[Nonviolenza] Telegrammi. 4071



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4071 dell'11 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Adesione all'appello promosso dalla Casa delle donne di Milano "Libia, quelle parole non dovevano essere dette"
2. Giorgios Karaivaz
3. Antonio Thellung
4. Alcuni estratti da Nicoletta Dentico, "Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo" (parte prima)
5. Alcuni riferimenti utili
6. Tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini", "Due dure storie" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione"
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
 
1. APPELLI. ADESIONE ALL'APPELLO PROMOSSO DALLA CASA DELLE DONNE DI MILANO "LIBIA, QUELLE PAROLE NON DOVEVANO ESSERE DETTE"
 
Aderiamo all'appello promosso dalla Casa delle donne di Milano "Libia, quelle parole non dovevano essere dette" che di seguito si trascrive:
*
L'Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d'indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome.
Davvero il capo del governo italiano non vede e non sa, oppure peggio, vede e sa ma finge di non vedere e di non sapere?
"Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia": queste le incredibili parole pronunciate da Draghi nella sua visita in Libia.
Inchieste, testimonianze, report, tutte le fonti possibili inclusa l'Onu hanno mostrato al mondo l'orrore dei cosiddetti "salvataggi" che la guardia costiera libica compie senza alcun rispetto per la vita di profughe e profughi, e persino di bambini. Ne muoiono a migliaia in questi salvataggi, e se sopravvivono vengono riportati negli orrendi "campi di raccolta" che sono luoghi di sevizie, torture e stupri.
Oltrepassato ogni limite. Puo' dunque l’ipocrita realpolitik patriarcale giungere a questi estremi senza nessuna protesta, senza nessuna opposizione?
Sappiamo quanto oscuri siano i rapporti fra i paesi europei e le ex colonie africane, oggi vittime e in parte complici di nuove forme di sfruttamento. Sappiamo quanto torbido sia stato il legame fra Italia e Libia, come tutto cio' che nel mondo gira attorno al nodo delle risorse energetiche per alimentare lo sciagurato modello di sviluppo occidentale. Sappiamo quanto l'Italia sia stata connivente con l'assassinio di Gheddafi, selvaggio regolamento di conti all'americana contro un dittatore corrotto che pero', guarda caso, aveva il torto di sognare l'indipendenza africana cui tutto il mondo e' ostile.
Oggi, tra le bande criminali che si combattono senza tregua per avere la meglio nel traffico di esseri umani, la Libia e' diventata l'anima nera dell'Europa e dell'Italia che le hanno delegato il lavoro sporco sui migranti. Anche l'Onu ha condannato l'orrore dei campi di raccolta uguali a lager dove persone inermi subiscono ogni sorta di violenze da guardiani travestiti da agenti di sicurezza. Miliardi e miliardi elargiti dall'Europa pur di tener fuori il popolo migrante dal nostro sguardo e consentire a questi aguzzini per procura di guadagnarci sopra.
Questa verita' universalmente riconosciuta e' ignota al capo del governo italiano?
Una volta di piu' come femministe misuriamo l'abissale distanza che ci separa dalla politica maschile. Lo abbiamo gia' detto e scritto tante volte, nei documenti e negli appelli: "Quelle donne e quegli uomini in fuga sono entrati nella realta' del nostro stare al mondo, dietro i numeri snocciolati dalle cronache come un'arida contabilita' noi abbiamo visto e percepito  la  materialita' dei corpi in pericolo, quei corpi che potrebbero essere i nostri, quelle figlie e quei figli che potrebbero essere nostri, quei vecchi che potrebbero essere i nostri genitori, potremmo sentire lo stesso freddo, la stessa paura, la stessa fame.
Ci siamo chieste che cosa significa allora per noi essere cittadine europee, che cosa rappresentano, per noi, confini e frontiere rispetto al diritto alla vita. "Primum vivere", e' la sfida lanciata da moltissime donne dei movimenti fin dall'incontro di Paestum. Abbiamo rifiutato l'idea di poter vivere in un'Europa capace di respingere, di chiudere le porte, di decretare chi abbia diritto di vivere e chi no".
Primum vivere e' il principio di base che esprime la nostra posizione anche rispetto alla pandemia, perche' riteniamo che la vita e la salute vengano prima del profitto, prima del prodotto interno lordo, prima del petrolio.
Probabilmente l'angoscia che stiamo vivendo a causa del coronavirus accrescera' l'indifferenza per le vittime dei continui naufragi nel Mediterraneo, ormai coperti dal silenzio generale, o per coloro che rischiano la vita sulla rotta balcanica. Ma il diritto alla vita di chi cerca asilo non puo' essere cancellato o messo in secondo piano dalla tragedia del virus.
Quelle parole in Libia non andavano dette. E noi dobbiamo denunciare ad alta voce questa gravissima ferita ai principi e ai valori di umanita' e solidarieta' che dovrebbero connotare la civilta' europea. Le parole pronunciate dal capo del governo non ci possono rappresentare, e l'Italia dovrebbe vergognarsi di lodare i responsabili d'indicibili violenze contrarie a ogni diritto umano. Ancora una volta non in nostro nome.
Rete femminista No muri No recinti – Casa delle donne di Milano
Per adesioni: info at casadonnemilano.it
Prime adesioni: Casa internazionale delle donne di Roma, Libera Universita' delle donne, Casa delle donne di Ravenna, Giardino dei Ciliegi di Firenze, Associazione Orlando di Bologna, UDI nazionale, UDI Ravenna, IFE Italia, Nazione umana Varese, Donne in nero Varese, Donne in Nero Roma, Gruppo femminista Societa' della Cura, Floriana Lipparini, Anita Sonego, Cece' Damiani, Antonia Sani, Francesca Koch, Nicoletta Pirotta, Ionne Guerrini, Adriana Nannicini, Alessandra Mecozzi, Margherita Granero, Maria Paola Patuelli, Paola Melchiori, Silvana Magni, Lia Randi, Gabriella Rossetti, Maria Luisa Boccia, Anna Nadotti, Fulvia Bandoli, Laura Morini, Maria Nadotti, Paola Redaelli, Maria Brighi, Parisina Dettoni, Adriana Redaelli, Bruna Orlandi, Silvia Cortesi, Barbara Pettine, Enrica Anselmi, Carla Bottazzi, Laura Quagliuolo, Francesca Rossi, Filomena Rosiello, Nadia De Mond, Marina Cavallini, Gianna Morgantini, Carla Visciola, Francesca Moccagatta, Clotilde Barbarulli, Gabriella Gagliardo, Stefania Soccorsi, Luisa Randi, Giuliana Peyronel, Vittoria Longoni, Maria Pierri, Vittoria Cova, Gianna Tangolo, Rina Cuccu, Elena Rosa, Loredana Magurano, Anna Moretti
 
