[Nonviolenza] Telegrammi. 4125



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4125 del 4 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. La strage degli innocenti nel Mediterraneo continua
2. Ripetiamo ancora una volta...
3. Alcuni estratti da "Tortura" di Donatella Di Cesare (parte seconda e conclusiva)
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. L'ORA. LA STRAGE DEGLI INNOCENTI NEL MEDITERRANEO CONTINUA

Ancora un naufragio, ancora una strage.
Quanto ancora dovra' continuare questo orrore?
Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di muoversi liberamente, in modo legale e sicuro, sull'intero pianeta.
Occorre soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "TORTURA" DI DONATELLA DI CESARE (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal sito www.tecalibri.info]

Da pagina 85
Rendere legale cio' che e' ingiusto ha conseguenze, non solo per l'etica, ma anche per lo Stato di diritto. Che cosa vuol dire esporre pubblicamente la tortura, metterla allo scoperto, facendola emerge dalle segrete e dai sotterranei di Stato, dove di solito e' praticata nel segno della negazione che non lascia traccia? Che cosa significa, terminata da secoli l'eta' dei supplizi, atroci e spettacolari, raggiunta l'abolizione, stentata e vacillante, della tortura, ripristinarne apertamente l'uso, per quanto eccezionale, in una democrazia? Quali rischi comporta?
L'istituzionalizzazione della tortura mina l'idea di giustizia. Fa dello Stato un torturatore legale. Perche' la tortura non spinge tanto lo Stato nello spazio dove non vige piu' il diritto - dato che lo Stato, anche quello democratico, puo' legalizzarne la pratica - quanto piuttosto lo porta a servirsi in modo illegittimo dei mezzi che i cittadini hanno ceduto, per garantire la propria sicurezza. Cosi' lo Stato contravviene allo scopo precipuo del suo potere di coercizione, abusa di quel suo monopolio di violenza legittima, delegato solo per evitare l'erompere delle violenze singole. E' la lezione di Thomas Hobbes. La delega e' temporanea e condizionata al rispetto dei cittadini, che richiedono di essere tutelati nella loro integrita' umana, nella loro inviolabilita', fisica e psichica, un rispetto che percio' e' richiesto anche per gli stranieri, i non-cittadini, i residenti provvisori che sono ospiti.
Se lo Stato tortura, non abusa solo del potere, ma incrina anche la fiducia dei propri cittadini che, anziche' difesi, vengono inaspettatamente offesi, colpiti nella loro disarmata vulnerabilita'. Lo Stato che tocchi il corpo di un cittadino e' gia' illegittimo. Anche se si tratta di un detenuto. Se a compiere la violenza e' un agente, un funzionario dello Stato, allora quest'ultimo puo' e deve intervenire per sanzionare il colpevole e ripristinare l'ordine civile. Ma la' dove e' lo Stato a diventare un torturatore legale, chi sanzionera'?
Si capisce perche' l'agente o il funzionario, che usa illegittimamente violenza, tenda a dissimularsi, a operare nel segreto, a fare come se agisse a proprio nome, non a nome del potere coercitivo che gli deriva dall'autorita' statale. Questo consente allo Stato di intervenire ogni volta, come istanza terza e mediatrice, in quel corpo a corpo che si consuma tra il suo agente e il soggetto violato, e in cui rischia di cancellarsi lo spazio stesso del politico. Proprio in quanto e' violenza che si esercita sull'altro, in quella sua inviolabilita', che dovrebbe essere alla base di ogni democrazia, la tortura ha il sapore acre e ripugnante del regresso allo stato di natura e alla legge del piu' forte.
L'istituzionalizzazione della tortura contraddice la finalita' dello Stato democratico. D'un tratto non c'e' piu' un'istanza regolatrice; viene meno lo Stato di diritto. Di piu': lo Stato, alla fin fine, si autonega.
Che a essere torturati legalmente siano i "nemici" piuttosto che i cittadini, comunque la tortura legale estende la sua azione distruttiva investendo, al di la' del torturatore e della vittima, tutti i membri della comunita'. Perche' tutti saprebbero che quella violenza, legale e illegittima al contempo, viene esercitata a loro nome. Potranno illudersi che una tortura chirurgica, nel contesto di uno stato d'eccezione, non sia pervasiva. Ma dovranno presto ricredersi, perche', diventata istituzione legalmente riconosciuta, la tortura degenerera' in politica di massa, corrompendo l'intero corpo sociale. Le democrazie, che immaginavano di distinguersi, in questo, dai regimi totalitari, scopriranno di non essere immuni.
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Da pagina 120
8. Da Torquemada a Scilingo. Quattro ritratti
Forse nessuna figura e' tenebrosa e fosca, enigmatica e perversa, come quella del torturatore. Che assuma l'aspetto altero dell'inquisitore o si nasconda dietro la maschera crudele del boia, con il tempo si e' circondato dall'aura favolosa del mito, occupando un posto di primo piano nell'immaginario comune che la letteratura, a sua volta, ha alimentato. Basti pensare al Grande Inquisitore di Dostoevskij. Cio' ha contribuito a respingerlo in una lontananza estranea e rassicurante. Come se il torturatore avesse tratti non umani, mostruosi e diabolici.
Ma chi e' realmente il torturatore? Come appare questa figura nel corso della storia? Si possono scorgere caratteri che, pur nelle differenze, tornano a ripetersi? Per rispondere, varra' la pena delineare a larghi tratti quattro figure: la prima, storicamente piu' distante, e nondimeno famosa, o famigerata, e' quella di Tomas de Torquemada, le altre, piu' vicine, ma forse meno note, sono quelle del generale francese Paul Aussaresses, di Kaing Guek Eav, detto Duch, esponente dei Khmer Rossi, e infine dell'argentino Adolfo Scilingo.
