo muovevano le critiche socialiste a quel sistema, richiedeva che al giudice fosse attribuita anche una funzione riequilibratrice, proprio nell'interesse di una decisione "giusta". Alla rottura degli schemi liberali, allora, deve guardarsi proprio come ad un tentativo di porre rimedio ai difetti di un sistema che aveva largamente mostrato di non saper rispondere alle reali domande provenienti dall'organizzazione sociale.
Questa piu' diretta e convinta attenzione per la "funzione utile" del diritto e' ben visibile in tutta l'opera del C. e puo' dar l'impressione, unita com'e' con una minore compiacenza per i formalismi, che questa abbia uno spessore teorico minore di quella di altri contemporanei. Senza voler qui discutere che cosa sia buona o cattiva "teoria", il vero problema e' quello del contributo del C. alla scienza del processo civile, una volta accertato il suo operare nel solco tracciato dal Chiovenda. Ma qui vale l'avvertenza data all'inizio: l'essere, cioe', il significato piu' profondo del lavoro del C. nella sua capacita' di arricchire e recuperare a una dimensione culturale un discorso che, altrimenti, rischia di inaridirsi e di perdere ogni senso in ingannevoli labirinti tecnici.
Una volta imboccata questa strada, era quasi naturale che il C. considerasse in modo particolare il ruolo e gli atteggiamenti concreti degli "operatori" processuali, giudici e avvocati, e si avvicinasse alla politica senza aggettivi. I primi segni sono l'incontro, nel 1919, con Gaetano Salvemini e la collaborazione a L'Unita' con due articoli; e, nel 1920, la partecipazione alla fondazione del fiorentino Circolo di cultura. Intanto si era sposato con Ada Cocchi, da cui ebbe un figlio, Franco, per il quale egli torno' alla consuetudine degli scritti per l'infanzia, che apparvero tra il 1918 e il 1922 su vari giornali e riviste e vennero poi raccolti nel volume Colloqui con Franco (Firenze 1923). Quest'ultimo appare nelle edizioni della Voce, a cui il C. aveva gia' affidato nel 1921 la pubblicazione di Troppi avvocati! Lo studio teorico del processo si intreccia cosi' con l'attenzione per i problemi dell'organizzazione professionale degli avvocati e della preparazione giuridica nelle universita': in collaborazione con Giorgio Pasquali appare L'universita' di domani (Foligno 1923), in cui il C. formula appunto tutta una serie di proposte per la riforma delle facolta' di giurisprudenza.
Ma il problema dell'amministrazione della giustizia non e' solo nell'organizzazione corporativa e nella preparazione professionale. E il nodo politico viene affrontato con il discorso su Governo e magistratura, letto il 13 novembre 1921 nell'universita' di Siena, alla quale era passato come professore ordinario nel 1920.
In questo discorso, la denuncia delle indebite ingerenze dell'esecutivo nell'attivita' giudiziaria e' netta e il quadro del reale funzionamento dell'amministrazione della giustizia e' assai piu' rigoroso e convincente di quello che risulta da scritti successivi, assistiti da una vena letteraria e aneddotica fin troppo ricca (primo tra tutti, il celebratissimo Elogio dei giudici scritto da un avvocato, pubblicato per la prima volta a Firenze nel 1935 e poi ampliato e accresciuto fino alla terza edizione del 1955; nello stesso filone sono i "due dialoghi", pubblicati nel 1941, Delle buone relazioni tra i giudici e gli avvocati nel nuovo processo civile).
Il progressivo ampliarsi della sfera di interessi e' ben visibile in altri scritti di quegli anni: dal bel saggio sul Significato costituzionale delle giurisdizioni di equita' (Modena 1921) all'analisi de Il programma di politica giudiziaria dei socialisti tedeschi, ai due scritti per la Rheinische Zeitschrift fur Zivil- und Prozessrecht sulle Zivilprozessreformen in Italien (1922, 1923).
Sono ormai gli anni del fascismo, che impone agli studiosi "appartati nelle biblioteche" di "alzare la testa dai libri" e di "affacciarsi alle finestre". La scoperta della politica da parte del C. e' ormai completa, e i fatti lo spingono ogni giorno di piu' in primo piano. Il 31 dicembre 1924 il Circolo di cultura e molti studi di avvocati vengono devastati dai fascisti: il C. interviene, protesta, firma manifesti. Assume la difesa di G. Salvemini, e' uno dei componenti del consiglio direttivo dell'Unione nazionale di G. Amendola, firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di B. Croce. Dopo il delitto Matteotti aderisce alla societa' "Italia libera", ed e' in stretti rapporti con il gruppo antifascista fiorentino del Non mollare, al quale appartenevano, tra gli altri, G. Salvemini, E. Rossi, i fratelli Rosselli, N. Traquandi.
Questa breve e intensa stagione politica e' presto spenta dal consolidarsi del regime. Si apre cosi' per il C. un lungo periodo tutto dedicato agli studi, all'esercizio dell'avvocatura, all'insegnamento universitario in quell'ateneo fiorentino al quale era giunto nel 1924, collaborando alla sua fondazione. Gli scritti giuridici sono sempre piu' numerosi: dal 1930 comincia a raccoglierli nei volumi degli Studi sul processo civile, di cui appaiono immediatamente i primi due (Padova 1930) e ai quali seguono il terzo (ibid. 1934) ed il quarto (ibid. 1939); il quinto sara' pubblicato nel 1947 e il sesto apparira' postumo nel 1957. Ai corsi litografati delle lezioni universitarie si affiancano diversi studi specifici: Il procedimento monitorio nella legislazione italiana (Milano 1926), Linee fondamentali del processo civile inquisitorio (Padova 1927), Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari (Padova 11936); e, nel 1939 (Padova), i due importanti saggi su La relativita' del concetto di azione e Il giudice e lo storico.
Riprendono vigore i mai sopiti interessi letterari: al gia' citato Elogio segue, nel 1941, l'Inventario della casa di campagna (II ediz. ampliata, Roma 1945), forse la sua opera letteraria piu' profonda e sorvegliata. A far da ponte, su un crinale dove il diritto si fa pretesto letterario, stanno le esercitazioni eleganti sulla Crisi degli avvocati a Venezia dopo la scoperta dell'America (Padova 1938) e la prefazione a una operetta cinquecentesca di F. Sansovino, L'avvocato e il segretario (1942). Non fu il C. il solo giurista a trovare in quegli anni qualche consolazione in ozi letterari; ma per lui si apri' anche, con la pubblicazione di uno studio su Un contratto di edizione di Benvenuto Cellini (Roma 1930), un nuovo campo di interessi, che lo porto' ad aggiungere alle sue tante facce di studioso anche quella di indagatore celliniano (i vari contributi sono ora raccolti in Scritti e inediti celliniani, Firenze 1971).
