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[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 49
- Subject: [Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 49
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Mon, 12 Apr 2021 07:11:03 +0200
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 49 del 12 aprile 2021
In questo numero:
Nell'anniversario della scomparsa di Primo Levi
MAESTRI. NELL'ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI PRIMO LEVI
Ricorre oggi, 11 aprile, l'anniversario della scomparsa di Primo Levi nel 1987.
Lo ricordiamo ancora una volta maestro di verita', testimone della dignita' umana, strenuo lottatore contro tutte le menzogne e le oppressioni, esempio dell'umanita' come dovrebbe essere.
E ancora una volta riaffermiamo questo profondo convincimento, formuliamo questo persuaso appello:
- che nel ricordo e alla scuola di Primo Levi si soccorra, si accolga, si assista ogni persona bisognosa di aiuto;
- che nel ricordo e alla scuola di Primo Levi prosegua la lotta contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni;
- che nel ricordo e alla scuola di Primo Levi ci si impegni per il bene comune dell'umanita' intera;
- che nel ricordo e alla scuola di Primo Levi ci si adoperi per salvare tutte le vite;
- che nel ricordo e alla scuola di Primo Levi l'umanita' si riconosca umana.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi unitevi nella comune lotta nonviolenta per la liberazione dell'umanita' intera e per la difesa dell'intero mondo vivente.
Giustizia e liberta', solidarieta' e responsabilita', condividere il bene ed i beni.
Solo facendo il bene si puo' sconfiggere il male.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 11 aprile 2021
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Indice degli allegati:
- Allegato primo: una minima notizia su Primo Levi - e un sito internet di fondamentale importanza
- Allegato secondo: alcuni testi di Primo Levi
- Allegato terzo: Una minima bibliografia essenziale
- Allegato quarto: Due ricordi
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Allegato primo: una minima notizia su Primo Levi - e un sito internet di fondamentale importanza
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'.
Per ogni approfondimento materiali utilissimi sono nel sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi (www.primolevi.it) cui rinviamo.
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Allegato secondo: alcuni testi di Primo Levi
Primo Levi: Shema'
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre Se questo e' un uomo), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 525]
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo e' un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si' o per un no.
Considerate se questa e' una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza piu' forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo e' stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
10 gennaio 1946
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Primo Levi: Alzarsi
[Da Primo Levi, Ad ora incerta (ma e' anche l'epigrafe che apre La tregua), ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 526]
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finche' suonava breve sommesso
Il comando dell'alba:
"Wstawac":
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre e' sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
E' tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
"Wstawac".
11 gennaio 1946
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Primo Levi: Si immagini ora un uomo...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 21]
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sara' un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignita' e discernimento, poiche' accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potra' a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinita' umana; nel caso piu' fortunato, in base ad un puro giudizio di utilita'. Si comprendera' allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento"...
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Primo Levi: Che appunto perche'...
[Da Primo Levi, Se questo e' un uomo, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 35]
Che appunto perche' il Lager e' una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si puo' sopravvivere, e percio' si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere e' importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l'impalcatura, la forma della civilta'. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facolta' ci e' rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perche' e' l'ultima: la facolta' di negare il nostro consenso.
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Primo Levi: Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 205-206]
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla (...).
Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi (...).
Non salutavano, non sorridevano, apparivano oppressi, oltre che da pieta', da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.
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Primo Levi: Hurbinek
[Da Primo Levi, La tregua, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 216]
Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senzanome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie parole.
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Primo Levi: Approdo
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 542]
Felice l'uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro se' mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati;
E siede e beve all'osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l'uomo come una fiamma spenta,
Felice l'uomo come sabbia d'estuario,
Che ha deposto il carico e si e' tersa la fronte
E riposa al margine del cammino.
Non teme ne' spera ne' aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.
10 settembre 1964
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Primo Levi: La bambina di Pompei
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 549]
Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero.
Invano, perche' l'aria volta in veleno
E' filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si e' pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull'altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978
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Primo Levi: Non ci sono demoni...
[Da Primo Levi, La ricerca delle radici, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 1519]
Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano. Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell'ossequio e del consenso, che e' senza ritorno.
*
Primo Levi: Partigia
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 561]
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l'assedio dei tedeschi
La' dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell'Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c'e' congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sara' duro,
Ci sara' duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l'uno dell'altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
Perche' nell'alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno e' nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non e' mai finita.
23 luglio 1981
*
Primo Levi: Il superstite
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 576]
a B. V.
Since then, at an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c'e'.
"Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno e' morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non e' mia colpa se vivo e respiro
E mangio e bevo e dormo e vesto panni".