Come a proposito della distinzione introdotta fra tortura e sterminio, anche nel caso del torturatore occorre evitare confusioni fuorvianti. Non si tratta solo di quantita' e, dunque, del numero gigantesco di vittime eliminate nella catena di montaggio che funzionava, notte e giorno, nelle officine hitleriane. Il punto dirimente e' il faccia a faccia. I nazisti lo sapevano bene. Percio' si sono trincerati dietro le loro scrivanie. Com'e' noto, Adolf Eichmann non torturo' ne' uccise mai nessuno. Il che non ne riduce la smisurata, epocale responsabilita'. Pur avendo ricoperto cariche gerarchiche diverse, dal semplice aguzzino al comandante di un campo di internamento, il torturatore e' quello che ha inflitto violenza senza esimersi dal guardare negli occhi la vittima. Anche la' dove si sia limitato a ordinare la violenza. Torturare non e' uccidere - l'industrializzazione della morte non ha un equivalente nell'industrializzazione della tortura. E questo perche' la tortura e' violenza meditata e distillata che richiede un faccia a faccia, non meno che un corpo a corpo. [...]
Piu' impenetrabile e' la personalita' di Torquemada, le cui azioni tuttavia furono dettate da fede nella verita' assoluta, ricorso a una crudelta' metodica, uso del terrore come strumento teologico-politico di controllo. Tradendo l'insicurezza del marrano, che voleva affermare la sua identita' cristiana appena acquisita, fisso' il suo bersaglio dapprima nei conversos e nei giudaizzanti, quindi negli ebrei, colpevoli non tanto di rappresentare l'estraneita', quanto di non permettere ai conversos di cancellarla, consegnandola al passato. Questo vuol dire che l'ideale di purezza di Torquemada non era fondato sul sangue, bensi' sull'acqua e sul fuoco. Un marrano poteva liberarsi del proprio ebraismo e entrare a far parte della Nuova Spagna. Per questa purificazione, se non fosse stata sufficiente l'acqua del battesimo, sarebbe bastato il fuoco dei roghi.
L'intento della purificazione resta, nei secoli, uno dei motivi scatenanti della distruzione - come chiarisce bene Jacques Semelin (2007). L'ideologia purificatrice puo' variare, ma invariata e' la convinzione. Di qui il rifiuto al pentimento opposto da torturatori illustri. Protagonista di una accesa polemica, scatenatasi in Francia, e' stato Paul Aussaresses, generale dell'esercito francese, comandante della Legion d'onore e medaglia alla Resistenza. Entrato, alla fine della seconda guerra mondiale, nel servizio di controspionaggio francese, pratico' la tortura, prima nella guerra d'Indocina, poi in quella d'Algeria. A lungo fu considerato un eroe militare e godette di ottima reputazione. Fin quando lui stesso non decise di rompere il silenzio rivendicando la tortura quale "arma" al pari di altre. "Da parte mia, non mi pento", ha dichiarato in una famosa intervista. "La tortura non mi ha mai fatto piacere, ma mi sono deciso quando sono giunto ad Algeri. A quell'epoca era gia' generalizzata". Prima di morire, nel 2013, e' tornato piu' volte sull'argomento, anche con un libro di memorie (2001). E come Torquemada e' diventato il simbolo dell'Inquisizione, cosi' Aussaresses e' diventato il simbolo della tortura francese in Algeria.
Kang Guek Eav, detto Duch, e' tra i pochissimi accusati di crimini contro l'umanita' ad aver riconosciuto, gia' durante il processo, iniziato il 17 febbraio 2009 davanti al tribunale di Phnom Penh, i fatti che gli vengono imputati. La sua vita e' legata a uno dei capitoli piu' bui della storia recente, quello della dittatura di Pol Pot, che duro' dal 1975 al 1979. [...]
Nel campo veniva accuratamente evitata la morte dei prigionieri, sottoposti invece a torture indicibili. La violenza sessuale sulle donne, anche sulle bambine, era la norma. Usuali erano bastonature e fustigazioni a sangue; si ricorreva all'elettroshock e all'uso di strumenti metallici incandescenti. L'elenco potrebbe continuare. Tutto cio' e altro ancora, e' documentato anche grazie all'ordine meticoloso di Duch, il quale ha fatto si' che venissero conservate persino le foto di tutte le vittime del campo S-21.
Dopo la fine della dittatura di Pol Pot, nel gennaio del 1979, Duch abbandono' la capitale, non senza prima aver ucciso di sua mano tutti gli ultimi prigionieri. Si eclisso' a lungo e, in quegli anni, dopo aver cambiato identita' ed essersi convertito al cristianesimo, visse in mezzo ai rifugiati tra la Cambogia e la Cina. Nel 1999 un giornalista irlandese lo riconobbe e lo intervisto'. Subito dopo l'intervista Duch si arrese alle autorita'.