Nel settore giuridico, poi, il C. svolse una benemerita opera di organizzatore culturale, fondando nel 1924 la Rivista di diritto processuale civile (di cui sara' prima redattore-capo e poi direttore, insieme con G. Chiovenda e F. Carnelutti), nel 1926 Il Foro toscano (con E. Finzi, S. Lessona, G. Paoli) e nel 1932 la collana di "Studi sul processo civile", che dirigera' fino al 1942.
Al pari di molti altri giuristi, l'unica attivita' pubblica del C. fu in quegli anni la partecipazione ai lavori di riforma della codificazione: e puo' certo dirsi che il suo contributo al nuovo codice di procedura civile del 1942 fu notevole.
Sulle ragioni di questa partecipazione, per lui e per gli altri, si discute ancora con molta cautela. Certamente, per il C. non puo' valere la spiegazione puramente "tecnica" avanzata per giustificare il lavoro di molti altri: sappiamo che egli era stato sempre ben consapevole delle implicazioni politiche del lavoro "tecnico" del giurista. Dovrebbe, quindi, valere un'altra spiegazione: la partecipazione di alcuni giuristi fu il modo attraverso il quale si riusci' a spuntare (o a limare) gli aculei ideologici della piu' ambiziosa opera legislativa concepita dal regime fascista. Il C. considero' appunto il lavoro di codificazione come un compimento, sia pure parziale, del disegno chiovendiano: e si sforzo' di dimostrarlo nel primo volume delle Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice (Padova 1941), anche con una copia di riferimenti alla dottrina corporativa che oggi riescono, a dir poco, fastidiosi. Ad ogni modo, se allo stato attuale delle ricerche la spiegazione fondata sulla volonta' di resistenza all'interno del "sistema" puo' ancora apparire plausibile, non lo e' invece quella che, attribuendo alla partecipazione del C. un significato diverso da quella di altri accademici, la intende come una sorta di resa della scienza "ufficiale" del fascismo, incapace di portare da sola a compimento l'impresa di riforma del codice e quindi costretta a ricorrere agli uffici di chi aveva fino ad allora ignorato o isolato.
Il precipitare degli avvenimenti in Europa aveva assai acuito la gia' vivissima sensibilita' del C. per i problemi della legalita' e della certezza del diritto. E cio' appare chiaramente non tanto dallo scritto ben noto su La certezza del diritto e le responsabilita' della dottrina (1942; in Studi, V, pp. 91-111), recensione entusiasta di uno scritto di Flavio Lopez de Onate; quanto piuttosto dalle rassegne sulle tendenze del diritto processuale tedesco, pubblicate a partire dal 1938 sulla Rivista di diritto processuale civile.
Questo guardare polemicamente alle vicende della Germania nazista non fu solo del C.: romanisti, civilisti, penalisti denunciarono la progressiva perversione di quell'ordinamento, con toni tanto piu' vivaci quanto piu' cresceva il disagio di dover accettare meno violente, ma non meno insidiose, rotture della legalita' in casa nostra. A rileggerli oggi, quegli scritti sono un po' lo specchio della cattiva coscienza di molti tra i migliori giuristi italiani di quegli anni (oppure estreme e ingenue "lettere persiane"?). Comunque, il C. seppe cogliere in modo netto, a differenza di altri, le ragioni vere e reali del disfacimento della giustizia nella Germania nazista: non le debolezze di un ceto di giuristi traviato da cattive dottrine, ma la brutale trasformazione della magistratura in una polizia politica al servizio del regime.
Nel 1941 il C. aderi' al movimento di "Giustizia e liberta'" e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'azione. All'indomani della caduta del fascismo, il 26 luglio 1943, divenne rettore dell'universita' di Firenze e lo fu fino all'8 settembre, quando, colpito da mandato di cattura, fu costretto a rifugiarsi in Umbria. Liberata Firenze, riassunse le funzioni di rettore, che mantenne fino al 1947.
Si apre cosi' il periodo piu' intenso e appassionato della sua vita, al quale si era spiritualmente preparato rimeditando Beccaria e Ruffini, per le cui riedizioni (rispettivamente del 1945 e del 1946) dettera' ispirate introduzioni. La pubblicazione, nel 1944, della seconda parte delle Istituzioni segna il congedo dal genere letterario accademico, mentre nasce lo "scrittore politico". In questa nuova attivita', che copre gli anni dal 1944 al 1956 e i cui contributi sono ora raccolti nei tre volumi degli Scritti e discorsi politici (Firenze 1966), Norberto Bobbio ha lucidamente distinto "quattro tempi che corrispondono a quattro momenti diversi, abbastanza bene caratterizzati, di una battaglia politica senza soste".
Il primo tempo va dalla liberazione di Firenze (agosto 1944) alla proclamazione della Repubblica (giugno 1946). Il C. lo vive come consultore nazionale, battendosi per la tesi della continuita' costituzionale dello Stato italiano e per il primato del governo dei Comitati di liberazione nazionale, prima; e poi sostenendo la tesi della piena sovranita' dell'Assemblea costituente. Quando si profilo' l'intenzione di Umberto di Savoia di ricorrere al referendum istituzionale, il C. pronuncio' l'8 marzo 1946, a nome del Partito d'azione, un vivacissimo discorso di opposizione. Nel 1945, intanto, aveva fondato la rivista Il Ponte, che rappresentera' lo strumento piu' incisivo della sua battaglia civile.
Eletto alla Costituente in rappresentanza del Partito d'azione, il C. vive il secondo, febbrile tempo della sua nuova esperienza politica, partecipando attivamente ai lavori di preparazione della Costituzione come membro della Commissione dei 75 e come relatore sull'ordinamento della magistratura e sulla Corte costituzionale.
