[Nonviolenza] Telegrammi. 4077



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4077 del 17 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
2. Riccardo Allorto
3. Bi Kidude
4. Aime' Cesaire
5. Enrico Comba
6. Giuseppe Fiori
7. Sotigui Kouyate'
8. Gabriel Garcia Marquez
9. Otello Montanari
10. Loris Premuda
11. Janine Solane
12. Valentina Bortolami presenta "Posthuman Knowledge" di Rosi Braidotti
13. Mattia Gozzi presenta "Michael Mann. Le fonti del potere sociale" di Eleonora Piromalli
14. Giovanni Minozzi presenta "An Epistemology of Noise" di Cecile Malaspina
15. Luisa Muraro: Nella valle oscura. Per quanto ancora?
16. Alcuni riferimenti utili
17. Segnalazioni librarie
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'
 
1. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA
 
Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.
 
2. MEMORIA. RICCARDO ALLORTO
 
Il 17 aprile 2015 moriva Riccardo Allorto, musicologo.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
3. MEMORIA. BI KIDUDE
 
Il 17 aprile 2013 moriva Bi Kidude, musicista.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
4. MEMORIA. AIME' CESAIRE
 
Il 17 aprile 2008 moriva Aime' Cesaire, poeta.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
5. MEMORIA. ENRICO COMBA
 
Il 17 aprile 2020 moriva Enrico Comba, illustre antropologo e storico delle religioni.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
6. MEMORIA. GIUSEPPE FIORI
 
Il 17 aprile 2003 moriva Giuseppe Fiori, giornalista e storico.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
7. MEMORIA. SOTIGUI KOUYATE'
 
Il 17 aprile 2010 moriva Sotigui Kouyate', drammaturgo, regista, attore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
8. MEMORIA. GABRIEL GARCIA MARQUEZ
 
Il 17 aprile 2014 moriva Gabriel Gracia Marquez, inventore di mondi e testimone.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
9. MEMORIA. OTELLO MONTANARI
 
Il 17 aprile 2018 moriva Otello Montanari, partigiano e militante del movimento operaio.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
10. MEMORIA. LORIS PREMUDA
 
Il 17 aprile 2012 moriva Loris Premuda, storico della medicina.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
11. MEMORIA. JANINE SOLANE
 
Il 17 aprile 2006 moriva Janine Solane, coreografa e danzatrice.
Con gratitudine la ricordiamo.
 
12. LIBRI. VALENTINA BORTOLAMI PRESENTA "POSTHUMAN KNOWLEDGE" DI ROSI BRAIDOTTI
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 9, n. 1 (2020)]
 