Concordano i diversi ritratti che di lui sono stati forniti. Per Rithy Panh, che nel 2003 ha realizzato il film documentario  S-21. La macchina di morte dei Khmer Rossi, Duch e' uno "spirito matematico", modesto e cortese, con la mania dell'archivio e la fissazione per l'ordine. Nel documentario viene ripetuta la frase "meglio arrestare per errore che liberare per errore", che Duch aveva formulato e che si era poi diffusa con successo. Insegnante modello, rivoluzionario irreprensibile, era convinto di possedere la verita' ed era assillato dalla menzogna che credeva di vedere ovunque. "La loro doppiezza - confessa a Bizot, durante un colloquio, riferendosi ai prigionieri - mi e' insopportabile. La sola maniera e' terrorizzarli, isolarli, affamarli. E' molto dura! Devo farmi violenza. Non immagini come la loro menzogna mi esasperi" (Bizot, 2006, p. 94). Era certo che contro i Khmer Rossi veniva ordita una grande cospirazione e che il suo sistema di tortura avrebbe potuto metterla allo scoperto. Era un abile organizzatore; sorvegliava tutto, annotava puntigliosamente le confessioni, le commentava. Eppure ammette: "Non ho mai creduto che le confessioni dicessero la verita'". Le sue parole sono riportate nella testimonianza di Thierry Cruvellier, il giornalista francese che ha seguito il processo e ha poi pubblicato il libro Le maitre des aveux (2011, p. 79).
In modo analogo Duch e' stato descritto dagli esperti psichiatri, in particolare da Françoise Sironi, psicanalista e membro di Amnesty International. La formazione personale di Duch si coniuga con il contesto culturale del tempo. "La mia unica colpa e' di non aver servito Dio. Ho servito gli uomini, ho servito il comunismo" - queste le sue parole. La necessita' di fondersi nel gruppo, l'impegno senza limite, il bisogno di essere riconosciuto dal maestro o dal superiore, l'esigenza di servire, la passione dell'obbedienza, insieme a uno zelo mortifero, una freddezza estrema, fanno di Duch il prototipo del torturatore novecentesco che non ha solo deumanizzato le sue vittime, ma alla fine anche se stesso. Duch nel 2010 e' stato condannato all'ergostolo dal tribunale della Cambogia, sotto l'egida dell'ONU, per crimini contro l'umanita'.
Sebbene abbia ricevuto in Spagna, nel 2005 la stessa condanna - i motivi addotti sono "torture, genocidio, terrorismo" - per complessivi 640 anni di carcere, molto diversa e' la storia di Adolfo Scilingo, ufficiale della Marina Militare argentina durante la dittatura di Videla dal 1976 al 1983.
"Sono stato all'ESMA. Le voglio parlare". Cosi' Scilingo si rivolse al giornalista Horacio Verbitsky (2008, p. 13). Ne nacque una lunga e sconvolgente intervista, pubblicata con il titolo El vuelo. Le sue rivelazioni furono come un fulmine che colpi' in ogni sua fibra l'Argentina. Gia' il 2 marzo 1995, quando usci' il volume, la stampa riprese le parole del militare e la televisione trasmise parti del dialogo registrato. L'effetto fu dirompente. A parlare non erano le vittime sopravvissute o i parenti delle vittime, bensi' uno dei carnefici. Il suo racconto, tanto piu' agghiacciante, perche' veniva dalla parte di chi aveva contestato ogni accusa per anni, confermava tutto quel che si presumeva sui voli della morte. La narrazione del carnefice coincideva questa volta con quella delle vittime. E lasciava affiorare il recente passato che l'Argentina aveva in parte tentato di rimuovere.
Scilingo parlo' del suo lavoro all'ESMA, la Escuela de Mecanica de la Armada, il piu' famoso campo di internamento della dittatura, al centro di Buenos Aires, dove in migliaia furono torturati. Nella cosiddetta "guerra sporca" la tortura fu l'arma scelta dai generali. Soprattutto chiari' e preciso' il modo in cui venivano messi a punto gli aerei che dall'ESMA decollavano verso Punta Indio e poi facevano rotta verso il mare aperto. Si trattava di far scivolare giu' i corpi dei detenuti, di farli cosi' scomparire. Desaparecidos. "Mi sembra inaccettabile il termine desaparecido, e che inoltre lo porti io sulle mie spalle. Perche' ne' io ne' nessun altro nella Marina abbiamo fatto scomparire nessuno. Abbiamo eliminato il nemico in guerra" (2008, p. 51). Tuttavia qualcosa non funziono' e la corazza di Scilingo ando' in frantumi. Accadde nel 1977 durante un volo. D'un tratto fu li' li' per precipitare in mare con una delle sue vittime. Vide allora se stesso al loro posto, si identifico', riconobbe nel "nemico" un essere umano. S'infranse il meccanismo militare, quell'ingranaggio di cui Scilingo era stato una rotella. Cosi' ha ricordato quell'episodio (2008, pp. 66-67): "Ci sono quattro cose che mi fanno stare male: i due voli che ho fatto, la persona che ho visto torturare e il ricordo del rumore delle catene e dei ceppi che venivano messi ai prigionieri. [...]. Quando ci penso vado fuori di testa. Una volta che avevano perso i sensi, venivano spogliati e, quando il comandante, a seconda di dove si trovava l'aereo, dava l'ordine, si apriva lo sportello e venivano gettati di sotto nudi, uno a uno. Questa e' la storia. Macabra ma reale, che nessuno puo' smentire. Non riesco a dimenticare l'immagine dei corpi nudi sistemati l'uno sopra l'altro nel corridoio dell'aereo come in un film sul nazismo. Venivano adoperati aerei Skyvan della Prefettura ed Electra della Marina. Nello Skyvan venivano gettati dallo sportello posteriore, che si apre verso il basso. E' uno sportello molto grande, ma senza posizioni intermedie - o e' chiuso o è aperto. Rimane percio' in posizione aperta. Il sottoufficiale teneva giu' con il piede una specie di porta oscillante, per lasciare uno spazio di 40 centimetri verso il vuoto. Da li' cominciavano subito dopo a scaricare i sovversivi. Data la situazione, nervoso com'ero, per poco non cado e vengo risucchiato nel vuoto".