Nella sua attivita' di costituente si intrecciano motivi diversi: dalla speranza in un nuovo ordinamento dei "diritti sociali", che riprendeva motivi gia' ben presenti nella sua opera e che era stata rafforzata proprio curando l'introduzione della ristampa dei Diritti di liberta' di F. Ruffini; alla preoccupazione per la stabilita' dell'esecutivo; all'azione decisa per l'indipendenza della magistratura e per l'introduzione della Corte costituzionale (l'istituzione a cui piu' si sarebbe riferito negli ultimi anni della sua vita, ma che in sede costituente volle circoscritta da una rigida disciplina, come dimostra la sua opposizione a norme che prevedessero la possibilita' di un ricorso diretto dei cittadini alla Corte); alla opposizione per la inclusione dei Patti lateranensi nella Costituzione, manifestata con un duro discorso in Assemblea il 20 marzo 1947.
Sciolto il Partito d'azione, entro' a far parte del gruppo Azione socialista Giustizia e Liberta', poi confluito nell'Unione dei socialisti insieme con un gruppo guidato da I. Silone. Per le elezioni del 1948 venne formato con il P.S.L.I. un raggruppamento elettorale, Unita' socialista, nelle cui liste il C. fu eletto alla Camera dei deputati. In questo terzo tempo cadono le speranze del C., che denuncia la nascita di un nuovo regime e propone il tema della "Costituzione inattuata".
I momenti piu' significativi della sua azione parlamentare sono il voto contro il Patto atlantico e la battaglia contro la legge elettorale maggioritaria del 1953, posizioni assunte anche in contrasto con gli orientamenti del proprio partito. Reagendo a prassi ritenute intollerabili dell'azione di governo, accentua la sua visione morale della lotta politica, che lo induce a considerare con insofferenza sempre maggiore le regole del gioco proposte dai partiti ufficiali.
E' prima nel P.S.U., nato dalla confluenza della Unione dei socialisti e dei gruppi di Romita e Mondolfo; poi, nel 1951, e' nel P.S.D.I., il nuovo partito sorto dalla fusione del P.S.L.I. e del P.S.U. In contrasto con il P.S.D.I., per la legge elettorale, esce dal partito e costituisce il raggruppamento di Unita' popolare insieme con Parri, Jemolo e altri. Alle elezioni del 7 giugno 1953, nessuno dei candidati di Unita' popolare fu eletto, ma il numero di voti raccolti dalla lista contribui' a impedire il funzionamento del meccanismo elettorale della legge maggioritaria.
Questo successo restitui' una certa fiducia al C., che, proseguendo nella sua battaglia per l'attuazione della Costituzione, vide un buon auspicio nella realizzazione, nel 1955, della Corte costituzionale.
E il C. partecipo', come avvocato, alla prima udienza della Corte, sostenendo la tesi, poi accolta, della sindacabilita' delle leggi anteriori alla entrata in vigore della Costituzione: uno degli ultimi atti di un'attivita' forense che aveva sposato le ragioni della difesa in tutti i maggiori processi in cui erano state in questione le liberta' civili, da quello contro D. Dolci a quello ai giornalisti Renzi e Aristarco.
L'attivita' di politico e di avvocato fu sempre sostenuta da una intensissima attivita' di scrittore. Tra le varie imprese per tal via portate a compimento debbono essere ricordate almeno il Commentario sistematico della Costituzione (2 voll., Firenze 1950), realizzato assieme ad Alessandro Levi e a una nutrita schiera di collaboratori, opera che rimane anche come una curiosa testimonianza dell'arretratezza della cultura giuridica italiana, visibile nel contrasto tra le aperture contenute nell'introduzione del C. e le ottuse resistenze di alcuni commentatori; e la raccolta di conferenze pubbliche con il titolo Processo e democrazia (Firenze 1954). La fede nella Costituzione, di cui pure aveva cosi' lucidamente visto i limiti quando lavorava per essa nell'Assemblea costituente, gli fece forse talvolta velo, e lo indusse a guardare all'attuazione costituzionale come a un rimedio che avrebbe guarito tutti i mali d'Italia. Egli pero' ben sapeva che non bastavano le leggi ad attuare la Costituzione, perche' era necessario ritrovare il diverso spirito che, nel 1944, lo aveva convinto che l'Italia fosse entrata in un periodo rivoluzionario. A celebrare quel diverso spirito, perche' non si smarrisse il ricordo della lotta contro nazisti e fascisti in cui era nato, il C. si dedico' con rievocazioni di fatti ed epigrafi, poi raccolte nel volume Uomini e citta' della Resistenza (Bari 1955), nel quale con alta retorica vuole essere il vate della nuova Italia nata dalle lotte per la Liberazione.
Il C. mori' a Firenze il 27 settembre 1956.
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Opere: presso la casa editrice La Nuova Italia sono in corso di pubblicazione le Opere politiche e letterarie del C.; sono invece gia' apparsi due dei tre volumi degli Scritti e discorsi politici, a cura di N. Bobbio, Firenze 1966, e gli Scritti inediti celliniani a cura di C. Cordie', ibid. 1971; le Opere giuridiche sono invece pubblicate dall'editore Morano di Napoli (gia' usciti i primi quattro volumi, 1966, 1968, 1970).
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Fonti e bibliografia: Lettere a due amici torinesi, a cura di C. Galante Garrone, in Il Ponte, XXIII (1967), pp. 1099-1140; Addio a P. C., ibid., XII (1956), pp. 1640-1662; M. Cappelletti, In mem. di P. C. (1906-1956), Padova 1957; numero speciale dedicato al C., de Il Ponte, XIV (1958), suppl. al n. 11; A. Mondolfo - M. Cappelletti, Bibliografia degli scritti di P. C., Firenze 1960; B. Rizzi, Il centro di collegamento presso il XXIX Corpo d'Armata sul fronte trentino e l'opera di P. C., in Boll. del Museo trentino del Risorgimento, 1960, 4, pp. 4-13; N. Bobbio, introd. al I volume degli Scritti e discorsi politici di P.C., Firenze 1966, pp. I-LX; M. Cappelletti, introduzione al I volume delle Opere giuridiche, Napoli 1966; E. Enriques Agnoletti, C.: la Riforma d'Italia, in Il Ponte, XXII (1966), pp. 1036-1147; P. Caleffi, C., in Critica sociale, LVIII (1966), pp. 646 s.; A. Seroni, P. C.: una voce viva nella cultura del primo ventennio repubblicano, in Critica marxista, XXIII (1967), pp. 117-138; M. Cappelletti, C. giurista, in Il Ponte, XXIII (1967), pp. 1141-1116; C. Mortati, introd. al II vol. delle Opere giuridiche, Napoli 1968; E. T. Liebmann, introd. al III vol., ibid. 1970; Enc. Ital., App. II, 1, p. 478; III, 1, p. 281.