2. LUTTI. GIORGIOS KARAIVAZ
 
E' stato assassinato il giornalista d'inchiesta Giorgios Karaivaz, impegnato per la verita' e la giustizia.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
3. LUTTI. ANTONIO THELLUNG
 
E' deceduto Antonio Thellung, scrittore e testimone dell'amore.
Con gratitudine lo ricordiamo.
 
4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA NICOLETTA DENTICO, "RICCHI E BUONI? LE TRAME OSCURE DEL FILANTROPOCAPITALISMO" (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.tecalibri.info]
 
Nicoletta Dentico, Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo, Emi, 2020, pp. 288, con una prefazione di Vandana Shiva.
*
Da pagina 21
Prologo emotivo
Questo libro trae ispirazione da sentimenti di dolore e di rabbia, inutile girarci intorno. Affonda le sue radici in tre decenni di impegno nel campo della solidarieta' internazionale e della salute. Ancora di piu', viene dal privilegio di una potente esperienza personale di anni, quella di mescolarsi e apprendere dalle etiche di vita delle varie moltitudini di  poveri che la societa' di mercato ha sospinto verso le forme piu' variegate della miseria moderna. E dall'aver fatto mio il loro punto di vista.
Ho imparato a diffidare della narrazione legnosa e riduzionista sulla "lotta alla poverta'". La poverta' ha dimensioni insostenibili ed effetti tragici, e va combattuta cambiando le politiche strutturalmente violente, non si discute. Ma occorre sapere che la poverta' non e' una banale questione di soldi e anzi, da un punto di vista finanziario, e' molto piu' espugnabile di quanto pensiamo. Basterebbe una frazione di quanto si spende in armi, poco piu' dell'1% del prodotto interno lordo mondiale, per invertire la rotta. Basterebbe intercettare e invertire subito i meccanismi di esuberante accumulazione di risorse e potere da parte di una minuscola elite della globalizzazione artefice di un sistema che produce disuguaglianze, quell'1% della popolazione mondiale che possiede ormai la meta' della ricchezza del pianeta.
E' su quell'1% che vince sempre, che occorre volgere lo sguardo: un'infima minoranza che avrebbe molto da perdere se ci fosse un'autentica evoluzione sociale e una virata normativa verso la ridistribuzione delle ricchezze. Per questo essa si e' messa a condurre questo processo di trasformazione a modo suo, spesso con il consenso di quanti ne hanno piu' bisogno, invocando il mantra della lotta alla poverta' per cambiare il mondo purche' nulla cambi: cioe' restituendo un po' della ricchezza che continua ad accumulare in modo che non sia fermata l'ingiustizia che produce asimmetrica distribuzione di risorse, conoscenze, strumenti, potere.
Insomma, questa elite ha deciso di impadronirsi anche dell'ultimo fortino rimasto indenne dalla logica estrattivista e produttivista del capitalismo finanziario: il mondo della solidarieta', del dono. Sotto le sembianze di avvenenti donazioni, questi plutocrati sono divenuti i sacerdoti di una fede che gode molta fortuna, ma e' fuorviante. Da vincitori di un sistema ingiusto, pensano di usare i valori e gli strumenti di quel sistema per sconfiggere la disuguaglianza. Hanno compreso le prospettive mai esplorate prima di questa battaglia: a land of opportunities, una prateria di opportunita' per il loro business e la loro reputazione. Hanno vinto la partita della globalizzazione economica, cimentandosi con poche mosse su un campo di gioco privo di regole e di arbitri, dove ogni fallo e' possibile. Siccome impersonano storie di successo, dichiarano di "voler rendere questo mondo un luogo migliore". Sono sensibili alle sfide del pianeta, dicono, ne conoscono i problemi, intendono far parte delle soluzioni. Anzi, puntano a colonizzare la ricerca delle soluzioni, convinti che le loro idee, i loro rimedi siano la migliore promessa di futuro che la massa dei diseredati attenda.
Ma siamo sicuri che non ci sia una strategia migliore?
E' l'elite piu' socialmente impegnata ma anche la piu' predatoria della storia quella che ha sapientemente concettualizzato e architettato il filantrocapitalismo. Perlopiu' sono uomini, uomini bianchi (le poche protagoniste donne sono "mogli di"). Sono americani, perlopiu'. Monopolisti nel settore economico di riferimento, hanno congegnato con le loro fondazioni la grande trasformazione della governance mondiale per arrivare a monopolizzare le leve della politica internazionale in nome dello sviluppo, e ora della sostenibilita'. Con la suadente moltiplicazione di "iniziative concrete e misurabili" ispirate alla logica aziendale e al diritto privato, in due decenni questi plutocrati hanno disseminato qua e la' soluzioni che nella maggior parte dei casi non intaccano, talvolta anzi persino rafforzano, le dinamiche di ingiustizia all'origine delle situazioni di cui pure i loro rimedi alleviano qualche sintomo. Un'iniziativa dopo l'altra, hanno definitivamente scompaginato la filiera della responsabilita' pubblica nel governo del mondo.
Ho assistito in presa diretta ai passaggi che hanno spianato la strada all'affermazione della nuova classe di paperoni sulla scena della diplomazia globale. Tutto e' accaduto con una regia molto precipitosa, sotto i miei occhi. A Seattle, nel novembre 1999, la societa' civile di tutto il mondo si imponeva con forza al cospetto della comunita' internazionale, riunita per la prima conferenza tra gli stati membri dell'Organizzazione mondiale del commercio, con l'insopprimibile domanda di globalizzare finalmente i diritti e la giustizia. Nelle stesse settimane, a New York, le Nazioni Unite, l'organizzazione che dovrebbe racchiudere e delineare il governo del mondo, capitolavano velocemente sotto la pressione di pochi stati per inaugurare l'integrazione dei vincitori del libero mercato nei consessi negoziali della politica internazionale.
