[Nonviolenza] Telegrammi. 4072



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4072 del 12 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Umberta Biasioli: Una lettera ai membri delle Commissioni Difesa della Camera e del Senato
2. E che volete che sia?
3. Alcuni estratti da Nicoletta Dentico, "Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo" (parte seconda e conclusiva)
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
 
1. LETTERE APERTE. UMBERTA BIASIOLI: UNA LETTERA AI MEMBRI DELL COMMISSIONI DIFESA DELLAQ CAMERA E DEL SENATO
[Dalla mailing list delle Donne in nero riprendiamo questa lettera aperta di Umberta Biasioli ai membri delle Commissioni Difesa della Camera e del Senato]
 
Gentile parlamentare,
come cittadina italiana, fedele alla Costituzione, sono profondamente indignata per il voto espresso all'unanimita' dalle commissioni difesa del senato e della camera che invitano il governo ad aumentare le spese militari, considerando l'industria bellica di grande importanza per la ripresa del paese. I fondi del PNRR vanno spesi per la salute, la scuola, il lavoro eticamente e costituzionalmente sostenibile, la cultura, la tutela del territorio, non per produrre ed esportare strumenti di morte, violando l'articolo 11 della Costituzione.
Allego le 12 proposte per il PNRR della Rete Italiana Pace e Disarmo che prevedono anche la riconversione civile dell'industria militare.
 
2. CRONACHE DI NUSMUNDIA. E CHE VOLETE CHE SIA?
 
E che volete che sia?
Un sequestrino di persona, cosi' alla buona, per qualche giorno soltanto, oltretutto erano pure affricani.
E non gli ha neanche mozzato un orecchio, un dito, niente...
 
3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA NICOLETTA DENTICO, "RICCHI E BUONI? LE TRAME OSCURE DEL FILANTROPOCAPITALISMO" (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal sito www.tecalibri.info]
 
Da pagina 127
Hanno capitali flessibili. Hanno entrature dirette al mondo delle imprese, da cui provengono. Sanno mobilitare le forze di mercato. Sanno tesserne di nuove, coinvolgendo il corporate profit nella gestione aziendale dello sviluppo globale. Grazie alla mediazione della filantropia e' possibile per le multinazionali creare "un mercato secondario dei comportamenti etici delle imprese" saldamente ancorato ai valori ideologici ed economici del capitalismo deregolato, ai modelli culturali della privatizzazione e della finanziarizzazione.
[...]
Come i re taumaturghi, i filantropi di ultima generazione sono riusciti a validare un'immagine di se' quasi miracolistica. Un mito di massa, la loro superiore capacita' di guarigione dovuta alla natura stessa dell'opulenza accumulata, che starebbe a dimostrare l'indiscussa destrezza nel puntare ai risultati e conseguirli. Altro che burocrazia e lenti processi di consultazione. Come nel caso dei sovrani del Medioevo raccontati da Bloch, la rappresentazione collettiva del successo dei filantropi globali attribuisce a questo fenomeno piena dignita' storica. I paperoni benefattori del nostro tempo leniscono i dolori muscolari del mondo contemporaneo, afflitto dalla disuguaglianza e dalla scarsa competenza di mercato. Restituiscono la salute a comunita' senza risorse e senza nome. La virtu' medicante del loro ottimismo sembra il rimedio piu' efficace per guarire la malattia della poverta'. Non scalfisce gli ingranaggi che la provocano e pertanto interviene solo su alcuni sintomi, distraendo efficacemente l'attenzione da aspirazioni troppo velleitarie di trasformazione della realta'.
Il potere di guarigione, si sa, ha un significato politico che non si discute.
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Da pagina 130
Il monopolio filantropico di Bill e Melinda Gates
Con Bill Gates entriamo in un capitolo a parte del filantrocapitalismo. Che la posizione di Gates nel panorama della filantropia moderna sia del tutto eccezionale rispetto agli altri player e' un dato assolutamente condiviso da chi conduce la ricerca in questo campo. Lo esprimono del resto i valori finanziari della sua azione filantropica. Lo dice la tentacolarita' di penetrazione che l'ex monopolista di Microsoft e' riuscito a orchestrare negli ultimi due decenni attraverso l'aggancio con altri attori della filantropia globale, in tutti gli ambiti della vita umana. Lo racconta la capacita' di influenza che alcune delle iniziative da lui volute e create, specialmente nel campo della salute e dell'agricoltura, esercitano su scala mondiale, una leva politica decisamente superiore a quella di molti governi.
[...]
La visibilita' del piu' affermato filantropo globale sulla vicenda del nuovo coronavirus e' fuori discussione. Gates e' stato uno dei primi a preconizzare, nel 2015, la minaccia di un nuovo virus che avrebbe messo sotto scacco il pianeta - il primo era stato David Quammen con il suo Spillover nel 2012. E' Gates, in termini assoluti, uno dei principali investitori nelle aziende biotech che ospitano la ricerca per il vaccino contro il covid-19; per sostenere la ricerca e sviluppo di nuovi rimedi contro il nuovo coronavirus ha donato 530 milioni all'Oms. Fa capo a lui la Global Alliance for Vaccine Immunisation (Gavi), la piu' importante iniziativa pubblico-privata globale per la produzione di vaccini nel mondo, e fa capo alla sua fondazione anche la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations. (Cepi), nata nel 2017, dopo l'epidemia di ebola, per accelerare la scoperta di vaccini in caso di epidemie. Nel caso di Bill Gates, possiamo comodamente parlare di un modello di turbo-filantrocapitalismo senza argini apparenti, a cui il covid-19 ha impresso un'ulteriore spinta.
