[Nonviolenza] Telegrammi. 4123



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4123 del 2 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Ricordando Soumaila Sacko, tre anni dopo
2. Jean-Marie Muller: Conclusione de "Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace"
3. Giacomo Losito: Ernesto Buonaiuti
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. RICORDANDO SOUMAILA SACKO, TRE ANNI DOPo

Tre anni fa, il 2 giugno 2018, veniva assassinato il nostro fratello Soumaila Sacko.
Anche nel suo ricordo prosegua la lotta nonviolenta per la liberazione comune, per la condivisione del bene e dei beni, per la giustizia e la liberta' di tutte e tutti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: CONCLUSIONE DE "IL PRINCIPIO NONVIOLENZA. UNA FILOSOFIA DELLA PACE"
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo la Conclusione (pp. 303-305). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.serenoregis.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

L'idea dominante che finora e' prevalsa nelle nostre societa' e' che non e' possibile lottare efficacemente contro la violenza che opponendole una contro-violenza. Se tanti filosofi, dopo aver affermato l'esigenza etica della nonviolenza, non hanno saputo, in definitiva, fare altro che riconoscere la necessita' e la legittimita' della contro-violenza, e' perche' non sono stati in grado di concepire un'azione nonviolenta contro la violenza. Tutto, nella nostra cultura, ci porta a pensare il nostro rapporto con la violenza attraverso la coppia violenza/contro-violenza e non attraverso la coppia violenza/nonviolenza. La convinzione che fonda l'opzione per la nonviolenza e' che la contro-violenza non e' efficace per combattere il sistema della violenza, perche' in realta' ne fa parte essa stessa, e dunque non fa altro che alimentarla e perpetuarla.
Il principio nonviolenza implica l'esigenza di ricercare un modo nonviolento di agire efficacemente contro la violenza. L'esperienza di numerose lotte ha dimostrato l'efficacia della strategia di lotta nonviolenta per permettere agli uomini e ai popoli di recuperare la loro dignita' e liberta'. Certo, questa efficacia e' necessariamente relativa e il fallimento e' sempre possibile, ma l'azione nonviolenta permette ad un uomo di avere un atteggiamento coerente e responsabile di fronte alla violenza degli altri uomini. Tuttavia, non e' l'efficacia dell'azione nonviolenta che giustifica il principio di nonviolenza. Se volessimo limitarci a fondare la pertinenza del principio nonviolenza sull'efficacia dell'azione nonviolenta, presto o tardi verremmo ad urtare contro i limiti di questa azione e, a quel punto, dovremmo rifiutare la fondatezza di quel principio.
Il principio nonviolenza ci conduce ad operare una rivoluzione copernicana nella nostra maniera di pensare l'efficacia della lotta contro la violenza. Da secoli siamo abituati a pensare l'efficacia essenzialmente come l'effetto della violenza. Piu' o meno coscientemente, siamo arrivati a identificare l'efficacia con la violenza. Ma non vogliamo cogliere altro che l'efficacia della violenza e ci rifiutiamo di vedere la violenza dell'efficacia, cioe' occultiamo ai nostri stessi occhi la violenza della violenza. Attraverso la coppia violenza/contro-violenza, la lotta contro la violenza e' condotta mediante l'opposizione frontale ai suoi effetti meccanici. Si tratta di uno scontro di due forze fisiche della stessa natura. Allora, per vincere la violenza e' necessario mettere in atto una piu' grande violenza. Certo, nell'immediato, la contro-violenza puo' riuscire a spezzare l'energia della violenza avversa e puo' farci credere di aver ottenuto una vittoria. Ma, in realta', questa vittoria ha ogni probabilita' di rivelarsi illusoria perche', in definitiva, abbiamo dato forza alla presa della violenza sulla storia, abbiamo contribuito a chiudere la storia nella logica della violenza, abbiamo fatto della violenza una necessita'. Ricorrere alla contro-violenza per combattere la violenza, e' correre il rischio di allungare indefinitamente la catena delle violenze. Attraverso la coppia violenza/nonviolenza, si tratta appunto di spezzare questa catena. Certo, l'azione nonviolenta mira ugualmente a interrompere gli effetti della violenza, ma sforzandosi prima di tutto di lottare contro le sue cause. Piuttosto che contenere le acque del torrente, si tratta di prosciugarle alla sorgente.
Henri-Bernard Vergote ha sottolineato giustamente che "la violenza non puo' essere considerata una semplice varieta' della forza": "Alla luce della spiritualita' che la sente come il proprio opposto, la violenza appare come un atteggiamento o un modo di essere" (1). Cosi' pure – egli precisa – la spiritualita' non e' una forza, ma un atteggiamento. In questa ottica egli denuncia "il malinteso sulla spiritualita' considerata dal solo punto di vista della sua possibile efficacia: allora la si giustifica se appare come una forza, purche' appaia come l'opposto simmetrico della forza fisica, che produce gli stessi effetti ma con altri mezzi" (2). In effetti, prima di essere un'azione, la violenza e' un atteggiamento: un atteggiamento verso gli altri uomini, che produce un atteggiamento nei riguardi della morte e dell'omicidio. (Osserviamo che la vilta' e' anch'essa un atteggiamento). Allo stesso modo, la nonviolenza e' anzitutto ed essenzialmente un atteggiamento: un atteggiamento diverso (dalla vilta' e) dalla violenza, un diverso atteggiamento verso gli altri uomini, che produce un diverso atteggiamento nei riguardi della morte e dell'omicidio. La nonviolenza e' l'atteggiamento etico e spirituale dell’'uomo in piedi che riconosce la violenza come la negazione dell'umanita' e che decide di rifiutare di sottomettersi al suo dominio. Un simile atteggiamento e' fondato sulla convinzione esistenziale che la nonviolenza e' una resistenza alla violenza piu' forte della contro-violenza. Cio' a cui mira, in sostanza, l'azione nonviolenta, e' creare le condizioni che permettano all'avversario che ha scelto la violenza di cambiare atteggiamento. Questo obiettivo e' una scommessa che implica un rischio di morte. E' precisamente in questo rischio che si trova la speranza della vita.