Rosi Braidotti, Posthuman Knowledge, Polity Press, Cambridge 2019, pp. 210.
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Cosa rimane delle humanities e quanto vale la pena salvare? Che ruolo abbiamo, o dovremmo avere, in quanto discendenti della tradizione umanistica occidentale e della post-modernita', nell'affrontare le grandi sfide della nostra epoca, posta tra la quarta rivoluzione industriale e la sesta estinzione? Il sapere che produciamo puo' servirci, e in che modo? E, posto che ci siamo insieme, in questa congiuntura, a cosa si riferisce il "ci", chi e' il "noi" di cui parliamo? Questi sono gli interrogativi che guidano l'indagine di Rosi Braidotti, una delle maggiori pensatrici femministe viventi. Nei sette capitoli che compongono il volume, l'autrice interpella la produzione scientifica sul postumano, ne delinea una cartografia, e avanza la sua proposta filosofica, un materialismo ispirato da Spinoza (e dalla sua ricezione deleuziana), e informato dagli esiti della ricerca femminista, antirazzista ed ecologista.
Si possono individuare nel volume tre temi che si co-implicano: la condizione postumana, il soggetto postumano, e il sapere postumano (da cui il titolo del volume). Il tema della condizione postumana riguarda principalmente il mondo e il momento storico che viviamo: descrivere la condizione postumana e' diagnosticare la condizione postumana (cfr. Ch.1). Il soggetto postumano e' il correlato della condizione postumana, in quanto vi reagisce affermativamente; un soggetto "immanent to the very conditions they are trying to understand, changing and resist" (p. 154 Ch. 6). Infine il sapere postumano riguarda gli interrogativi attorno alla ricerca che produciamo, ai nuovi oggetti di questa ricerca, alle dinamiche in cui e' coinvolta.
Come si puo' intuire da questa sintetica presentazione, l'opera e' fortemente connotata dall'interesse per il presente, luogo dell'incontro tra passato (inteso come attestazione di cio' che siamo stat*) e futuro (inteso come inizio di un processo che produce un nuovo soggetto-in-divenire), come occasione produttiva e affermativa.
Il primo capitolo del libro, "The Posthuman Condition", e' dedicato all'analisi della condizione postumana. Innanzitutto, Braidotti chiarisce che il postumano non e' limitato alla critica dell'umanismo: la "situazione postumana" ("the posthuman predicament", p.13) e' alla convergenza tra la critica all'umanismo (contro l'Umano, l'Uomo, la Civilta') e la sfida all'antropocentrismo. La critica all'umanismo illuminista e' coestensiva all'umanismo stesso, e ha mostrato quanto l'"umano" sia stato definito in opposizione ai soggetti che escludeva (ad es. le donne e le persone non bianche non sono state umane per molto tempo, e spesso non lo sono oggi). Nel postumano, alla critica all'umanismo si unisce quella all'antropocentrismo, che richiede di comprenderci come appartenenti a una specie (non solo di una cultura o di una societa') e di assumerci la responsabilita' di quanto abbiamo compiuto come specie su questo pianeta. Data questa premessa, l'A. diagnostica nella condizione postumana esaurimento (exhaustation, cfr. anche Ch. 7) e fatica (fatigue) di fronte al panorama contemporaneo, caratterizzato, sul piano economico, dal capitalismo avanzato, di fronte al quale le teorie sociali di stampo moderno e antropocentrico si mostrano inefficaci; sul piano della produzione intellettuale, dalla disillusione sulle possibilita' emancipatorie della modernizzazione, e dalle profonde modificazioni del ruolo dell'intellettuale e dell'accademia, sempre piu' piegata alle logiche del capitalismo cognitivo; sul piano politico globale, dall'ascesa delle destre e dall'attacco ai discorsi critici portati avanti dalle minoranze, bollati come "antiscientifici" o "relativisti". Di fronte a questo scenario esasperante, Braidotti esorta alla "immanenza materialista" ("materialist immanence", p. 38): e' necessario rifondarsi nel presente, riaccendere le passioni politiche per la democrazia, per la liberta' collettiva e per la giustizia sociale, trans-specie e trans-nazionale. L'A. ribadisce a piu' riprese nel volume il suo invito alle alleanze, all'apertura di conversazioni, alla costruzione di connessioni trasversali (e a domandarsi quale sia il ruolo delle posthumanities e quale il ruolo delle/degli intellettuali, un "noi" composito ma provvisoriamente riassumibile come: "the human heirs of Western post-modernity", p. 15).
Nel secondo capitolo ("Posthuman Subjects") l'A. affronta il tema della soggettivita' postumana, un concetto sul quale la ricerca si divide: da una parte chi nega la necessita' di una teoria della soggettivita', dall'altra chi tenta di riformare il concetto nell'alveo della tradizione umanistica. L'A. sostiene una posizione che chiama intermedia, in quanto riconosce la necessita' di una teoria del soggetto, ma la declina in funzione delle esigenze di giustizia sociale cui aspira. Per l'A. il soggetto non puo' essere presupposto, ne' ricondotto alla categoria unitaria dell'umano: e' necessario superare l'eccezionalismo umano (tratto saliente dell'antropocentrismo) e rigettare l'identificazione del soggetto con l'individuo razionale. La soggettivita' postumana e' un "progetto pratico" (p. 74): un processo relazionale che interessa umani e non-umani, attraverso il quale negoziamo cio' che vogliamo essere e che vogliamo diventare. L'autonomia delle entita' coinvolte in questo processo non e' cognitiva o, ancora, razionale, bensi' pertiene l'affetto, inteso non in senso psicologista ma Spinoziano-Deleuziano, "as a virtual force that gets actualized through relational bonds" (p. 45). Le soggettivita' post-umane, inoltre, sono composite, "eco-sophical assemblages" (p. 54). Il perno di questa concezione e' etico: alcune riflessioni femministe (vengono citate Rich, Harding, e Haraway, che l'A. considera interpreti della tradizione materialista), assieme alla teoria postcoloniale e alla race theory (il riferimento e' qui principalmente de Castro) offrono la possibilita' di fondare un agire