2. TESTI. PIERO CALAMANDREI: EPIGRAFI PER DONNE, UOMINI E CITTA' DELLA RESISTENZA
[I testi che qui ancora una volta riproponiamo sono estratti dal libro di discorsi, scritti ed epigrafi di Piero Calamandrei, Uomini e citta' della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente piu' volte ristampato dalla casa editrice Laterza.
Piero Calamandrei, nato a Firenze il 21 aprile 1889 ed ivi deceduto il 27 settembre 1956, avvocato, giurista, docente universitario, antifascista limpido ed intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare, fondatore ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi lotte civili. Dal sito dell'Anpi di Roma (www.romacivica.net/anpiroma) riprendiamo la seguente notizia biografica su Piero Calamandrei: "Nato a Firenze nel 1889. Si laureo' in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Universita' di Messina; nel 1918 fu chiamato all'Universita' di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facolta' giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile. Partecipo' alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218mo reggimento di fanteria; ne usci' col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'"Unione Nazionale" fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe ne' chiese la tessera continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaboro' al "Non mollare", nel 1941 aderi' a "Giustizia e Liberta'" e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell'Universita' di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicche' esercito' effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioe' dalla liberazione di Firenze, all'ottobre 1947. Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipo' attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilita' del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per "Unita' socialista". Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di "Unita' popolare" assieme a Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Universita' di Firenze, direttore con Carnelutti della "Rivista di diritto processuale", con Finzi, Lessona e Paoli della rivista "Il Foro toscano" e con Alessandro Levi del "Commentario sistematico della Costituzione italiana", nell'aprile del 1945 fondo' la rivista politico-letteraria "Il Ponte". Mori' a Firenze nel 1956". Tra le opere di Piero Calamandrei segnaliamo particolarmente Uomini e citta' della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza, Roma-Bari 1977, poi riproposto da Linea d'ombra, Milano 1994, e nuovamente ripubblicato da Laterza nel 2006]