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Da pagina 135
La fondazione riceve iniezioni di denaro da giganteschi profitti capitalizzati nel tempo. Bill Gates ha accumulato ricchezze mastodontiche come fondatore di Microsoft, nel cui consiglio di amministrazione e' stato attivo fino alla meta' di marzo 2020, quando e' stato dato l'annuncio del suo ritiro da Microsoft per dedicarsi completamente alla filantropia, in pieno covid-19. Nel 2012, un rapporto del Senato americano calcolava in quasi 21 miliardi di dollari la quantita' di denaro che Microsoft era riuscita a trafugare nei paradisi fiscali in un periodo di tre anni, grosso modo l'equivalente della meta' dell'incasso netto delle vendite al dettaglio negli Stati Uniti, con un guadagno fiscale di 4,5 miliardi di dollari annui sui beni venduti in America. Il danno erariale di Microsoft alla fiscalita' generale in quegli anni e' stato superiore a quanto la Fondazione Gates ha investito ogni anno in azioni di filantropia, peraltro con notevoli agevolazioni o esenzioni fiscali. E' importante rammentare questa circostanza: la Fondazione Bill & Melinda Gates riceve - come tutte le fondazioni - consistenti fondi pubblici per le sue attivita' private, senza peraltro che il pubblico che li cofinanzia abbia la minima voce in capitolo su scelte e priorita' di intervento.
[...]
La Fondazione Gates opera attraverso quattro programmi: 1) sviluppo globale; 2) salute globale; 3) politica e advocacy globale; 4) programma negli Stati Uniti. Non esiste ormai ambito dello sviluppo in cui non agisca con un ruolo da superpotenza, senza il cui sostegno e' impensabile agire, nulla si muove. Questa soggezione non vale piu' solo per la costellazione di organizzazioni che da essa dipendono per i fondi, ma per un numero crescente di governi, non solo tra i paesi a medio e basso reddito. Da 25 anni, la Fondazione Gates occupa una posizione di incontrastata egemonia, con 1541 dipendenti (nel 2017) tra la sede principale di Seattle e i sette uffici sparsi nel mondo (Washington, Londra, New Delhi, Pechino, Addis Abeba, Johannesburg e Abuja), e una dotazione di 50,7 miliardi di dollari (al 31 dicembre 2017). Il patrimonio include le donazioni di Bill Gates, circa 35,8 miliardi di dollari in azioni Microsoft (al dicembre 2019), e la megadonazione di 30,7 miliardi di dollari che fu annunciata alla fine di giugno del 2006 da Warren Buffett, proprietario della holding Berkshire Hathaway. L'83% del patrimonio del secondo uomo piu' ricco del mondo (Buffett) fu destinato alle attivita' benefiche del primo miliardario del pianeta (Gates). Si tratto' della piu' straordinaria donazione individuale della storia, ricordano Bill e Melinda Gates. Ma fu soprattutto il miglior investimento che Warren Buffett potesse fare, per mettere al riparo i guadagni accumulati con le bolle speculative che sarebbero esplose di li' a poco. Una mossa geniale che incorporera' la holding Berkshire Hathaway di sua proprieta' nell'apparato di investimenti della Fondazione. Si tratto' evidentemente di un passaggio storico per Seattle, con l'entrata di Buffett negli assetti della Fondazione e la successiva decisione di Bill Gates di lasciare Microsoft per dedicarsi alla filantropia a tempo pieno.
La Fondazione si struttura da allora in due entita' separate: la Bill & Melinda Gates Foundation vera e propria, che seleziona priorita' strategiche, progetti da finanziare ed eroga fondi; e la Bill & Melinda Gates Foundation Trust, il fondo fiduciario gestito da Buffett, incaricato di occuparsi degli asset patrimoniali della Fondazione, curando gli investimenti per finanziarne la capacita' di elargizione. E qui viene il bello. I dati della US Government's Securities ands Exchange Commission illustrano come il patrimonio del Bill & Melinda Foundation Trust sia investito in settori industriali alimentari e di prodotti al consumo nocivi per la salute, tali da contribuire alla crisi delle malattie croniche (cancro, diabete, malattie cardiache, ecc.). Dalle visure emerge che gli investimenti diretti del Gates Foundation Trust includono:
- 466 milioni di dollari negli stabilimenti Coca-Cola che operano nel sud degli Usa;
- 837 milioni di dollari in Walmart, la piu' grande catena di cibo, di farmaceutici e di alcolici negli Usa;
- 280 milioni di dollari nella Walgreen-Boots Alliance, una grande multinazionale per la vendita di farmaci al dettaglio;
- 650 milioni di dollari in due giganti della produzione di schermi televisivi, GroupTelevisa ($433 ml) e Liberty Global PLC ($221 ml).
Inoltre, tramite Warren Buffett, un quarto del patrimonio della Fondazione si trova investito nella Berkshire Hathaway Inc., la holding di Buffett che detiene azioni per 17 miliardi di dollari nella Coca-Cola Compamy negli Stati Uniti, e 29 miliardi di dollari in fondi investiti in Kraft Heinz Inc., una delle prime dieci aziende nel comparto alimentare. Come rilevato in una lettera della societa' civile all'Oms, preoccupata per le liaisons dangereuses dell'agenzia con il filantropo di Seattle, la Fondazione Bill & Melinda Gates e' beneficiaria delle vendite di prodotti che sono soggetti agli standard e alle regolamentazioni dell'Oms nonche' alle politiche dei governi su nutrizione, farmaci e salute. Strane coincidenze e contraddizioni, in questa trama di conflitti di interesse che non sembrano interessare a nessuno! Bill Gates, Melinda Gates e Warren Buffett formano l'inespugnabile trinita' che dal 2006 governa la Fondazione. I possessori della ricchezza sono i veri soggetti dominanti. Esercita l'egemonia un ceto che si e' liberato di ogni contrappeso.
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Da pagina 150
I vaccini, panacea della salute mondiale?
Al World Economic Forum del gennaio 2010, Bill e Melinda annunciano il Decennio dei Vaccini e s'impegnano a destinare 10 miliardi in dieci anni alla ricerca e all'introduzione di nuovi prodotti. L'iniezione di fondi galvanizza i governi, solletica le istituzioni internazionali, che incrementano i fondi per sostenere i vaccini finanziando cosi' in prevalenza strutture e centri di ricerca nel Nord del mondo. La Germania incrementa il sostegno a Gavi da 5,1 milioni di dollari nel 2010 a 26,7 milioni nel 2011, cio' che innesca il rilancio di nuovi fondi dei Gates (24 milioni di dollari), in una corsa virtuosa che approda al G8 con la famosa Iniziativa Muskoka per la salute materno-infantile del giugno 2010, grazie a cui Gavi quasi raddoppia in un anno le proprie entrate (da 641,8 milioni di dollari nel 2010 a 1046,6 milioni di dollari nel 2011). La Fondazione Gates diventa membro di Health 8 (H8), l'incontro informale sulla salute connesso al G8 con lo scopo di seguire l'attuazione degli Obiettivi sanitari dello sviluppo del Millennio (Mdg).