Se la nonviolenza fosse soltanto un metodo di azione che cercasse di ottenere con altri mezzi cio' a cui mira la violenza, bisognerebbe allora giudicarla soltanto dai suoi risultati, che sarebbero gli unici a giustificarla. E converrebbe cambiare metodo quando fosse giudicata inefficace. Ma se la nonviolenza e' un atteggiamento, l'atteggiamento dell'uomo ragionevole che cerca di dare senso e trascendenza alla sua esistenza, allora essa e' giustificata da se' stessa. E l'uomo ragionevole non ha una ragione per cambiare di atteggiamento.
Tuttavia, pur essendo la nonviolenza un atteggiamento che risulta da una scelta personale, essa alimenta un progetto di civilizzazione, che ha la vocazione di inscriversi nella storia. La costruzione di questa civilta' della nonviolenza rappresenta oggi una superiore posta in gioco per l'avvenire dell'umanita' come per l'avvenire di ognuna delle nostre societa'. Essa richiede il meglio delle energie di tutti gli uomini di buona volonta'. Ciascuno, sulla misura delle proprie possibilita', puo' agire per aprire delle brecce nel sistema della violenza che domina le nostre societa', delle brecce che siano altrettanti varchi verso un avvenire in cui l'uomo riconoscera' l'altro uomo come proprio simile. E' vero che non sarebbe ragionevole affermare che questa civilta' della nonviolenza trionfera' – purtroppo non e' vero che "la verita' finisce sempre per trionfare" - ma e' certamente ragionevole voler agire perche' essa possa poco a poco prevalere sugli arcaismi di cui siamo ancora prigionieri. Abbiamo la profonda convinzione che, all'alba del XXI secolo, e' in questa volonta' che risiede la speranza degli uomini.
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Note
1. Henri-Bernard Vergote, "Esprit, violence et raison", Etudes, mars 1987, p. 368.
2. Ibidem, p. 364.

3. MAESTRI. GIACOMO LOSITO: ERNESTO BUONAIUTI
[Da Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica (2013) nel sito www.treccani.it]

Precoce cultore degli studi storico-filosofici sviluppati all'estero, partecipe indagatore della realta' socioreligiosa contemporanea e prete in conflitto con la sua Chiesa, Ernesto Buonaiuti e' una rilevante personalita' della cultura italiana del Novecento. La complessita' del personaggio, le dimensioni della sua opera – letta e tradotta anche all'estero –, la corrispondenza intrattenuta con una rete di amici che si estendeva anche oltre Atlantico non hanno ancora permesso di realizzare una sua biografia critica esaustiva. La difficolta' non e' pero' dipesa solo dalla mole dell'opera e dalla dispersione dei documenti, molti dei quali solo recentemente editi e adeguatamente studiati, ma soprattutto dalla complessita' di un itinerario intellettuale profondamente segnato da traversie, se non addirittura da rotture esistenziali, oltre che da un tenace impegno culturale e insieme spirituale.
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La vita
Ernesto Buonaiuti nacque a Roma il 25 giugno 1881, in una famiglia di condizioni modeste. Il padre Leopoldo, gestore di una rivendita di tabacchi, mori' di tubercolosi nel 1887, lasciando la moglie Luisa Costa e i cinque figli in una situazione economica molto difficile. Ernesto ricevette una prima educazione religiosa presso la parrocchia della chiesa di San Rocco. Dal 1892 frequento' il ginnasio presso il Pontificio seminario romano maggiore, allora situato nel Palazzo di Sant'Apollinare. Entratovi come interno nel 1894, vi ricevette la tonsura nel 1897 e la nomina a chierico nel 1901; durante gli studi strinse amicizia con un altro allievo, Angelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII).
In quegli anni lesse le opere storiche e filosofiche di autori che poteva trovare nella biblioteca del seminario, come Luigi Tosti e Augusto Conti, ma anche di autori giudicati eterodossi, in particolare il francese Maurice Blondel, il cui libro L'action (1893) ebbe su di lui una profonda influenza. Ancora piu' forte fu quella di Salvatore Minocchi, la cui fondazione nel 1901 della rivista "Studi religiosi" e' considerata l'atto di nascita del modernismo cattolico in Italia. In quell'anno, la passione di Buonaiuti per le nuove idee moderniste fu punita con il divieto di frequentare il seminario come interno.
Nel 1906 arrivo' la rimozione dalla cattedra di storia della Chiesa, che egli occupava nel seminario dal 1903. Del novembre 1907 e' la scomunica, seppure ancora solo in forma impersonale, quale redattore anonimo de Il programma dei modernisti, pubblica una risposta all'enciclica di Pio X Pascendi dominici gregis (8 settembre 1907); appena qualche settimana piu' tardi giunse il richiamo all'ortodossia da parte del cardinal vicario, Pietro Respighi, e quindi un ammonimento del papa, a seguito dell'istruttoria promossa presso l'Indice contro il primo lavoro storico d'ampio respiro di Buonaiuti, Lo gnosticismo.