L'arrivo dirompente e distruttivo del covid-19, esattamente a 75 anni dalla nascita delle Nazioni Unite e a 25 dall'entrata in vigore dell'Organizzazione mondiale del commercio, sollecita molteplici spunti di riflessione sul governo del mondo. Una pista di osservazione poco battuta, ma a mio avviso determinante, riguarda oggi piu' che mai la riflessione sull'egemonia culturale, finanziaria e politica del filantrocapitalismo. La ricerca di soluzioni veloci che interrompano la diffusione del contagio conferisce una spinta inesorabile al colonialismo filantropico, oggi praticamente senza argini, nemmeno all'interno delle confessioni religiose. I filantropi che salvano il mondo la fanno da padroni nella gestione della pandemia grazie all'impenetrabile complesso industriale vincolato alle loro donazioni e al potere di seduzione che esercitano, mentre la comunita' internazionale si dimena nel caos di micidiali pulsioni nazionaliste e buona parte della societa' civile, ormai assoggettata, dipende dai filantroprofitti per continuare a vivere. La pandemia ci impone un ragionamento di senso sul filantrocapitalismo, perche' questo ristretto entourage e' connesso a doppio filo con il mondo della tecnologia digitale, della biotecnologia, della finanza, i tre ambiti che definiranno il futuro del pianeta. Il ribaltamento del rapporto di potere tra i pochi titani della ricchezza globale e i molti esponenti della funzione pubblica non e' uno scenario promettente.
L'assenza di un dibattito serio sul filantrocapitalismo nel nostro paese, al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, e' imbarazzante. Abbiamo bisogno per esempio di prendere le distanze dalle braccia ingenuamente spalancate dei nostri leader - come di tutti i leader mondiali - nei confronti di Bill Gates, alle cui gesta filantropiche nessuno si sogna di porre domande, prima ancora che condizioni. Abbiamo bisogno di marcare le distanze anche dalle teorie complottiste su Bill Gates e compagni, dietrologie che "la buttano in caciara" e appannano le ragioni di una riflessione basata sui fatti. Il fenomeno scoppiato con la pandemia e' spia di una generale assenza di riferimenti conoscitivi per leggere la complessita' e della montante insofferenza verso la biforcazione di destini che non ha ragione di esistere. Questo stato di cose non e' una fatalita' della storia.
*
Da pagina 55
La nuova eta' dell'oro: numeri e tendenze della filantropia moderna
Dall'inizio del nuovo millennio la filantropia e' esplosa. Oltre ogni ragionevole dubbio, si tratta di un fenomeno strettamente correlato alla concentrazione di potere economico e finanziario dovuto alla globalizzazione, che ha prodotto inaudita accumulazione dei capitali e drastica riduzione delle misure di giustizia sociale, anche nei paesi dotati di sistemi di welfare. In un ricorso storico di cui avremmo fatto volentieri a meno, la disuguaglianza crescente che Barack Obama innalzava al rango di "sfida che definisce la nostra epoca" e' tornata sulla scena come levatrice principale di una nuova schiera di filantropi che, forti di inarrivabili ricchezze, si fanno avanti con soluzioni per ogni ambito della vita umana. I soldi parlano e la loro filantropia si inventa nuove definizioni, afferma inedite pratiche, acquista nuova coscienza di se' come vero e proprio settore d'impresa in costante crescita: per numero di entita', per quantita' di fondi erogati, per diversificazione delle attivita'. In due decenni, una nuova generazione di imprenditori iper-agenti filantropici si e' guadagnata un ruolo di assoluto predominio nelle sedi della politica internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite. Il denaro ha conferito loro un potere a se' stante che e' in grado di possedere e prendere il posto del potere politico. Cosi' si sono messi in testa di "salvare il mondo e trasformare la cooperazione internazionale". Con spregiudicato protagonismo hanno conquistato un'ingombrante rilevanza nel dibattito politico che ha partorito l'accordo mondiale degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Oss), siglato a New York nel settembre 2015.
Non si hanno informazioni dettagliate sulla quantita' totale dei fondi con cui ogni anno i principali attori della filantropia globale finanziano lo sviluppo, ma l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse/Oecd) ha calcolato una stima attendibile di questa cifra, fissandola nell'ordine di 23,9 miliardi di dollari nel triennio 2013-2015, cioe' intorno ai 7,8 miliardi di dollari per anno. Una piccola doccia fredda per il mondo filantropico, tanto opulento quanto ancora opaco, che declamava invece un impegno finanziario di 60 miliardi di dollari l'anno (i governi, nel 2016, hanno versato 146 miliardi di dollari, tanto per dare a Cesare quel che e' di Cesare!).
Salute ed educazione, aree di elezione su cui la filantropia ha costruito la propria storia, rimangono priorita', accanto alla nutrizione. Tra 2013 e 2015, il 54% delle erogazioni totali e' stato diretto alla salute, specie quella riproduttiva, e ad interventi collegati alla popolazione, con un focus al controllo delle malattie infettive. Solo il 18% delle donazioni e' stato indirizzato alle organizzazioni multilaterali, ma si tratta di fondi vincolati, cio' che permette alle fondazioni di esercitare un controllo rigoroso sull'uso del loro denaro. Vale la pena segnalare, fra l'altro, che il 2014 e 2015 - anni di punta del negoziato verso gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile - sono stati anni di una certa esuberanza elargitoria. Il Wealth-X and Arton Capital Philanthropy Report 2016 evidenzia come le donazioni dei super-ricchi (in gergo, Ultra-high net worth: Uhnw) siano incrementate del 3% nel 2015, rispetto al 2014 che aveva registrato gia' un aumento del 6,4%. Numeri alla mano, il rapporto racconta gli effetti benefici di questa arte della generosita': gli imprenditori che hanno versato almeno un milione di dollari hanno finito per ammassare piu' profitti dei loro pari di classe. Insomma, la filantropia forse combatte la poverta', ma di sicuro rimpingua le tasche dei donatori!
[...]
Il rapporto Ocse rileva altresi' che le risorse provenienti dalle fondazioni sono molto concentrate: l'81% delle donazioni filantropiche erogate complessivamente tra il 2013 e il 2015 discendono da 20 entita'. La Fondazione Bill & Melinda Gates fa la parte del leone, con una massa totale di finanziamenti dall'inizio delle attivita' di 50,1 miliardi di dollari, una dotazione finanziaria di 46,8 miliardi di dollari e una capacita' di erogazione nel 2018 di 5 miliardi di dollari (dati agosto 2019). Tra il 2013 e il 2015, la Fondazione Gates ha potuto destinare 11,6 miliardi di dollari allo sviluppo globale, piu' di quanto non riescano a fare le agenzie delle Nazioni Unite.
E allora, di fronte a tanta effervescenza finanziaria, qual e' il problema?
*
Una galassia di filantropie
