[Nonviolenza] Telegrammi. 4129



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4129 dell'8 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Guglielmo Epifani
2. Ripetiamo ancora una volta...
3. Alessandro Savorelli: Luigi Dal Pane
4. Giampaolo D'Andrea: Gabriele De Rosa
5. Frederic Ieva: Furio Diaz
6. Omero Dellistorti: Tutto il male possibile
7. Omero Dellistorti: Gli anni in cui studiavo l'eschimese
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LUTTI. GUGLIELMO EPIFANI

E' deceduto Gugliemo Epifani, militante del movimento operaio.
Con gratitudine lo ricordiamo.

2. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

3. STORIA. ALESSANDRO SAVORELLI: LUIGI DAL PANE
[Da Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Luigi Dal Pane (Castel Bolognese, 1903 - Faenza, 1979) lesse giovanissimo – da militante socialista e poi comunista – le opere di Labriola. A Roma nel 1922, presso i familiari del filosofo, pote' studiarne le carte: ne risulto' il tentativo – importante, ma filologicamente poco curato – di ricostruire sulla base di appunti del corso del 1900-1901 (e di altri materiali eterogenei) il 'quarto saggio', progettato da Labriola e mai portato a termine (Da un secolo all'altro. Considerazioni retrospettive e presagi, a cura di L. Dal Pane, 1925). Nel 1935 pubblico' Antonio Labriola: la vita e il pensiero (riproposto e ampliato poi come Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, 1975). La prefazione di Gioacchino Volpe al volume, che accentuava la distanza di Labriola dal Partito socialista, indugiando sui 'precorrimenti' del fascismo nelle sue posizioni sulla politica estera e la questione coloniale, favori' la circolazione del testo in pieno regime (pp. XIV-XVII). L'opera segno' la ripresa d'interesse nei confronti di Labriola, dopo un lungo oblio (negli anni successivi apparvero la ristampa degli studi su Marx di Gentile, 1937, e la riedizione dei Saggi curati da Croce, 1938-39), ripresa continuata poi ininterrottamente a partire dal dopoguerra. Docente di storia economica (a Bari, Perugia e Bologna), Dal Pane progetto' l'edizione integrale degli scritti di Labriola, editi e inediti, della quale uscirono pero', per dissensi con l'editore, solo i primi tre volumi (Opere, 1959-1962), contenenti le opere giovanili.
Il volume del 1935 e la successiva riedizione sono ancora oggi assai utili per la ricca mole di inediti e documenti che chiariscono in punti decisivi la vicenda di Labriola. Il fondo manoscritto raccolto da Dal Pane (costituito dalle carte, da parte del carteggio e da trascrizioni di corsi di mano degli allievi), ora acquisito dalla Societa' napoletana di storia patria, e' la fonte principale del testo critico previsto dall'Edizione nazionale delle Opere di Labriola in corso di attuazione. Dal Pane giunse a scrivere, accentuando alcuni motivi dell'edizione del 1935, che l'importanza dei corsi universitari e' "superiore a quella degli stessi lavori a stampa" (Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., p. 421). Questo giudizio si spiega con la crescente propensione di Dal Pane, sulla base della problematicita' del marxismo dell'ultimo Labriola, a scinderne l'opera storica da quella politica (che Labriola concepiva invece come strettamente unite, anzi inseparabili), sottolineando la "prevalenza" dei "criteri scientifici e positivi" su quelli "ideologici": al punto che il materialismo storico nella versione labrioliana (superiore persino a quella di Marx) non sarebbe piu' "ne' socialistico, ne' antisocialistico" (pp. XIV, 333, 380). Labriola, sarebbe percio' autore di un sistema "aperto" e di una rivoluzione nei "metodi della storiografia", della quale lo stesso autore ebbe solo in parte coscienza (pp. 374, 444). Dal Pane finiva cosi' per consentire con il primo Croce sul valore del marxismo di Labriola come canone di metodo storico, respingendone invece la lettura come "semplice ideologia rivoluzionaria" (pp. 449, 457). Gli autentici eredi di Labriola non furono cosi', per Dal Pane, Croce o Gramsci, ma piuttosto due autori con i quali egli aveva avuto stretti contatti, ossia Rodolfo Mondolfo e Volpe. La "filosofia della praxis" di Mondolfo sarebbe in qualche modo implicita nel materialismo storico di Labriola, il quale, nonostante i suoi residui deterministici e la preminenza data all'economia nella spiegazione dei fatti storici, si accosterebbe alla comprensione dell'"infinita varieta' e complessita'" della vicenda umana. Il primo Volpe per parte sua – quello degli studi sulle istituzioni medievali – mostra secondo Dal Pane l'assimilazione piu' consapevole del metodo storiografico di Labriola, alieno da qualsiasi "sociologismo astratto" (pp. 370-72, 466-68).

4. STORIA. GIAMPAOLO D'ANDREA: GABRIELE DE ROSA
[Da Il contributo italiano alla storia del pensiero – Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Nella stagione di profondo rinnovamento della storiografia italiana del secondo Novecento, Gabriele De Rosa si segnala per il rigore metodologico, l'originalita' tematica e l'attitudine al confronto e al dialogo. Deve la sua notorieta' soprattutto alla fondamentale ricostruzione della storia del movimento cattolico, ma anche al riuscito tentativo di far emergere dal basso una storia della societa' religiosa che consente finalmente di andare oltre la circoscritta prospettiva istituzionale prevalente nella storia della Chiesa di tipo tradizionale.
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La vita
Gabriele De Rosa nacque a Castellammare di Stabia il 24 giugno 1917 e, compiuti i primi studi a Roma, consegui' la laurea in Giurisprudenza presso l'Universita' di Torino.