4 febbraio 1984
*
Primo Levi: Contro il dolore
[Da Primo Levi, L'altrui mestiere, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 675]
E' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa "sostanza" che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga anche a partire da presupposti radicalmente diversi.
*
Primo Levi: Canto dei morti invano
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 615]
Sedete e contrattate
A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purche' trattiate e contrattiate
Le vite dei vostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L'esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d'Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl'innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perche' siamo i vinti.
Invulnerabili perche' gia' spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finche' la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.
14 gennaio 1985
*
Primo Levi: Agli amici
[Da Primo Levi, Ad ora incerta, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 623]
Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purche' fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.
Dico per voi, compagni d'un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L'anima, l'animo, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo
Prima che s'indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l'impronta
Dell'amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.
Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l'augurio sommesso
Che l'autunno sia lungo e mite.
16 dicembre 1985
*
Primo Levi: La vergogna del mondo
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1157-1158]
E c'e' un'altra vergogna piu' vasta, la vergogna del mondo. E' stato detto memorabilmente da John Donne, e citato innumerevoli volte, a proposito e non, che "nessun uomo e' un'isola", e che ogni campana di morte suona per ognuno. Eppure c'e' chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, cosi' da non vederla e non sentirsene toccato: cosi' hanno fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani, nell'illusione che il non vedere fosse un non sapere, e che il non sapere li alleviasse dalla loro quota di complicita' o di connivenza. Ma a noi lo schermo dell'ignoranza voluta, il "partial shelter" di T. S. Eliot, e' stato negato: non abbiamo potuto non vedere. Il mare di dolore, passato e presente, ci circondava, ed il suo livello e' salito di anno in anno fino quasi a sommergerci. Era inutile chiudere gli occhi o volgergli le spalle, perche' era tutto intorno, in ogni direzione fino all'orizzonte. Non ci era possibile, ne' abbiamo voluto, essere isole; i giusti fra noi, non piu' ne' meno numerosi che in qualsiasi altro gruppo umano, hanno provato rimorso, vergogna, dolore insomma, per la colpa che altri e non loro avevano commessa, ed in cui si sono sentiti coinvolti, perche' sentivano che quanto era avvenuto intorno a loro, ed in loro presenza, e in loro, era irrevocabile. Non avrebbe potuto essere lavato mai piu'; avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore e' la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare.
*
Primo Levi: Il nocciolo di quanto abbiamo da dire
[Da Primo Levi, I sommersi e i salvati, ora in Idem, Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 1149-1150]
L'esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti e' estranea alle nuove generazioni dell'Occidente, e sempre piu' estranea si va facendo a mano a mano che passano gli anni (...).
Per noi, parlare con i giovani e' sempre piu' difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perche' inaspettato, non previsto da nessuno. E' avvenuto contro ogni previsione; e' avvenuto in Europa; incredibilmente, e' avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler e' stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. E' avvenuto, quindi puo' accadere di nuovo: questo e' il nocciolo di quanto abbiamo da dire.
*
Primo Levi: Al visitatore
[Da Primo Levi, testo pubblicato per l'inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, ora in Opere, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pp. 1335-1336]
La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo, non puo' essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere del Lavoro nell'Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto. E' vecchia sapienza, e gia' cosi' aveva ammonito Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza e' un seme che non si estingue.
E' triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia e' nato in Italia. E' il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della "vittoria mutilata", ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estendera', il culto dell'uomo provvidenziale, l'entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all'arbitrio di un solo.
Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, e' nato in Italia, prima che altrove, l'antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall'invasore nazionalsocialista.
E testimoniano insieme a noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell'inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli.
Noi non siamo stati inconsapevoli. Alcuni fra noi erano partigiani; combattenti politici; sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich crollava, straziati dal pensiero della liberazione cosi' vicina.
La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le citta' italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell'Italia fascista, costretta all'antisemitismo dalle leggi di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalita' del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C'erano bambini fra noi, molti, e c'erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merci sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, e' stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli piu' oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che e' stato civile, e che civile e' ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si e' toccato il fondo delle barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, ne' domani ne' mai.
* * *
Allegato terzo: Una minima bibliografia essenziale
a) L'attuale edizione di riferimento delle opere di Primo Levi
- Primo Levi, Opere complete, Einaudi, Torino 2016, 2017, voll. I-II, pp. LXXXVIII + 1536 (vol. I) + pp. XVI + 1856 (vol. II), euro 160.
- Primo Levi, Opere complete, Einaudi, Torino 2018, vol. III, pp. XXXVI + 1346, euro 85.