La teoria contemporanea identifica almeno cinque funzioni essenziali della filantropia. La prima e piu' importante riguarda la promozione del cambiamento sociale (social change), per esempio a favore di fasce svantaggiate della societa'. La seconda e' l'innovazione sociale, lo stimolo a ricercare nuovi approcci per affrontare determinati problemi (grazie alla Fondazione Scaife che investi' nel laboratorio di Jonas Salk si arrivo', negli anni Cinquanta, alla scoperta del vaccino contro la poliomielite). La terza funzione investe la possibilita' di ridistribuzione delle risorse: la filantropia come fattore di riequilibrio di disparita' di reddito, insomma. La quarta rimanda alla libera partecipazione degli individui al bene comune; l'esercizio della filantropia produce il beneficio di un protagonismo plurale nella societa' aperta, l'assunzione di responsabilita' dei singoli come valore civile e indicatore di emancipazione. Last but not least, la quinta funzione ha a che fare con la legittima esigenza di autorealizzazione del donatore, la valorizzazione della sua autostima, il riconoscimento pubblico della sua attitudine.
La varieta' di attori in campo esige uno sforzo di differenziazione. I numeri sulle fondazioni che abbiamo presentato riflettono una realta' caleidoscopica, una diversita' oggettiva di obiettivi, interessi, profili di presenza nella societa', modalita' di finanziamento. Variegata e' la gamma dei temi di cui si occupano le fondazioni nel mondo: dalla scienza al cambiamento climatico, dalla cultura alla promozione religiosa, dall'infanzia alla natura e i parchi, dalla formazione alla medicina, dall'arte alla stampa, oltre che la lotta alla poverta'. Multiforme la gamma degli obiettivi che perseguono, con programmi diretti e operazioni sul campo, con finanziamento di realta' associative, oppure tramite campagne tematiche per la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, e iniziative di sostegno a nuclei di "resistenza" in ambito politico ed economico. Intorno al concetto di fondazione si muove un mondo e sarebbe fuorviante negarne il valore in specifici ambiti di intervento. Penso al sostegno delle fondazioni ad azioni di solidarieta' internazionale, alla promozione dei diritti e della presenza civica nei processi diplomatici, a filiere di ricerca politica in settori chiave che la cooperazione pubblica allo sviluppo ha definitivamente accantonato. Neppure si puo' sottovalutare il ruolo che esse hanno avuto in passato e tuttora mantengono, non solo negli Stati Uniti, nel promuovere pratiche di democrazia, lotte alle discriminazioni, forme di attivismo sociale progressista, soprattutto a favore di piccole realta' impegnate sul piano nazionale. O la loro dedizione alla liberta' di stampa, con il finanziamento di inchieste o altre attivita' dei difensori dei diritti umani in paesi con regimi autoritari. In ultima analisi, nella galassia del mondano entourage della filantropia e' possibile identificare ed estrarre espressioni illuminate della filantropia, che genuinamente coltivano l'aspirazione alla pace e alla promozione del pubblico interesse. Ma questa e' solo una parte della storia, come vedremo in seguito.
[...]
Si chiama billionaire effect: persino i piu' spietati Ceo americani si sono allineati, anzi sono oggi i sacerdoti della religione del "capitalismo compassionevole", o inclusivo che dir si voglia. Larry Fink, a capo di BlackRock, il piu' gigantesco gestore di fondi al mondo, predica da qualche anno che le corporations devono darsi un fine da perseguire, insieme, e oltre, all'obiettivo del classico profitto. La sua predicazione ha fatto strada. Il 19 agosto 2019, piu' di 180 leader delle piu' importanti multinazionali di Business Roundtable - per capirsi, gente alla guida di Amazon, JP Morgan Chase, Walmart, Mastercard - si sono ritrovati per sovvertire decenni di ortodossia e annunciare una conversione sentimentale. In una dichiarazione approvata all'unanimita', i membri di Business Roundtable hanno affermato che lo scopo delle megacorporations non e' piu' solo servire gli interessi degli azionisti, ma relazionarsi "in un'ottica di valore" nei confronti di clienti, fornitori, staff, comunita'. E' fatta, vien da dire! Finalmente, una "componente di bene" sta al cuore del nuovo modello di business. Nessuno puo' negare che le elite del nostro tempo siano quelle piu' socialmente impegnate della storia. Peccato che siano anche le piu' predatorie. Queste elite, sottolinea Anand Giridharadas, rifiutando l'idea che i potenti dovrebbero sacrificarsi per il bene comune, si aggrappano a un sistema di formule sociali che permette loro di monopolizzare il progresso, salvo poi condividerne qualche briciola simbolica con coloro che restano indietro - molti dei quali non avrebbero bisogno delle briciole se la societa' funzionasse per il verso giusto.
La forsennata riattivazione dei sentimenti filantropici ha inevitabilmente aperto il varco a uno tsunami di preoccupazioni da parte della societa' civile, del mondo accademico e dei media internazionali piu' accorti. Al tempo del capitalismo ultrafinanziarizzato e senza regole, all'indomani di ripetute vicende giudiziarie che hanno travolto le imprese transnazionali con scandali finanziari e violazioni dei diritti umani, che cosa vuol dire intendere i principi di buona gestione e di responsabilita' sociale come forma di democratizzazione e di validazione del mondo imprenditoriale? Il settimanale The Economist, nel commentare la nuova filosofia del Business Roundtable, non ha esitato a scrivere che, per quanto benintenzionata, questa nuova forma di capitalismo collettivo finira' per produrre piu' danno che benefici. Rischia di consolidare una classe di Ceo avvezzi a non render conto del loro operato e privi di legittimita'.
Il tema dell'autogoverno delle imprese (corporate governance) richiede insomma grande attenzione. Prima di tutto perche' sfugge a qualunque regolamentazione. Nell'attuale societa' globalizzata, sempre piu' orientata al mercato, le corporations hanno conquistato enorme capacita' di influenza nei processi che determinano le scelte strategiche della politica internazionale: di fatto partecipano attivamente a fondamentali passaggi di questi processi. La filantropia di investimento, o filantrocapitalismo, lungi da fornire un surrogato allo stato sociale in sfacelo o una formula residuale di garanzia dei diritti, rappresenta l'espressione piu' sofisticata di un ordine economico mondiale che mira alla difesa del proprio interesse come spazio vitale non negoziabile. In ultima analisi, la conferma della deregolamentazione dei mercati che divide il mondo tra sommersi e salvati, cosi' che i ricchi possano gestire entrambi a loro piacimento.
*