A nulla valsero i bicchieri di whisky, mandati giu' d'un fiato, i sonniferi per superare la notte o gli psicofarmaci per farsi forza durante il giorno. Non lo confortarono neppure le parole del cappellano militare che, assicurandogli il placet delle gerarchie ecclesiastiche, aveva definito quella morte "cristiana e poco violenta", scomodando persino la parabola che ingiunge la separazione del grano dal loglio. Scilingo non trovava pace: il vuoto del mare lo divorava. A ogni passo temeva di mettere il piede in fallo. E i fantasmi dei volti addormentati e dei corpi nudi lo perseguitavano in sogno.
"Sono un assassino" - ha ammesso in una intervista televisiva. Ma i sensi di colpa devastanti, che non e' riuscito a mitigare, non gli hanno fatto cambiare idea: "Era qualcosa di supremo che si faceva per il paese. Un atto supremo" (2008, p. 37). Ha chiesto quindi indulgenza per chi, come lui, ha solo eseguito gli ordini. Anche Tommaso d'Aquino, pero', il santo patrono delle destre ispanoamericane, sostiene nella sua Summa theologiae che, se l'obbedienza e' "la piu' grande delle virtu' morali", tuttavia "l'inferiore non e' tenuto a obbedire al superiore!, se quest'ultimo comanda cio' che non e' lecito compiere (II, 11, 104, 5). Sarebbe insomma tempo che venisse riconosciuta una colpa di obbedienza.

Da pagina 172
6. Il gulag globale della CIA
La tortura dell'ultimo mezzo secolo porta impresso il marchio della CIA. E' ipocrita presentare gli abusi commessi dai soldati americani in Afghanistan, a Guanta'namo, in Iraq, come se fossero un unicum, un errore senza precedenti, in cui sono incorsi pochi individui irresponsabili, perche' vuol dire astrarre volutamente da una lunga tradizione che si e' andata sviluppando nella lotta contro la "sovversione comunista".
Quando in Europa scese la Cortina di Ferro, la mente umana divento' tacitamente uno degli ambiti dello scontro bellico. La posta in gioco era il mind control, il controllo delle menti. Tutto ebbe inizio, secondo lo storico Alfred McCoy, con lo scalpore suscitato dallo spettacolo delle confessioni pubbliche durante i primi processi sovietici. Anche personaggi ritenuti coraggiosi, si piegavano senza opporre resistenza. Fu d'un tratto evidente che le tecniche piu' efficaci non erano quelle che ricorrevano alla violenza fisica, bensi' quelle che miravano alla psiche. A partire dal 1950 la CIA Si impegno' nel costosissimo progetto segreto MKUltra con l'intento di compiere ricerche sulla coscienza umana e mettere a punto metodi estremi di controllo: dall'ipnosi alle droghe allucinogene (in particolare LSD), dalle scosse elettriche alle deprivazioni sensoriali. Parteciparono medici, ricercatori, scienziati, e contribuirono rinomati ospedali, prestigiose universita', nonche', ovviamente, le forze armate. Poiche' la CIA era l'agenzia leader nell'intelligence, riusci' a trovare enormi risorse, finendo per compromettere tutta la societa' americana. E non manco' di servirsi delle competenze acquisite dai medici nazisti, tra i quali Kurt Plötner, che a Dachau aveva sperimentato la mescalina sui prigionieri ebrei. La guerra dello spionaggio contro l'Unione Sovietica passo' attraverso il controllo dei cervelli.
Si tratto' di una vera e propria svolta nella crudele scienza del dolore. La tortura psicologica divento' l'arma segreta della NATO contro il comunismo e la psicologia cognitiva fu l'ancella servizievole della sicurezza di Stato. Il nuovo paradigma univa due metodi: sensory desorientation, il disorientamento sensoriale, e self inflicted pain, il dolore autoinflitto. Raffinati in anni di pratica, hanno dato modo di perfezionare una sinergia il cui esito e' il caos esistenziale.
Cio' emerse con chiarezza dai risultati, ottenuti con questi metodi, sulle vittime delle torture perpetrate durante il regime di Augusto Pinochet. Lo psichiatra cileno Otto Doerr-Zegers (1992) imputo' molti sintomi, dall'ansia alla paranoia, talvolta irreversibili, alla nuova fenomenologia della tortura che si era andata delineando. Parlo' di un teatro totale dove gli aguzzini erano gli attori di una trama fittizia che, recitata su un set con luci speciali, effetti sonori, colpi di scena, culminava nella distruzione della vittima.
Mentre le droghe si erano rivelate inefficaci, decisivo fu l'esperimento, finanziato dalla CIA e condotto all'Universita' McGill di Montreal dallo psicologo canadese Donald O. Hebb, che mostro' gli effetti devastanti provocati dalla deprivazione sensoriale. Non meno importante fu la scoperta del dolore autoinflitto - ad esempio in una posizione di stress - dove viene meno la volonta' di resistere, perche' la vittima percepisce se stessa come causa della propria sofferenza.