responsabile in quanto "incarnato" e "situato" (embodied, embedded e situated). Alla base di questa proposta vi e' un'ontologia materialista che considera la materia come animata da "the ontological desire for the _expression_ of its innermost freedom" (p. 47). Di conseguenza, anche l'umano tende verso la gioia e l'espressione di se' (cfr. anche Ch. 7). Il capitolo include poi una discussione della ricerca "inumana": in particolare, l'A. esamina criticamente il lavoro di Latour, la corrente del postumanismo speculativo e quella del transumanismo, e l'object-oriented ontology. A queste ricerche Braidotti rimprovera la negativita' e l'"anthropo-fatigue", un nichilismo che non rileva il pensiero critico femminista, postcoloniale, antirazzista ed ecologista, e rinnega cosi' ogni coinvolgimento sul piano etico. La proposta dell'A., invece, vuole essere una risposta critica e affermativa, radicata nel presente, che rifiuta posizioni disfattiste, in quanto (proprio sulla scorta critica degli studi femministi e postcoloniali) vi rintraccia un pensiero eurocentrico che alimenta l'individualismo, la disperazione e quindi il disimpegno, inibendo la presa di coscienza e di responsabilita' nella costruzione di alternative.
Il terzo capitolo e' dedicato ad alcuni elementi caratterizzanti le posthumanities: i loro "oggetti post-naturali", che vanno dal mostruoso, al disumanizzato, all'iper-oggetto, passando dalle forze post-naturali e dalle entita' digitali; la propensione della ricerca a creare neologismi per definire i suoi oggetti; la sua predisposizione all'interdisciplinarita' e alla collaborazione. Segue un'analisi critica della produzione accelerazionista e sull'Antropocene (che include una discussione di Timothy Morton, di Nick Land e dello Xenofemminismo di Laboria Cuboniks). Il capitolo si chiude descrivendo i complessi rapporti che sussistono tra la ricerca postumana e il capitalismo avanzato.
Il quarto capitolo e' aperto da una genealogia delle Critical Posthumanities, la cui origine e' da rintracciarsi negli Studies (o Critical Studies), di natura interdisciplinare e radicale (in quanto caratterizzati dall'attenzione alle esperienze e ai saperi delle minoranze e degli/delle oppressi/e). Braidotti distingue gli Studies di prima generazione, che criticarono l'antropocentrismo e l'eurocentrismo implicati nel concetto di umano utilizzato nelle humanities, da quelli di seconda generazione, che ereditano dai primi l'afflato critico, ma si focalizzano su oggetti di studio diversi, che spaziano da temi legati all'ecologia e ai media. Esempi della prima generazione possono essere i Feminist e i Queer Studies, i Race, i Postcolonial e i Subaltern Studies, i Cultural Studies, i Media Studies; tra gli Studies di seconda generazione troviamo gli animal studies; l'eco-criticism; gli environmental studies; i food and diet studies. Gli Studies offrono contributi per rinnovare la riflessione sull'umano e sulla soggettivita', sia sul piano epistemologico che etico, e costituiscono un'importante parte degli "aspetti minoritari" del sapere postumano, in quanto, sostiene l'A., i critical studies registrano sia cio' che stiamo smettendo di essere, sia cio' che stiamo diventando: "what we are ceasing to be – the actual, or the 'no longer' – and what we are in the process of becoming – the virtual, or the 'not yet'" (p. 112). Per questo interessano sia la "Major science", la ricerca mainstream, finanziata e ben considerata, sia la "minor science", posta ai margini del mondo accademico e dei finanziamenti, e legata alle minoranze. Nel rapporto dinamico tra Major e Minor Science si sviluppano le Critical Posthumanities, che esistono sia come assemblaggi minoritari in opposizione al capitalismo, sia come espressioni della capitalizzazione del postumano da parte della governance neo-liberale delle universita', all'interno di istituzioni che appartengono e contribuiscono ad esso (un esempio sono i centri di ricerca postumana di Oxford e Cambridge). Nel capitolo quinto l'A. riprende la distinzione tra Major Science e Minor Science, offre degli esempi di pratiche e discipline postumane (Posthuman Legal Practice, Artistic Practice, Posthuman Disability Studies e Posthuman Pedagogy) e precisa la sua proposta filosofica ("A Different Empiricism"); infine enuclea delle linee guida per la transizione tra humanities e posthumanities rivolte alle universita'. I capitoli sesto e settimo riprendono le fila dell'elaborazione dell'A. sulla soggettivita' delineata nei primi capitoli del volume. Il capitolo sesto approfondisce il legame tra la concezione della soggettivita' dell'A., il concetto di potentia e l'etica, chiarendo il rapporto tra soggettivita' e resistenza: se la condizione postumana spinge alla negativita' e all'esaurimento, la possibilita' di resistere sorge dalla liberta' e dal desiderio (della liberta'). Nel capitolo settimo l'A. esplora il rapporto tra l'exhaustation, la vulnerabilita' che ne consegue, e le possibilita' di creare soggettivita' postumane. Queste possibilita' di reazione, di resistenza sono immanenti alla vita intesa come zoe (e non come bios: zoe e' per l'A. il potere della vita che travalica la distinzione tra umano e non umano, e che eccede le aspettative umane).
Il libro di Braidotti si presenta come una cartografia della produzione scientifica postumana che si presta a fungere da punto di partenza per indagini postumane piu' specifiche. L'A. coniuga la prospettiva panoramica e l'ampiezza dei riferimenti alla produzione contemporanea con la precisione critica, riuscendo inoltre a esprimere la specificita' della propria visione filosofica. Nel momento in cui la fatica e l'esaurimento spingono all'astrazione e al ripiegamento nel privato, Braidotti invita a ritornare al presente, e a prendersi la responsabilita' della costituzione di un "noi”" (che non conviene sia frettolosamente convenuto attorno alla categoria di umano, o all'idea di un comune destino nefasto), e alla realta' nella sua materialita', con i limiti e le possibilita' ad essa immanenti.
 