Chiamato alle armi nel luglio del 1941, nel settembre 1942 venne inviato come sottotenente dei granatieri in Africa settentrionale. Prese cosi' parte alla tragica battaglia di El Alamein e, con "dolore e rabbia»", alla ritirata verso la Libia. La lettura del saggio di Benedetto Croce, Perche' non possiamo non dirci 'cristiani' (1942) – alla quale si dedico' dopo il rientro in patria, nel gennaio successivo, durante la degenza in ospedale a Roma – gli apri' "una finestra di speranza per il futuro dell'Italia".
Dopo l'8 settembre, coinvolto nelle iniziative della Resistenza romana e partecipe del grande fervore che caratterizzava la ripresa democratica, frequento' il gruppo della Sinistra cristiana raccoltosi intorno a Franco Rodano. Entrato quindi nel Partito comunista, dalla fine del 1945 al 1952 fu redattore del quotidiano "L'Unita'"; presto inizio' a collaborare anche allo "Spettatore italiano", la prestigiosa rivista diretta da Elena Croce.
I contatti sempre piu' frequenti con don Giuseppe De Luca sfociarono, nel frattempo, nell'attiva e feconda collaborazione alle Edizioni di Storia e Letteratura, che rappresentarono per lui "una vera e propria Accademia", e, in seguito, alla Morcelliana di Brescia. Nel 1954 avvenne l'importante incontro con Luigi Sturzo di cui raccolse i ricordi attraverso una fitta e intensa serie di colloqui protrattisi per cinque anni.
Libero docente nel 1958, vincitore del primo concorso a ordinario di storia contemporanea nel 1961, insegno' nelle Universita' di Padova, Salerno (diventandone il primo rettore) e Roma. Nel Veneto e nel Mezzogiorno avvio' la costituzione di gruppi di giovani studiosi, confluiti successivamente nelle strutture permanenti promosse a Salerno e Potenza (nel 1967 il Centro studi per la storia del Mezzogiorno e nel 1983 l'Associazione per la storia sociale del Mezzogiorno e dell'area mediterranea) cosi' come a Padova (nel 1966 il Centro studi per le fonti della storia della Chiesa nel Veneto e nel 1972 il Centro per le ricerche di storia sociale e religiosa), Vicenza (nel 1974 l'Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa) e Gorizia (nel 1998 il Centro studi per la storia dell'Adriatico). Con esse raccordo' costantemente anche l'attivita' dell'Istituto Sturzo sin da quando, nel 1979, ne assunse la presidenza (mantenuta fino al 2007).
Gia' redattore della rivista "Rassegna di politica e storia" (1951-71), nel 1972 fondo' "Ricerche di storia sociale e religiosa", affiancandole ben presto la "Rassegna storica lucana". Collaboro' con riviste, quotidiani e programmi televisivi di approfondimento, convinto che fosse utile sensibilizzare un pubblico piu' vasto. Con lo stesso spirito partecipava alle iniziative per la formazione e l'aggiornamento dei docenti. Fu instancabile soprattutto nel promuovere convegni, seminari, giornate di studio e altri appuntamenti di riflessione, approfondimento e confronto, e nel raccoglierne gli atti in una ricca serie di volumi.
Fu senatore per la Democrazia cristiana (1987-94), presiedendone il gruppo parlamentare dall'aprile 1993. Nel gennaio 1994 fu, con Mino Martinazzoli, tra i promotori dell'Assemblea costituente del Partito popolare italiano, nelle cui liste venne poi eletto deputato nel 1994. Mori' a Roma l'8 dicembre 2009.
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L'influenza di Giuseppe De Luca e Luigi Sturzo
La vocazione di storico – come spesso ricordava – non nacque in lui sotto l'impulso di un libro di storia, ne' attraverso un riferimento a una scuola di pensiero o all'incontro con un maestro. Fu soprattutto l'intensa attivita' politica e giornalistica a indurlo all'approfondimento e alla lettura delle fonti della storia contemporanea, alla revisione della storia postrisorgimentale, dell'eta' giolittiana, della crisi dello Stato liberale. Il suo primo volume sulla Storia politica dell'Azione cattolica nacque quasi per caso: nell'agosto 1951 l'editore Laterza gli chiese di sviluppare le tematiche di un articolo, non firmato, scritto per lo "Spettatore italiano", nel quale, denunziando i limiti interpretativi che riducevano il movimento intransigente a mero dato 'clericale', controllato strettamente dalle gerarchie ecclesiastiche, manifestava l'esigenza – condivisa dallo stesso Croce – di ricorrere finalmente a un approccio storiografico nuovo, in grado di coglierne la specifica dimensione sociale e spirituale.
Nella formazione e nei percorsi di studio e di ricerca furono decisive soprattutto le intense frequentazioni con De Luca e Sturzo. Del primo, lo colpirono in particolare le Introduzioni al primo volume dell'Archivio italiano per la storia della pieta' – la prestigiosa collana da lui promossa – e al volume Prosatori minori del Trecento. Scrittori di religione (1954). Tali testi gli offrirono una visione notevolmente piu' dialettica del rapporto Chiesa-popolo cristiano, Chiesa-societa', Chiesa-pieta', e gli fecero scoprire la dimensione storica del vissuto religioso, senza tuttavia scindere la storia dei comportamenti del popolo devoto dalle strutture pastorali.