La CIA raccolse e codifico' i risultati di queste ricerche nel manuale Kubark Counterintelligence Interrogation, detto poi semplicemente Kubark (nome in codice della CIA), redatto nel 1963 e diffuso per anni in tutti i paesi sotto la sfera d'influenza americana. Un altro manuale di interrogatorio fu lo Human Resource Exploitation Training Manual, che la CIA trasmise nel 1983 alle autorita' dell'Honduras. Infine il terzo e' costituito dalle istruzioni per il trattamento dei prigionieri, stilate nel 2003 dal generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze americane in Iraq.
Questi manuali, soprattutto il Kurbak, su cui la CIA ha formato intere generazioni di torturatori, contribuirono in modo determinante alla diffusione capillare e indiscriminata della tortura in Asia, in Africa e in America Latina. Solo nel 1971 fu addestrato piu' di un milione di agenti in 47 nazioni. Cio' rese possibile il coinvolgimento diretto della CIA nella politica estera, anzitutto con il programma Phoenix, inaugurato sotto la presidenza Kennedy e collaudato nel 1967 contro i Viet Cong. Enorme fu l'impatto di questi manuali in America Latina dove le tecniche estreme impiegate dalle dittature provenivano direttamente dalla democrazia americana. La tortura resto' il cardine della strategia perseguita dalla CIA anche nel segretissimo "progetto X" i cui documenti sono stati interamente distrutti dal Pentagono. Occorre sottolineare la doppiezza sistematica per cui, da un canto l'esercito americano si asteneva ufficialmente dalla tortura, secondo i dettami della Convenzione di Ginevra e del Field Manual, il manuale militare, dall'altro la CIA violava ogni divieto sulla tortura sperimentando e diffondendo i nuovi metodi. Mentre gli Stati Uniti si presentavano sul sipario internazionale come paladini dei diritti umani, Amnesty International seguiva le tracce della CIA per rinvenire e denunciare la tortura dietro le quinte.
Le tecniche si ripetevano, in una continuita' innegabile, i metodi si affinavano, mentre si ampliava e si rafforzava il gulag globale della CIA, un dominio che ha ruotato intorno al cardine della tortura e che si e' costituito attraverso legami antichi, alleanze consolidate, prigioni condivise, ma soprattutto mediante il vincolo della segretezza e il linguaggio comune della violenza.
Su tutto cio' la CIA puo' fare assegnamento all'indomani dell'11 settembre. Se la tortura e' diventata l'arma privilegiata nella "guerra al terrore" e' grazie al gulag globale della CIA. L'unica difficolta' e' che, se l'agenzia di intelligence era in grado prima di reclutare collaboratori, cio' diventa pressoche' impossibile nella lotta contro gli jihadisti. Di qui l'acuirsi delle pratiche efferate, il subappalto della tortura a paesi terzi, il coinvolgimento di molte nazioni nella extraordinary rendition. Il bilancio nei primi due anni di "guerra al terrore" e' cosi' riassunto da McCoy (2008, p. 182): "quasi 14000 detenuti di sicurezza iracheni sottoposti a duro interrogatorio, spesso con tortura; 1100 prigionieri di "alto valore" interrogati, con tortura sistematica, a Guantanamo e a Bagram; 150 rendition extralegali di sospetti terroristi in nazioni note per la loro crudelta'; 68 detenuti morti in circostanze sospette; 36 detenuti di alto rango affiliati ad Al Qaeda sottoposti per anni alle dure torture della CIA; 26 detenuti assassinati durante l'interrogatorio, almeno 4 dei quali dalla CIA".
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Da pagina 177
7. Guantanamo. Il campo del nuovo millennio
Arancione, un colore altrimenti radioso e allegro, e' divenuto negli ultimi anni il simbolo della tortura. Sono impresse nell'immaginario collettivo le foto di uomini in tuta arancio, ripiegati su di se', atrofizzati in stie d'acciaio: sono i sospetti terroristi, i "combattenti illegali", detenuti dal governo degli Stati Uniti nel campo di Guantanamo a Cuba. Di bianco sono vestiti coloro che hanno mostrato un positive behaviour, un comportamento positivo, espiando le proprie colpe passate con la collaborazione. E si sono lasciati indietro il fitto traliccio di metallo e la pesante benda di nylon verde che separa Camp 4, il braccio dei "privilegiati", dalle gabbie metalliche del famigerato Camp X-ray, in seguito rinominato Camp Delta, il sarcofago degli arancioni.
Guantanamo e' la metonimia del campo nel nuovo millennio, l'iperbole della detenzione indefinita, l'effetto ultimo dello stato di eccezione, il fronte arretrato e decisivo della guerra al terrore. Eppure Gitmo, secondo l'abbreviazione del codice militare, e' la punta dell'iceberg, il campo piu' grande e piu' conosciuto nel gulag globale della CIA. Di campi piu' segreti, come quello allestito nella base aerea americana di Bagram, in Afghanistan, si sa poco, di altri non si sapra' forse mai.
Guantanamo ha cominciato a funzionare l'11 gennaio 2002. Erano passati quattro mesi esatti dall'attentato alle Twin Towers. In America il dibattito sulla tortura aveva gia' prodotto i primi risultati: si poteva parlare apertamente di quel male minore a cui ricorrere nell'emergenza. Gran parte dell'opinione pubblica si andava convincendo che fosse opportuna la violenza su uno solo per impedire quella su molti. Tanto piu' che si faceva strada il distinguo fra tortura e coercizione e a molti, anche liberal, sembrava ragionevole e non ipocrita - come spiego' in seguito il giornalista Marc Bowden (2003) - ottenere informazioni da un terrorista forzando un po'. Del resto Bush aveva gia' decretato il 13 novembre 2001 la sorte dei "combattenti illegali", dannati senza condanna, espulsi e tuttavia trattenuti, destinati a un confino d'acciaio per essere sottoposti all'arte oscura dell'"interrogatorio coercitivo". Non restava che individuare sulla carta geografica un luogo remoto, ma raggiungibile, estraneo alla giurisdizione, ma controllabile, una base americana in terra straniera. Fu scelto Guantánamo Bay.