VIVI E PRESENTI CON NOI
FINCHE' IN LORO
CI RITROVEREMO UNITI

MORTI PER SEMPRE
PER NOSTRA VILTA'
QUANDO FOSSE VERO
CHE SONO MORTI INVANO

(In limine al libro Uomini e citta' della Resistenza)

*

DA QUESTA CASA
OVE NEL 1925
IL PRIMO FOGLIO CLANDESTINO ANTIFASCISTA
DETTE ALLA RESISTENZA LA PAROLA D'ORDINE
NON MOLLARE
FEDELI A QUESTA CONSEGNA
COL PENSIERO E COLL'AZIONE
CARLO E NELLO ROSSELLI
SOFFRENDO CONFINI CARCERI ESILII
IN ITALIA IN FRANCIA IN SPAGNA
MOSSERO CONSAPEVOLI PER DIVERSE VIE
INCONTRO ALL'AGGUATO FASCISTA
CHE LI RICONGIUNSE NEL SACRIFICIO
IL 9 GIUGNO 1937
A BAGNOLES DE L'ORNE
MA INVANO SI ILLUSERO GLI OPRESSORI
DI AVER FATTO LA NOTTE SU QUELLE DUE FRONTI
QUANDO SPUNTO' L'ALBA
SI VIDERO IN ARMI
SU OGNI VETTA D'ITALIA
MILLE E MILLE COL LORO STESSO VOLTO
VOLONTARI DELLE BRIGATE ROSSELLI
CHE SULLA FIAMMA RECAVANO IMPRESSO
GRIDO LANCIATO DA UN POPOLO ALL'AVVENIRE
GIUSTIZIA E LIBERTA'