Buonaiuti non indietreggio', e anzi moltiplico' le iniziative editoriali e la collaborazione alle riviste moderniste; cosi' quegli anni, dopo i primi interventi su vari periodici (a iniziare da quello di Minocchi e da quello di Romolo Murri, "Cultura sociale"), videro Buonaiuti fondare nel 1908 "Nova et vetera", l'organo modernista piu' radicale, autosoppressosi l'anno seguente. Alla fine del 1908, infatti, era stata intercettata a Ginevra e denunziata al Sant'Uffizio una missiva di Buonaiuti all'amico modernista Antonino De Stefano, della quale fu chiamato a rendere spiegazioni.
Buonaiuti penso' allora che il programma riformatore andasse ormai limitato solo allo sforzo di rinnovamento intellettuale e di svecchiamento della cultura ecclesiastica, piuttosto che alla riforma della stessa organizzazione e vita ecclesiali. Nel 1910, pero', dopo una dura polemica con "La civilta' cattolica", intervenne la prima condanna all'Indice nei confronti delle sue opere, che colpi' anche la "Rivista storico-critica delle scienze teologiche", da lui diretta fin dal 1905.
Nel 1911 sollevarono lo sdegno di modernisti italiani e stranieri, che accusarono Buonaiuti di essere un ipocrita opportunista, le professioni di ortodossia cattolica da lui rese il 30 maggio durante un'udienza del processo per diffamazione intentato contro Gustavo Verdesi, un membro dell'ormai dissolto gruppo di ecclesiastici modernisti romani, che aveva rivelato al suo accusatore gesuita Carlo Bricarelli l'importante ruolo svolto da Buonaiuti nell'ambito di tale gruppo.
Qualche mese piu' tardi, Buonaiuti progetto' di raccogliere in un volume, L'isola di smeraldo, le riflessioni dettate a lui e a Nicola Turchi da un viaggio estivo in Irlanda, ma la censura ecclesiastica intervenne con il sequestro dell'opera, ancora allo stato di bozze presso la tipografia vaticana. Nel 1914, il cambio di pontificato, con l'elezione di Benedetto XV, indusse Buonaiuti a ritenere possibile la pubblicazione del testo, la cui condanna fu sospesa per iniziativa del nuovo papa in cambio di una ritrattazione degli errori imputati.
Nel marzo 1915 Buonaiuti risulto' vincitore del contrastato concorso a cattedra di storia del cristianesimo all'Universita' di Roma. La suspensio arrivo' nel 1916, a colpirlo come redattore ecclesiastico della "Rivista di scienza delle religioni" (fondata nel gennaio di quell'anno), ma soprattutto come titolare ecclesiastico di un insegnamento critico, in un ruolo accademico di rilievo sottratto al controllo della censura ecclesiale. Alla riabilitazione basto', in luglio, la prestazione del giuramento antimodernista. Fu cosi' attaccato dalla stampa laica che metteva in dubbio la qualita' della sua liberta' di ricerca, ed egli fu costretto a giustificare il proprio operato con il ministro della Pubblica Istruzione Francesco Ruffini, precisando, giustamente, che l'atto adempiuto aveva solo una portata disciplinare.
Nel 1917 furono messe all'Indice le dispense del suo corso universitario di tema paolino (raccolte da uno studente), ed egli si difese respingendo la responsabilita' degli errori contestati. L'anno successivo la stessa sorte tocco' a due suoi studi di soggetto agostiniano, e nel gennaio del 1921 anche alla rivista "Religio", da lui fondata nel 1919. Il 14 gennaio 1921 vi fu la prima scomunica personale nei suoi confronti, per aver negato, in un articolo apparso su "Religio", che la dottrina eucaristica paolina concordasse con quella della presenza reale. Dopo una grave malattia (causata dalla forte tensione nervosa) che lo mise in pericolo di vita, la scomunica fu revocata a seguito di una sua pubblica dichiarazione di fede resa l'8 aprile a "L'osservatore romano", contenente, tra l'altro, l'impegno a spostare i propri interessi di ricerca dal cristianesimo delle origini a quello medievale.
Negli anni successivi, Buonaiuti rinvigori' l'impegno per contrastare l'egemonia accademica neoidealista del ministro Giovanni Gentile, contro cui aveva gia' da tempo polemizzato per difendere il proprio credo modernista. Negli stessi anni s'infitti' inoltre il suo contributo alla stampa periodica non specialistica, su una linea di ostilita' nei confronti del regime fascista: Buonaiuti esalto', tra l'altro, il sacrificio di Giacomo Matteotti, il deputato socialista rapito e assassinato da sicari del regime il 10 giugno 1924.
Venuta meno la copertura precedentemente offerta a Buonaiuti dal segretario di Stato vaticano Pietro Gasparri, il Sant'Uffizio ottenne nel 1924 la sua definitiva scomunica e la messa all'Indice di tutte le sue opere, accompagnata il 30 gennaio 1925 dall'ingiunzione a deporre l'abito talare e dalla messa all'Indice di "Ricerche religiose", rivista da lui appena fondata, che prosegui' comunque le pubblicazioni.
L'entusiasmo manifestato da Buonaiuti direttamente al papa Pio XI nel dicembre 1925 per la pubblicazione dell'enciclica Quas primas (la quale, affermando il primato dello spirituale nella societa', aveva fatto sperare che il pontefice intendesse tenere testa al potere temporale in Italia) e la decisione, nel febbraio 1926, di sospendere l'insegnamento, non poterono comunque soddisfare le esigenze che le autorita' cattoliche gli manifestarono attraverso la mediazione, affatto diplomatica, di Agostino Gemelli (1878-1959); cosi', con un decreto del Sant'Uffizio datato 25 gennaio 1926, la scomunica venne aggravata dalla prescrizione vitandus, tesa a impedire ai fedeli qualsiasi contatto con lui.