13. LIBRI. MATTIA GOZZI PRESENTA "MICHAEL MANN. LE FONTI DEL POTERE SOCIALE" DI ELEONORA PIROMALLI
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 7, n. 1 (2018)]
 
Eleonora Piromalli, Michael Mann. Le fonti del potere sociale, Mimesis, Milano, 2016, pp. 318.
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Eleonora Piromalli propone una ricostruzione critica del concetto di teoria del potere esposto da Michael Mann in The Sources of Social Power, un'opera in quattro volumi che il sociologo di origine inglese ha pubblicato a partire dal 1982. In essa lo studioso avanza una riflessione sull'evoluzione delle societa' umane nel corso della storia, a partire dal neolitico fino all'eta' contemporanea, utilizzando il cosiddetto modello IEMP: potere economico, ideologico, militare e politico. Mann ritiene infatti che l'analisi congiunta, in ogni societa', di questi quattro poteri sia la chiave ideale per poter comprendere i meccanismi che regolano lo sviluppo della civilta' umana. La societa', secondo Mann, "e' una rete di interazioni tra esseri umani, ai cui confini si trova un differenziale di interazione tra di essa e l'ambiente circostante" (p. 38). La societa', dunque, e' formata da una pluralita' di "reti di potere", dai confini mutevoli, che si sovrappongono e si intrecciano tra loro. Si creano cosi' innumerevoli reti di interazione sociale di differente ampiezza ed intensita' che mirano ad organizzare e controllare persone, risorse e territori. Le principali reti di potere che compongono la societa' vengono sviluppate dalle quattro fonti di potere sociale del precitato modello IEMP. Con questo schema teorico, Mann porta un originale apporto agli sviluppi della scienza sociale, prendendo le distanze da Talcott Parsons e dal suo approccio "struttural-funzionalista".
Prima di addentrarsi nell'analisi dell'opera piu' importante di Mann, Piromalli evidenzia come il tema della coesione sociale abbia caratterizzato il primo approccio alle scienze sociali da parte del sociologo inglese. E' in questo modo, infatti, che viene realizzato il suo primo scritto: The Social Cohesion of Liberal Democracy (1970). In questo lavoro, Mann focalizza la sua indagine sulle moderne democrazie liberali, assumendole come esempio per lo studio della coesione sociale. Concentrandosi principalmente sul caso della Gran Bretagna, l'autore osserva come la subordinazione sociale venga accettata dalle stesse classi sociali, poiche' non vengono percepite alternative tali da poter rovesciare la situazione. Mann delinea cosi' un primo modello esplicativo, che verra' approfonditamente sviluppato nell'opera Consciousness and Action among the Western Working Class (1973). Grazie a questo modello, Mann individua quegli elementi che sarebbero in grado di costituire una coscienza rivoluzionaria: identita', opposizione, totalita', alternativa (IOTA). Secondo Mann, la coscienza di classe degli operai britannici risulta bloccata, poiche' da un lato essi non prendono in considerazione l'idea di una alternativa politico-sociale, dall'altro lato, i sindacati avanzano richieste di natura meramente economica, senza mettere in discussione l'assetto politico. La vera difficolta' pero' sta nel fatto che non c'e' alcun gruppo capace di trasmettere ai lavoratori una coscienza di totalita' e alternativa. Pertanto, Mann conclude dicendo che "sembra improbabile che il proletario abbia in se' la forza per divenire una classe per se'" (p. 21).
Piromalli prende poi in analisi il primo volume di The Sources of Social Power, in cui Michael Mann analizza le forme organizzative del potere, dalla preistoria fino al 1760. Le prime civilta' che creano reti di interazioni stabili e permanenti, osserva Mann, sono quelle delle pianure alluvionali del Tigri e dell'Eufrate, del Nilo e dell'Indo, del Fiume Giallo e dell'America centrale e meridionale. "Nello specifico, si generano i primi mercati e vengono costruiti i primi canali di irrigazione, i quali presuppongono una progettazione centralizzata e una realizzazione basata sulla divisione del lavoro" (p. 49). Per la prima volta nella storia, le quattro fonti del potere si intrecciano in reti di interazione stabili e permanenti. In seguito, avverra' un progressivo spostamento del potere sociale dalla Mesopotamia verso occidente, con la nascita delle poleis nell'antica Grecia. Quest'ultime costituiranno delle civilta' multistatali estensive, che Mann denomina come multi-poweractor civilizations. Le citta'-stato greche verranno poi soppiantate dall'impero romano, il quale andra' a creare le fondamenta sulle quali si radicheranno le multi-power-actor civilizations dell'Europa feudale, unita dai valori del Cristianesimo.
Nel 1993 Mann pubblica il secondo volume di The Sources of Social Power: The Rise of Classes and Nation-States, 1760-1914. Nonostante quest'opera ricopra un periodo storico inferiore a quello precedente, e' attraverso questo volume che Mann propone una nuova teoria interpretativa dello Stato moderno. Piromalli ci mostra come, per arrivare a questa nuova teoria, Mann abbia preso in esame l'approccio marxista, quello pluralista e infine quello elitista, per ritrovare in quest'ultimo la chiave necessaria per presentare la sua teoria dello "statismo istituzionale". Mann crede che nello Stato moderno non sia presente un'elite unitaria e coesa, ma sia necessario fare i conti con elites statali profondamente diverse fra loro. In particolare, lo studioso britannico sottolinea come monarchia, militari, burocrazia e partiti politici rappresentino "un eterogeneo insieme di attori, le cui mutevoli alleanze tra loro e con gruppi della societa' civile porteranno gli Stati ad azioni raramente riconducibili a un singolo interesse razionalmente e coerentemente perseguito" (p. 99). Quindi si potrebbe dire che i membri della societa', dai singoli fino ai gruppi organizzati, possono esercitare potere solamente mediante le istituzioni, le quali influiranno poi sulle azioni dei soggetti.