(Epigrafe sulla casa dei fratelli Rosselli, in Firenze, via Giusti n. 38)

*

GIUSTIZIA E LIBERTA'

PER QUESTO MORIRONO
PER QUESTO VIVONO

(Epigrafe sulla tomba dei fratelli Rosselli, nel cimitero di Trespiano - Firenze)

*

NON PIU' VILLA TRISTE
SE IN QUESTE MURA
SPIRITI INNOCENTI E FRATERNI
ARMATI SOL DI COSCIENZA
IN FACCIA A SPIE TORTURATORI CARNEFICI
VOLLERO
PER RISCATTARE VERGOGNA
PER RESTITUIR DIGNITA'
PER NON RIVELARE IL COMPAGNO
LANGUIRE SOFFRIRE MORIRE
NON TRADIRE

(Epigrafe sulla villa di via Bolognese, a Firenze - dove fu la sede della banda Carita' - nella quale Enrico Bocci fu torturato: e che fu chiamata in quei mesi "Villa triste")

*

GIANFRANCO MATTEI
DOCENTE UNIVERSITARIO DI CHIMICA
NELL'ORA DELL'AZIONE CLANDESTINA
FECE DELLA SUA SCIENZA
ARMA PER LA LIBERTA'
COMUNIONE COL SUO POPOLO
SILENZIOSA SCELTA DEL MARTIRIO

SU QUESTA CASA OVE NACQUE
RIMANGANO INCISE
LE ULTIME PAROLE SCRITTE NEL CARCERE
QUANDO SOTTRASSE AL CARNEFICE
E INVITTA CONSEGNO' ALL'AVVENIRE
LA CERTEZZA DELLA SUA FEDE
"SIATE FORTI - COME IO LO FUI"

Milano 11 dicembre 1916 - Roma febbraio 1944

(Epigrafe sulla casa di Milano, ove nacque l'11 dicembre 1916 Gianfranco Mattei)

*

LA MADRE

QUANDO LA SERA TORNAVANO DAI CAMPI
SETTE FIGLI ED OTTO COL PADRE
IL SUO SORRISO ATTENDEVA SULL'USCIO
PER ANNUNCIARE CHE IL DESCO ERA PRONTO
MA QUANDO IN UN UNICO SPARO
CADDERO IN SETTE DINANZI A QUEL MURO
LA MADRE DISSE
NON VI RIMPROVERO O FIGLI
D'AVERMI DATO TANTO DOLORE
L'AVETE FATTO PER UN'IDEA
PERCHE' MAI PIU' NEL MONDO ALTRE MADRI
DEBBAN SOFFRIRE LA STESSA MIA PENA
MA CHE CI FACCIO QUI SULLA SOGLIA
SE PIU' LA SERA NON TORNERETE
IL PADRE E' FORTE E RINCUORA I NIPOTI
DOPO UN RACCOLTO NE VIENE UN ALTRO
MA IO SONO SOLTANTO UNA MAMMA
O FIGLI CARI
VENGO CON VOI

(Epigrafe dettata per il busto, collocato nella sala del consiglio del Comune di Campegine, di Genoveffa Cocconi, madre dei sette fratelli Cervi, morta di dolore poco dopo la loro fucilazione)

*

A POCHI METRI DALL'ULTIMA CIMA
AVVOLTA NEL NEMBO
QUALCUNO PIU' SAGGIO DISSE SCENDIAMO
MA LIVIO COMANDA
QUANDO UN'IMPRESA SI E' COMINCIATA
NON VALE SAGGEZZA
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE

DALLA MONTAGNA NERA
DOPO DIECI ANNI DAL PRIMO CONVEGNO
S'AFFACCIANO LE OMBRE IN VEDETTA
L'HANNO RICONOSCIUTO
SVENTOLANO I VERDI FAZZOLETTI
RICANTAN LE VECCHIE CANZONI
E' LIVIO CHE SALE
E' IL LORO CAPO
CHE PER NON RINUNCIARE ALLA VETTA
TRA I MORTI GIOVANI
GIOVANE ANCH'EGLI
E' VOLUTO RESTARE

ASCIUGHIAMO IL PIANTO
GUARDIAMO SU IN ALTO
IN CERCA DI TE
COME TI VIDERO I TEDESCHI FUGGENTI
FERMO SULLA RUPE
LE SPALLE QUADRATE MONTANARE
LA MASCHIA FRONTE OSTINATA
L'OCCHIO ACCESO DI DOLCE FIEREZZA
FACCI UN CENNO LIVIO
SE VACILLEREMO
A TUTTI I COSTI BISOGNA SALIRE
ANCHE SE QUESTO
E'
MORIRE