Le pressioni esercitate dalla Santa Sede sul governo fascista impedirono definitivamente il ritorno di Buonaiuti alla docenza. Gli fu cosi' affidato un compito archivistico, e poi, su sua richiesta, venne incaricato dell'edizione critica delle opere di Gioacchino da Fiore. Nel febbraio del 1930 (quindi un anno dopo la stipula dei Patti Lateranensi), per effetto diretto di un dispositivo concordatario, Buonaiuti subi' la spoliazione dall'abito talare: uno "scuoiamento", secondo l'espressione da lui usata con gli amici. Nel dicembre 1931 arrivo' la radiazione dai ruoli accademici, per aver rifiutato di prestare il giuramento di fedelta' al regime.
Si intensifico' allora, quando non fu impedita dall'opposizione delle autorita' politiche e religiose, la sua attivita' di conferenziere itinerante in varie citta' italiane. Decisivo fu il sostegno di amici e allievi evangelici, che gli permisero di partecipare a incontri e convegni all'estero e di poter ritrovare un'attivita' d'insegnamento (tre semestri presso l'Universita' libera di Losanna, tra il 1935 e il 1939). In quegli anni Buonaiuti prese anche pubblica posizione contro l'antisemitismo che si affermava in Italia. Dopo lo scoppio della guerra dovette vendere la propria biblioteca e, per poter sopravvivere, redasse persino qualche articolo compiacente per "Cronache della guerra", un settimanale propagandistico pubblicato dal ministero della Cultura popolare. Contro ogni razionalita' giuridica, la sua radiazione dai ruoli accademici decretata nel 1931 fu mantenuta anche dopo la caduta del regime, per le ripetute pressioni del Vaticano sui primi fragili governi democratici postbellici e, in particolare, per la persistente ostilita' del Sant'Uffizio. Infine, dopo le nuove messe all'Indice del 1942 e del 1944, quando egli gia' si trovava sul letto di morte, alla vigilia della Pasqua del 1946, giunse il suo deciso rifiuto della riconciliazione finale, propostagli dal cardinale Francesco Marmaggi. Fu colto dalla morte il 20 aprile, mentre era in piena effervescente ricerca di un ruolo per il cristianesimo nella nuova Italia repubblicana.
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1905-1909: il modernista di statura internazionale
Il pubblico contributo di Buonaiuti al modernismo italiano fu inaugurato nel 1905 con un'accorta opera di diffusione delle idee di Blondel, con il quale entro' in corrispondenza. Quindi, egli manifesto' il proprio interesse per i nuovi studi storico-esegetici, e in particolare per l'interpretazione escatologica del messaggio originario di Gesu' a cui aveva dato vasta eco l'opera del francese Alfred Loisy, che Buonaiuti incontro' durante un viaggio estivo in Francia nel 1906.
Il cosmopolitismo culturale dell'ambiente religioso romano aiuto' Buonaiuti a mettersi in evidenza nel mondo culturale anglosassone: infatti, una sua presentazione della lettura delle origini cristiane alla luce dell'approccio storico-critico apparve su un bollettino del Collegio irlandese di Roma (Christianity in the light of the recent criticism, "Seven hills", giugno-dicembre 1906, pp. 105-26, 231-50, 428-46); quindi egli pubblico' sulla "New York review" prima un ritratto di Luciano di Samosata e poi un denso resoconto sui piu' recenti sviluppi degli studi francescani (Lucian of Samosata and the Asiatic and Syrian christianity of his time, 1906, 2, pp. 49-65; Francis of Assisi in modern critical thought, 1907, 1, pp. 459-78); infine, redasse numerosi voci relative a diocesi italiane per il primo volume (1907) della Catholic encyclopedia, pubblicata a New York. Il suo studio Lo gnosticismo venne inoltre positivamente recensito nel 1907 sulla "New York review", oltre che in Germania.
Intanto, avendo seguitato a interessarsi allo sviluppo del dibattito sul senso dei dogmi avviato in Francia da Edouard Le Roy, Buonaiuti segui' inizialmente la cauta linea blondeliana, ma presto riconobbe come adeguata l'interpretazione in senso pragmatista degli enunciati dogmatici, finendo con l'essere individuato nel 1907 come il piu' radicale esponente delle posizioni moderniste in Italia. Nel maggio di quello stesso anno fu pubblicata sul quindicinale "Mercure de France" (238, pp. 238-39) la sua risposta all'inchiesta internazionale su La question religieuse, che aveva sollecitato personalita' del mondo accademico e letterario transalpino e italiano. Buonaiuti vi difese l'indistruttibilita' del sentimento religioso, presentato come mero prodotto della psicologia umana espresso in forma collettiva, e affermo' inoltre che la crisi religiosa in corso annunciava un'imminente trasformazione del sentire religioso, di cui pero' non si poteva valutare ancora bene quale sarebbe stata la reale portata.
In estate incontro' il teologo irlandese George Tyrrell, con cui strinse amicizia: ne avrebbe condiviso l'esigenza del ritorno all'originario messaggio cristiano a cui commisurare il valore delle successive realizzazioni storiche del cristianesimo e l'idea che la formula dogmatica fosse sempre il risultato di un presupposto vissuto religioso collettivo. Alla fine di agosto partecipo' alla riunione dei modernisti italiani raccolti a Molveno intorno al filosofo austriaco Friedrich von Huegel, impressionando per le opinioni espresse circa il valore pratico del dogma eucaristico.