Il terzo volume viene pubblicato nel 2012 e prende il titolo di The Sources of Social Power: Social Empires and Revolution, 1890-1945. In quest'opera, Mann decide di fare un passo indietro e focalizzarsi su un aspetto che in un primo momento aveva lasciato da parte: il colonialismo. Nel volume precedente, infatti, si era occupato degli Stati nazionali europei, ma senza tener conto del loro ruolo di colonizzatori nel mondo. A cavallo tra il 1870 e il 1890, nasce da parte degli Stati piu' potenti una lotta per la conquista delle colonie. Si tratta di un "nuovo imperialismo", poiche' a differenza del passato, gli imperi coloniali assumono un ruolo effettivo come attori di potere, influenzando in maniera radicale gli eventi storico-politici globali. Mann, inoltre, dedica notevole spazio anche al discorso relativo al rapporto che i Paesi conquistatori stabiliscono con i territori coloniali. Dal punto di vista geopolitico, infatti, le colonie hanno avuto un ruolo rilevante durante il secondo conflitto mondiale, in quanto rappresentavano dei territori strategici che sono diventati teatro di numerosi scontri. Ed e' stata proprio la fine della Seconda Guerra Mondiale a decretare il tramonto dell'epoca del colonialismo.
Proseguendo la sua indagine storico-sociologica, Mann concorda sul fatto che l'affermazione dei regimi autoritari in Europa sia dovuta principalmente alle crisi economiche, militari, politiche e ideologiche causate dal primo grande conflitto mondiale, ma egli rimane dell'idea che questa spiegazione non sia sufficiente e che ci siano anche altre motivazioni che vanno ricercate negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Prima tra tutte, la crisi del 1929, che "rappresenta una delegittimazione, agli occhi dei cittadini, dei governi e dei partiti esistenti" (p. 193). Gli Stati europei avrebbero dovuto dimostrarsi piu' forti e guidare i propri Paesi fuori dalla crisi. La loro mancanza di iniziative efficaci, invece, ha spianato la strada ai partiti fascisti, i quali rappresentano un'alternativa mai sperimentata e diversa rispetto ai partiti tradizionali. Inoltre, va tenuto conto anche della forte preoccupazione delle classi dominanti, che videro nella crisi economica un potenziale rovesciamento del capitalismo e un'apertura verso l'avanzata del socialismo bolscevico. Per quanto riguarda nello specifico la Seconda Guerra Mondiale, Mann sostiene che la causa principale della guerra vada attribuita ad Adolf Hitler e riconosce, "per la prima volta in tutto The Sources of Social Power, un enorme potere causale a un individuo" (p. 207). Anche se lo studioso comunque non dimentica di ricordare che Hitler ha potuto contare su una serie di avvenimenti che hanno giocato a suo favore e che gli hanno permesso di conquistare il potere in breve tempo, fino a godere di un ampio consenso in Germania. Infine, in seguito alla vittoria degli Alleati contro i regimi nazifascisti, si e' creato un modello bipolare che ha visto fronteggiarsi da una parte gli Stati Uniti e dall'altra l'Unione Sovietica, aprendo in questo modo un nuovo capitolo della storia contemporanea.
Il quarto e ultimo volume di The Sources of Social Power viene pubblicato nel 2013, ed e' sottotitolato Globalizations, 1945- 2011. Mann afferma che le spiegazioni che sono state date finora alla globalizzazione sono inadeguate e necessitano di essere revisionate. La globalizzazione, scrive, e' il risultato di un intreccio di processi storico-sociali attraverso i quali aree territoriali diverse creano una relazione reciproca, senza necessariamente che siano operanti tendenze all'assimilazione e all'omogeneizzazione. Lo studioso inglese respinge dunque l'idea prevalente che la globalizzazione stia limitando in qualche modo il ruolo degli Stati nazionali.
Nell'ultima parte del libro, Piromalli si focalizza su due opere di Mann strettamente correlate tra loro: Fascists e The Dark Side of Democracy, pubblicate rispettivamente nel 2004 e nel 2005. In Fascists, il sociologo ripercorre l'ascesa al potere dei governi fascisti tra le due guerre mondiali. L'obiettivo di Mann, come spiega Piromalli, e' quello di "prendere sul serio i fascisti". Troppe volte, sostiene lo studioso britannico, si e' associata erroneamente l'affermazione del movimento fascista a gruppi sociali manipolabili che vivevano ai margini della societa'. Sicuramente, per Mann, individui appartenenti a tali categorie hanno fatto parte del movimento fascista, ma non sono stati gli unici: tra le due guerre mondiali, il fascismo e' riuscito infatti ad appellarsi con successo a ogni frangia della societa', conquistando un sostegno veramente interclassista, che non teneva conto delle classi sociali, della cultura e dell'istruzione. Nel secondo volume vengono analizzati i crimini legati alla pulizia etnica, facendo riferimento al genocidio armeno, all'Olocausto, ai crimini compiuti in ex-Jugoslavia e in Ruanda, senza tralasciare casi di pulizia etnica avvenuti nelle colonie ad opera dei Paesi conquistatori e i "classicidi" da parte dei regimi comunisti in Unione Sovietica, in Cambogia e nella Repubblica Popolare Cinese. Mann sostiene che la pulizia etnica sia uno dei problemi centrali della nostra societa', un lato oscuro che necessita di essere spiegato razionalmente. E' sbagliato, ad esempio, pensare che tali crimini siano esclusivamente comandati ed eseguiti da individui psicologicamente disturbati. In realta', la maggior parte delle persone che si macchiano di tali violenze non sono altro che persone comuni, non cosi' diverse da noi: una tesi certamente non nuova, ma approfondita in modo originale da Mann.
A Piromalli va riconosciuto il merito di aver saputo ricostruire efficacemente il pensiero di Mann, grazie anche ad un costante riferimento agli episodi cruciali della sua vita come ricercatore e, in seguito, come docente.
In conclusione, vale la pena sottolineare come la particolarita' dell'approccio di Mann risieda soprattutto nella metodologia: Mann conduce un'analisi storica integrandola costantemente con riferimenti desunti dalla sociologia e da altre discipline, quali l'antropologia, l'economia e la filosofia politica Si tratta, dunque, di un melange di notevole importanza tra varie discipline strettamente correlate fra loro.
 