I primi venti sospetti terroristi vennero scaricati con il "volo 01" proveniente da Bagram nella notte dell'11 gennaio 2002. Due giorni dopo il "volo 02" ne scarico' altri trenta. L'elenco degli arrivi e delle rarissime partenze e' pubblicato nel sito della Joint Task Force Guantanamo. Il culmine e' stato raggiunto nel 2003 con un numero di 680 detenuti - di 42 nazionalita' e 19 lingue. In seguito le cifre si sono via via ridotte. Nel 2011 i detenuti erano 172. Malgrado il contrastato piano di chiusura che, ordinato dall'amministrazione Obama gia' nel 2009, ha dato avvio a pochi rimpatri e molti trasferimenti, a Guantanamo restano ancora oggi circa novanta detenuti.
Cosi' Muhammad Naim Faruq, internato per alcuni mesi, ha descritto il suo volo verso la baia.
"Ero stato catturato in Afghanistan e, a un certo punto, ci dissero che ci avrebbero trasferito in un luogo che non eravamo tenuti a conoscere. Ritengo che fossimo a meta' del 2002. Fummo caricati su un aereo. Ero incappucciato e ammanettato dietro la schiena. I ferri erano cosi' serrati che, dopo qualche ora, i polsi cominciarono a sanguinare. Ricordo che, durante il volo, molti dei miei compagni cominciarono a piangere, come impazziti".
A Guantanamo il tempo e' sospeso in quella detenzione indefinita su cui ha insistito Judith Butler (2004, pp. 71-110). La tortura e' gia' inscritta nelle condizioni della quotidianita'. La cella e' una gabbia modulare di 1,8 metri per 2,32, un parallelepipedo di acciaio aperto su tutti e quattro i lati e chiuso sopra da cemento armato e lamiera; il letto e' una rete di ferro che occupa buona parte della gabbia. Massimo isolamento, totale esposizione, nessuna intimita', neppure per i momenti piu' privati. Dalla gabbia si esce novanta minuti a settimana. Ma si esce solo e sempre dopo aver messo una cintura di cuoio, stretta in vita da anelli agganciati a due metri di catena che legano caviglie e polsi (cfr. Bonini, 2004, pp. 21 e sgg.).
Nello zoo per umani, dove tutto e' vietato, la depressione logora, corrode i corpi, scava le anime. Un consistente staff di psichiatri somministra psicofarmaci. I dannati in tuta arancione vengono tenuti in vita - che lo vogliano o no - per via delle informazioni che potrebbero fornire. Alcuni hanno tentato di togliersi la vita rifiutando il cibo. Altri hanno provato a impiccarsi. Ma la gabbia e' troppo bassa e, pur infilando la testa al cappio appeso, non si riesce a morire e si resta in preda a convulsioni che lasciano segni indelebili.
In casematte di cemento senza finestre, dove la luce elettrica non si spegne mai, sono stati condotti gli "interrogatori coercitivi" sui sospetti di Al Qaeda. Niente tortura. Ma dieci metodi duri, tra i quali il waterboarding, nella forma in cui e' stato approntato dalla CIA. Il prigioniero e' legato a un'asse inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso, mentre braccia e gambe sono bloccate; l'acqua rovesciata nella gola procura dolore e provoca l'effetto dell'annegamento. I comandanti di Guantanamo hanno ottenuto di poter ricorrere, durante gli interrogatori, a stress position anche per otto ore, impiego di benda o cappuccio, interrogatori di venti ore, isolamento fino a trenta giorni, esposizione a freddo o a caldo estremo, sconvolgimento dei cicli del sonno, uso di cani, privazione sensoriale monitorata da medici, tecniche di "abbassamento dell'ego" anche attraverso abusi sessuali o interrogatori condotti da inquisitrici donne. Agghiaccianti sono i pochi racconti degli interrogatori compiuti nell'hangar di Bagram, vicino Kabul.
Il generale di divisione Geoffrey D. Miller, comandante a Guantanamo dal novembre 2002 all'aprile 2004, incaricato da Donald Rumsfeld di "ghitmoizzare", in inglese di gitmoize, il carcere iracheno di Abu Ghraib, e' stato accusato da Human Rights Watch di crimini di guerra commessi nelle torture inflitte ai detenuti.
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Da pagina 180
8. Abu Ghraib. Le foto della vergogna
Il 28 aprile 2004 la trasmissione 60 Minutes II della CBC manda in onda immagini digitali che provengono dal carcere di Abu Ghraib, in Iraq. Le foto, a meta' tra l'abuso sessuale e la tortura, ritraggono guardie carcerarie, sia uomini sia donne, che apparentemente godono dei loro atti atroci. Al punto da mettersi in posa e fissare cosi', a eterna memoria, quel loro abietto trofeo.