La pubblicazione dell'enciclica Pascendi, resa nota al pubblico il 16 settembre, prostro' la speranza di Buonaiuti di vedere presto realizzata l'attesa trasformazione del sentimento religioso collettivo, ma allo stesso tempo ne moltiplico' le energie, perche' egli fu il primo responsabile della gia' citata risposta pubblica dei modernisti italiani all'enciclica, apparsa anonima in un volumetto che fu immediatamente tradotto in francese, in tedesco e, per opera di Tyrrell, in inglese; alcuni anni dopo sarebbe stato giudicato dallo storico Luigi Salvatorelli come "il capolavoro" del modernismo (Filosofia e religione, "La voce", 19 dicembre 1912).
La corrispondenza intrattenuta da Buonaiuti nel 1908 con il teologo francese Albert Houtin, per annunciargli il lancio della rivista "Nova et vetera", mostra come egli intendesse dare voce al "modernismo integrale". Furono queste le intenzioni che portarono nello stesso anno alla pubblicazione delle Lettere di un prete modernista, anch'esse anonime, di cui Buonaiuti fu il principale redattore. In tali frangenti egli assicuro' inoltre a Houtin che, giunto il momento, non sarebbe indietreggiato di fronte a un'eventuale scomunica. Cosi', sempre insieme a Houtin, ma coordinandosi anche con il gruppo monacense di "Das Zwanzigste Jahrhundert" e con Tyrrell, progetto' di dar vita a un'associazione modernista internazionale. Pur quindi senza preconizzare apertamente uno scisma, opero' da riformatore religioso per un superamento dell'assetto teologico ed ecclesiale del cattolicesimo contemporaneo. E' noto che, nell'identificazione tra il cristianesimo e un socialismo non piu' antireligioso, ma solo anticlericale, non poterono seguirlo non soltanto i modernisti piu' moderati, ma neanche l'amico Tyrrell e Houtin.
Nel novembre del 1908 la situazione precipito', con l'intervento del Sant'Uffizio e la minaccia della chiusura della stessa "Rivista storico-critica di scienze teologiche". Buonaiuti spiego' allora a Houtin, in una lettera del 28 gennaio 1909 (cfr. Carteggio Houtin-Buonaiuti, "Fonti e documenti", 1972, 1, p. 61), di avere ancora fiducia nel futuro del modernismo italiano, ma che nella congiuntura marcata dall'immaturita' dell'opinione pubblica e dal peso sociale dell'istituzione ecclesiastica, il proprio ruolo doveva necessariamente limitarsi all'impegno sul piano degli studi storico-religiosi, rassicurandolo anche sul fatto che tale contesto, piu' che un'"agonia", rappresentava una "gestazione".
Nel marzo del 1909 Buonaiuti fu entusiasta per l'elezione di Murri alla Camera, e si rivolse a Houtin (cfr. Carteggio..., cit., pp. 63-64) per comunicargli la speranza che il neodeputato potesse realizzare il programma di rinforzare gli studi accademici storico-religiosi, creando cosi' un'"avanguardia contro il Vaticano".
La corrispondenza con Houtin e' una risorsa preziosa per poter comprendere correttamente la ridefinizione del programma modernista di Buonaiuti, con l'adozione di una cauta tattica di temporeggiamento e una provvisoria rinuncia a lavorare per il mutamento immediato dell'assetto della Chiesa, dalla quale egli non intendeva separarsi. Benche', con la morte di Tyrrell (luglio 1909), come spiego' a Houtin in una lettera del 2 settembre 1909 (cfr. Carteggio..., cit., pp. 66-68), il modernismo stesso gli sembrasse ormai morto, innanzi alla "disfatta" del movimento gli restava solo la consolazione che sono le minoranze a fare la storia, non piu' certo la speranza di riuscire a convertire "la beatissima curia romana" di Pio X.
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1910-1927: il "riformatore endocattolico"
Il ripiego nel campo degli studi storico-esegetici permise a Buonaiuti di divulgare in Italia i risultati della ricerca neotestamentaria del tedesco Gustav Adolf Deissmann. In particolare, inizio' allora a mutare in positivo la visione buonaiutiana di san Paolo, che nelle Lettere del 1908 era invece stato presentato come il "primo grande corruttore del Vangelo" (p. 128). Dopo la condanna e la messa all'Indice del 1910 e la decisione (auspicata anche da influenti personalita' come il padre domenicano Alberto Lepidi) di non arrivare alla rottura definitiva con l'istituzione, la produzione intellettuale di Buonaiuti subi' un rallentamento.
Nel 1911, per decreto della Congregazione concistoriale (l'organo della curia romana che si occupa degli affari delle diocesi), fu vietata la circolazione nei seminari dell'edizione italiana, uscita quell'anno, dell'Histoire ancienne de l'Eglise (3 voll., 1905-1910) di Louis-Marie-Olivier Duchesne, apparsa in una traduzione firmata da Turchi cui Buonaiuti aveva dato il suo contributo. Nel 1913 egli raccolse in un volume il testo di due conferenze (che non pote' tenere per il divieto delle autorita' ecclesiastiche) su Il cristianesimo primitivo e la politica imperiale romana ove formulo' chiaramente la tesi dell'incompatibilita' fra il messaggio che animava le comunita' primitive e le esigenze politiche delle autorita' imperiali. La preparazione del concorso alla cattedra di storia del cristianesimo all'Universita' di Roma, che lo porto' a nutrire una prolungata (e ricambiata) ostilita' nei confronti di Adolfo Omodeo, sostenuto da Gentile, lo indusse a raccogliere nel 1914 le sue lezioni giovanili di storia ecclesiastica ne Il cristianesimo medievale.