Ovviamente, tutto questo brulicare di fondi e di iniziative non puo' non investire l'Oms. L'agenzia proclama la collaborazione con la Fondazione Gates e Unicef per il Decennio dei Vaccini; con la Fondazione Gates disegna un Piano di Azione Globale (2010) per stimolare la comunita' internazionale sui vaccini, approvato dall'assemblea mondiale dei 194 stati dell'Oms nel maggio 2012. In un batter d'ali, la strategia di erogazione di fondi, la selezione degli ambiti di ricerca, la creazione l'una dopo l'altra di nuove strutture ai cui vertici sono insediate persone della Fondazione o scelte dalla Fondazione ridisegnano completamente lo scenario multilaterale della salute e i meccanismi decisionali che contribuiscono a determinarlo.
I vaccini sono la chiave di volta, l'"elegante innovazione" sognata a Microsoft, l'intervento "catalitico" che puo' stimolare il progresso della salute globale come quello di un'impresa, secondo i filantropi di Seattle. Nel dicembre 2014, Bill Gates spiega "il Miracolo dei Vaccini" nel suo blog personale con queste parole: I vaccini salvano vite, e questa e' una ragione sufficiente per assicurarsi che arrivino dove servono. Ma non e' questo il solo beneficio. I bambini in salute trascorrono piu' tempo a scuola, apprendono meglio. Quando migliora la salute, i paesi poveri possono investire di piu' sull'educazione, sui trasporti, possono fare altri investimenti che incrementano la crescita, cosa che li rende meno dipendenti dagli aiuti esterni. I vaccini fanno tutto questo, per un pugno di spiccioli a bambino, in alcuni casi. Ecco perche' dico che se si vogliono salvare vite e migliorare la vita nel mondo, i vaccini sono un investimento fantastico.
Dove sta il problema? I vaccini sono potenti strumenti di salute pubblica, e il ragionamento non fa una piega, direte voi. Non ci sono dubbi in merito. E allora? Allora, gli scenari sono piu' complessi. La salute di una societa' e' un ambito squisitamente politico che richiede interventi economici e sociali di equita', come il covid-19 ha dimostrato, ed e' mistificatorio pensare che uno strumento tecnico, per quanto importante, possa fornire la soluzione. Il ribaltamento di prospettiva che Gates impone con l'egemonia di cui gode la sua narrazione e' piuttosto fuorviante. Certo, il boom dei vaccini stimolato dai Gates ha incrementato il numero dei bambini immunizzati e ha dinamizzato il fiacco mercato globale dei vaccini, trasformandolo.
Come ci ricorda Medici senza frontiere (Msf), pero', nel 2014 la copertura vaccinale pediatrica completa costava 68 volte di piu' rispetto al 2001 e il prezzo dei nuovi vaccini, pur sviluppati con i fondi pubblici della cooperazione, rappresenta un'oggettiva barriera all'accesso. Un caso per tutti: per la ricerca e sviluppo del vaccino ad ampio spettro contro la polmonite (Pneumococcal conjugate vaccine, Pcv), Pfizer e Gsk hanno ricevuto un incentivo di 1,2 miliardi di dollari e guadagnato circa 50 miliardi di dollari in dieci anni dalle vendite stimolate tramite Gav, e i governi che ne hanno fatto richiesta. Eppure, cio' non ha impedito a Pfizer di impuntarsi con contenziosi per ottenere l'esclusiva brevettuale del vaccino in India e Corea del Sud. Inoltre il costo di questo essenziale dispositivo pediatrico, negoziato con tenacia da Msf per uso umanitario, e' rimasto un ostacolo per diversi paesi del Sud globale fino a quando il duopolio delle multinazionali non e' stato scardinato dalla decisione dell'Oms di validare la nuova produzione di Pcv dell'indiano Serum Institute, a un prezzo decisamente inferiore, alla fine del 2019.
Altra questione: i vaccini da soli non vanno lontano, se non c'e' un sistema sanitario che ne possa garantire la somministrazione diffusa, soprattutto nelle zone piu' periferiche. Questo resta un tasto dolente per Bill Gates. L'impegno per i sistemi sanitari non lo ha mai appassionato - anche se gli va riconosciuto qualche recente progresso in merito -, i fattori ambientali e sociali della salute non sono nel suo spettro di attenzione. Voglio dire che un vaccino contro il rotavirus per prevenire la diarrea infantile puo' essere elegante, ma non rimpiazza gli interventi necessari a drenare le cause della diarrea - un sistema fognario, la disponibilita' di acqua pulita, un'abitazione e una nutrizione adeguate. Niente da fare: il punto di caduta per Gates e' che gli investimenti devono essere orientati ad approcci immediati, quantificabili e incentivanti nell'ottica del ritorno economico, e questo con i vaccini si puo' fare: per ogni dollaro investito in vaccinazioni e' stato calcolato un ritorno di almeno 16 di beneficio socio-economico netto.
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Da pagina 200
Bill Gates: il kingmaker della lotta al covid-19
Da quando il covid-19 e' piombato sulle nostre vite, abbiamo usato a piene mani la metafora della guerra come riferimento simbolico per tentare di spiegare la sfida senza precedenti cui siamo sottoposti nel gestire l'emergenza del virus che ha sconquassato il mondo. Abbiamo ricevuto e riceviamo ancora, da diverse parti del mondo, bollettini quotidiani che riportano la conta dei morti, come soldati persi in battaglia. Siamo stati serrati dentro le nostre case per evitare gli attacchi del nemico invisibile. Le corsie degli ospedali sono state rappresentate come trincee, fronti di guerra popolati di guerrieri o di eroi che l'hanno spuntata contro il virus. Gia' ai tempi della pandemia provocata dal virus Hiv/aids Susan Sontag era entrata nelle pieghe dei meccanismi che inducono alla metafora della guerra, per spiegare le dinamiche di una crisi sanitaria: "La guerra e' pura emergenza, in cui nessun sacrificio sara' considerato eccessivo".
