[Nonviolenza] Telegrammi. 4069



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4069 del 9 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti: Le spese militari crescono ancora e ancora
2. "Dino Buzzati tra giornalismo e letteratura". Un incontro di studio a Viterbo con Paolo Arena
3. Appello alle istituzioni per un riconoscimento ufficiale dei crimini fascisti in occasione dell'ottantesimo anniversario dell’invasione della Jugoslavia da parte dell'esercito italiano
4. Umberto Santino: Dopo il 23 maggio
5. Umberto Santino: Moro e Impastato, due storie diverse nel contesto delle stragi
6. Umberto Santino: I problemi dell'antimafia
7. Umberto Santino: Che succede in Libera...
8. Umberto Santino: A Palermo la Conferenza su Pace e diritti nel Mediterraneo. La pace naviga controcorrente...
9. Alcuni riferimenti utili
10. Tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti: "Il cugino di Mazzini", "Due dure storie" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione"
11. Segnalazioni librarie
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'
 
1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: LE SPESE MILITARI CRESCONO ANCORA E ANCORA
[Ringraziamo Enrico Peyretti per averci messo a disposizione questo intervento.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]
 
Le spese militari crescono ancora e ancora
Ci sono persone, al mondo, che non uccidono nessuno,
ma che sopportano che si fabbrichino armi e si profitti sull'industria dell'omicidio;
ci sono persone che sopportano che esistano eserciti,
cioe' organizzazioni preparatissime ad uccidere persone innocenti
- perche' le guerre sono ormai guerre contro i popoli, non contro i militari nemici -;
e ci sono politici che sopportano bene che il loro lavoro sia costruire strade, scuole, ospedali
e altrettante stragi di innocenti;
ci sono persone che si dedicano ad organizzare la morte
e stanno tranquilli chiamandola difesa;
ci sono cittadini che assistono e non dicono nulla, non sentono orrore per tutto cio'.
Ma ci sono anche quelli che stanno personalmente bene
eppure stanno male, molto male, perche' non sopportano questi orrori.
Queste persone parlano, studiano, fanno conoscere metodi ed esperienze
- tantissime, piu' di quante i media raccontino, piu' di quante gli storici raccolgano -
di difesa popolare nonviolenta, preparata per tempo, invece degli eserciti, piu' efficace degli eserciti.
E ci sono dappertutto nel mondo persone che rifiutano di toccare un'arma, e di imparare ad usarla,
cioe' ad uccidere,
che pagano con la prigione e peggio la loro difesa dell'umanita'.
Ci sono quelli che sanno che l'umanita' si vergognera' di avere costruito le armi,
e cominciano.
Ma cosa ottengono? Cominciano.
 
2. INCONTRI. "DINO BUZZATI TRA GIORNALISMO E LETTERATURA". UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO CON PAOLO ARENA
 
La sera di giovedi' 8 aprile 2021 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" si e' tenuto un incontro di studio sul tema: "Dino Buzzati tra giornalismo e letteratura".
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dall'ultimo Dpcm per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
All'incontro ha preso parte Paolo Arena.
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Una minima notizia su Paolo Arena
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it
 
3. APPELLI. APPELLO ALLE ISTITUZIONI PER UN RICONOSCIMENTO UFFICIALE DEI CRIMINI FASCISTI IN OCCASIONE DELL'OTTANTESIMO ANNIVERSARIO DELL'INVASIONE DELLA JUGOSLAVIA DA PARTE DELL'ESERCITO ITALIANO
[Da vare persone amiche riceviamo e diffondiamo questo appello del 31 marzo 2021]
 
31 marzo 2021
Alla Presidenza della Repubblica
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
al Senato della Repubblica
alla Camera dei Deputati
al Ministero della Difesa
al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Appello alle istituzioni per un riconoscimento ufficiale dei crimini fascisti in occasione dell'ottantesimo anniversario dell’invasione della Jugoslavia da parte dell'esercito italiano
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Quest'anno ricorre l'ottantesimo anniversario dell'invasione della Jugoslavia da parte dell'esercito italiano, avvenuta il 6 aprile 1941. Durante l'occupazione fascista e nazista, e fino alla Liberazione nel 1945, in questo territorio si contano circa un milione di morti. L'Italia fascista ha contribuito indirettamente a queste uccisioni con l'aggressione militare e l'appoggio offerto alle forze collaborazioniste che hanno condotto vere e proprie operazioni di sterminio. Ma anche direttamente con fucilazioni di prigionieri e ostaggi, rappresaglie, rastrellamenti e campi di concentramento, nei quali sono stati internati circa centomila jugoslavi.
Come studiosi di storia contemporanea, esperti del tema e figure professionali impegnate nella conservazione attiva della memoria siamo convinti che nei decenni passati non si sia raggiunta una piena consapevolezza di questi crimini, commessi purtroppo anche in nome dell'Italia. La Repubblica Italiana non ha mai espresso una netta condanna, ne' una presa di distanza radicale da queste atrocita': non sono stati istituiti giorni commemorativi, ne' sono state compiute visite di Stato in luoghi della memoria dei crimini fascisti in Jugoslavia.
Chiediamo dunque al Presidente della Repubblica e ai rappresentanti delle principali istituzioni una presa di coscienza di questo dramma storico rimosso. L'ottantesimo anniversario sarebbe l'occasione ideale per farsi carico della responsabilita' storica di pratiche criminali che erano il frutto di una logica politica, fascista e nazionalista, che noi oggi fermamente condanniamo, in nome dei valori costituzionali che fondano il patto di cittadinanza democratica. Una dichiarazione pubblica o una visita ufficiale (per esempio al campo di concentramento di Arbe, sull'isola di Rab, dove morirono di fame e di stenti circa 1.400 persone, in buona parte donne e bambini) avrebbero un notevole significato simbolico e dimostrerebbero il senso di responsabilita' delle nostre istituzioni e il riconoscimento della sofferenza inflitta ai popoli della Slovenia, della Croazia, del Montenegro, della Bosnia ed Erzegovina. Nel solco dei precedenti incontri ufficiali che hanno avuto luogo negli anni passati, dal noto "concerto dei tre presidenti" del 2010 alla visita a Basovizza nel luglio 2020, questa dichiarazione rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti sulla strada della riconciliazione europea e di una piu' ampia comprensione dei processi storici.
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Seguono numerose firme di illustri storici e prestigiose istituzioni culturali.
 