14. LIBRI. GIOVANNI MINOZZI PRESENTA "AN EPISTEMOLOGY OF NOISE" Di CECILE MALASPINA
[Dal sito http://universa.padovauniversitypress.it riprendiamo la seguente recensione apparsa su "Universa", vol. 8, n. 1 (2019)]
 
Cecile Malaspina, An Epistemology of Noise, preface by Ray Brassier, Bloomsbury, London-Oxford-New York-New Dehli-Sidney 2018, pp. 234.
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Che cosa significa condurre un'indagine di stampo epistemologico attorno al concetto di rumore? Perche' tale concetto si rivela centrale ai fini di un ripensamento della teoria della conoscenza? E in che modo l'epistemologia finisce per incrociare degli aspetti eminentemente politici? Il libro di Cecile Malaspina tenta di fornire una risposta a tali quesiti per mezzo di una trattazione che coniuga all'ampiezza dei temi affrontati il carattere serrato dell'argomentazione. L'autrice prende le mosse dall'estrema ambiguita' che connota il concetto di rumore: esso e' infatti concepibile sia come fenomeno acustico, connesso alla distribuzione irregolare delle onde sonore, sia soprattutto come fenomeno statistico che acquisisce una rilevanza cruciale all'interno della teoria dell'informazione. E' il caso del rumore (o "disturbo") in un canale di comunicazione, problema attorno a cui ruota il lavoro seminale di Claude E. Shannon e Warren Weaver, Mathematical Theory of Communication (1949), nonche' della teoria della "complessita' dal rumore" elaborata da Henri Atlan. Tale ambiguita' si estende pero' a una serie di campi ulteriori, che vanno dalla cibernetica alla finanza, dalla musica alle politiche di abbattimento acustico, dalla biologia fino a giungere alla psichiatria. A partire da questa constatazione, lo scopo dell’'indagine epistemologica di Malaspina non e' tanto di produrre una chiarificazione concettuale del problema del rumore, riportandone la definizione all'interno di una precisa cornice scientifica, bensi' di farsi carico di questa ambiguita', mostrando in che modo essa sia il sintomo di una difficolta' intrinseca a questo stesso concetto; una difficolta' capace di spingere a un ripensamento della stessa pratica filosofica. Se la diffusione del rumore si inserisce in un "palinsesto di concetti, nozioni e idee" in cui esso occupa "sempre il posto negativo di una dicotomia" (p. 3) – venendo intuitivamente associato a forme di disordine, di interferenza e disturbo che e' necessario arginare o abbattere – la riflessione filosofica ha il compito di educare a un "uso critico delle metafore nel discorso pubblico nella e sulla scienza e la tecnologia" (p.8), svelando "le connotazioni morali e forse perfino ideologiche delle nozioni di 'organizzazione', 'lavoro' e 'ordine'" (p. 6) che ne rappresentano il rovescio.
La riflessione operata dalla teoria dell’'informazione mostra infatti come rumore e informazione siano in realta' strettamente intrecciati: la definizione quantitativa di informazione proposta da Shannon viene concepita in termini di "entropia informazionale", evidenziando il legame di proporzionalita' diretta tra la quantita' di informazione e il numero di variabili fra cui essa e' selezionata. Tale definizione, sviluppata sulla falsariga del concetto di entropia elaborato dalla termodinamica (Clausius, Carnot) e, successivamente, dalla meccanica statistica (Boltzmann), viene pero' svincolata da ogni riferimento a grandezze fisiche. Cio' consente, secondo Malaspina, di estendere il modello di Shannon a una serie crescente di campi epistemici e porre il problema del rumore non in termini ontologici, bensi' primariamente epistemologici. Il rumore, in quanto contingenza, aleatorieta', possibilita' di errore, "inconcepibile liberta' di scelta" (p. 198), lungi dal rappresentare un impedimento all'acquisizione di nuove conoscenze, diventa condizione di possibilita' della conoscenza stessa – si configura cioe', riprendendo una categoria introdotta dall'epistemologo francese Gaston Bachelard, come un ostacolo epistemologico (cfr. Bachelard 1995). Occorre percio' spostare gradualmente l'attenzione dal rumore inteso come "oggetto del pensiero" al rumore come "variabile all'interno del processo del pensiero" (p. 168), fino a identificare una forma di "rumore epistemologico" dotato di un "ruolo costitutivo [...] nella formazione della conoscenza" (p. 9), riscontrabile in quella "irrequietezza" (restlessness) concettuale che spinge alla continua contaminazione tra campi epistemici. L'autrice mostra percio' di collocarsi in quella tradizione dell'epistemologia storica di area francese, che ha "aperto la filosofia a una comprensione dell'incertezza come costitutiva della questione della fondazione della verita'" (p. 88).
Tuttavia, l'autrice e' consapevole di quanto questa tesi, e le conseguenze radicali che ne derivano, appaia controintuitiva. Si rende quindi necessaria un'analisi delle motivazioni che sottendono questo carattere paradossale (nel senso etimologico di un'opposizione all'opinione comune) del rumore. Innanzitutto, l'ambito in apparenza strettamente tecnico e applicativo all'interno del quale Shannon ha formulato la sua teoria – frutto del suo lavoro sulle radiotrasmissioni e la crittografia presso i Bell Laboratories – ha contribuito a minimizzare la portata propriamente filosofica delle sue scoperte. Richiamandosi al pensiero di Gilbert Simondon, Malaspina mostra come questo atteggiamento si regga su un'insostenibile dicotomia di tecnica e cultura, un'incapacita' di comprendere quanto v'e' di culturale nella tecnica e, reciprocamente, quanto v'e' di tecnico nella cultura. Ma soprattutto, ed e' questa una delle tesi piu' forti del libro, il carattere paradossale dell'allineamento di entropia e informazione operato da Shannon e' stato oscurato dal prevalere di un modello cibernetico, che associa invece il concetto di informazione con quello di negentropia, ossia con il grado di organizzazione di un sistema, intesa come capacita' di negazione dell'entropia e del rumore. L'affermarsi di questa concezione e' riconducibile, in primo luogo, all'introduzione, negli anni Quaranta del '900, dei concetti di "entropia negativa" e di "negentropia" da parte di Erwin Schroedinger e Leon Brillouin al fine di rendere conto del modo in cui i processi biologici si oppongono al carattere dissipativo dei fenomeni fisici. In secondo luogo, all'ampio utilizzo che la cibernetica, segnatamente nella figura di Norbert Wiener, ha fatto della nozione di negentropia per insistere sul nesso tra il grado d'informazione e la prevedibilita' del comportamento di un sistema – in un progressivo approssimarsi di organizzazione e controllo che, come vedremo, non manca di avere importanti conseguenze politiche. Da ultimo, l'utilizzo di queste nozioni tende a rinforzare un'immagine intuitiva che da' luogo a un'opposizione "manichea" (p. 26) tra informazione e ordine, da una parte, e rumore e disordine, caos e imprevedibilita', dall'altra.