A cura di Marco Belpoliti, questa nuova edizione fa seguito - arricchendola considerevolmente - a quella del 1997 (Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino 1997, 2 voll. per pp. CXXVI + 1474 - vol. I - e pp. XVI + 1606 - vol. II -), ed alla raccolta di conversazioni ed interviste - arricchendo anch'essa - gia' apparsa nel 1997 (Primo Levi, Conversazioni e interviste 1963-1987, Einaudi, Torino 1997, pp. XXIV + 326), sempre per le cure di Belpoliti (di cui cfr. anche almeno l'ampia monografia: Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Guanda, Milano 2015, 2016, pp. 736).
I voll. I-II contengono tutte le opere di Primo Levi, con una introduzione di Daniele Del Giudice e una cronologia curata da Ernesto Ferrero; il vol. III contiene "Conversazioni, interviste, dichiarazioni" di Levi e in appendice alcuni testi di Ernesto Ferrero, Ferdinando Camon, Daniela Amsellem, Federico Cereja e Giovanni Tesio. Chiudono il volume la pregevole bibliografia a cura di Domenico Scarpa e gli accuratissimi indici a cura di Daniela Muraca.
*
b) Alcuni libri su Primo Levi
- AA. VV., Lezioni Primo Levi, a cura di Fabio Levi e Domenico Scarpa, Mondadori, Milano 2019, pp. X + 636.
- AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991, pp. 256.
- AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994, pp. 240.
- Myriam Anissimov, Primo Levi o la tragedia di un ottimista, Baldini & Castoldi, Milano 1999, pp. 784.
- Gian Luigi Beccaria, I "mestieri" di Primo Levi, Sellerio, Palermo 2020, pp. 144.
- Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. X + 214.
- Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Guanda, Milano 2015, 2016, pp. 736.
- Anna Bravo, Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014, pp. VI + 216.
- Françoise Carasso, Primo Levi. La scelta della chiarezza, Einaudi, Torino 2009, pp. VIII + 200.
- Gino Cervi con la collaborazione di Piero Leodi, Primo Levi, Centauria, Milano 2017, pp. 160.
- Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992, pp. 216.
- Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997, pp. XXVI + 416.
- Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007, pp. VI + 144.
- Massimo Giuliani, Per un'etica della resistenza. Rileggere Primo Levi, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 110.
- Robert S. C. Gordon, Primo Levi: le virtu' dell'uomo normale, Carocci, Roma 2003, 2004, pp. 316.
- Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 152.
- Fabio Magro (a cura di), Primo Levi, Rcs, Milano 2018, pp. 154.
- Enrico Mattioda, Levi, Salerno, Roma 2011, Rcs, Milano 2016, pp. 240.
- Pier Vincenzo Mengaldo, Per Primo Levi, Einaudi, Torino 2019, pp. XII + 162.
- Fabio Moliterni, Roberto Ciccarelli, Alessandro Lattanzio, Primo Levi, Liguori, Napoli 2000, pp. VIII + 154.
- Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi: una memoria ebraica del Novecento, Giuntina, Firenze 2002, pp. 232.
- Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992, pp. 366.
- Mario Porro, Primo Levi, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 192.
- Ian Thomson, Primo Levi. Una vita, Utet, Torino 2017, pp. 816 (+ 16 pp. d'inserto fotografico).
- Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990, pp. 120.
- Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1973, 1976, pp. 190.
* * *
Allegato quarto: Due ricordi
1. Primo, ricordare (1987)
[L'articolo seguente apparve originariamente su "A. Rivista anarchica" dell'agosto-settembre 1987]
E' mia profonda convinzione che tanta parte dei nuovi movimenti di liberazione, e particolarmente alcune esperienze che si sono contraddistinte per consapevolezza e impegno (come il movimento di psichiatria democratica) debbano molto a Primo Levi, e che in un confronto serrato con la sua opera possano e debbano trovare motivo, occasione e strumenti di ulteriore approfondimento della propria riflessione, di ulteriore radicalizzazione della propria prassi.
Perche' Primo Levi e' il militante e il testimone, il resistente, il disvelatore, l'uomo con cui tutti ci siamo identificati e nel profondo, e con dolore, e con orgoglio; il Primo Levi della deportazione e del lager, della memoria e della riflessione sul lager e la violenza che non finiscono; il Primo Levi di Se questo e' un uomo, La tregua, di alcuni racconti del Sistema periodico e di Lilit, di alcune poesie del magro e acuto canzoniere; il Primo Levi, infine, de I sommersi e i salvati. E' l'autore indimenticabile di opere ineludibili: sa poco del nostro tempo e della nostra condizione chi non le ha lette.