In una guerra, si sa, c'e' chi vince e c'e' chi perde. La lista dei contagiati continua a crescere (circa 56 milioni di casi totali nel mondo a fine novembre 2020, con picchi giornalieri di oltre 660.000 nuovi casi) e il numero dei decessi e', alla stessa data, di 1,5 milioni. Il covid-19 ha accentuato, come mai prima, la connessione tra le vulnerabilita' ecologiche, epidemiologiche ed economiche imposte dalla globalizzazione senza regole. Ha accentuato le disuguaglianze che separano tra loro regioni del mondo, ma soprattutto le dirompenti disparita' tra gruppi sociali all'interno dei singoli paesi. Persino le misure di confinamento per il controllo del contagio hanno rivelato la loro impraticabilita', per miliardi di persone che vivono di cio' che racimolano giorno per giorno, e le profonde crepe di un sistema in crisi su scala planetaria. Nel capitalismo della catastrofe che vediamo affermarsi a causa del covid-19, tuttavia, un vincitore c'e', indiscusso, e si chiama Bill Gates.
Nel 2015, Gates aveva intuito che un virus sarebbe arrivato a sconquassare il mondo iperglobalizzato. Un patogeno respiratorio simile al virus della spagnola, l'epidemia influenzale a forte infettivita' che nel 1918 non guardo' in faccia a nessuno, e produsse un impatto enorme mentre nel mondo divampava ancora la Prima guerra mondiale. Era solo una questione di tempo, gli scenari che aveva commissionato gli restituivano la prospettiva di un contagio che avrebbe colpito i centri urbani in tutto il pianeta. Gates lo vide arrivare: nel giro di mesi, milioni di persone avrebbero perso la vita. Racconto' la sua profezia in una Ted Talk divenuta ormai famosa, rilascio' interviste e scrisse articoli sulla stampa scientifica. Formulo' proposte e soprattutto comincio' a investire milioni nella ricerca per i vaccini. Sars-CoV-2 e' arrivato, alla fine, e il mondo si e' fatto trovare del tutto impreparato. L'unico pronto a un simile scenario e' stato il monopolista filantropo di Seattle che ora domina la scena, e la scienza, nelle scelte strategiche per l'identificazione dei rimedi al male che aveva annunciato.
[...]
Il momento giusto arriva di li' a poco. Poiche' tira davvero una brutta aria nella gestione della crisi da parte dei governi anche in Europa. Bill Gates, globalista per deformazione professionale oltre che per vocazione filantropica, tira i fili dalla sua posizione per intrecciare gli elementi di una battaglia comune contro il covid-19. C'e' da prendere elegantemente le distanze dall'inconcludente e pericoloso nazionalismo sanitario dell'Amministrazione americana, isolandolo, e poi c'e' da rimettere al centro la possibilita' di un'azione internazionale concordata per salvare la funzione dell'Oms, sotto attacco. Soprattutto, c'e' da garantirsi l'imprimatur globale definitivo nella decisiva battaglia contro il covid-19.
Il lancio alla fine di aprile, in pieno lockdown, di "Access to Covidl9 Tools (Act) Accelerator" - sotto l'egida dell'Oms, della Fondazione Gates, della Commissione europea e del presidente francese Emmanuel Macron - si conforma a questa esigenza. Che e' geopolitica, nel senso che risponde soprattutto alla geopolitica di Seattle. Mentre l'evoluzione virale del covid-19 infuria, Act Accelerator emerge, nel giro di pochi mesi, come la prima manifestazione politica di un impegno della comunita' internazionale per velocizzare lo sviluppo, produzione e accesso equo ai nuovi diagnostici, vaccini e rimedi di cura contro il nuovo coronavirus. L'idea e' di intervenire "in tempi record, sia di scala come di accesso, per salvare milioni di vite e migliaia di miliardi di dollari, e restituire il mondo a un senso di  normalita'".
[...]
L'Oms di fatto scompare operativamente, salvo apporre il logo legittimante all'operazione. Altro dettaglio non secondario, la Fondazione Bill & Melinda Gates e' di nuovo la prima finanziatrice dell'Oms da quando Donald Trump ha deciso non solo di sospenderne (a meta' aprile 2020) il finanziamento, ma anche di abbandonare (a meta' maggio dello stesso anno) l'organizzazione della salute che gli Stati Uniti contribuirono a far nascere, 72 anni fa.
Il resto della storia, in costante evoluzione mentre scriviamo, riguarda l'esasperata identificazione di rimedi terapeutici contro il covid-19, e la febbrile ricerca del vaccino contro Sars-CoV-2, in un costante braccio di ferro con un attore potente e senza scrupoli, l'industria farmaceutica. Il covid-19 ha sfiancato quasi tutti i settori dell'economia, ma le aziende farmaceutiche sono in totale fibrillazione e potrebbero trarre lauti benefici dalla pandemia, visto che puntano al covid-19 come all'opportunita' di business che capita una volta nella vita, come ha commentato Gerald Posner, autore di  Pharma: Greed, Lies and the Poisoning of America. In tutti questi anni, Bill Gates ha molto contribuito al rafforzamento geopolitico di Big Pharma, erodendo e sottraendo terreno alla societa' civile in questo duro conflitto politico.
Il resto della storia e' una vecchia sceneggiatura che rimanda alla questione dirimente per il futuro, oltre il covid-19: se i prodotti che scaturiranno dalla frenetica corsa al vaccino saranno blindati dalle logiche proprietarie del monopolio brevettuale, o se saranno trattati come beni comuni accessibili a tutti, considerata la finalita' per cui impazza oggi la ricerca e considerato il sostanzioso finanziamento pubblico cui i leader del mondo guidati dall'Unione europea si sono impegnati finora (8 miliardi di dollari).