Don Sturzo, dal suo canto, lo aiuto' a immergersi nel concreto divenire di un'intensa stagione di trasformazioni, rivolgimenti e conflitti, dalla fine dell'Ottocento al secondo dopoguerra, dall'enciclica Rerum novarum al Partito popolare e oltre, fino alla Democrazia cristiana. La sua fu "una lezione irripetibile" per la ricostruzione del percorso seguito dai cattolici italiani dall'emarginazione al governo dello Stato unitario e per la messa a punto soprattutto dei primi saggi. Gli appunti raccolti nelle conversazioni con il fondatore del Partito popolare italiano risultarono fondamentali, oltre che per la sua biografia e per i due volumi sulla Storia del movimento cattolico in Italia, anche per gli sviluppi successivi della sua produzione storiografica.
Il popolarismo sturziano ormai non gli appariva piu' "come una pura propaggine della storia del movimento cattolico" (Sturzo mi disse, 1982, p. 10), bensi' come lo sbocco positivo e dialettico di un'esclusione di massa, prodotta dall'unificazione dei mercati preunitari, che coinvolgeva insieme il mondo delle parrocchie e gli strati di piccola e media borghesia, urbana e rurale, non beneficiari della scelta protezionista. La straordinaria attenzione del grande sacerdote di Caltagirone per la democrazia delle autonomie, la spiccata sensibilita' per gli aspetti sociologici, ma anche l'interesse per le correnti di vita religiosa gli aprirono ulteriori vie di ricerca e ambiti di indagine.
Da entrambi recupero' la sollecitazione a ricostruire dal basso la storia della Chiesa e del movimento cattolico, a coglierne le intime connessioni tanto con la vita religiosa e di pieta' quanto con le mutazioni sociali e le trasformazioni economiche, con la realta' civile e culturale.
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Societa' religiosa e movimento cattolico: Veneto e Mezzogiorno
Convinto che compito precipuo dello storico fosse quello di vedere da vicino il teatro nel quale scorreva quella vita quotidiana e di pieta', diede particolare impulso all'individuazione e allo spoglio sistematico delle fonti che la raccontavano, spesso con sorprendente ricchezza di particolari, come le visite pastorali, le relationes ad limina, i sinodi, gli stati d'anime, i registri parrocchiali, i libri dei conti e cosi' via. Diventava possibile finalmente conoscere a fondo l'ordinamento e l'organizzazione delle diocesi e delle parrocchie, raccogliere informazioni precise sulla consistenza numerica, la formazione e la preparazione culturale dei sacerdoti, sui riti, sulle mentalita' collettive, sui comportamenti rispetto a eventi quali la nascita e la morte. Le strutture ecclesiastiche venivano considerate cosi' in senso evolutivo e misurate in rapporto alle trasformazioni istituzionali, economiche e sociali succedutesi nell'Italia pre e postunitaria.
De Rosa concentro' la sua indagine nel Veneto e nel Mezzogiorno, attraverso scambi e confronti continui tra le due realta'. Nel Veneto incontro' una Chiesa costruita sul modello tridentino, con parrocchie mononucleari e diocesi affidate alla cura di vescovi residenti, impegnati nella realizzazione di un programma pastorale. La sua storia, influenzata dalla peculiare natura delle strutture amministrative asburgiche e napoleoniche, era condizionata dalle dinamiche economico-sociali delle aree di trasformazione e dalla poverta' di quelle condannate alla marginalita'. Era proprio questo 'altro' rispetto alla sua terra d'origine a spingerlo all'approfondimento delle ragioni storiche della distanza tra le due realta', ma anche dei tratti comuni.
A intrigarlo particolarmente del Mezzogiorno era la peculiarita' delle sue condizioni: la struttura sui generis della Chiesa ricettizia, la polverizzazione delle diocesi, la vita di pieta' che faceva fatica a liberarsi da riti folklorici e pratiche magiche, il peso soffocante della feudalita', la debolezza del tessuto urbano.
La stagione avviata qualche anno prima con le ricerche raccolte nel fondamentale Vescovi, popolo e magia nel Sud (1971) consentiva finalmente di disporre di uno spaccato della vita della Chiesa meridionale costretta a fare i conti con epidemie e carestie, incursioni barbaresche e collere inconsulte di contadini e di pastori, con signorotti usurai e paternalisti; ma anche con il pletorico clero ricettizio, con le superstizioni e le magie, con la fede autentica, ma primitiva del suo popolo. Ma anche della realta' settentrionale si sapeva ormai molto di piu', dopo le prime ricerche su Giuseppe Sacchetti e la pieta' veneta (1968), grazie alla regestazione sistematica delle visite pastorali, favorevolmente salutata da Gabriel Le Bras, e agli studi sulle parrocchie.
Il convegno di Capaccio-Paestum (maggio 1972), il primo in Italia dedicato alla storia della societa' religiosa nel suo concreto rapporto con il civile, l'economico e il politico, assunse il rilievo di una vera e propria svolta storiografica. Era il frutto della convergenza fra l'attenzione piu' locale e intima alle realta' parrocchiali, di evidente derivazione postconciliare, e i nuovi percorsi metodologici della storiografia francese delle "Annales" di Marc Bloch e Lucien Febvre.