Ma vi sono anche altri aspetti dell'opera di Primo Levi di cui vogliamo parlare: del maestro cordiale, del pensatore rigoroso e onesto, dell'uomo "a cui molte cose vengono raccontate"; le varie sfaccettature, insomma, che contribuiscono a rendercene la pienezza, la dignita', la statura umana.
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Contro il dolore
La lotta contro il dolore, contro la violenza, e' uno dei punti focali dell'opera di Levi, e la sua visione del mondo ne e' la scaturigine al pari della sua vissuta esperienza.
Una visione del mondo laica, razionale e fraterna, materialistica; e' caratteristico di questa limpidezza di sguardo, un breve articolo, incluso ne L'altrui mestiere ed intitolato appunto "Contro il dolore", in cui Levi svolge alcune semplici e serene considerazioni in fraterna discussione con Enrico Chiavacci (teologo prestigioso ed uomo di pace, impegnato nei movimenti pacifisti e nonviolenti, autore di un libro come Teologia morale e vita economica, Cittadella, Assisi '86, che anch'io - materialista rigoroso - ho molto apprezzato) concludendo che "e' difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto puo' la tremenda mole di questa 'sostanza' che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed e' strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga a partire da presupposti radicalmente diversi".
La laica tolleranza di Levi, e la maturita' del suo materialismo, emergono nitidi nell'intera sua opera, come emerge una visione del mondo che ripudia le illusioni e le mistificazioni, che lotta contro il male e fonda questa lotta su presupposti saldissimi perche' veritieri, non alienati, senza maschere e senza utopismi, ma anche senza disperazioni di maniera, con serena consapevolezza e con strazio profondo - tanto costa la dignita' umana -; sono memorabili quelle parole de La tregua (riprese anche nell'ultimo grande libro) sulla vergogna "che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volonta' buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"; e ancora ne I sommersi e i salvati troviamo, ad esempio, che "e' compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa e' una guerra senza fine".
Contro il dolore, contro l'inganno, contro l'oppressione, lungo una linea di resistenza che si snoda da Lucrezio (il grande poeta-filosofo, poeta-scienziato, "considerato pericoloso - scrive Levi - perche' cercava un'interpretazione puramente razionale della natura, perche' voleva liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, perche' si ribellava contro ogni superstizione, e descriveva con lucida poesia l'amore terrestre") all'illuminismo radicale, a Leopardi, a Marx; una linea di resistenza che propone agli uomini anche la ricerca di un parco edonismo, la sobrieta' di Epicuro: nell'"antologia personale" La ricerca delle radici (da cui abbiamo citato il giudizio su Lucrezio) Levi esemplifica questa posizione riportando con caldo consentimento un passo di Bertrand Russell.
E ancora, a definire questa visione del mondo, la weltanschauung materialista di Levi, concorrono appieno i quattro filoni di ricerca, i quattro itinerari che egli delinea con le sue letture nello schema che apre La ricerca delle radici: la salvazione del riso, l'uomo soffre ingiustamente, statura dell'uomo, la salvazione del capire.
La dialettica del raccontare e' un elemento saliente della consapevolezza di scrittore di Primo Levi.
Perche' raccontare e' in primo luogo testimonianza e comunicazione: comunicazione, che significa riconoscimento di umanita', dignita' dell'io e del tu, ascoltarti ed essere ascoltato, riconoscerti ed essere riconosciuto, e cosi' - in questo atto, in questa relazione - riconoscermi; e' un capitolo fortissimo de I sommersi e i salvati quello intitolato "Comunicare", e appunto dedicato a questo nodo estremo dell'esperienza del lager ("abbiamo avuto modo di capire bene, allora, che del grande continente della liberta' la liberta' di comunicare e' una provincia importante"). Ma si veda anche quello stupendo racconto che e' "Decodificazione", nel libro Lilit. Comunicazione, ma anche testimonianza; testimoniare cio' che non deve essere dimenticato, cio' che deve essere capito, cio' che deve essere riscattato dalla morte ulteriore dell'oblio, del misconoscimento, del disconoscimento; raccontare per dire la verita', per combattere la morte: per salvare, per quanto e' possibile, l'esistenza di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine" (La tregua, capitolo secondo).