L'Europa sa bene quanto possano agire da barriera i brevetti. In un suo rapporto del 2009, la Commissione europea aveva calcolato che l'80% delle 40.000 richieste di brevetti prese in esame riguardava la loro estensione su prodotti gia' in commercio, per usi secondari o per forme diverse dello stesso prodotto (per esempio, nel caso di un farmaco, la versione in sciroppo di una precedente pastiglia), con una perdita di circa 3 miliardi di curo l'anno solo nel settore farmaceutico, dovuta alla ritardata disponibilita' sul mercato dei piu' economici farmaci equivalenti. Al netto della retorica sui vaccini bene comune (The People's Vaccine), questa sara' la grande partita. Da un lato l'Oms, su proposta della Costa Rica e con l'adesione di 35 governi (tra cui Belgio, Norvegia e Olanda), ha annunciato il 29 maggio 2020 la creazione di un archivio globale volontario (patent pool) per l'accesso d'emergenza alle tecnologie, cosi' da velocizzare la scoperta dei rimedi per contrastare il covid-19. Dall'altro, il Ceo di Pzifer, parlando a nome delle case farmaceutiche, bolla l'iniziativa come un'alzata di ingegno "senza senso e pericolosa".
I governi donatori sembrano far finta di nulla. Richard Wilder, direttore della partnership Cepi per i vaccini pandemici, affossa la proposta come "inefficace e non necessaria". Eppure, nella sua posizione, dovrebbe essere il primo a sostenere l'idea che l'intelligenza collettiva puo' accelerare la scoperta del miglior vaccino per il Sars-CoV-2. Sara' un caso che, prima di occuparsi di vaccini, Wilder era a capo dell'ufficio sulla proprieta' intellettuale a Microsoft? La fortuna di Bill Gates poggia sui brevetti.
Incapaci di ritrovare le capacita' di giudizio e di rigenerare la creativita', le masse impoverite delle societa' di mercato, ulteriormente sfiancate dalla pandemia del nuovo coronavirus nel Nord e nel Sud del mondo, si scoprono indifese in un mondo senza punti di riferimento, un mondo in cui sono state lentamente sfibrate di tutte quelle forze vitali, individuali e sociali, che contribuivano al loro benessere, o almeno a una vita degna. Appare semplicemente pauroso pensare che sia la classe di Davos, i paperoni dell'1% che hanno inventato il nuovo mito della filantropia, a dominare la scena. E che siano loro a toglierci le castagne dal fuoco di questa crisi, preparando la posizione di potere per le crisi gia' annunciate per il futuro. Il potere plutocratico della Silicon Valley si organizza. E questa e' una serissima minaccia per la democrazia.
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Da pagina 275
Il Davos Consensus & la grande abbuffata
 
"Il raggiungimento della perfetta giustizia, della perfetta liberta' e della perfetta uguaglianza e' il semplicissimo segreto che garantisce con massima sicurezza il piu' alto livello di prosperita' a tutte e tre le classi"
(Adam Smith, La ricchezza delle nazioni)
 
"O uomo colmo di tutto, tu non sai pensare"
(Salmo 49,21)
 
"E - vi preghiamo - quello che succede ogni giorno
non trovatelo naturale. Di nulla sia detto "e'
naturale" in questi tempi di sanguinoso smarrimento,
ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana
umanita', cosi' che nulla valga come immutabile"
(Bertolt Brecht, L'eccezione e la regola)
 
Adam Smith e' generalmente ricordato come il santo patrono del libero commercio, il profeta indiscusso del profitto. La sua metafora della "mano invisibile" e' stata rilanciata da schiere di economisti e generazioni di politici per suffragare la nozione che il capitalismo funziona, pur con i suoi eccessi e la produzione di disuguaglianze. La storia, pero', dell'identificazione di Smith con la dottrina del liberalismo economico piu' spinto e' una sorta di commedia degli equivoci. Smith fu un liberale in quanto sostenitore di tutte le battaglie a favore della liberta' sia nel senso di difesa dei diritti degli individui sia nel senso di liberta' politica, dell'eguaglianza, della giustizia, ma non in quanto fautore del laissez-faire che si affermo' nella Gran Bretagna dell'Ottocento. Era un feroce avversario dei ceti dominanti del suo tempo (in primo luogo i mercanti) e di ogni argomento a favore della non ingerenza della collettivita' nei loro affari. Sognava una societa' giusta e condannava la ricchezza concentrata in poche mani gelose di preservare i propri privilegi, a discapito dell'interesse pubblico. Sosteneva che la prosperità e' sapiente mescolanza di perfetta giustizia, liberta' e uguaglianza. Altro che parole d'ordine mercantiliste!
Che direbbe dell'esercito di lobbisti scatenato nei primi mesi del 2019 da quattro delle maggiori tech companies per evitare la possibilita' di azioni antitrust o di nuove norme del Congresso americano volte a contenerne lo sconfinato potere? O della dura requisitoria del luglio 2020 del garante europeo per la protezione dei dati (Edps), il quale ha spiegato come il colosso Microsoft abbia acquisito tutti i dati personali, legali, finanziari, politici e commerciali dei 46.000 funzionari delle istituzioni europee, dalla Commissione alla Banca centrale europea, in base ai termini di un'intesa scaduta nel 2018 che lascia al gruppo fondato da Bill Gates ampia discrezionalita' di trattarli ed esportarli, anche in aperta violazione delle leggi europee sulla privacy? Ve lo avevo detto, direbbe Adam Smith.