Tra organizzazione urbana e rurale, natura e funzione del fattore religioso e vita sacrale e magica, emergeva una relazione molto stretta. Il tema della religiosita' popolare, nelle diverse modalita' con le quali si presentava al Nord e al Sud, diveniva oggetto di uno stimolante confronto con la scuola francese e non solo. La dialettica tra il vissuto e il prescritto, un terreno particolarmente insidioso, richiedeva rigorose messe a punto. De Rosa considerava "equivoca" la definizione della religione popolare come "religione delle classi subalterne". Era convinto che, anche quando assumeva "aspetti e contenuti diversi rispetto al modello prescritto", fino a sconfinare nel superstizioso e nel paramagico, la religione popolare non fosse "fuori dal cristianesimo e dal cattolicesimo praticato dal clero riformatore e conciliare" (Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, 1978, p. 8); comportamento precettistico e pratica magica in molti casi risultano associati, non alternativi. Occorreva pero' anche andare oltre la stessa definizione di pieta' a suo tempo prospettata da De Luca. Essa restava la piu' adatta a comprendere le vie della santita' e le esperienze diffuse di fede, soprattutto nel Mezzogiorno, ma andava "collocata nella storia sociale": 'l'uomo che prega' andava conosciuto "non in un assurdo isolamento da cio' che in tanta parte lo condiziona nella vita di tutti i giorni", bensi' in "rapporto con la societa', con la vita economica, con i generi di vita" (Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, cit., pp. 13, 17).
Gli stessi santi meridionali o veneti – che "il popolo ha venerato e amato prima ancora che fossero istruiti i processi di canonizzazione" – andavano studiati e colti "nel tessuto della storia" alla quale appartenevano, con le sensibili differenze che la caratterizzavano, "largamente tributarie delle ascendenze storiche e delle specifiche tradizioni consolidatesi attraverso il vissuto religioso" (Storie di santi, 1990, p. XIII).
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Tempo religioso e tempo storico
Le nuove prospettive di indagine spalmavano i loro effetti anche sugli studi e sulle ricerche di storia del movimento cattolico, che potevano ora giovarsi di supporti archivistici diocesani e parrocchiali, in precedenza scarsamente utilizzati, per scandagliare piu' a fondo nei rapporti tra comportamenti politici, vita materiale e pratica religiosa. In particolare, bisognava fare attenzione a non sradicare i cattolici intransigenti dal loro tempo e dalle circostanze in cui avevano vissuto, per tenere nel massimo conto, invece, abitudini e forme tradizionali entrate a far parte del loro comportamento, mentalita', utopie e il senso della loro opposizione nei confronti dello Stato unitario. Tutti elementi che non potevano essere disgiunti da una religiosita' popolare intimamente connessa con una societa' rurale messa in crisi dalla penetrazione capitalistica. Tale chiave di lettura e di ricerca, regione per regione, consentiva di interpretare anche la consistenza politica del popolarismo come forza di aggregazione della societa' civile nell'ambito piu' largo del processo di unificazione del Paese e di capire meglio la natura della confluenza dei ceti piccoli e medi borghesi.
Emergeva sempre piu' come decisivo il ruolo di una struttura portante come la parrocchia. L'organizzazione ecclesiastica delle diocesi meridionali risultava pesantemente condizionata dalla prevalenza della chiesa ricettizia, che aveva resistito al Concilio di Trento e che, ancora dopo il decennio francese, era di ostacolo all'affermarsi di una parrocchia di tipo mononucleare largamente diffusa al Nord. Gli ulteriori approfondimenti confermavano inoltre con evidenza che anche la distanza relativa ai tempi e alle modalita' di applicazione del Concilio di Trento nelle due realta' fosse da imputare piuttosto alla diversita' dei contesti storici, economico-sociali e istituzionali, dove le diffuse resistenze mentali e culturali, comuni a borghesi e contadini, contavano "da protagoniste". Indagate con i piu' raffinati strumenti metodologici propri della nuova storiografia della mentalita' e della socialita', esse aiutavano a scoprire e riconoscere, nel suo spessore culturale e senza indulgenze folkloriche, l'identita' di una storia locale "con i suoi eventi non solo politici, ma spirituali, di vita civile e di vita religiosa insieme". Una storia "che appare poco attraverso il solo evolversi delle istituzioni e il grande gioco della politica e che non si misura con le date" (Per una storia sociale della Basilicata, "Rassegna storica lucana", 1979, 1, p. 1), ma che non puo' essere considerata immobile, o senza avvenimenti, fino ad assecondare la deriva della non storia. Pur con una diversa scansione del 'tempo religioso' e del 'tempo storico', e' innegabile infatti l'influenza propria dei grandi eventi politico-istituzionali, delle guerre, delle rivoluzioni che non sono assorbibili entro il sociale.

Nella storia della parrocchia dell'eta' contemporanea entrava cosi' anche una storia della societa' civile, con tutti i problemi sollevati dalla Rivoluzione francese, dalle idee liberali, dalle rivoluzioni socialiste, dalle concezioni materialistiche, dall'irrompere della democrazia, dalla reazione cattolica allo Stato liberale, dalla liquidazione dei beni ecclesiastici e delle decime, dall'emigrazione e dalle trasformazioni economico-sociali tipiche della societa' di massa, colte nel collegamento stretto con le culture e le tradizioni dentro le quali si realizzavano. Le ricerche sul Veneto si arricchivano cosi' sempre piu' frequentemente di approfondimenti relativi all'avvio dell'industrializzazione, all'alternativa tra liberismo e protezionismo, all'impatto dei processi di modernizzazione sulle permanenze socioculturali proprie della societa' rurale, ai traffici e alle relazioni strette con le contigue aree dell'Alto Adriatico. Le pagine di storia del Mezzogiorno, dal canto loro, contenevano riferimenti sempre piu' precisi a quei fattori geografico-ambientali che Fernand Braudel segnalava come essenziali per comprendere le civilta' del Mediterraneo.