Vi e' quindi un raccontare come dovere in Levi, ma anche un raccontare come passione, e come impulso; e' quello che definisce muovendo dalla figura dell'Ancient Mariner di Coleridge (non casualmente in epigrafe a I sommersi e i salvati), e nella bellissima poesia dedottane, "Il superstite" (raccolta in Ad ora incerta, libro che gia' nel titolo riprende questo decisivo motivo) dal memorabile incipit: "Since then, at an uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gli brucia in petto il cuore". Raccontare anche per liberarsi del carico intollerabile d'angoscia, per sforzarsi di comunicare l'incomunicabile, cio' che fa gorgo nell'intimo, sapendo che al fondo il segreto orrore - l'orrido segreto -, l'enigma indicibile, resta insormontabile, eppure bisogna dire, bisogna che gli uomini sappiano; ed e' non solo missione civile ma anche disperata passione cio' che compulsa l'ultimo libro di Levi, e la sua intera opera (ed en passant vogliamo segnalare quell'incunabolo de I sommersi e i salvati che e' l'appendice del '76 all'edizione scolastica di Se questo e' un uomo).
Ma vi e' anche il piacere del raccontare: la vena fantastica e fantascientifica (sui generis), morale e umorale, di Levi, sgorga anche qui, nel gusto della fabulazione, nel piacere del conversare per cui si chiede agli amici "raccontami una storia" (e Levi lo fa esplicitamente ad esempio nel racconto "Argento" del Sistema periodico, ad esempio ne "L'anima e gli ingegneri" nella raccolta di Lilit; ed esemplare e' l'intero libro di duplice affabulazione orale La chiave a stella); vi e' nel raccontare un'amista', un rasserenamento, un dar forma umana - dar lingua - alla vita che sovente umana non e', che forma e armonia non ha; sintomatico di questo atteggiamento, tenero, ironico, e' ad esempio il capoverso in quarta di copertina dell'ultimo libro di racconti (Lilit), in cui presentando in breve le storie raccolte nel volume si conclude: "non ci sono, che io sappia, ne' messaggi ne' profezie fondamentali; se il lettore ce li trova, e' bonta' sua": e quel "bonta' sua" non e' forse proprio anche il cordiale invito al lettore a cooperare alla storia? A proseguire la conversazione? Raccontare e ascoltare e' un atto di amicizia, e' amicizia in atto.
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L'eredita' del lager
Noi siamo ad un tempo umani e non ancora umani, umani e gia' non piu' umani; cosi' ci lacera questo tempo di devastazioni. Di questa condizione degli uomini scissa, anfibia, Levi e' testimone e poeta grandissimo. Perche' in se' l'ha vissuta intensamente e per molteplici scomposizioni e crisi, infinite catene di contraddizioni e dialettiche; perche' tecnico e poeta, scienziato e scrittore, manipolatore di elementi chimici e di elementi linguistici, perche' testimone di una condizione di totale alterita' dall'umano, testimone del lager ("non uno degli eventi, ma l'evento mostruoso, forse irripetibile, della storia umana", parole di Bobbio che Levi cita nell'ultimo libro), perche' perseguitato.
Creatura ancipite in molti campi della sua attivita' e in molte situazioni della sua identita', e quindi testimone veritiero e profondo di situazioni scisse, nonche' felice - se il termine e' lecito - creatore di figure poetiche lacerate (si pensi ad esempio ai due racconti speculari di "Recuenco", in Vizio di forma), Levi ha elaborato anche efficaci, illuminanti metafore di questa condizione, riprendendo ad esempio la figura di Tiresia (ne La chiave a stella), o creando quel magnifico racconto che e' "Quaestio de Centauris" (in Storie naturali), o anche - a un livello gia' diverso, e ben addentro a una riflessione sulla letteratura che muove forse dal secondo Chisciotte - nel pur poco riuscito racconto "La ragazza del libro" (in Lilit).
Noi non siamo ancora nel regno della liberta', ed energie sempre piu' massicce ed alacri lavorano ad impedire che mai l'uomo possa realizzarsi, ne' si possa raggiungere la liberazione delle persone e dei popoli: l'eredita' del lager, Levi lo segnalava con forza incomparabile nell'ultimo e fondamentale libro, e' ancor oggi ben viva e operante. La testimonianza, la resistenza, la lotta sono l'eredita' che Primo Levi ci ha lasciato e che dobbiamo portare avanti. Non dobbiamo, non possiamo sottrarci a questo compito.
2. Primo Levi, undici anni dopo (1998)
[Il testo seguente e' quello della relazione del responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo al convegno su "Primo Levi, testimone della dignita' umana" tenutosi a Bolsena il 15-16 maggio 1998]
"Ma la guerra e' finita, obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto piu' universale di quanto si osi pensare oggi.
Guerra e' sempre, rispose memorabilmente Mordo Nahum".