Da pagina 69
In una prospettiva squisitamente politica il filantrocapitalismo, lungi dal "salvare il mondo" come sostengono Bishop e Green, esaspera gli squilibri di potere e le patogenesi della globalizzazione. La teoria gramsciana ci ricorda che le elite usano la propria egemonia culturale per organizzare il consenso, e che il consolidamento della loro posizione di potere non si esprime con la forza materiale ma con l'indottrinamento razionale e la spinta di una retorica sentimentale. Libere da ogni costrizione territoriale, le fondazioni filantrocapitaliste sono riuscite a occupare un campo d'azione sconfinato. Esercitano un ruolo talmente ingombrante nella produzione di conoscenza, nell'affermazione di modelli, nella definizione di nuove strutture della governance globale, da essere ormai insopportabile. La loro azione ha modificato il pensiero e il modo di vivere dei subordinati, tra questi i governi che non governano piu', cosi' da scongiurare cambiamenti piu' profondi e radicali della societa'.
Da un punto di vista del pensiero e del modello etico liberale, la questione dell'agibilita' dell'intervento privato di queste immense accumulazioni di potere e di ricchezza nello spazio pubblico resta dirimente. Difficile che rappresentino un beneficio per la liberta', il pluralismo e la democrazia.
"La ricerca dimostra che dare rende felici. Sii egoista e fai donazioni", recita il poster di un college in un campus americano.
*
Filantropia, liberta' e uguaglianza
La filantropia e' convenzionalmente associata alle nozioni di liberta' e uguaglianza. Alla liberta', prima di tutto, perche' e' un atto del tutto volontario, e non potrebbe essere diversamente. Non puo' esserci coercizione nell'atto del donare. La filantropia rimanda storicamente alla liberta' di associazione, all'istinto umano di unirsi per risolvere insieme i problemi. Abbiamo visto questa spinta in azione nel contesto americano del XIX secolo. La filantropia mira alla piena realizzazione delle persone, alla possibilita' creativa per chi dona di tradurre operativamente i propri valori; nel caso di istituzioni, di svolgere in senso compiuto la propria mission.
Poi c'e' l'altra connessione, con l'uguaglianza. La quintessenza della filantropia, lo dice la parola stessa, e' quella di saper guardare con empatia alle situazioni di difficolta', alle persone svantaggiate. Questo e' vero per molte tradizioni filantropiche - basti pensare all'inderogabile imperativo morale di assistere i poveri nelle tradizioni religiose, all'archetipo culturale del dono codificato in pratiche diffuse. Questa convinzione e' ancora molto radicata. Sono in molti a credere che l'azione filantropica sia auspicabile, anzi necessaria, per il potenziale redistributivo che esprime. In effetti la ridistribuzione avviene nel caso di un trasferimento diretto di soldi dai ricchi ai poveri oppure quando la filantropia si attiva per rimuovere le cause strutturali della poverta', cosi' da evitare che i poveri debbano continuare a dipendere dalla carita' o benevolenza altrui per vivere.
La narrativa del legame tra filantropia, liberta' e uguaglianza e' molto seducente, ma la realta' delle cose e' piu' complessa e un po' meno rosea. Vale la pena ricordare che se nel mondo vigesse un'equa ridistribuzione delle risorse non ci sarebbe tanto spazio per la filantropia, nelle sue molteplici versioni. Neppure si darebbe tanto margine di manovra per l'insaziabile brama di controllo delle elite della plutocrazia globale, sempre pronte a predisporre formule e soluzioni ai problemi che esse stesse hanno contribuito a produrre. Il liquido amniotico della filantropia e' la disuguaglianza. Ha ragione da vendere la sociologa McGoey quando sostiene che l'esuberanza filantropica e' l'altra faccia della medaglia della sperequazione sociale che avvilisce e umilia larghe fette della popolazione globale. Salvo rare eccezioni, la filantropia non e' affatto amica dell'uguaglianza. Puo' anzi esserle del tutto indifferente, quando non ostile. Paradossalmente, puo' addirittura esacerbare la disuguaglianza.
Il sistema di incentivi fiscali che nutrono e alimentano la filantropia e' il primo problema. In che senso?, vi state chiedendo. Aiutare ad aiutare e' giusto, no? Si' e no. Dipende dall'architettura dei sussidi fiscali a sostegno delle fondazioni e di quanti erogano donazioni.
*
Da pagina 76
La poverta' del nostro secolo e' diversa dalla poverta' di qualsiasi altro tempo. Non e', come in passato, frutto della scarsita' naturale, bensi' di un insieme di priorita' imposte al resto del mondo dai ricchi. Alcuni di questi predatori-filantropi proclamano gli effetti benefici del loro ricorso ai paradisi fiscali, perche' cosi' facendo liberano piu' risorse da destinare all'altruismo.  Altri sostengono che la loro filantropia e' "una forma di autotassazione", sicche' giustamente sono esonerati dalla piena contribuzione fiscale - secondo una teologia meritocratica per cui, se uno e' povero, alla fine se lo merita.
Di fronte alle scomposte dinamiche di accaparramento su cui si regge l'attuale sistema economico, dobbiamo rompere la cortina di conformismo legislativo con qualche domanda. Ha senso che "i salvati" di un super-capitalismo truccato, progettato apposta per creare disuguaglianze, abbiano un ruolo di primo piano nella lotta alla poverta', cui contribuiscono per molte vie? E soprattutto, ha senso che partecipino a questo obiettivo con escamotage premiali che consentono di sottrarsi alla contribuzione fiscale, piu' di quanto gia' non facciano? Che cosa legittima politicamente l'idea di un incentivo sulle tasse a questi miliardari e alle loro fondazioni? Quali vantaggi ne avrebbe una societa', se si utilizzasse la tesoreria pubblica, perduta a causa degli incentivi, per produrre il bene comune? Non e' sotto gli occhi di tutti, ormai, l'urgenza di produrre maggiori entrate pubbliche con regimi di tassazione progressivi, con strategie di trasferimento fiscale piu' eque, cosi' da agire sul livellamento delle disuguaglianze e sulle condizioni esistenti di disparita' (per esempio: le pari opportunita', la rimozione di ogni discriminazione razziale o di genere, le tasse sulle rendite, ecc.), per promuovere una giustizia distributiva?