A parere dell'autrice, si rende quindi necessario un procedimento propriamente dialettico: come infatti nota Ray Brassier nella sua prefazione, "la contraddittorieta' del rumore in quanto concetto e' la chiave della sua realta' in quanto fenomeno" (p. x). Insistendo sulla ricchezza della definizione di "entropia informazionale" avanzata da Shannon e prendendo in esame i cortocircuiti epistemologici innescati dalla trasduzione del concetto di rumore all'interno di campi epistemici via via piu' complessi, Malaspina mostra come informazione e rumore diventino a tal punto interpenetrati nel processo di conoscenza che si puo' parlare di una "torsione dialettica di ordine e disordine" (p. 113). L'acquisizione di nuove conoscenze, cosi' come l'emergere di nuove forme (biologiche, sociali, artistiche) non puo' cosi' ridursi a una negazione della contingenza del rumore; si tratta piuttosto di una negazione della negazione di tale contingenza, ossia di una disponibilita' a infrangere e ricomporre le forme, provvisorie e instabili, di ordine riscontrabili all'interno dei processi presi in considerazione.
La trattazione si snoda lungo tre sezioni. Nella prima vengono passati in rassegna i concetti principali alla base della teoria dell'informazione, con particolare attenzione al rapporto tra entropia e incertezza: il paradigma elaborato da Shannon, infatti, traccia la "linea di divisione" tra informazione e rumore "all'interno dell'entropia", distinguendo tra entropia informazionale ed entropia del disturbo (noise entropy) e qualificando la prima come incertezza desiderabile e la seconda come incertezza "spuria" o indesiderabile (pp. 15-21). Tuttavia, se trasponiamo questa distinzione al di fuori dell'ambito ristretto della comunicazione, dove il discrimine tra informazione e rumore e' sempre deciso a priori dalla scelta di un determinato messaggio, essa diventa un problema aperto: ricorrendo al pensiero di Simondon, l'autrice mostra come l'informazione non possa essere identificata come un dato o un puro fatto, ma vada sempre compresa all'interno di un processo di differenziazione in cui e' necessario rimettere in questione la "frontiera mobile" tra informazione e rumore. Quest'ultimo puo' dunque essere concepito, sullo sfondo della necessaria ridondanza che accompagna ogni processo informativo, come "conoscenza possibile" e diventare misura di una "dotta ignoranza" intesa come "conoscenza che otteniamo dalla specificazione matematica della nostra incertezza" (pp.74-75).
Nella seconda sezione, l'autrice prende in considerazione numerosi esempi di "rumore empirico", tracciando con precisione la traiettoria del concetto di rumore all'interno di una serie di campi disparati: nell'arte, dove Duchamp con i suoi ready-made rimette in questione la distinzione tra oggetto artistico e quotidiano; in astrofisica, dove la scoperta della radiazione cosmica di fondo apre la porta a una comprensione piu' profonda dell'origine dell'universo; per arrivare poi al valore politico del rumore, che Malaspina fa emergere attraverso una breve ma efficace genealogia della statistica (nata come scienza di governo), della finanza e del problema dell'inquinamento acustico. La politicita' della questione del rumore s'impone con evidenza allorche' si considera la sua nocivita', sia nella sua dimensione invalidante per gli operai nelle fabbriche, sia nei termini di un problema di decoro che sorge proprio per limitare l'ascolto incontrollato di musica nei quartieri popolari delle citta' industrializzate. L'autrice porta altresi' alla luce una dimensione "bio-politica del rumore" (p. 168), analizzando il modo in cui esso puo' essere impiegato come mezzo di controllo sociale, o addirittura come arma e strumento di tortura, e confermando il ruolo centrale che riveste nel condizionare il rapporto tra uomo e ambiente.
Questa riflessione sfocia nell'ultima sezione del libro, dove viene affrontata la dimensione specificamente cognitiva del rumore. Esaminando il tentativo degli psichiatri S. Sands e J. Ratey di inquadrare il fenomeno psicotico come un "mental state of noise", Malaspina mostra i limiti derivanti dall'adozione inconsapevole di un modello cibernetico, basato su un approccio al cervello in termini di circuito, improntato all'omeostasi dell'organismo e orientato alla somministrazione di farmaci che generino effetti di feedback negativo. Il confronto con i lavori di Kurt Goldstein e Georges Canguilhem permette invece di apprezzare come il tratto specifico della salute umana risieda in quella che, con Simondon, puo' essere detta la sua metastabilita', vale a dire la sua capacita' di far fronte ad un'alterazione del suo equilibrio attraverso una ri-organizzazione del suo milieu. Questo potere di revisione delle norme vitali e sociali, che Canguilhem definisce normativita' (cfr. Canguilhem 1998), e' esattamente cio' che viene oscurato, secondo la diagnosi di Malaspina, nel momento in cui il problema del rumore viene inquadrato, seguendo un asse esclusivamente “negentropico", nei termini del rapporto tra contingenza e controllo. Sebbene in maniera forse eccessivamente rapida, vediamo quindi affiorare, nelle ultime pagine del testo, il tema platonico del governo, di quel kybernein da cui la cibernetica prende il suo nome. Cio' che infatti e' in gioco, nell'Alcibiade, come precondizione per il buon governo, non e' altro che la conoscenza della propria ignoranza, dell'incertezza, di quel rumore che precede ogni atto di posizione di una nuova norma.
Rileviamo tuttavia come il confronto con la cibernetica rappresenti uno degli snodi argomentativi che, in ragione della sua importanza, meriterebbe un'ulteriore discussione: se infatti l'autrice e' consapevole di operare un'eccessiva semplificazione delle tesi di Wiener, manca nel testo una tematizzazione piu' attenta del rapporto tra il paradigma cibernetico e la razionalita' economica neoliberale – una mancanza che, al di la' della valenza metaforica del tema del controllo, rischia di perdere di vista la sua politicita' intrinseca e la concretezza dei suoi effetti.
Nonostante la scelta dell'autrice di affrontare un cosi' ampio ventaglio di temi possa talvolta lasciare il lettore disorientato, o desideroso di maggiore approfondimento, An Epistemology of Noise riesce a nostro avviso a praticare una forma feconda di interdisciplinarieta', fedele alla massima di Canguilhem secondo cui "il filosofo e' indiscreto dappertutto" (Canguilhem 2004, p. 43). Malaspina mostra allora come sia possibile coniugare epistemologia e filosofia politica in una forma di storia concettuale capace di interrogare le convergenze, le risonanze e le fratture tra concettualita' scientifica e politica.
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Bibliografia
Gaston Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, a cura di E. C. Gattinara, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.
Georges Canguilhem, Il normale e il patologico, tr. it. di D. Buzzolan, Einaudi, Torino 1998.
Georges Canguilhem, Il cervello e il pensiero, in Id., Scritti filosofici, a cura di A. Cavazzini, Mimesis, Milano-Udine 2004.
 