(La tregua)
Undici anni sono trascorsi dalla scomparsa di Primo Levi.
Quando ci raggiunse la notizia della sua scomparsa, noi eravamo impegnati in una campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano, campagna alla quale Primo Levi aveva dato la sua adesione, la piu' autorevole fra tutte; ed in particolare eravamo impegnati nella preparazione di una manifestazione nazionale contro l'apartheid che poi si svolse il primo maggio a Viterbo con la partecipazione di illustri relatori, manifestazione alla quale avevamo chiesto a Primo Levi di intervenire.
Pochi giorni prima della sua scomparsa Primo Levi ci aveva comunicato telefonicamente che i suoi doveri familiari ed una non buona condizione di salute gli impedivano di spostarsi da Torino.
E' uno dei miei turbamenti, forse sciocchi, forse presuntuosi, da quando mi raggiunse la notizia della sua scomparsa, il rammarico di non avergli saputo dire in quell'ultima occasione quanto lui fosse importante per me e per noi, e quanta affezione - e lasciatemi dire la parola buffa: quanto amore, amore, si' - anch'io sentissi per lui, come tanti, come tutti quelli che nel corso del tempo lo avevano conosciuto uomo giusto, uomo buono.
Quel primo maggio aprimmo la manifestazione nazionale contro l'apartheid nel suo nome e nel suo ricordo, a farci scudo di lui ancora una volta, ad usare del suo nome e della sua opera ancora una volta come di una bandiera, di un grido di battaglia, di un giuramento di fedelta'.
E quasi ad adempiere un voto realizzammo il 25 luglio di quello stesso anno 1987 a Viterbo un convegno nazionale, il primo, intitolato a "Primo Levi, testimone della dignita' umana", convegno di cui, undici anni dopo, quello odierno che qui ci riunisce riprende il nome, il discorso, l'impegno.
A quel convegno presero parte tante persone a noi molto care, che vollero attestare il loro affetto per Primo Levi, lo sbigottito strazio per la sua morte, la fedelta' a quanto aveva insegnato.
Proprio in questi giorni riandando le stinte carte di undici anni fa constatavo tra quei nomi la presenza di alcune delle persone migliori che abbiamo avuto la fortuna di conoscere, e tra essi tanti che non sono piu' in vita.
Vorrei qui ricordare il professor Vittorio Emanuele Giuntella, che quel giorno a Viterbo ricordo' in Primo Levi non solo il testimone, lo studioso, il poeta, ma anche l'amico e il compagno. Il professor Vittorio Emanuele Giuntella, mio maestro di nonviolenza, scomparso anche lui qualche anno fa.
E vorrei ricordare padre Ernesto Balducci, che quel giorno a Viterbo lesse e interpreto' con tensione indicibile, con voce e movimento di profeta, una poesia di Primo Levi e quel gesto suo estremo, facendo rompere in singhiozzi e calde lacrime i presenti, come dicono accadesse agli ateniesi assistendo alla rappresentazione dei Persiani. Ed anche padre Balducci ci ha frattanto lasciato.
E' ancora tra noi invece Lello Perugia, compagno di Primo Levi ad Auschwitz e nel lungo ritorno, uno degli eroi omerici e primigeni de La tregua, che anche lui fu a Viterbo quel giorno, e che salutiamo augurandogli ogni bene ed una ancor lunga vita.
E per ricordare in un solo nome tutti gli altri che nel 1987 a quel convegno di omaggio a Primo Levi vollero associare la loro voce, diro' adesso di Rosanna Benzi, che di Primo Levi era stata teneramente amica, che dal polmone d'acciaio dell'ospedale di Genova in cui viveva volle dettarmi anche un suo contributo che tra le lacrime trascrissi. Anche Rosanna e' nel frattempo scomparsa. Anche di lei noi serbiamo memoria.
E dovrei dire di Giovanni Michelucci, dovrei dire di Alexander Langer, di Tullio Vinay, di Natalia Ginzburg, di Giuliano Naria, di Elio Filippo Accrocca, di tanti altri che vollero unirsi a quell'omaggio a Primo Levi, e che non sono piu' tra noi.
Oggi nuovamente tornando a ricordare Primo Levi, e con Primo Levi tutte le vittime del Lager e tutti coloro che lottarono e testimoniarono contro il fascismo e il genocidio, in questo ricordo vogliamo associare anche tutti coloro che Primo Levi amarono, che nel loro concreto agire vollero essere fedeli a quanto lui scrisse e opero', alla sua lotta per l'umana dignita'.