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11. Tormenti e torture made in Italy
Le violenze emerse durante il G8 di Genova, gli abusi recenti compiuti dalle forze dell'ordine su cittadini inermi nelle stazioni di polizia o addirittura per le strade della citta' italiane, non sono episodi inediti e isolati. Per quanto suoni paradossale, il paese di Beccaria e di Verri puo' vantare una lunga tradizione nell'arte della tortura. Se Benito Mussolini, una volta salito al potere, si avvalse dell'OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascista), la polizia politica e i servizi informativi, per torturare i nemici dello Stato, nell'immediato dopoguerra si ripetevano i casi di confessioni estorte dalla polizia. Fu Lelio Basso a denunciare la pratica ancora diffusa della tortura investigativa (1953).
Negli anni di piombo un dispositivo collaudato, ma usato sporadicamente, fu impiegato in modo sempre piu' intenso e sistematico. Il bersaglio furono i militanti della "lotta armata" intesa in senso abbastanza ampio. Tra la fine degli anni settanta e nei primi anni ottanta si andarono accumulando le denunce per tortura raccolte da Amnesty e riferite in Parlamento. L'elenco dei nomi, soprattutto di brigatisti, sottoposti a tortura, e' fitto, e probabilmente incompleto. La reazione di chi allora aveva responsabilita' politiche fu quella di negare o, tutt'al piu', di ridurre la gravita' di quel che avveniva, appellandosi alla ragion di Stato. Al 1982 risalgono le prime significative interpellanze parlamentari, firmate da esponenti del PdUP, degli indipendenti e del Partito Radicale, che puntano l'indice contro i "metodi duri" autorizzati dal Ministro degli Interni Virginio Rognoni e parlano apertamente di "torture" inflitte ai brigatisti. Lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, parlamentare radicale, pronuncia una dura condanna contro uno Stato pronto a torturare dietro le quinte (Amnesty 1985, VIII): "Non c'e' paese al mondo, credo, che ormai ammetta nelle proprie leggi la tortura; ma di fatto sono pochi quelli in cui le polizie, sottopolizie e criptopolizie non la pratichino. Nei paesi scarsamente sensibili al diritto - anche quando se ne proclamano antesignani e custodi - il fatto che la tortura non appartenga piu' alla legge ha conferito al praticarla occultamente uno sconfinato arbitrio".
Cio' che dalle paludi melmose della storia italiana e' andato affiorando di recente e' la conferma di quel che si sapeva o si intuiva, ma che porta pero' la firma dei protagonisti di quelle torture, a suggello della narrazione fornita gia' dalle vittime. Nella sua Storia della colonna infame Alessandro Manzoni cita il trattato di Francesco Casoni De indiciis et tormentis pubblicato nel 1257 a Venezia (1843, pp. 55-56). Deve aver preso spunto da qui il prestigioso poliziotto Umberto Improta, allora vicequestore e capo operativo nella lotta contro le Brigate Rosse, per coniare il minaccioso soprannome di un suo subordinato: il "professor De Tormentis". Presente ovunque si torturasse, ma sempre rigorosamente nell'ombra, ammantato di una tetra segretezza, De Tormentis appare, nelle testimonianze e nei racconti di quegli anni, un personaggio chiave. Si guadagnava quell'appellativo dispensando sofferenze a piene mani. Giungeva con le sue "squadre speciali", due delle quali avevano nomi all'altezza di quello del loro capo: una era chiamata "I cinque dell'Ave Maria", l'altra "I vendicatori della notte".
Sebbene sembri uscito da un grottesco noir, De Tormentis e' realmente esistito. Lo ha incontrato il giornalista Nicola Rao che, nel suo libro Colpo al cuore, pubblicato nel 2012, ha ricostruito l'esito finale dello scontro fra Stato e Brigate Rosse nella versione non ufficiale. Perche' fin qui si e' sempre asserito che lo Stato avrebbe avuto la meglio, senza mai ricorrere a metodi non democratici, all'arma inconfessabile della tortura. Non e' cosi'. E la storia ufficiale dovra' essere riscritta.
Le rivelazioni decisive si devono a Salvatore Genova, detto Rino, ex commissario di polizia e capo del NOCS (Nucleo operativo centrale di sicurezza). "Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, come era scritto persino su un ordine di servizio, e poi venivano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale". Durante l'intervista rilasciata l'8 febbraio 2012 al giornalista Gianloreto Carbone, nel corso del popolare programma della RAI Chi l'ha visto?, Genova parla di De Tormentis, che presiedeva al waterboarding italiano, senza tuttavia farne il nome.
Ha scelto invece di svelarne l'identita' il "Corriere della Sera" in un articolo del 10 febbraio 2012. De Tormentis e' Nicola Ciocia, ex capo dell'UCIGOS, l'Unita' antiterrorismo del Ministero dell'Interno, andato in pensione nel 2004, con il grado di questore, dopo una carriera di successi, e ritiratosi a vita privata nella sua casa sulla collina del Vomero. Appartenente alla Fiamma Nazionale, di se' dichiara: "sono da sempre fascista mussoliniano. Per la legalita'". Nega di aver mai praticato la tortura. Si lascia tuttavia sfuggire un riferimento a Enrico Triaca con il quale certi metodi non avrebbero funzionato. Arrestato nel maggio del 1978, Triaca fu sottoposto a waterboarding. Denuncio' la tortura e, in compenso, fu a sua volta condannato per calunnia. Cio' accadde peraltro a tutti i terroristi, veri o presunti, che furono allora torturati. Si sostenne che la denuncia della tortura era un'arma ulteriore di cui si avvalevano le BR. Per di piu' i giornalisti, come Pier Vittorio Buffa e Luca Villoresi, che delle torture parlarono con dovizia di particolari, finirono arrestati per aver rifiutato di rivelare le loro fonti; furono liberati solo quando, esponendosi in prima persona, due funzionari di polizia dichiararono di aver passato loro le notizie.