(Epigrafe per la morte di Livio Bianco avvenuta nel luglio del 1953, per una sciagura di montagna)

*

DALL'XI AGOSTO MCMXLIV
NON DONATA MA RICONQUISTATA
A PREZZO DI ROVINE DI TORTURE DI SANGUE
LA LIBERTA'
SOLA MINISTRA DI GIUSTIZIA SOCIALE
PER INSURREZIONE DI POPOLO
PER VITTORIA DEGLI ESERCITI ALLEATI
IN QUESTO PALAZZO DEI PADRI
PIU' ALTO SULLE MACERIE DEI PONTI
HA RIPRESO STANZA
NEI SECOLI

(Epigrafe apposta dopo la liberazione sulla parete di Palazzo Vecchio che guarda Via dei Gondi, a Firenze)

*

SULLE FOSSE DEL VOSTRO MARTIRIO
NEGLI STESSI CAMPI DI BATTAGLIA
O SUPPLIZIATI DI BELFIORE
O VOLONTARI DI CURTATONE E MONTANARA
DOPO UN SECOLO
MANTOVA VI AFFIDA
QUESTI SUOI CADUTI DELLA GUERRA PARTIGIANA

COME VOI SONO ANDATI INCONTRO ALLA MORTE
A FRONTE ALTA CON PASSO SICURO
SENZA VOLTARSI INDIETRO
ACCOGLIETELI OMBRE FRATERNE
SONO DELLA VOSTRA FAMIGLIA

MUTANO I VOLTI DEI CARNEFICI
RADETZKY O KESSELRING
VARIANO I NOMI DELLE LIBERAZIONI
RISORGIMENTO O RESISTENZA
MA L'ANELITO DEI POPOLI E' UNO
NELLA STORIA DOVE I SECOLI SONO ATTIMI
LE GENERAZIONI SI TRASMETTONO
QUESTA FIAMMA RIBELLE
PATIBOLI E TORTURE NON LA SPENGONO
DOPO CENT'ANNI
QUANDO L'ORA SPUNTA
I CIMITERI CHIAMANO LIBERTA'
DA OGNI TOMBA BALZA UNA GIOVANE SCHIERA
L'AVANZATA RIPRENDE
FINO A CHE OGNI SCHIAVITU' SARA' BANDITA
DAL MONDO PACIFICATO

(Epigrafe murata nella sala del Palazzo Provinciale di Mantova nel primo decennale della Resistenza, giugno 1954)

*

RITORNO DI KESSELRING

NON E' PIU' VERO NON E' PIU' VERO
O FUCILATI DELLA RESISTENZA
O INNOCENTI ARSI VIVI
DI SANT'ANNA E DI MARZABOTTO
NON E' PIU' VERO
CHE NEL ROGO DEI CASALI
DIETRO LE PORTE INCHIODATE
MADRI E CREATURE
TORCENDOSI TRA LE FIAMME
URLAVANO DISPERATAMENTE PIETA'

AI CAMERATI GUASTATORI
CHE SI GLORIARONO DI QUELLE GRIDA
SIA RESA ALFINE GIUSTIZIA
RIPRENDANO TORCE ED ELMETTI
SI SCHIERINO IN PARATA
ALTRI ROGHI DOVRANNO ESSERE ACCESI
PER LA FELICITA' DEL MONDO

NON PIU' FIORI PER LE VOSTRE TOMBE
SONO STATI TUTTI REQUISITI
PER FARE LA FIORITA
SULLE VIE DEL LORO RITORNO
LI COMANDERA' ANCORA
COLL'ONORE MILITARE
CUCITO IN ORO SUL PETTO
IL CAMERATA KESSELRING
IL VOSTRO ASSASSINO

*

IL MONUMENTO A KESSELRING

LO AVRAI
CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRA'
A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITA'
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIU' DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI SI ADUNARONO
PER DIGNITA' NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE
RESISTENZA

(Lapide murata nel Palazzo Comunale di Cuneo il 21 dicembre 1952)

*

ALL'OMBRA DI QUESTE MONTAGNE
IL 12 SETTEMBRE 1943
POCHI RIBELLI QUI CONVENUTI
ARMATI DI FEDE E NON DI GALLONI
FURONO LA PRIMA PATTUGLIA
DELLA RESISTENZA PIEMONTESE
CHE DOPO DUE INVERNI
CON DUCCIO E LIVIO AL COMANDO
PER OGNI CADUTO CENTO SOPRAGGIUNTI
DIVENTO'
L'ESERCITO DI GIUSTIZIA E LIBERTA'
DILAGANTE VITTORIOSO IN PIANURA