Ma gli anni immediatemente successivi al 1914, cioe' alla fine del pontificato di Pio X, non furono per Buonaiuti solo i primi anni di impegno universitario e di continuo scontro con i guardiani dell'ortodossia, ma anche quelli dello scoppio del primo conflitto mondiale, durante il quale Buonaiuti svolse un incarico burocratico all'ospedale militare del Celio, dopo il rifiuto opposto alla sua richiesta di servire al fronte come cappellano militare. Va quindi menzionata, insieme all'adesione di Buonaiuti all'iniziativa presa ai danni dello storico tedesco Karl Julius Beloch e di altri accademici degli imperi centrali residenti in Italia, la corrispondenza del 1916-1918 con lo storico belga Franz-Valery-Marie Cumont (1868-1947), prestigioso collaboratore della "Rivista di scienza delle religioni": essa, infatti, mostra chiaramente come Buonaiuti non sia rimasto indifferente al moto propagandistico sollevato tra gli intellettuali delle potenze alleate contro il pangermanismo.
L'esperienza della guerra segno' quindi la vicenda buonaiutiana piu' di quanto non sia stato finora documentato. In quel periodo, infatti, Buonaiuti condivise l'interesse dimostrato dagli ambienti culturali cattolici per il Medioevo, idealizzato come l'epoca in cui i popoli europei si erano ritrovati uniti nella stessa fede cristiana, e in tali frangenti si approfondi' in lui il senso dell'opposizione fra la cultura mediterranea e l'individualismo germanico, che sara' non solo all'origine del suo giudizio fondamentalmente negativo sulla Riforma, ma anche della sua ostilita' nei confronti del neoidealismo hegeliano, destinato a dominare il panorama accademico-culturale italiano.
Nel 1916, l'anno della suspensio rientrata dopo la prestazione del giuramento antimodernista, Buonaiuti produsse un importante studio agostiniano (La genesi della dottrina agostiniana intorno al peccato originale), tradotto l'anno successivo in inglese da Giorgio La Piana (1879-1971) per l'"Harvard theological review"; in esso, con l'apprezzamento degli specialisti, Buonaiuti riformo' la tesi, avanzata dall'ispiratore del 'protestantesimo liberale', lo storico e teologo luterano tedesco Adolf von Harnack (1851-1930), secondo la quale la dottrina agostiniana della "massa dannata" era derivata da sant'Ambrogio, precisando, invece, che la lezione seguita da sant'Agostino era piuttosto stata quella dell'Ambrosiaster.
L'attivita' universitaria di Buonaiuti prosegui' con l'approfondimento dello studio del contributo paolino alle origini cristiane e le conseguenti censure, permettendogli pero' di divulgare in Italia gli studi di storici del cristianesimo come Loisy e i tedeschi Wilhelm Bousset, Richard Reizenstein ed Eduard Norden, insistendo comunque sull'originalita' della personalita' paolina. E' del 1917 Sant'Agostino per le edizioni di Angelo Fortunato Formiggini (la cui seconda edizione del 1923 fu tradotta in romeno). In tale lavoro Buonaiuti non esito' a criticare l'opinione espressa dal tedesco Ernst Troeltsch nel fervore dell'avvio del conflitto, secondo la quale, per i ridotti effetti sociali prodotti dal De civitate dei nel Medioevo, piu' di questo testo agostiniano erano da ammirare i Reden an die deutsche Nation (1807-1808) di Johann Gottlieb Fichte. Secondo un giudizio piu' tardivo di La Piana (introduzione a E. Buonaiuti, La vita dello spirito, 1948, p. 17), nella sua interpretazione del capolavoro agostiniano Buonaiuti aveva teso a smussarne troppo l'ecclesiasticismo.
Negli anni del conflitto mondiale, Buonaiuti torno' a riflettere sui piu' significativi testi dell'antichita' relativi al mistero del male e della sua redenzione, ricavandone un piu' preciso senso della necessita' di un canale istituzionale di trasmissione della grazia e dell'adesione alla sua offerta, senza per questo dover rinunciare all'idea che questa investisse la storia e il mondo ben oltre i ristretti e talvolta ingannevoli confini segnati dall'apparato confessionale cattolico, nella bonta', nell'altruismo, nella fraterna solidarieta' universale. L'ingenuo ottimismo belle epoque attestato dalle Lettere del 1908 era ormai soppiantato da un piu' maturo e sofferto senso delle realta' della vita personale e sociale.
Le convinzioni maturate da Buonaiuti durante quegli anni permettono di comprendere meglio come all'inizio degli anni Venti, quando lego' profondamente a se' la prima generazione degli allievi (Raffaello Morghen, Arturo Carlo Jemolo, Alberto Pincherle), egli abbia svolto il proprio programma di "riformatore endocattolico", individuando nella lacerazione dell'unita' spirituale medioevale la lontana causa delle recenti distruzioni prodotte "dall'istinto della disgregazione nazionalistica" (lettera a Salvatorelli del 10 febbraio 1923, cit. in D. Cesarini, Tra storia e mistica. Studi e documenti sul modernismo cattolico, 2008, p. 273) e nelle divisioni confessionali una cocente lacerazione della coscienza cristiana, superabile pero' solo in prospettiva uniatista. Nel 1921, colpito dalla prima scomunica, Buonaiuti pronuncio' le due conferenze su L'essenza del cristianesimo, il cui testo fu pubblicato l'anno successivo, marcando definitivamente la propria originale posizione, piu' vicina a quella di Tyrrell, nel confronto che aveva opposto Harnack e Loisy al tempo della crisi modernista.