Nella loro incarnazione contemporanea, le fondazioni filantropiche non rispondono piu' all'esercizio della liberta' individuale, quanto del potere. Un potere che impone scrutini, accountability. Un potere che esige indagini piu' accurate e costanti, non agevolazioni fiscali. L'esistenza e il potere di fondazioni filantropiche dotate di enormi risorse, la cui capacita' di influenza sulle politiche pubbliche e' senza freni, incarnano una tensione forte con le condizioni e le attese di una democrazia liberale, che sulla carta prevede l'uguaglianza tra le persone cittadine, uguaglianza politica, economica, sociale. Proprio perche' questa tensione ha superato ogni livello di sostenibilita' funzionale e di accettabilita' etica, e' indispensabile l'introduzione di nuove strutture normative che comportino meccanismi di addomesticamento dei plutocrati.
Cosi' che costoro possano servire, e non sovvertire, le finalita' democratiche.
*
Da pagina 97
Meccanismi dell'arricchimento globale e della disuguaglianza
Se la disuguaglianza e' inesorabilmente cresciuta negli ultimi anni, cio' e' imputabile a precise scelte politiche dei governi. Senza interventi correttivi, e' destinata a crescere ancora. Il taglio delle tasse, ad esempio, e' una promessa che ha un potente riscontro nella dialettica elettorale e gode di una decisa appetibilita' nella discussione pubblica - abbiamo visto il fenomeno anche in Italia -, ma e' priva di qualsiasi evidenza di giustizia. Ogniqualvolta viene adottato un taglio delle tasse, infatti, la misura porta acqua al mulino di chi, l'acqua, gia' ce l'ha. Una delle fonti piu' comuni di accumulazione della ricchezza proviene per l'appunto dalla cosiddetta tax avoidance, cioe' dalla possibilita' di usare le scappatoie delle legislazioni fiscali per eludere il pagamento delle tasse. Peraltro, i regimi fiscali prevedono ormai riduzioni sempre piu' consistenti delle aliquote per le fasce piu' alte di reddito. Negli Stati Uniti, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e durante i gloriosi decenni di espansione economica post-keynesiana, l'aliquota massima delle imposte federali sul reddito non e' mai scesa sotto il 70% - stava al 91% durante il decennio di Eisenhower e Kennedy (1953-1963). E' poi precipitata al 50% negli anni Ottanta di Ronald Reagan, per scendere ancora al 40% nel 1996 e infine al 35% nel 2008. Sul piano storico, gli scaglioni di reddito e le relative soglie hanno costruito nel tempo l'architettura di una progressivita' fiscale completamente stravolta: In breve, negli Stati Uniti la progressivita' era molto piu' forte e la disuguaglianza molto piu' bassa nei decenni di crescita economica piu' sostenuta. Il repubblicano Eisenhower governo' il paese con un sistema che oggi sarebbe considerato comunista, e il sistema fiscale statunitense era molto piu' progressista sotto Reagan che sotto Obama.
Nella realta', la maggior parte dei miliardari paga molte meno tasse grazie a un escamotage che permette di non annoverare come reddito il capitale guadagnato tramite hedge funds, i fondi speculativi. La ricerca degli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman evidenzia che le 400 famiglie piu' ricche d'America hanno pagato nel 2018 un'aliquota effettiva del 23%, cioe' un punto percentuale in meno di quello versato dalle famiglie delle fasce sociali meno abbienti (24,2%). Una decina di anni fa, Warren Buffett aveva sollevato il polverone rivelando che pagava meno tasse della sua segretaria, grazie a deduzioni e scappatoie del sistema fiscale americano. Alle primarie del Partito democratico per le elezioni presidenziali 2016, c'era stata l'implacabile denuncia del senatore Bernie Sanders contro la classe dei miliardari ad attizzare le folle. Sanders ricevette milioni di piccole donazioni a suo favore, una base di sostenitori diffusa e alternativa ai grandi potentati che finanziano di solito le elezioni, a dimostrazione dell'ondata di insofferenza nei confronti di questa situazione. Che i ricchi paghino meno tasse dei poveri non e' piu' la storia personale di Buffett. E' la norma, in quel che resta della grande democrazia americana: un trionfo dell'ingiustizia fatta sistema.
*
Da pagina 103
Ma che c'entra tutto questo con la filantropia, vi chiederete? I filantropi non sono quelli che usano il loro denaro per fare del bene? C'entra eccome. I tycoon delle multinazionali che si cimentano con il proposito di salvare l'umanita' dall'indigenza sono gli stessi che si muovono con scaltrezza in questo scenario di turbocapitalismo e di disuguaglianza crescente. Come i loro soldi, agiscono da una parte all'altra del pianeta con tentazioni egemoniche per il controllo del mercato - chi non ricorda il caso di Bill Gates costretto dalla Commissione europea a pagare la prima severa multa per abuso di posizione dominante della Microsoft nel marzo 2004? - o delle materie prime. Sono loro i personaggi che con le rispettive fondazioni si spendono per costruirsi una discreta immagine come campioni della lotta alla poverta', ammantati dalla reputazione benigna che i leader politici conferiscono loro. Capita ogni tanto pero' che gli appassionanti giochi di evasione o elusione fiscale di questi sacerdoti dell'agenda sociale vangono alla luce.
Il rapporto 2019 di Mediobanca snocciola cifre colossali di tasse non pagate dai giganti del websoft, dal 2014 a oggi: decine di miliardi trattenuti grazie a ingegnosi "slalom fiscali", imposte agevolate o vere e proprie fughe nei paradisi fiscali. Ce n'e' per tutti: dai filantropi della prima ora a quelli di ultima generazione come Jeff Bezos e Mark Zuckerberg - in base all'indagine, Facebook ha avuto un'aliquota fiscale media dell'1% nei paesi extra Ue in cui ha operato. E poi c'e' il caso del leader degli U2 Bono, noto fustigatore di governi inadempienti con gli impegni dello sviluppo, il cui nome e' apparso nella lista di Paradise Papers. "Essere filantropi e attivisti non significa essere degli sprovveduti negli affari", era stato del resto il commento della star irlandese rispondendo nel 2011 a chi (gli attivisti di Art Uncut) lo criticava per aver spostato la sede finanziaria della band fuori dalla natia Irlanda.
Esiste insomma una robusta correlazione fra ricchezze stratificate nelle tasche di pochi e inesorabile impoverimento di intere societa', non piu' solo nel Sud globale, come abbiamo visto. Non puo' essere sottovalutata, o liquidata come ideologica, la necessita' di fissare occhi piu' disincantati sulla filantropia e uno sguardo piu' critico sulla stessa agenda per lo sviluppo globale che, come esamineremo in seguito, si configura come il principale terreno di gioco del filantrocapitalismo.
*
Da pagina 111
Fondazioni, lotta alla poverta' e governance globale
 