E non voglio dimenticare un affettuoso saluto e un vivo ringraziamento a Lucia Levi, che a nome della famiglia autorizzo' quel convegno del 1987 cosi' come questo che adesso si sta svolgendo.
E voglio dire altresi' la mia gratitudine per Giulio Vittorangeli che con tanta e tanto alacre tenacia ha voluto ed ha organizzato l'iniziativa che oggi ci riunisce qui a Bolsena.
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Su due argomenti vorrei ora richiamare la vostra attenzione.
Il primo consiste nel proporvi di leggere l'opera di Primo Levi anche come un classico del pensiero politico, di un pensiero politico all'altezza degli sconvolgimenti abissali e dei radicali interrogativi di questo secolo, in grado di indicarci criteri ed obiettivi per i nostri compiti nell'ora presente.
Il secondo consiste nel considerare ancora una volta alcune scaturigini ed implicazioni del raccontare, del pensiero poetante (oltre che indagatore, oltre che testimone) di Primo Levi, nelle sue molteplici dimensioni e valenze.
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Un classico del pensiero politico
Proponendo di leggere l'opera di Primo Levi non solo come un classico, cosa ormai ovvia per tutti gli studiosi, ma anche specificamente come un classico del pensiero politico, non mi nascondo di prestare il fianco al rischio di essere frainteso: quasi volessi piegarla, quell'opera grande, ad un uso improprio, o impoverirla a una sola delle sue dimensioni. Massime oggi che l'ideologia dominante percuote le menti con lo slogan ossessivo secondo cui la politica e' una cosa sporca e che tra persone dabbene non si fa politica (slogan che mi pare arieggi un punto di vista che era in gran voga nel ventennio, quando ogni pensiero era riprovevole, e la filosofia si faceva col manganello).
Io credo che l'opera di Primo Levi sia di straordinaria ricchezza, si presti a molte letture, apporti molteplici strumenti di conoscenza, e costituisca uno sguardo nel cuore degli uomini e del mondo di grande vivezza e penetrazione; e proprio per questo mi sono formato il convincimento della possibilita', della legittimita' di una lettura anche precisamente politica: che l'uso dell'opera di Primo Levi come chiave di lettura e guida per l'azione specificamente politica sia appunto un uso possibile e ammesso, e non un abuso; e che evidenziare questo ambito e questa interpretazione non solo non significhi sminuire, rendere "unidimensionale" quell'opera, ma precisamente evidenziare di essa un aspetto di grande fecondita'.
In particolare penso che cosi' come Se questo e' un uomo e' "un libro che reincontreremo al Giudizio Universale" (come ha scritto Claudio Magris) e costituisca una lettura obbligata per la conoscenza della storia di questo secolo, altresi' I sommersi e i salvati sia un'opera indispensabile per la formazione politica in senso forte (quindi morale e civile) di ogni persona che voglia lottare per la verita' e la giustizia.
In una ideale biblioteca minima del pensiero politico da salvare dal diluvio, credo che questi due libri di Primo Levi debbano esserci insieme a poco altro: La ginestra di Leopardi, l'Elogio della follia di Erasmo, Lucrezio, Qohelet, l'Antigone. Ma certo anche Cervantes, La vita e' sogno, Kafka...
E' l'opera di Levi un classico del pensiero politico, poiche' pone in termini da nessun altro indagati con tanta limpidezza e profondita', temi fondanti dell'essere e dell'agire, di etica e politica, come la verita', la memoria, la comunicazione, la responsabilita': con un nitore di linguaggio che quasi abbaglia, con una lucidita' di pensiero che toglie il fiato, con un rigore morale che non si placa giammai.
E' un'opera politica: ci pone di fronte al volto dell'altro, che ci interroga muto e chiama la nostra responsabilita' (qui penso, lo capite, alla capitale riflessione di Emmanuel Levinas); e' un'opera politica: pone al centro il "principio responsabilita'" (che cosi' efficacemente ha tematizzato Hans Jonas). E' quella di Primo Levi un'opera di riflessione politica di cui abbiamo assoluto bisogno per affrontare le questioni cruciali ed inaudite della torbida ora presente, dell'enigmatico e spaventoso futuro che ci si scaraventa addosso.