Oggi che viviamo in un tempo di concentrazione di potere economico, finanziario, legale e tecnologico mai visto prima nella storia, un feudalesimo globale che fa impallidire le circoscritte gerarchie del Medioevo, avremmo bisogno di un Adam Smith, quello che detestava l'esagerato potere dei ricchi sull'azione della politica, smascherava la consuetudine degli imprenditori a evitare le tasse, denunciava i cedimenti dei governi alle pressioni dei ricchi. La disuguaglianza e' una gabbia in grado di bloccare ogni progresso, scriveva Smith, ma neppure dopo il covid-19 la politica nazionale e internazionale sembra disposta a spezzare le "catene invisibili" - no, non c'era solo la mano! - per riequilibrare gli assetti del mondo globalizzato cosi' disfunzionale, cosi' duramente ferito dal nuovo coronavirus. Anzi, con il covid-19 il vecchio fondamentalismo mercatista, quello per intendersi che ha accelerato l'iperglobalizzazione e le sue esternalita' di segno negativo, non sembra darsi per vinto. Al contrario, si sta riorganizzando nella piu' moderna versione del Davos Consensus per rassicurare che "il libero commercio e' importante e non scomparira'".
Gli effetti del virus sono devastanti e multi-pandemici - accanto alla pandemia sanitaria, ci sono quelle economica e sociale. Il virus della fame, scrive Oxfam in un rapporto dedicato a questo tema, potrebbe far morire di denutrizione correlata al covid 12.000 persone al giorno, piu' di quante ne ucciderebbe lo stesso coronavirus. Ma questo shock mondiale, come altri in passato, non fa altro che rilanciare il falso mito del trionfo pacifico dell'economia di mercato e il sogno di plasmare il mondo. Nel bel mezzo della crisi mondiale, il World Economic Forum, cioe' l'organizzazione che promuove il ruolo del settore privato e sembra aver soppiantato le Nazioni Unite nella gestione delle sfide globali, va oltre lo spirito prometeico della Global Redesign Initiative lanciata dieci anni fa e, con potenza quasi sovrannaturale, prepara The Great Reset Initiative, il grande ri-inizio del mondo gia' ri-disegnato per aiutare a indirizzare tutti coloro che determinano il futuro delle relazioni globali, la direzione delle economie nazionali, le priorita' della societa', la natura dei modelli di business e la gestione dei beni comuni globali. Mutuando dalla visione e vasta competenza dei leader impegnati nelle varie comunita' del Forum, la Great Reset Initiative abbraccia un ventaglio di dimensioni per costruire un nuovo contratto sociale che onori la dignita' di ogni essere umano.
Il paradigma Davos dichiara di voler mettere le persone al centro, cosa buona e giusta. Il problema e' che il paradigma di Davos tendenzialmente mette una certa tipologia di persone al centro. E ora che il World Economic Forum e' formalmente accasato dal giugno 2019 in un'alleanza strutturale con le Nazioni Unite - cio' che di fatto trasforma anche l'Onu in una megapartnership pubblico-privata -, i miliardari filantropi sono meravigliosamente piazzati per occupare la posizione centrale nel resettaggio planetario. Il coinvolgimento delle grandi multinazionali del settore privato e' il prerequisito della loro cooperazione con i singoli governi e le istituzioni multilaterali. Fra l'altro sono loro gli unici in questo momento di anemia economica a battere il tempo combinando disponibilita' finanziaria e agilita' decisionale, poiché si autodeterminano. Cosi' la narrazione funzionale della filantropia al servizio del salvataggio del mondo continua a servire come cortina fumogena per distogliere l'attenzione dalle molteplici disfunzioni che hanno generato la pandemia e dalle cause di una diseguaglianza senza precedenti.
Infatti, mentre aleggia un'immensa difficolta' a immaginare il futuro, mentre il virus "ha interrotto una crescita divenuta nel frattempo un'escrescenza incontrollabile, senza misura e senza fini", mentre il mondo scende in piazza per smascherare la violenza razzista delle istituzioni e discetta in vivaci webinar globali sulla natura colonialista del capitalismo, sull'urgenza di rileggere la storia e sull'importanza di reclamare nuove forme di democrazia, mentre succede tutto questo, l'elite corporate-filantropica, nel suo mondo parallelo sembra vivere con il covid-19 quello che potremmo definire il tempo della Grande Abbuffata. Il Programma sulle Disuguaglianze e il Bene Comune dell'Institute of Policy Studies ha rilevato che in 13 settimane di pandemia, dal 18 marzo al 17 giugno, i miliardari americani hanno visto le loro ricchezze montare come la panna: 584 miliardi di dollari (+20%). Nella vita reale del 99%, in quelle stesse settimane, 45,5 milioni di persone perdevano il posto di lavoro a causa del virus.
La convulsione planetaria prodotta dal covid-19 ha interrotto l'ingranaggio della globalizzazione, cio' che ha permesso ai colossi delle piattaforme digitali non solo di guadagnare montagne di soldi, ma soprattutto di accelerare la ristrutturazione economica e sociale globale attraverso lo sganciamento delle risorse umane e materiali dai processi di produzione, grazie alla colonizzazione digitale. La corsa per la leadership digitale - con il Far West dell'intelligenza artificiale, le reti 5G, i Big Data - era gia' in atto molto prima che il germe catastrofico arrestasse il meccanismo usurato della globalizzazione, ma di certo le nuove dinamiche sociali pandemiche hanno ampliato lo spazio di affermazione della visione della Silicon Valley nella duplice, interscambiabile versione imprenditoriale e caritatevole, che e' il piatto forte della filosofia filantrocapitalista. L'intuizione vincente di questa strategia di conquista.
Abbiamo accennato quali siano le implicazioni geopolitiche di questa delicatissima transizione nel caso del super-filantropo Bill Gates, interprete supremo dello spirito di Davos, sul terreno per nulla secondario della corsa ai rimedi contro Sars-CoV-2. Mi sembra evidente che abbiamo bisogno di immunizzarci dal virus di un potere cosi' pervasivo, extraterritoriale, senza profondita', ignaro della terra che lo circonda. Non possiamo continuare a percorrere, come se nulla fosse successo, "la maligna velocita' del capitalismo che non sa, non puo' andare oltre, e avvolge nella sua spirale devastante, nel suo vortice compulsivo e asfittico" le sorti del pianeta e dei suoi abitanti. Si', ma e' ancora possibile?