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: DOPO IL 23 MAGGIO
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 28 maggio 2016 con il titolo "Il museo dell'innocenza dimenticata".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com]
 
L'anniversario della strage di Capaci e' stato l'occasione per alcune iniziative che vanno ricordate e ha dato luogo ad alcune riflessioni che meritano di essere riprese.
Al palazzo di giustizia, per iniziativa dell'Associazione nazionale magistrati, si e' inaugurato un museo dedicato a Falcone e Borsellino nelle minuscole stanze che venivano indicate come il "bunkerino". Prima l'ufficio istruzione era al pianterreno e ricordo di aver visitato piu' volte Rocco Chinnici e indicato con preoccupazione quella vetrata sulla strada, una vetrina per un lavoro che avrebbe avuto bisogno di non essere esposto a occhi estranei. Chinnici, per giunta, osservava che non sapeva se il vetro era a prova di proiettile. Poi si penso' a quelle stanzette che somigliano a un sottoscala. Li' si e' svolto un lavoro che fa parte della storia dell'Italia migliore e il procuratore Scarpinato ha definito quei pochi metri quadri un "luogo dell'anima". A me e' sembrato un minireclusorio, una sorta di Lilliput per emarginati.
Nel corso della cerimonia nell'aula magna del palazzo di giustizia si e' detto che il 23 maggio dovrebbe servire non solo a organizzare le iniziative con i ragazzi che vengono da tutta l'Italia per una festa della legalita', ma pure, o soprattutto, come un giorno in cui fare il punto sulla mafia e sull'antimafia. Non solo slogan, ma riflessioni, bilanci e proposte.
Cos'e' la mafia oggi? E' la stessa di quella sui banchi del maxiprocesso? Allora si processo' una Cosa nostra piramidale e verticistica, con la cupola che decideva i grandi delitti e al vertice il capo dei capi. Era la mafia delle rivelazioni di Buscetta, che gia' allora era datata. La dittatura dei corleonesi aveva decimato i rappresentanti della cupola e instaurato una sorta di monarchia assoluta. Dopo c'e' stato lo smantellamento del pool, ci sono stati gli attentati di Capaci e di via d'Amelio, di Roma, Firenze e Milano e la legislazione sviluppatasi sull'onda dell'emergenza, come risposta all'escalation della violenza mafiosa, si amplio' con il carcere duro, la legislazione premiale per i collaboratori di giustizia e sullo scambio elettorale politico-mafioso, con una fattispecie che lo limitava, inverosimilmente, allo scambio voti contro denaro. Hanno cominciato a funzionare la Procura nazionale antimafia (il procuratore nazionale sarebbe stato Falcone, se fosse rimasto vivo? Lui mi ha detto che era sicuro ma io non lo ero) e la Dia, si sono svolti altri processi, con un infortunio colossale come la fiducia accordata a un falso pentito, di cui ancora si piangono le conseguenze. Si e' parlato di "metodo Falcone", di indagini cosi' accurate da dar luogo a processi con esiti positivi e questa insistenza potrebbe suonare criticamente alle orecchie di allievi di Falcone e Borsellino, il cui lavoro e' vanificato da processi con esiti diversi da quelli che si attendevano. Comunque Cosa nostra ha ricevuto colpi che non aveva mai avuto, con capi e gregari in carcere con pesanti condanne. Per colmare i vuoti ha dovuto ricorrere alle seconde e terze file, per rilanciarsi nel traffico di droghe ha dovuto convivere con gruppi etnici nuovi, Palermo e' diventata, o sta diventando, qualcosa di simile al melting pot americano. Il consenso e' stato ridimensionato con l'azione antiracket, ma rimane intatto in buona parte della citta': le persone che ostacolano la polizia e difendono il malvivente non e' detto che siano affiliate ma certamente vivono di illegalita' in un contesto in cui l'economia legale non c'e' o e' troppo esile, e si riconoscono nell'arrestato, considerandolo vittima della persecuzione di uno Stato considerato estraneo e nemico.
Non e' un caso che in citta' un esempio di denuncia di gruppo venga dai bengalesi, grazie all'azione di Addiopizzo, uno dei pochi esempi di antimafia sociale, assieme alle case confiscate ai mafiosi assegnate ai senza casa e all'uso sociale dei beni confiscati, con i problemi ben noti sul destino di molte imprese condannate al fallimento.
Possiamo dire: una mafia in crisi, scavalcata da altre mafie, che si sono esposte meno, che riprende le armi quando si vede toccata nei suoi interessi, come la sempiterna mafia dei pascoli, e un'antimafia gracile, afflitta da esibizionismi e da camuffamenti, che vanno dagli imprenditori collusi alle variazioni sul tema dell'antimafia gridata, trampolino di lancio per vanita' ostentate.
Una riflessione seria non puo' non partire dal calvario che hanno vissuto Chinnici, Falcone e Borsellino, prima della crocifissione. Ancora oggi c'e' chi li ha osteggiati e denigrati e ricorre a sofismi per giustificare posizioni indifendibili. Al palazzo di giustizia si e' detto che il piccolo museo deve ampliarsi, documentare adeguatamente ostacoli, invidie, emarginazioni che hanno accompagnato l'opera dei giudici migliori. Il problema e' come legare questa iniziativa benemerita alle altre realta', come il giardino della memoria e il progetto del Memoriale che dovrebbe sorgere a palazzo Guli'. Vinceranno le solite prassi della sconoscenza del lavoro altrui e del cominciare da zero o si riuscira' a creare una collaborazione che dia un'anima a una citta' in cui troppo spesso ci si contenta di riti e di devozioni?
 