Il criterio della lunga durata, evidenziando la continuita' del processo storico, appariva come la chiave interpretativa in grado di non trascurare i diversi contesti, storici e geografici, e di dare un orizzonte piu' ampio anche alla storia locale. Come le ricerche sul Mezzogiorno provavano a intercettare ascendenze e relazioni con il Mediterraneo, allo stesso modo quelle sul Veneto si spingevano progressivamente verso l'Europa centro-orientale e l'altra sponda dell'Adriatico. All'interesse, evidente sin dall'inizio degli anni Ottanta, a esplorare cio' che si muoveva intorno al territorio veneto, si aggiunse, subito dopo il 1989, la spinta a recuperare le radici e la memoria storica della fede sommersa nei Paesi dell'Est, dalle terre dell'Alto Adriatico alla Polonia, fino a Kiev, nel cuore dell'Ucraina. Era possibile cosi' riscoprire alla base il linguaggio della fede connesso con le vicende della vita e "un mondo ecclesiastico mobilissimo", circondato da confini diocesani cambiati o "annullati dallo Stato", che appariva come "una girandola vorticosa di etnie e di paure antiche e nuove" (Diario, 20.9.1991, in Gabriele De Rosa tra Vicenza, Veneto ed Europa orientale, 2012, p. 116).
Era ancora una volta il presente a richiedere un intenso esercizio di approfondimento sul passato, a suggerire di ricorrere alla 'forza' della storia, come a 'una risorsa’ proprio perche' "la storia non e' un esercizio gratuito, la storia non e' memoria mummificata, non e' informazione passiva di quel che e' accaduto, non e' raccolta di quel che e' morto, e' conoscenza nel senso piu' puro del termine, conoscenza di vita, intreccio di esperienze che si prolungano sino a noi" (Tempo religioso e Tempo storico, III vol., 1998, p. 303).
Ma la storia non puo' "pretendere l'esaustivita', l'autosufficienza e nemmeno la globalita' pur con il supporto delle sociologie piu' raffinate", perche' "la storia – avvertiva – e' processualita' di eventi di problemi e di domande insieme; non e' ne' puo' essere scienza esatta" (premessa a Storia medievale, 1989, p. 13).
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Opere
Tra le sue innumerevoli pubblicazioni, oltre ai manuali di storia per le scuole, sui quali hanno studiato generazioni di italiani, ricordiamo in particolare:
Storia politica dell'Azione cattolica in Italia, 2 voll., Bari 1953-1954.
La crisi dello stato liberale in Italia, Roma 1955.
Giolitti e il fascismo in alcune sue lettere inedite, Roma 1957.
Storia del Partito popolare, Bari 1958.
Filippo Meda e l'eta' liberale, Firenze 1959.
I conservatori nazionali: biografia di Carlo Santucci, Brescia 1962.
Storia del movimento cattolico in Italia, 2 voll., Bari 1966.
Giuseppe Sacchetti e la pieta' veneta, Roma 1968.
Vescovi, popolo e magia nel Sud. Ricerche di storia socio-religiosa dal XVII al XIX secolo, Napoli 1971.
L'utopia politica di Luigi Sturzo, Brescia 1972.
Luigi Sturzo, Torino 1977.
Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari 1978.
Sturzo mi disse, Brescia 1982.
Storia del Banco di Roma, III vol., Roma 1984.
Tempo religioso e Tempo storico. Saggi e note di storia sociale e religiosa dal Medioevo all'eta' contemporanea, 3 voll., Roma 1987-1998.
Da Luigi Sturzo ad Aldo Moro, Brescia 1988.
Storie di santi, Roma-Bari 1990.
Una banca cattolica fra cooperazione e capitalismo. La Banca Cattolica del Veneto, Roma-Bari 1991.
La transizione infinita. Diario politico 1990-1996, Roma-Bari 1997.
La storia che non passa. Diario politico 1968-1989, a cura di S. Demofonti, Soveria Mannelli 1999.
La passione di El Alamein. Taccuino di guerra 6 settembre 1942 - I gennaio 1943, Roma 2002.
L'appagamento morale dell'animo. Raccolta di scritti, a cura di C. Argiolas, Roma-Soveria Mannelli 2007.
Tra le numerose curatele e i volumi che raccolgono gli atti dei convegni e seminari che documentano le ricerche collettive da De Rosa personalmente coordinate si segnalano:
La societa' religiosa nell'eta' moderna, Napoli 1973.
Luigi Sturzo nella storia d'Italia, Roma 1973.
Il movimento cattolico e la societa' italiana in cento anni di storia, Roma-Vicenza 1976.
Societa' e religione in Basilicata nell'eta' moderna, 2 voll., Roma 1977-1978.
La parrocchia nel Mezzogiorno dal Medioevo all'eta' moderna, Napoli 1980.
La parrocchia in Italia nell'eta' contemporanea, Napoli 1982.
Trasformazioni economiche e sociali nel Veneto tra XIX e XX secolo, a cura di A. Lazzarini, Vicenza 1984.
Sturzo, i cattolici democratici e la societa' civile del Mezzogiorno. A 25 anni dalla scomparsa di don Luigi Sturzo, "Sociologia", 1987, 1-2-3.
Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, 2 voll., Venosa 1988.
Luigi Sturzo e la democrazia europea, Roma-Bari 1990.
Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l'eta' giacobina e il decennio francese, a cura di A. Cestaro, A. Lerra, 2 voll., Venosa 1992.
Veneto e Lombardia tra rivoluzione giacobina ed eta' napoleonica. Economia, territorio, istituzioni, a cura di G.L. Fontana, A. Lazzarini, Roma-Bari 1992.
Storia dell'Italia religiosa (con T. Gregory e A. Vauchez), 3 voll., Roma 1993-1995.
L'eta' rivoluzionaria e napoleonica in Lombardia, nel Veneto e nel Mezzogiorno. Un'analisi comparata, a cura di A. Cestaro, Venosa 1999.