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Da pagina 280
Oltre i filantroprofitti, per una vera filantropia
Proviamo a prendere la questione da un'altra prospettiva, che e' sempre stata presente e molto rilevante, salvo che e' tornata alla ribalta dopo l'uccisione di George Floyd a Minneapolis, quando la reazione alla violenza della polizia e' montata in un'onda di proteste che ha invaso l'America, a partire dal movimento Black Lives Matter. Un flusso di indignazione che, anche oltreoceano, nell'abbattimento di qualche statua ha forzato un indigesto ripensamento degli assunti storici e dei codici simbolici dati per acquisiti in Occidente. Partiamo da un numero: 97 trilioni di dollari, ovvero 97.000 miliardi. Secondo una stima molto prudente pubblicata dal Guardian, questa cifra equivarrebbe a tutto il lavoro mai retribuito degli africani nelle colonie dell'America del Nord fra il 1619 e il 1865. Una somma superiore a tutto il Pil mondiale odierno, che non include le estrazioni dai paesi africani dopo il 1865, e neppure il valore delle risorse non umane. Si riferisce solo al lavoro umano dei neri che, per un periodo di 240 anni, e' stato a dir poco fondamentale a costruire e sedimentare la ricchezza in Europa e in America. Quella ricchezza che oggi rende possibile la filantropia privata; non e' stata l'Europa infatti a sviluppare le colonie, quanto piuttosto le colonie a sviluppare l'Europa.
Per raggiungere questa inarrivabile montagna di denaro, e' stato calcolato, ci vorrebbero 1500 anni di filantropia e 485 anni di aiuto allo sviluppo. Insomma, stiamo parlando di un trasferimento di risorse che, anche solo calcolato secondo questo parametro, ha generato un divario insormontabile, un costo di disumanizzazione che racconta solo l'impossibilita' di una restituzione. Possiamo solo riconoscere quanto siamo in debito.
Se il club della filantropia globale credesse davvero alla necessità di una svolta, come scriveva un anno fa Rhodri Davies preoccupato per le severe critiche all'elite di Davos, se fosse sincero su temi scabrosi come l'origine dei patrimoni, il cambiamento strutturale, la diversita', l'urgenza di essere piu' trasparente e democratico, potrebbe provare a fare i conti con questa incombente realta' del passato, che lo coinvolge e riguarda, e a correggerne gli errori. Magari riconoscendo di essere in debito, magari denominando la natura profondamente colonialista delle dinamiche che gli permettono di continuare ad accumulare ricchezze alle spalle degli oppressi, su scala globale. Potrebbe segnare un primo passo e inaugurare una nuova relazione con i popoli del Sud del mondo, cosi' da aprire all'Occidente uno spiraglio di dignita'. Equipaggiato com'e' nella pratica di costruzione del consenso, con l'antica e sempre nuova "missione civilizzatrice" dello sviluppo eretto a norma indiscutibile del progresso, il filantrocapitalismo dissemina invece i suoi miti e le sue teleologie sociali su scala planetaria e impone una narrazione di rispettabilita' internazionale e di impegno sociale che non lascia scampo.
Al di la' degli aspetti economici, la lotta contro la poverta' contiene una incoercibile dimensione ideologica, inscritta com'e' nei canoni dell'economicismo liberista; mette in condizione di designare l'altro, di attribuirgli una identita'. E poi "la mano che riceve l'aiuto e' sempre al di sotto di quella che lo offre", ricorda l'economista francese Serge Latouche. E' una tragedia che i governi permettano tutto questo senza batter ciglio.
Ma gli emarginati della Terra non vogliono carita', vogliono giustizia. Arundhati Roy non fa altro che raccontarci le straordinarie battaglie vinte dalle comunita' locali della sua India, che hanno tramutato la paura in potere di mobilitazione. La potenza dei poveri, le azioni quotidiane di milioni di persone che pensano altro, agiscono diversamente e resistono alle ideologie imposte da fuori e dall'alto, si dispiegano un po' ovunque nelle profondita' della societa' contemporanea, nelle opere e i giorni di un desiderio collettivo di vivere in una societa' felice, in armonia con la natura. Dobbiamo apprendere da queste comunita' e dalla loro naturale coscienza ecologica, se vogliamo salvare la pelle su questo pianeta, se vogliamo modificare le cose nel senso della "emancipazione umana",  per usare le parole di Achille Mbembe. Da questo punto di vista, il covid-19, per quanto mortifero possa essere, contiene in se' anche vitali aperture di riscatto, la complicata possibilita' di cambiare rotta. Possiamo sperarlo?
Sappiamo che serve una robusta azione di riparazione. Una riparazione soprattutto  politica, oltre che finanziaria e sociale. Di riorganizzazione del potere, a partire dall'azione multilaterale. Il paradosso della globalizzazione che ha determinato la gigantesca apartheid mondiale sta nel "vuoto del diritto pubblico riempito, inevitabilmente, da un pieno di diritto privato [...] di produzione contrattuale che si sostituisce alle forme tradizionali della legge e che riflette la legge del piu' forte", spiega  Luigi Ferrajoli.
Solo "un grande progetto per l'uguaglianza delle frontiere planetarie, aperte a una globalizzazione riempita di diritto pubblico e che includono l'intera umanita'" ci permetterebbe di reclamare una rotta sostenibile di gestione del mondo, che non puo' essere lasciato nelle mani del mercato e dei suoi insaziabili sacerdoti. Ripristinare la fede nel potere dei governi richiede il superamento della frantumazione negli assetti della governance globale, e la ricostruzione di una chiara filiera della responsabilita'. Peraltro, mai come in questo momento il mondo ha bisogno di un affidabile assetto multilaterale per governare le sfide del pianeta - salute, cibo, clima, migrazioni, finanza, lavoro, energia -, tutte interconnesse fra loro, come gli umani. Ce lo ha insegnato senza sconti il nuovo coronavirus.
Da dove partire, allora, per decolonizzare l'economia e togliere terreno all'egemonia del filantropismo?
1. E' urgente intervenire sul controllo del movimento dei capitali che circolano liberamente nelle mani speculative dell'industria finanziaria, fuori dallo spazio e dal tempo. Sono un motore strutturale delle disuguaglianze; il controllo del movimento dei capitali libererebbe ogni anno, secondo Unctad, 680 miliardi di dollari, e agirebbe da leva di rafforzamento del diritto pubblico, su scala globale. I movimenti di capitali sono alla base delle dinamiche di accumulazione indebita della ricchezza.