Sebbene la storia italiana sia fitta di misteri che attendono di essere risolti, si puo' dire ormai che il "colpo al cuore" venne inferto dallo Stato alle BR al tempo del sequestro Dozier e fu innegabilmente tortura.
Il generale americano James Lee Dozier, comandante della NATO nell'Europa meridionale, fu sequestrato dalla Brigate Rosse a Verona il 17 dicembre 1981. Non fu chiesto nessun tipo di riscatto. Il che lascio' subito pensare al peggio. Gli Stati Uniti intervennero esercitando una forte pressione sul governo italiano. Dopo un tempo inspiegabilmente breve, Dozier fu liberato a Padova il 28 gennaio 1982.
La liberazione non era stata per nulla spontanea, come le fonti istituzionali avevano voluto far credere. Alle squadre speciali dell'antiterrorismo fu ordinato di usare le maniere forti. Far male agli arrestati — senza lasciare segni. Ne' morti, ne' feriti. Percio' furono chiamati in soccorso gli specialisti dell'interrogatorio duro: De Tormentis e i suoi. Il 23 gennaio fu arrestato Nazareno Mantovani. Prima lo "disarticolarono", quindi fu consegnato nelle mani di De Tormentis. Qualche giorno dopo Ruggero Volinia e la sua compagna Elisabetta Arcangeli furono catturati e condotti in questura, in un locale dove, separati da un muro, l'uno potesse sentire l'altra. Arcangeli venne denudata e sottoposta a sevizie sessuali. A sua volta Volinia venne picchiato brutalmente; quindi fu portato in un villino affittato all'occorrenza, dove lo sottoposero al consueto trattamento di De Tormentis: quattro uomini lo legarono a un tavolo, la testa reclinata indietro, mentre con un imbuto gli versarono in gola grandi quantita' di acqua e sale. Parlo' e indico' l'appartamento dove era sequestrato Dozier.
Il blitz fu un successo. Le torture sortivano un effetto immediato. Parlo' anche Antonio Savasta. Seguirono centinaia di arresti. Agenti inesperti si improvvisarono torturatori. Ma si ricorse anche alla esecuzione simulata, come nel caso di Cesare Di Lenardo. Una citta' dopo l'altra, una retata dopo l'altra, in un crescendo che porto' alla dissoluzione irreversibile delle Brigate Rosse.
Per i torturatori valsero l'amnistia e l'amnesia. Cosi' lo Stato italiano affido' la difesa della democrazia alle torture di De Tormentis, un efficiente fascista mussoliniano. Ha scritto Adriano Sofri: "Non importa che usassero il nome di tortura: non si fa cosi' nelle ragioni di Stato, e del resto la Repubblica Italiana si guarda dal riconoscere l'esistenza di un reato di tortura. E' superfluo, dicono. Bastava assicurare spalle coperte".
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12. Perche' e' reato
Il passato recente dovrebbe far supporre che da tempo, se per caso non esistesse gia', sia stato introdotto in Italia il reato di tortura. E invece non e' cosi'. Nel Codice Penale italiano la tortura, finora, non e' stata dichiarata "fuori legge".
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Da pagina 202
Intimo e' il nesso che unisce la tortura alle altre grandi imprese di distruzione, al genocidio e allo sterminio. La tortura svolge un ruolo decisivo nell'economia del male. Surrettiziamente prepara alla malvagita', tacitamente abitua all'efferatezza. La distruzione perpetrata dalla tortura non e' l'annientamento compiuto dallo sterminio. Ma pur nelle indispensabili distinzioni, sussiste un saldo legame di continuita'. La tortura non e' un passo verso il genocidio, non accenna in quella direzione. Tuttavia manifesta il medesimo proposito distruttivo. La tortura non e' un crimine isolato; dietro le quinte si muove sempre una organizzazione. Malgrado la segretezza, e' una violenza pubblica, malgrado sia commessa contro un singolo, e' un attacco alla comunita'. Se si lede l'umanita' di uno, si lede l'umanita' di tutti.
Nessuno puo' dire oggi di non sapere. Il McMondo dell'informazione vieta di sottrarsi alle responsabilita'. Da tempo e' caduto l'alibi del "non so", del "non ero a conoscenza". Se la tortura non e' scomparsa, si puo' almeno riconoscere un progresso in questo: nella vigilanza dell'opinione pubblica e nell'azione del diritto internazionale. Incriminati sono, pero', i governi che devono rispondere di quel che tentano di occultare. Il compito della sorveglianza appare tanto piu' arduo, in quanto il potere ha mutato dimensione e si estende su larga scala, non solo tramite le molteplici connessioni reticolari, ma anche grazie agli immensi sistemi di controllo, di registrazione, di archiviazione, e attraverso quell'impalpabile dispositivo panottico in cui si va concentrando un potenziale di repressione senza precedenti.
Di fronte a questo rischio permanente, occorre che permanente e globale sia la vigilanza. Se ridotto e' il margine politico delle organizzazioni non governative e umanitarie, che svolgono un lavoro arduo e impareggiabile, a sconfiggere la tortura sono l'antagonismo della disobbedienza e la parola che spezza il silenzio.

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Bertha von Suttner, Abbasso le armi! Storia di una vita, Beppe Grande Editore, Torino 2013, pp. XVI + 476.
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Riedizioni
- Philippe Contamine, La guerra nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1986, Rcs, Milano 2021, pp. 396, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4125 del 4 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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