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La scrittura contro la morte
Primo Levi e' un grande scrittore, un grande narratore, un grande poeta. Il suo raccontare, la sua scrittura, assolve a funzioni molteplici, molti doni reca. Non e' mio compito oggi dar conto compiutamente di questo inesauribile tema, altri dira' piu' e meglio; io mi limito a proporvi un catalogo di argomenti su cui meditare: il racconto come terapia, come paradossale riduzione al dicibile, quindi all'umano, di cio' che e' inumano e quindi indicibile; il racconto come spazio dell'amicizia, come luogo dell'io e del tu, come reciproco riconoscersi nell'atto del dire e dell'ascoltare, riconoscersi eguali, fraterni; il racconto come sospensione ed insieme come reintegrazione del tempo (ergo il racconto come sconfitta di quel tempo vuoto e quell'ora apocalittica che fu il Lager); la scrittura come testimonianza, come comprensione, come memoria; la scrittura come compresenza dei vivi e dei morti (questo tema della compresenza lo desumiamo, e' ovvio, da Capitini); la scrittura come appello ed interrogazione, come affiorare del "volto dell'altro"; la lingua agita come legame e come ragionamento, come tradizione e progetto, come opera di chiarificazione e ricerca; la scrittura contro la morte (tema questo su cui lungamente medito' anche Elias Canetti).
Nell'opera di Primo Levi infiniti sono i luoghi in cui si riflette con luminosa profondita' sul parlare, il comunicare, il raccontare, lo scrivere; infinite sarebbero le citazioni possibili: ma una fra tutte, una per tutte qui diamo: quel passo de La tregua che evoca la figurina di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero", "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek mori' ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine".
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Undici anni fa Primo Levi ci ha lasciato.
Quando seppi che era scomparso, affiorò in me il ricordo di un episodio di Se questo e' un uomo, quello dell'impiccagione dell'Ultimo.
Narra Levi che il mese prima uno dei crematori di Birkenau era stato fatto saltare, e "l'uomo che morra' oggi davanti a noi ha preso parte in qualche modo alla rivolta". I nazisti lo traggono al patibolo; dinanzi ai deportati schierati, gli occhi a terra, rassegnati, l'uomo viene ucciso, ma trova ancora la forza di un grido: "tutti udirono il grido del morente - scrive Primo Levi -, esso penetro' le grosse antiche barriere di inerzia e di remissione, percosse il centro vivo dell'uomo in ciascuno di noi: 'Kameraden, ich bin der Letzte!' (Compagni, io sono l'ultimo!)".
Ma quell'ultimo non era l'ultimo in senso assoluto, perche' per fortuna nostra e del mondo altri continuarono la lotta, e il nazismo annientatore fu infine annientato; e proprio tra gli uomini muti a capo chino sul piazzale dell'appello dinanzi al patibolo anche uno ve n'era, lo Haeftling che recava tatuato sul braccio il numero 174517, che si era chiamato e che tornera' a chiamarsi Primo Levi, che sara' poi e per sempre finche' vi sara' una civilta' umana, finche' vi sara' una storia umana, il simbolo stesso della Resistenza contro l'inumano.
Ebbene, sia detto qui in tono solenne: Primo Levi certo conobbe e reco' dentro se' una sofferenza che neppure l'affetto grande dei familiari e degli amici poteva lenire; la sua benignita', la sua lucidita', il suo calore umano, la sua esattezza, finanche il suo humour, erano eretti su abissi di strazio indicibili. Ma Primo Levi non e' stato annichilito, non e' stato sconfitto. E il suo messaggio non e' restato inascoltato.
Dal Sud Africa al Chiapas altri uomini si sono levati; e se l'eredita' del nazismo appesta oggi ancora e di nuovo il mondo, contro di essa si erge l'eredita' di Primo Levi che chiama a resistere e a lottare; di questa eredita' di Primo Levi anche questo convegno - se le cose piccole e' lecito comparare alle grandi - e' un frutto e una testimonianza.
Vorrei concludere ora con le parole con le quali lo ricordai undici anni fa, all'indomani della scomparsa.
Nei momenti di smarrimento, di sfinimento, quando sembra che il male ingigantisca e prevalga, e le nostre forze inani, o schiantate, allora tutti noi ci siamo rifugiati tra le braccia di Primo Levi; dalla sua esistenza abbiamo tratto la coscienza e la forza di resistere, di lottare. Dinanzi al dolore del mondo, dinanzi all'eredita' malefica del nazismo, alla logica sterminista, ebbene, nella necessaria resistenza in lui abbiamo avuto una guida ed un sostegno; perche' per l'intera vita Primo Levi ha combattuto contro il male, contro la sopraffazione e la menzogna: ne restano testimonianza sconvolgente ed indimenticabile le sue opere.
Ora che non e' piu', vorremmo, e speriamo, che abbia conosciuto, a lenire l'immedicabile dolore del giusto, i sentimenti descritti nelle parole conclusive di quel memorabile dialogo leopardiano: "e anche in quell'ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrera' il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora".
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 49 del 12 aprile 2021
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