NEL PRIMO DECENNALE
I VIVI SALUTANO I MORTI
DORMITE IN PACE COMPAGNI
L'IMPEGNO DI MARCIARE INSIEME
VERSO L'AVVENIRE
NON E' CADUTO

(Epigrafe murata sulla Chiesa di Madonna del Colletto, inaugurata il 27 settembre 1953 con un discorso di Ferruccio Parri)

*

CONTRO OGNI RITORNO

INERMI BORGATE DELL'ALPE
ASILO DI RIFUGIATI
PRESE D'ASSALTO COI LANCIAFIAMME
ARSI VIVI NEL ROGO DEI CASALI
I BAMBINI AVVINGHIATI ALLE MADRI
FOSSE NOTTURNE SCAVATE
DAGLI ASSASSINI IN FUGA
PER NASCONDERVI STRAGI DI TRUCIDATI INNOCENTI
QUESTO VI RIUSCI'

S. TERENZIO BERGIOLA ZERI VINCA
FORNO MOMMIO TRAVERDE S. ANNA S. LEONARDO
SCRIVETE QUESTI NOMI
SON LE VOSTRE VITTORIE
MA ESPUGNARE QUESTE TRINCEE DI MARMO
DI DOVE IL POPOLO APUANO
CAVATORI E PASTORI
E LE LORO DONNE STAFFETTE
TUTTI ARMATI DI FAME E DI LIBERTA'
VI SFIDAVA BEFFARDO DA OGNI CIMA
QUESTO NON VI RIUSCI'
ORA SUL MARE SON TORNATI AL CARICO I VELIERI

E NELLE CAVE I BOATI DELLE MINE
CHIAMAN LAVORO E NON GUERRA
MA QUESTA PACE NON E' OBLIO
STANNO IN VEDETTA
QUESTE MONTAGNE DECORATE DI MEDAGLIE D'ORO
AL VALORE PARTIGIANO
TAGLIENTI COME LAME
IMMACOLATO BALUARDO SEMPRE ALL'ERTA
CONTRO OGNI RITORNO

(Epigrafe scolpita sul marmo della stele commemorativa delle Fosse del Frigido, inaugurata il 21 ottobre 1954)

*

FANTASMI

NON RAMMARICATEVI
DAI VOSTRI CIMITERI DI MONTAGNA
SE GIU' AL PIANO
NELL'AULA OVE FU GIURATA LA COSTITUZIONE
MURATA COL VOSTRO SANGUE
SONO TORNATI
DA REMOTE CALIGINI
I FANTASMI DELLA VERGOGNA
TROPPO PRESTO LI AVEVAMO DIMENTICATI
E' BENE CHE SIANO ESPOSTI
IN VISTA SU QUESTO PALCO
PERCHE' TUTTO IL POPOLO
RICONOSCA I LORO VOLTI
E SI RICORDI
CHE TUTTO QUESTO FU VERO
CHIEDERANNO LA PAROLA
AVREMO TANTO DA IMPARARE
MANGANELLI PUGNALI PATIBOLI
VENT'ANNI DI RAPINE DUE ANNI DI CARNEFICINE
I BRIGANTI SUGLI SCANNI I GIUSTI ALLA TORTURA
TRIESTE VENDUTA AL TEDESCO
L'ITALIA RIDOTTA UN ROGO
QUESTO SI CHIAMA GOVERNARE
PER FAR GRANDE LA PATRIA
APPRENDEREMO DA FONTE DIRETTA
LA STORIA VISTA DALLA PARTE DEI CARNEFICI
PARLERANNO I DIPLOMATICI DELL'ASSE
I FIERI MINISTRI DI SALO'
APRIRANNO
I LORO ARCHIVI SEGRETI
DI OGNI IMPICCATO SAPREMO LA SEPOLTURA
DI OGNI INCENDIO SI RITROVERA' IL PROTOCOLLO
CIVITELLA SANT'ANNA BOVES MARZABOTTO
TUTTE IN REGOLA
SAPREMO FINALMENTE
QUANTO COSTO' L'ASSASSINIO
DI CARLO E NELLO ROSSELLI
MA FORSE A QUESTO PUNTO
PREFERIRANNO RINUNCIARE ALLA PAROLA
PECCATO
QUESTI GRANDI UOMINI DI STATO
AVREBBERO TANTO DA RACCONTARE

(Epigrafe pubblicata sul "Ponte" dopo le elezioni politiche del 7 giugno 1953)

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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 106 dell'8 giugno 2021
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