Intanto, dopo l'edizione della prima traduzione italiana della Lettera a Diogneto (1921) e un primo contributo all'"Harvard theological review" su Metodio testimone dell'inesauribile tradizione dell'escatologismo cristiano (The ethics and eschatology of Metodius of Olympus, 1921, 3, pp. 255-66), la produzione di Buonaiuti si incremento' ancora nel 1923. Pubblico' infatti Frammenti gnostici (in cui rielaboro' il lavoro del 1907 attaccando la tesi harnackiana dell'evoluzione del cristianesimo come ellenizzazione snaturante) e Saggi sul cristianesimo primitivo, in cui per la prima volta diede una valutazione positiva dell'ascetismo monastico, con un ulteriore scarto rispetto alle posizioni sostenute nelle Lettere del 1908. Tali lavori furono positivamente recensiti da Hans von Soden, Johannes Behm, Loisy e Charles Guignebert.
L'anno successivo, con il profilo Tommaso d'Aquino, Buonaiuti manifesto' un'ennesima presa di distanza rispetto alle tesi sostenute nelle Lettere, con l'approvazione in chiave antidealista del realismo tomista, ormai affermatosi saldamente come filosofia ufficiale della Chiesa, di cui pero' egli tenne a valorizzare la componente dell'agostinismo mediante la quale il 'dottor angelico' era riuscito a riformare l'intellettualismo aristotelico. L'Apologia del cattolicismo, pubblicata nel 1923, quindi poco prima della definitiva scomunica (1924), e' il testo in cui Buonaiuti esprime in modo piu' compiuto la propria adesione al cattolicesimo, senza neppure individuare limiti nella filosofia scolastica; il volume fu tradotto in Francia e in Brasile.
Dopo la pubblicazione del medaglione Alfredo Loisy (1925), in cui rimprovero' l'approdo all'umanitarismo dello storico francese scomunicato, l'anno successivo, anche allo scopo di riannodare i rapporti con Blondel, lacerati dopo la pubblicazione di uno sfortunato articolo dell'allievo Renato Lazzarini su "Ricerche religiose" (Il problema della salvezza nell'apologetica dell'azione, 1925, pp. 1-12), Buonaiuti pubblico' lo studio Blondel; vi presento' adeguatamente le principali linee del pensiero del filosofo francese, dichiarando inoltre di apprezzarne lo stile ecclesiale dimesso che gli aveva consentito di evitare le rovinose conseguenze di clamorose condanne da parte dell'autorita' dottrinale.
A conferma del suo interesse per il pensiero religioso contemporaneo, da poter valorizzare in chiave sia antiscolastica sia antidealistica, quello stesso anno Buonaiuti pubblico' la traduzione di Das Heilige: uber das Irrationale in der Idee des Gottlichen und sein Verhaltnis zum Rationalen (1917), del teologo protestante tedesco Rudolph Otto, il quale pero' rifiuto' l'introduzione di Buonaiuti, che secondo lui aveva 'cattolicizzato' il suo pensiero. Sempre nel 1926, apparvero l'articolo Marcione e il Nuovo Testamento latino ("Ricerche religiose", pp. 336-48) – in cui Buonaiuti torno' a confutare con strumenti filologici una tesi di Harnack circa i testi utilizzati da Tertulliano nella sua polemica antimarcionita – e il libro Lutero e la Riforma in Germania, che (benche' vi si riprendessero le tesi del teologo austriaco Heinrich Denifle) non produsse gli effetti auspicati presso le autorita' ecclesiastiche. Nel 1927 Buonaiuti pubblico' cosi' a Parigi Le modernisme catholique, lanciando l'idea che fosse ormai indispensabile la riscoperta dell'universalismo cristiano delle origini auspicata dai modernisti e ingiungendo alla Chiesa l'adozione di tale programma, con l'abbandono dell'ormai insostenibile apparato inquisitorio e dell'astratta filosofia scolastica, se non voleva limitarsi al ruolo di banale pedina nel gioco mondano delle potenze temporali.
Buonaiuti scorse poi nel confronto in atto nel mondo protestante anglosassone tra fondamentalisti e modernisti, oltre che negli interessi sviluppati dai piu' giovani allievi (Ambrogio Donini, Mario Niccoli), una prova dell'utilita' della riforma auspicata. Nel gennaio del 1928, l'enciclica Mortalium animos, con cui Pio XI chiuse le finestre ai primi timidi tentativi di dialogo ecumenico con gli evangelici, frustro' quindi profondamente le speranze di Buonaiuti che la Chiesa potesse ancora partecipare e guidare quello che gli appariva come l'inderogabile rinnovamento della vita religiosa.
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1928-1946: il profeta dell'esodo verso la nuova Chiesa ecumenica
Nel 1928 Buonaiuti raccolse i contenuti degli ultimi corsi universitari nei due volumi L'ascetismo cristiano e Il misticismo cristiano. Quindi, il suo costante interesse per le primitive comunita' cristiane d'Africa, con il loro radicalismo religioso antimperiale e le grandi personalita' che avevano espresso, si concretizzo' nella pubblicazione de Il cristianesimo nell'Africa romana, recensito in Germania da Hugo Koch. Sempre nel 1928, nel medaglione Giansenio, propose una lettura dell'eresia giansenista come estremo tentativo consumato nella storia, prima del modernismo, per ritrovare un cristianesimo integro da compromessi mondani, di cui invece la casuistica dei gesuiti costituiva il modello esemplare. I Patti lateranensi del 1929, con le pesanti conseguenze sul piano personale, rappresentarono ai suoi occhi un grave scadimento temporalistico.