Le vie dell'industrializzazione europea. Sistemi a confronto, a cura di G.L. Fontana, Bologna 1997.
L'area alto-adriatica dal riformismo veneziano all'eta' napoleonica, a cura di F. Agostini, Venezia 1998.
Storia della Basilicata (con A. Cestaro), 4 voll., Roma-Bari 1999-2006.
G. De Rosa, F. Lomastro, L'eta' di Kiev e la sua eredita' nell'incontro con l'Occidente, Roma 2003.
G. De Rosa, F. Lomastro, La morte della terra. La grande carestia in Ucraina nel 1932-33, Roma 2004.
*
Bibliografia
Contributi alla storia socio-religiosa. Omaggio di dieci studiosi europei a Gabriele De Rosa, a cura di A.L. Coccato, Vicenza-Roma 1997.
"Sociologia", 2007, 3.
"Ricerche di storia sociale e religiosa", 2010, 78.
Gabriele De Rosa tra Vicenza, Veneto ed Europa orientale. Ricordando alcuni itinerari di ricerca, a cura di F. Agostini, Padova 2012.

5. STORIA. FREDERIC IEVA: FURIO DIAZ
[Da Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Furio Diaz (Livorno 1916 - ivi 2011), dopo una formazione filosofica e dopo essere stato assistente a Pisa di Guido Calogero (1904-1986), passo' all'insegnamento della storia e della filosofia nei licei. Militante antifascista, fu sindaco di Livorno nell'immediato secondo dopoguerra (1944-54); nel 1957, dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria (1956), usci' dal Partito comunista italiano, riprendendo gli studi storici come libero docente di filosofia della storia presso l'ateneo pisano. Nel 1959 entro' nella direzione della "Rivista storica italiana"; molto legato a Franco Venturi, al quale lo accomunava una metodologia simile nell'impostare la ricerca storica, Diaz collaboro' attivamente alla rivista diretta dallo stesso Venturi, intervenendo con numerosi articoli (alcuni dei quali sarebbero stati raccolti in Per una storia illuministica, 1973) e recensioni.
Nel corso degli anni Sessanta si stabilizzo' la sua posizione di docente all'Universita' di Pisa: nominato professore incaricato nel 1963, divenne ordinario nel 1966 nella facolta' di Scienze politiche, dove insegno' sino al 1975-76. Alcuni anni prima (1968), divenne docente di storia alla Normale di Pisa.
Il campo di ricerca privilegiato dallo storico livornese fu il Settecento e, in particolare, la storia della Francia, della Toscana (di cui traccio' un ampio profilo storico in Il granducato di Toscana, I vol., I Medici, 1976; II vol., con L. Mascilli Migliorini e C. Mangio, I Lorena: dalla reggenza agli anni rivoluzionari, 1997) e dell'Illuminismo. La sua attenzione verso le tematiche illuministiche risaliva almeno agli anni Quaranta quando, sul periodico "Rinascita", pubblico' diversi articoli tra cui quello del 1949 con un titolo dal forte sapore voltairiano "Ecrasez l'infame", nelle cui pagine Diaz sottolineo' che l'antilluminismo si prefigurava come il lascito teorico dell'idealismo storicistico italiano. Uno dei frutti conclusivi di questa lunga e intensa stagione di riflessione teorica sul significato politico e sociale dell'Illuminismo – che aveva visto Diaz entrare in polemica con Cesare Luporini (1909-1993), Ernesto Sestan, Giorgio Falco e talora con lo stesso Venturi, studiosi accomunati, secondo il suo parere, da una tendenza idealistica di stampo crociano –, era stato il volume Voltaire storico (1958). In questa monografia Diaz esamino' "i nodi fondamentali della concezione storica illuministica e, in particolare [...] il problema [...] del rapporto tra ispirazione politica e ricostruzione storiografica" (M. Simonetto, Riletture illuministiche: Furio Diaz, "Studi storici", 2009, 2, p. 428). Passando al setaccio l'intera opera storica, e non solo, di Voltaire Diaz ravviso' nel Siecle de Louis XIV (1752) un'interpretazione razionale del progresso, mentre nell'Essai sur les moeurs (1756) individuo' l'armamentario teorico attraverso cui Voltaire avrebbe condotto la sua lotta in difesa della liberta' e della tolleranza. Pochi anni dopo lo sguardo dello storico livornese assunse una prospettiva piu' ampia dando alle stampe Filosofia e politica nel Settecento francese (1962), in cui offri' un quadro organico e omogeneo dei rapporti tra la cultura e la politica nella Francia della seconda meta' del XIII sec. circa. Ponendo il pensiero illuministico al centro della propria analisi, Diaz giunse alla conclusione che l'efficacia politica della philosophie era stata fondamentalmente irrilevante.
In un altro suo testo di notevole rilievo, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli (1986), affronto' il problema della rappresentanza, ritenendo che Montesquieu, sostenitore del rafforzamento del potere dei corpi intermedi, aveva portato avanti un progetto di conservazione illuminata.

6. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: TUTTO IL MALE POSSIBILE

- Mi perdoni, sa, se glielo chiedo. Ma lei cosa ne pensa?
- Di Cosa?
- Di questo.
- Tutto il male possibile.
- Certo, lo immaginavo.
- Perche', lei no?
- No, no, anch'io, anch'io ne penso tutto il male possibile.
- Vorrei ben vedere.
- C'e' bisogno di dirlo?
- Visto che me lo ha chiesto...
- No, chiedevo cosi', per dire.
- Pero' me lo ha chiesto.
- Si', pero' sapevo gia'...