15. LIBRI. LUISA MURARO: NELLA VALLE OSCURA. PER QUANTO ANCORA?
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo del 2 dicembre 2020]
 
Sull'inserto del "manifesto" "Alias" del 14 novembre ho letto una interessante recensione di Anna Wiener, La valle oscura (Adelphi 2020), firmata da Massimo De Carolis. La valle del titolo e' la Silicon Valley, il dipartimento industriale della California famoso per ospitare centinaia di imprese di tecnologia informatica; il tech, lo chiama l'autrice nel racconto autobiografico dei quattro-cinque anni di lavoro in questo tipo di aziende. Anzi, cosi' lo chiama la traduttrice, Milena Zemira Ciccimarra; io avrei tradotto con la tech, al femminile. Ma poco importa, la lettura del libro e' appassionante, oltre che istruttiva, merito anche di Zemira. Alla quale vorrei ricordare soltanto che il femminile di presidente e' presidente.
Il titolo, che traduce esattamente quello originale: Uncanny Valley, fa pensare agli inizi del viaggio di Dante che si e' perso in una valle oscura... Quella di Dante e' una selva, ma lui stesso, pochi versi dopo, la chiama valle: "la' dove terminava questa valle che m'avea di paura il cor compunto". Paura, guarda caso, e' una parola che troviamo anche nella recensione di "Alias". Per caso? C'e' chi dice che il caso non esiste.
Il racconto dei quattro-cinque anni passati a lavorare nel tech scorre come una lunga rassegna di fatti e pensieri occasionali, incontri e dialoghi, descrizioni e riflessioni. Procede per accumulazione veicolando segretamente una crescente insofferenza. Alla fine l'insoddisfazione si esplicitera' in una presa di coscienza dell'autrice-protagonista, che riguarda tanto il mondo del tech quanto lei stessa in quel mondo e il suo modo di lavorare. Ma non e' piu' una generica diffidenza o avversione come quella descritta all'inizio che era snobismo newyorchese piu' che consapevolezza.
Torno alla recensione la quale ha come titolo (titolo d'autore, presumo) Miraggi di benessere pilotati verso l'obbedienza: per quanto? Per capire il titolo bisogna sapere che a un certo punto Massimo De Carolis fa un accostamento sorprendente: accosta a La valle oscura un libro intitolato Operaie e dedicato alle operaie di un’immensa fabbrica cinese. Ebbene, mi pare che il titolo della recensione sia sbilanciato verso quest’ultimo libro e che, applicato a quello di Anna Wiener, ne trascuri qualcosa di essenziale, qualcosa che ha a che fare con la presa di coscienza di cui abbiamo parlato.
La presa di coscienza porta la protagonista ad abbandonare un malriposto sentimento di empatia con l'altro sesso, a rendersi invece consapevole di una differenza maschile e a intuire che quest'ultima riguarda il rapporto di agio/disagio nel mondo avanzante del tech.
L'accostamento tra i due libri resta nondimeno sensato, anzi qui si potrebbe vedere la sua ragione piu' profonda: donna e' colei che fa e racconta il viaggio nella valle oscura, donne sono le ragazze che lasciano le campagne cinesi per lavorare nell'immensa fabbrica e donna e' la studiosa che raccoglie le loro confidenze, Leslie T. Chang. E' un caso? No, appunto. Si tratta in entrambi i casi di lavoro postmoderno, spiega l'autore della recensione. Si', ma secondo me quello che risalta di piu' e' la presenza femminile che cambia il modo d'intendere il lavoro e il suo rapporto con la vita. Costatazione, timore o previsione che sia, questo pensiero, dopo che ha preso forma, viene scartato: "Beninteso non si tratta...". Non si tratta cioe' di quello che ha in mente lui in vista di cambiare il mondo.
Io credo di sapere il perche' di questo scarto: perche' approfondire quel pensiero di un soggetto che non vede le cose come le vede lui, gli chiederebbe di decentrarsi per prendere coscienza della sua differenza, la differenza maschile.
Qui, infatti, nella presa di coscienza della vuota eccitazione di lavorare in una startup di successo, quello che alla lunga risalta agli occhi di una donna come la protagonista di La valle oscura sembra essere il rapporto degli uomini con il potere e il primato. Rapporto che in effetti li tiene straordinariamente occupati, ma che non e' e non puo' diventare il rapporto di lei: "non riuscivo a immaginare di tornare a essere cosi' compiacente, cosi' totalmente assorbita". Con queste parole lei si congeda dalla carriera. Lui, neanche si accorge di seguire, compiacente e assorbito, la logica del potere e vagheggia di cambiare il mondo (o di conservarlo, dipende) restando in ogni caso centrato su di se'. Per quanto ancora?
 
16. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
17. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- AA. VV., I 72 giorni della Comune. Parigi 1871, Left, Roma 2021, pp. 120, euro 6,50.
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Riedizioni
- Vittorino Andreoli, Una certa eta'. Per una nuova idea della vecchiaia, Rcs, Milano 2020, 2021, pp. 208, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
 
18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
19. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4077 del 17 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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