Intanto, nello studio e nell'edizione critica dei trattati gioachimiti, Buonaiuti ritrovo' l'esaltazione della grande rinascita cristiana nell'attesa messianica per la 'terza eta'' profetizzata da Gioacchino da Fiore; ne derivo' la serie di lavori che trovarono significativa espressione in Gioacchino da Fiore: i tempi, la vita, il messaggio (1931); furono apprezzati da Herbert Grundmann e segnarono la formazione di Ernst Benz, venendo coronati dall'Edward Kennard Rand prize in Medieval studies della Medieval Academy of America. Nel 1935, invitato all'edizione di quell'anno delle 'Decades de Pontigny' (serie di incontri tra intellettuali europei, tenuti in Francia dal 1910 presso l'abbazia di Pontigny), Buonaiuti avrebbe ancora insistito su un'idea a lui cara, rifiutata dagli studiosi, che la rinascita francescana affondava le sue radici nella profezia gioachimita.
Ormai egli poteva dare espressione al suo pensiero solo attraverso l'esercizio di "un magistero randagio" (lettera a Guido Cagnola del 2 marzo 1932, cit. in Bedeschi 1970, p. 201), in un alternarsi di nostalgie per cio' che di buono la Chiesa avrebbe potuto continuare a rappresentare e di speranze per l'avvento di una nuova Chiesa pancristiana, affidata agli "esuli di tutte le chiese costituite" (discorso del 1937 all'International association of Oxford: cfr. l'introduzione di La Piana a E. Buonaiuti, La vita dello spirito, cit., p. 7), che potesse salvare l'umanita' sull'orlo di una nuova catastrofe, introducendola finalmente a una "nuova civilta' ecumenica". La sua visione era allora sostenuta da una concezione della Rivelazione attiva oltre i limiti della tradizione abramitica, culminata nelle antiche esperienze della civilta' mediterranea di cui il cristianesimo aveva costituito la piu' alta espressione. A partire dal 1942 vennero pubblicati i tre volumi di Storia del cristianesimo, in cui Buonaiuti raccolse i risultati della sua vita di studi per porre il dilemma del destino del cristianesimo. I primi due volumi furono piu' tardi tradotti in tedesco, sollevando pareri contrastanti.
La lezione di Buonaiuti fu segnata da limiti che per primi i discepoli hanno indicato in un'attenzione troppo esclusivamente portata sul cristianesimo latino e in un lavoro interpretativo che privilegio' soprattutto i documenti letterari, impedendo cosi' di approfondire la conoscenza della dimensione sociale che lo stesso Buonaiuti, allievo di Antonio Labriola, indico' come essenziale per un'adeguata comprensione della storia cristiana. Egli resta tuttavia un grande maestro degli studi storico-religiosi italiani, nonostante i tatticismi (che non intaccano la coerenza di fondo) di un'opera dotata insieme di valore scientifico e di ricco significato umano, prodotto della sua appassionata partecipazione alle vicende del tempo, nella personale convinzione, come scrisse nell'autobiografia (Pellegrino di Roma: la generazione dell'esodo, 1945), che il metodo storico fosse "il vero locus theologicus della rivelazione cristiana" (p. 139).
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Opere
Lo gnosticismo: storia di antiche lotte religiose, Roma 1907.
Saggi di filologia e storia del Nuovo Testamento, Roma 1910.
Il cristianesimo primitivo e la politica imperiale romana, Roma 1913.
Il cristianesimo medioevale, Citta' di Castello 1914.
Sant'Agostino, Roma 1917.
Le esperienze fondamentali di Paolo, Roma 1918.
Frammenti gnostici, Roma 1923.
Saggi sul cristianesimo primitivo, Citta' di Castello 1923.
Tommaso d'Aquino, Roma 1924.
Lutero e la Riforma in Germania, Bologna 1926.
Giansenio, Milano 1928.
Il cristianesimo nell'Africa romana, Bari 1928.
L'ascetismo cristiano, Pinerolo 1928.
Gioacchino da Fiore. I tempi, la vita, il messaggio, Roma 1931.
Amore e morte nei tragici greci, Roma 1938.
Storia del cristianesimo, 3 voll., Milano 1942-1943.
I maestri della tradizione mediterranea, Roma 1945.
Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Roma 1945.
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Bibliografia  
L. Bedeschi, Buonaiuti, il Concordato e la Chiesa, Milano 1970.
F. Parente, Ernesto Buonaiuti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1971.
F. Parente, Buonaiuti Ernesto, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, XV vol., Roma 1972, ad vocem.
Istituto storico italiano per il Medioevo, Ernesto Buonaiuti storico del cristianesimo. A trent'anni dalla morte, Roma 1978.
A. Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento: Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Brescia 1979.
G.B. Guerri, Eretico e profeta: Ernesto Buonaiuti un prete contro la Chiesa, Milano 2001.
F. Chiappetti, La formazione di un prete modernista: Ernesto Buonaiuti e "Il rinnovamento" (1907-1909), Urbino 2012.

4. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Francesca Dagnino e Paola De Ferrari, No war! Storie e documenti del movimento pacifista, Associazione per un Archivio dei Movimenti a Genova e in Liguria, Genova 2021, pp. 220.
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Riedizioni
- Alexander Langer, Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Sommacampagna-Verona 2005, 2017, pp. 208, euro 12.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4123 del 2 giugno 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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