"Togli i ricchi, e non ci saranno neanche i poveri"
(Pelagio, De divitiis)
 
"Lo scopo dei belligeranti e' la conquista dell'intero mondo attraverso il mercato. Gli arsenali sono finanziari. La mira di chi conduce la guerra e' governare il mondo da centri di potere nuovi e astratti: megalopoli del mercato, che non saranno soggette ad altro controllo che a quello della logica dell'investimento. Nel frattempo nove decimi delle donne e degli uomini del pianeta vivono con i segmenti scomposti di un puzzle che non sta insieme"
(John Berger, Contro i nuovi tiranni)
 
"Ti spremeremo fino a che tu non sia completamente svuotato e quindi ti riempiremo di noi stessi"
(George Orwell, 1984)
 
Riprendiamo a questo punto il nostro ragionamento sulle fondazioni. Abbiamo raccontato quali effetti ha prodotto la nascita delle prime istituzioni della filantropia moderna, alle prese con i problemi sociali causati dai dirompenti processi di industrializzazione, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Abbiamo visto come la salute, soprattutto l'eradicazione di vecchie e nuove malattie, sia stata da subito il terreno prioritario di lavoro di queste fondazioni. Mutuando dalle concezioni imprenditoriali tipiche del modello industriale, e con grande liberta' di manovra, le fondazioni hanno saputo cogliere con prontezza la necessita' di agire in un campo, quello sanitario, abbandonato a se' stesso e popolato solo di immensi bisogni. Le fondazioni pianificavano i loro interventi con il coinvolgimento di personale professionalizzato e la loro strategia nei programmi sanitari fini' per influenzare la formulazione degli approcci teorici e pratici in materia di salute internazionale, al punto che la prima mobilitazione dei governi nella lotta alle malattie scaturisce proprio dal dinamismo delle fondazioni, e dalla pressione che in quella fase hanno saputo esercitare sui decisori politici. Questo e' di certo il caso della Fondazione Rockefeller.
Se non fosse stato per il ruolo svolto dalla Fondazione Rockefeller contro specifiche malattie nella prima meta' del Novecento, la stessa nozione di "salute pubblica" si sarebbe fatta strada con molta piu' fatica, e forse con molti piu' oppositori. Il dato storico e' che l'evoluzione di modelli, concetti e strutture che hanno codificato gli assetti delle istituzioni sanitarie internazionali che oggi conosciamo va esclusivamente attribuita alla visione del filantropo Rockefeller: In pratica, la Fondazione Rockefeller era coinvolta in tutti gli aspetti della salute pubblica: idee, teorie, ricerca, formazione professionale, pratica, programmazione, organizzazione e creazione istituzionale. In qualita' di unica agenzia sanitaria operativa sul piano internazionale fino alla fondazione della Organizzazione mondiale della Sanita' nel 1948, la Fondazione Rockefeller ha contribuito di fatto a delineare e disegnare la salute pubblica globale con una capacita' di influenza ben superiore ad ogni altra organizzazione del suo tempo.
E non finisce qui. Forse non tutti sanno che la Rockefeller e' stata il primo e unico finanziatore privato delle Nazioni Unite nei primi decenni della loro esistenza; grazie alla sua donazione di 8,5 milioni di dollari fu possibile acquistare, alla fine degli anni Quaranta, il terreno lungo l'East River per la costruzione del Palazzo di Vetro. La sua capacita' di influenza fu sconfinata negli anni del dopoguerra e si estese presto anche al campo dell'agricoltura, con approcci innovativi che hanno poi dominato tutto il XX secolo. L'avvio del Programma Messicano per l'Agricoltura nel 1943 apri' la strada alla cosiddetta Rivoluzione verde, una strategia che dagli anni Cinquanta diventera' decisiva, e anche molto controversa, come vedremo, nei rapporti Nord/Sud. L'iniziativa della Rivoluzione Verde mirava a trapiantare nel mondo - a partire da America Latina e Asia - un approccio di sviluppo agricolo imperniato sull'uso di nuove tecnologie di ingegneria genetica, sull'espansione dell'industria agraria e sulla massimizzazione dei raccolti. La Fondazione s'impegno' a diffondere e di fatto imporre questa strategia ai paesi dell'emisfero sud come soluzione globale per combattere la malnutrizione e la fame nel mondo. In realta' era molto di piu'.
Nel rigido quadro della Guerra fredda, la Rivoluzione verde doveva agire anche come potente leva geopolitica per arginare l'espansione del comunismo. Era basata sulla combinazione di tre elementi: sviluppo di semi ibridi, metodi di miglioramento della fertilita' del suolo e uso estensivo di fertilizzanti e pesticidi, e ricevette dalla Fondazione una valanga di finanziamenti per provarne la praticabilita' tecnologica, per sovvenzionare la comunita' scientifica, per costruire nuove istituzioni locali con il compito di incarnarne il verbo, nei paesi del Sud del mondo. Un'azione mastodontica, che la Fondazione Rockefeller ha condotto inizialmente con la Fondazione Ford e oggi con la Fondazione Bill & Melinda Gates. La collaborazione tra fondazioni su queste filiere di egemonia e' uno dei tratti piu' evidenti della storia della filantropia moderna.
(Parte prima - segue)
 
5. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
6. NUGAE. TRE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI", "DUE DURE STORIE" E "STORIE NERE DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE"
 
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie", "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
 
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Jacopo Custodi e Niccolo' Bertuzzi (a cura di), Le parole e il consenso, Lef, Roma 2021, pp. 128, euro 6,50.
- Giovanni Vignali, L'uomo nero e le stragi, PaperFirst, Roma 2021, pp. 256, euro 12,20 (in supplemento a "Il fatto quotidiano").
*
Riletture
- Anna Bravo, A colpi di cuore. Storie del sessantotto, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. IV + 322.
- Anna Bravo, La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. VI + 246.
*
Riedizioni
- Maurice Leblanc, Arsene Lupin contro Herlock Sholmes, Einaudi, Torino 2008, Mondadori, Milano 2021, pp. IV + 236, euro 6,99.
- Maurice Leblanc, Le confidenze di Arsene Lupin, Einaudi, Torino 2006, Mondadori, Milano 2021, pp. IV + 204, euro 6,99.
 
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
9. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4071 dell'11 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
Per non ricevere piu' il notiziario e' sufficiente recarsi in questa pagina: https://lists.peacelink.it/sympa/signoff/nonviolenza
Per iscriversi al notiziario, invece, l'indirizzo e' https://lists.peacelink.it/sympa/subscribe/nonviolenza
*
L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com