- Se lo sapeva gia' perche' me lo ha chiesto?
- Ma cosi', pour parler.
- Puppalle'?
- E' francese, vuol dire tanto per dire.
- Ah.
- Eh.
- E cosi' lei sa il francese?
- No, qualche parola, quelle che sanno tutti.
- Pero' sa pure puppalle'.
- Si', ma lo sanno tutti.
- Io no. Allora che vorrebbe dire?
- Prego?
- Dico: che vorrebbe dire?
- Non capisco.
- Ah, adesso non capisci? Ma se parli pure il francese.
- No, non parlo francese.
- Pero' puppalle' lo hai detto.
- Ma non vuol dire niente.
- E se non vuol dire niente perche' lo hai detto?
- Ma cosi', per dire qualche cosa.
- E chi te lo ha chiesto?
- Come?
- Di dire qualche cosa, chi te lo ha chiesto?
- Nessuno.
- Hai deciso tu.
- In effetti...
- Che effetti e effetti, hai deciso tu.
- Si'.
- E perche'?
- Perche' cosa?
- Come cosa?
- E' che temo di non capire?
- Ah, adesso temi?
- Di non capire.
- Ci dovevi pensare prima. Prima ci dovevi pensare.
- Ma scusi, che fa?
- Quello che devo fare.
- Aiuto!
- Ti conviene stare zitto adesso.
- Aiuto! Aiuto!
- Non c'e' nessuno, e' inutile che strilli.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: GLI ANNI IN CUI STUDIAVO L'ESCHIMESE

A quel tempo studiavo l'eschimese.
Tutti i giorni.
M'alzavo presto la mattina e prima di aprire il negozio (ci ho un'armeria) stavo un paio d'ore a studiare l'eschimese. Poi andavo al lavoro.
M'aiutavo col caffe' Borghetti. Studiare l'eschimese non e' facile.
L'idea m'era venuta perche' avevo visto un film in televisione, a quel tempo ci avevo la televisione, in bianco e nero, poi mi si e' rotta e ho smesso di guardarla. Non sento neppure la radio. Neanche ce l'ho la radio. Leggo, adesso la sera leggo. Tutte le sere. Prima di uscire. Con gli amici. Al bar. Prima al bar, poi si va. Con gli amici. Mica sono una bestia.
Dicevo che studiare l'eschimese non e' facile. Anche perche' dove abito io di eschimesi non ce ne sono. Una volta c'era uno che dicevano che era tedesco. Poi l'ammazzarono. Dicevano che rubava. Tutti quelli che vengono ammazzati poi si dice che la gente diceva che rubavano. Che magari era pure vero, qui rubano tutti. E' che qui al paese c'e' sempre stata la micragna, e la gente s'arrangia. Se non s'arrangia muore di fame: voi che dite? e' meglio che uno s'arrangia o che muore di fame? Io non dico niente, le idee mie me le tengo per me. Ci ho il negozio, non mi va di litigare con la gente che poi per ripicca non vengono piu' alla bottega. Che pero' e' l'unica armeria che c'e' qui al paese per cui tanto prima o poi qui devono passare. Pero' ci tengo a non mettere in imbarazzo nessuno e allora le idee mie me le tengo per me. Meno chiacchieri e meglio e'. E' la prima legge del commercio, lo sanno tutti.
Cosi' dovevo cercare di farmi un'idea da me di come parlavano 'sti eschimesi. Non era facile.
Quel film c'era un eschimese che prima non era geloso, poi era geloso. C'era il ghiaccio da tutte le parti che si tagliava coll'accetta, e nient'altro. A parte i pesci e gli orsi bianchi. E le canoe. Era un bel film. Mi diede l'idea che se mi decidevo a farla finita di fare 'sto lavoro che era uno schifo di lavoro (non la bottega, quell'altro) magari un giorno partivo e andavo a vivere pure io nel paese degli eschimesi che si campava con poco: la casa te la facevi dando una squadrata ai blocchi di ghiaccio e poi i muri li tiravi su, come se fossero blocchetti di tufo ma che non erano di tufo, erano di ghiaccio, mi dovevo informare per come si faceva il tetto che non l'avevo capito bene ma di sicuro una volta che ero li' qualche idea mi veniva, e per mangiare ammazzavi gli orsi o pescavi i pesci. Non era difficile, ed era una vita che mi piaceva. Io sono sempre stato un po' forastico (che da noi si dice furestico), un po' solitario, si'. Mi piace fare come mi pare. Ci avro' diritto, no?
Adesso mi ricordo che da figlio avevo pure letto su un giornaletto una storia di Gecchelondo, di un altro eschimese che prima non era geloso e poi si'. Puo' darsi che fosse la stessa storia. E' che non me la ricordo bene. Le cose uno se le scorda. Io dico che e' una fortuna che le cose uno se le scorda perche' se te le ricordi tutte, insomma, ci sono tutte quelle cose brutte che e' meglio scordarsele, no?
Lo dico sempre pure ai clienti. Meglio scordarsele le cose brutte e ricordarsi solo quelle belle. Cosi' si va in paradiso. Che poi il paradiso mica c'e', e' una finta per farci stare tutti buoni e sottomessi. Ma tanto a chi vogliono fregare?
Per fortuna che gli eschimesi erano pochi, cosi' era difficile che incontravi qualcuno che ci dovevi parlare. Per questo la lingua eschimese, secondo me, erano poche parole. Buongiorno e buonasera, per forza: in tutte le lingue c'e' buongiorno e buonasera, se vogliamo fare le persone civili, perche' volendo uno puo' pure non salutare nessuno, pero' non e' educazione non salutare la gente, specialmente quando sei al polo nord o al polo sud e incontri una persona, che ne so, una volta ogni due o tre anni, allora la devi salutare, e' educazione.