2. Le organizzazioni multilaterali devono pianificare con senso di urgenza un New Deal del debito estero dei paesi a basso e medio reddito, e creare le condizioni per una significativa cancellazione del debito di tali paesi, oggi sotto l'assedio del contagio da covid-19. In origine strumento per finanziare sul lungo termine il potenziale di sviluppo economico dei paesi a medio e basso reddito, il debito e' diventato una delle forme piu' insoffribili di neocolonialismo, e un asset finanziario ad alto rischio (e alti margini di guadagno) per una tribu' di speculatori di breve termine dell'industria finanziaria, che nessuno controlla. Da anni i governi dei paesi del Sud globale si trovano a combattere con un onere debitorio assolutamente fuori della loro portata. Solo tra il 2020 e il 2021 il pagamento del debito salira' in ragione di 2600-3400 miliardi di dollari. Questa situazione impedisce di pensare a una visione di futuro del paese, e nell'immediato di investire in spese sociali per rispondere alla pandemia che incalza. Siamo alla vigilia di una crisi del debito, lo sostiene anche la Banca mondiale: occorre il coraggio di nuovi approcci.
3. Urgenti misure pubbliche devono essere adottate per limitare quanto piu' possibile il sistema finanziario offshore, attraverso politiche concordate in ambito sia europeo sia internazionale. Come abbiamo visto, si tratta del vero buco nero della finanza globale.
4. E' necessario che i governi cessino di farsi dettar legge dai poteri dell'economia e della finanza,  anche ricorrendo all'adozione di rigorose politiche antitrust su scala nazionale e internazionale.
5. Servono politiche fiscali nazionali in grado di generare una sana ridistribuzione delle ricchezze e la produzione di beni comuni. Non e' tollerabile che le tasse dei ricchi siano proporzionalmente inferiori a quelle degli altri ceti sociali. Occorre pensare a una sorta di "paperoniale", tanto per cominciare, per affrontare la crisi del coronavirus: non e' possibile che siano i miliardari a chiederlo! Con una fiscalita' generale irrobustita da un sistema di tassazione piu' equa si puo' aumentare l'investimento per le politiche sociali, e introdurre politiche di protezione sociale universale a tutela della sicurezza umana di tutti, soprattutto le fasce piu' svantaggiate della popolazione.
6. E' indispensabile, e ancora piu' urgente alla luce del covid-19, regolamentare in maniera coerente l'interazione con il settore privato, ivi incluse le fondazioni filantropiche. Questo implica la determinazione ad adottare norme severe in materia di prevenzione e gestione del conflitto di interessi, il contrasto all'abuso di posizioni dominanti. Nel caso delle fondazioni filantropiche, occorre che siano stabilite condizioni molto rigorose per l'eventuale esenzione fiscale. Non si comprende per quale motivo il contributo pubblico debba sovvenzionare iniziative su cui non ha alcuna voce in capitolo, e che concorrono ad affermare il monopolio dei filantropi.
7. Infine, un grande progetto per l'uguaglianza richiede un intervento urgente sulle regole del commercio sancite dall'Omc. Basare la produzione della conoscenza sui monopoli brevettuali genera asimmetrie insopportabili, e la privatizzazione della conoscenza contribuisce sensibilmente alla concentrazione delle ricchezze e alla colonizzazione dell'economia. Questo sistema giuridico vincolante contraddice clamorosamente le attese della sostenibilita', ed e' strutturalmente disfunzionale a fronte della richiesta crescente di produzione di beni comuni globali.
La disparita' fra sommersi e salvati dal virus, che abbiamo visto in questi mesi e che continuiamo a vedere, non e' mai stata cosi' sfrontata, e sfida ogni idea di giustizia. Il covid-19 ha messo a nudo la nostra interconnessione, la nostra vulnerabilita', ma ancor di piu' la spietatezza del capitalismo, di cui si nutre invece il filantrocapitalismo. Tutto questo non puo', realisticamente, durare. Non solo perche' e' impossibile salvarsi se non pensando a un nuovo modo di vivere insieme su questo pianeta. Ma anche perche' la pressione degli esclusi, che non hanno piu' nulla da perdere, a un certo punto si fara' sentire con una potenza fragorosa. Ne vediamo gia' qualche segnale. Sarebbe incosciente ignorarlo e pensare che siano i filantropi a risolvere le questioni, che hanno una dimensione esclusivamente politica. Voglio terminare con le parole di Ferrajoli, che rilette alla luce del covid-19 acquistano un valore filantropico ancora piu' cogente, nel senso vero ed etimologico del termine: Prendere sul serio il principio di uguaglianza nei diritti umani, attraverso lo sviluppo di una sfera pubblica e di istituzioni di garanzia all'altezza della globalizzazione in atto e dei nuovi poteri transnazionali, e' non solo un dovere giuridico imposto dalle tante carte e convenzioni internazionali, ma anche una condizione per la sicurezza e la pace di tutti. [...] Sarebbe allora un segno di realismo se le grandi potenze capissero finalmente che il mondo e' accomunato non solo dal mercato globale, ma anche dal carattere globale e indivisibile della sicurezza, della pace, della democrazia, dei diritti umani, e prendessero questi diritti sul serio, se non per ragioni morali o giuridiche, quanto meno nel loro stesso interesse. Per non farci travolgere da un futuro di guerre, di terrorismi, e di violenze e non dover tornare a riscoprire i nessi indissolubili tra diritto e pace e tra diritto e ragione all'indomani di nuove catastrofi planetarie. Quando sara' troppo tardi.
Questa si', sarebbe autentica filantropia: un atto vitale e rivoluzionario di amore per l'umanita'.
 
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Adriana Saieva, Cos'e' la mafia? Tre giovani in cerca di risposte, Buk Buk, Trapani 2020, pp. 112, euro 12,90.
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Riedizioni
- Charles Diehl, Figure bizantine, Einaudi, Torino 2007, Rcs, Milano 2021, pp. 492, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
 
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
6. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4072 del 12 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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