Secondo me dicono aho', come diciamo pure noi. Che vale sia per buongiorno che per buonasera che per un sacco di altre cose.
Ma non e' che ci arrivai subito, ci dovetti pensare parecchio. Pero' ormai il piu' era fatto, una volta che sapevi dire buongiorno e buonasera li' al polo nord o al polo sud non e' che ci fosse tanto altro da dire. C'era solo da andare a caccia e a pesca, che sono due cose che io me ne intendo, visto che ci ho l'armeria che prima era di mio zio e adesso e' mia perche' dopo che ammazzarono sia lo zio Amleto che i miei cugini Nepomuceno e Giairo, della famiglia chi restava? Restavo io solo, eh. Cosi' ereditai. Adesso non lo so se e' giusto che ereditai proprio io che ero quello che aveva fatto quello che insomma io allo  zio gli volevo pure bene pero' certi torti si sa come si lavano. Si sa, si sa. Lo sapete pure voi come si lavano. Dopo mi presi l'armeria visto che ero l'unico parente. Se volevo mi prendevo pure la moglie di Nepomuceno che era ancora viva dopo il fatto e non era per niente male, per niente male, ma lei preferi' scappare e io la lasciai andare. Ero giovane ed ero magnanimo. Non e' una bella parola magnanimo? Che pare una cosa e invece significa tutto il contrario. E' forte magnanimo. Chi lo sa se lo dicono pure in eschimese. Magari una di queste mattine ci penso. Perche' io continuo a studiare, perche' chi non studia che diventa? Diventa una bestia, e a me non mi va di diventare una bestia, che poi e' la finaccia che fanno tutti qui al paese, per questo avevo pensato di andarmene al polo nord, o al polo sud, a vivere con gli eschimesi che tanto ne incontri uno si' e no una volta ogni due o tre anni.
Il freddo? Ci ho il cappotto del servizio militare. Ce l'ho ancora. E ci ho pure l'incerata. Casomai piovesse, che adesso non lo so se al polo nord o al polo sud ci piove pure, io penso di no perche' in quel film non pioveva mai, pero' non si sa mai, e allora io ci ho sia il pastrano militare che l'incerata, e ci ho pure l'ombrello da pecoraro, che' da giovane guardavo pure le pecore, prima che succedesse quel fatto che dopo le pecore non le guardai piu', e chi ci aveva le pecore l'aveva capito che a uno come me si deve portare rispetto. Il rispetto e' tutto, senza rispetto che siamo? Bestie, siamo. Senza rispetto siamo solo bestie, e io bestia non ci voglio diventare.
Le donne. Certo che ci ho pensato pure io. Ci pensiamo tutti, no? perche' non e' che ti puoi mettere con un'orsa bianca, no? Che sono pure animali feroci. E poi non sarebbe giusto perche' devi rispettare pure i diritti degli animali, che alla fine sono esseri viventi, no? e allora sono cristiani pure loro e ci hanno pure loro il loro diritto umano al rispetto umano, no? Io la penso cosi', sbaglio? No che non sbaglio. Mica siamo bestie. Glielo dico sempre ai clienti: mica siamo bestie.
Poi sono restato qui. Ci ho l'armeria e la sera con gli amici ci vediamo prima al bar e poi andiamo. Le donne. Poveracce. Io se ero donna m'ammazzavo da me. Invece no, loro aspettano che arriviamo io con gli amici che dopo che abbiamo bevuto un po' ci va di divertirci e allora ci divertiamo. Magari non e' una cosa giusta. Anzi: sicuramente non e' una cosa bella che facciamo quello che facciamo. Pero' qualche cosa bisogna pure farla per passare il tempo, no? al paese non c'e' neanche il cinema. E poi, via, non si puo' dire che non c'e' gusto. Poveracce.
Pero' ogni mattina m'alzo presto e anche se ho smesso di studiare l'eschimese ormai da un bel mucchio d'anni ci penso lo stesso che prima o poi prendo e parto e me ne vo al polo nord o al polo sud. Neppure vendo l'armeria. Prendo lo zaino col pastrano e l'incerata, un paio di carabine, un par di canne da pesca sportiva, insomma se uno ci ha un'armeria ci avra' diritto a portarsi via un po' d'attrezzatura, no? Prendo e parto e vo a fare l'eschimese pure io. Che qui al paese si fa solo la muffa, glielo dico sempre ai clienti.
Mica siamo bestie.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Michela Marzano, Estensione del dominio della manipolazione. Dall'azienda alla vita privata, Mondadori, Milano 2009, 2010, pp. VI + 210.
- Michela Marzano, Il diritto di essere io, Laterza - Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma-Bari 2014, pp. VI + 136.
- Michela Marzano, L'amore che mi resta, Einaudi, Torino 2017, Mondadori, Milano 2019, pp. IV + 240.
- Michela Marzano, Sii bella e stai zitta. Perche' l'Italia di oggi offende le donne, Mondadori, Milano 2010, 2012, pp. VI + 162.
- Michela Marzano, Volevo essere una farfalla. Come l'anoressia mi ha insegnato a vivere, Mondadori, Milano 2011, 2017, pp. IV + 220.
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Riedizioni
- Alexander Langer, Non per il potere, Chiarelettere, Milano 2012, 2016, pp. XIV + 162, euro 8,50.
*
Classici
- Seneca, Sulla felicita'. La tranquillita' dell'anima, Rcs, Milano 2021, pp. 240, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4129 dell'8 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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