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MORO E IMPASTATO, DUE STORIE DIVERSE NEL CONTESTO DELLE STRAGI
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riproponiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 7 maggio 2016 con il titolo "I misteri del '78 fra Cosa nostra e Brigate rosse"]
 
Com'e' noto lo stesso giorno, il 9 maggio del 1978, a Roma fu trovato il corpo senza vita di Aldo Moro e a Cinisi furono trovati i resti del corpo di Peppino Impastato. Che la contemporaneita' dei due eventi, e il clima di quegli anni, dominati dalla caccia ai terroristi, abbiano pesato nell'indirizzare le indagini sul delitto Impastato verso la pista dell'attentato conclusosi con la morte dell'attentatore o compiuto da un suicida, non c'e' dubbio, ma si e' trattato solo di un condizionamento investigativo o c'e' dell'altro?
Di questo si discutera' il pomeriggio del 7 maggio a Cinisi, nell'ambito delle iniziative per il XXXVIII anniversario dei due avvenimenti. All'incontro, tra gli altri, partecipera' Agnese Moro.
C'e' stato, o ci puo' essere stato un legame tra stragismo politico e stragismo mafioso? E tale legame riguardava solo il quadro nazionale o si inscriveva in un ambito piu' ampio, all'interno delle dinamiche geopolitiche?
Che la mafia abbia avuto un ruolo nel mezzo secolo della prima Repubblica, quando c'era da fronteggiare con tutti i mezzi, compresi quelli mafiosi, il "pericolo comunista", ormai fa parte dei luoghi comuni. La Commissione stragi negli anni '90 sottolineava l'anomalia italiana, derivante dalla collocazione dell'Italia come paese di frontiera tra mondo occidentale e mondo comunista, che aveva come conseguenza la sovranita' limitata. Ma non operava solo la relazione Est-Ovest, ma anche quella Nord-Sud, per cui la parte assegnata all'Italia era rigidamente configurata: tenere fuori dall'area del potere il Partito comunista (l'operazione comincia nel maggio del 1947, subito dopo la strage di Portella, risposta alla vittoria delle sinistre alle prime elezioni regionali), assicurare il controllo sul Mediterraneo ospitando le basi americane. Chi opera in contrasto con questi compiti e' un nemico. E' la democrazia bloccata, con il Pci relegato all'opposizione: e' stato protagonista della Resistenza e della gestazione dello Stato, ma e' legato al nemico numero uno: l'Unione Sovietica. Cosi' e' un nemico Mattei che vuole ribaltare l'ordine economico mondiale fondato sul monopolio del petrolio delle corporations anglo-americane; sono nemici i politici che vogliono dare all'Italia un ruolo diverso da quello di fedele assistente della gendarmeria statunitense e della Nato.
Negli anni '70 l'avanzata del Pci, con il rischio del sorpasso rispetto alla Dc, movimenta un quadro che si pensava potesse tenere all'infinito e proliferano le azioni terroristiche, nere o rosse, con l'intento di spingere verso forme di autoritarismo, con o senza golpe, o verso esiti rivoluzionari di tipo classico: la presa del potere e l'instaurazione del comunismo.
Moro incarna tutte le problematiche derivanti da questo intreccio di relazioni internazionali; si muove, con proverbiale prudenza ma con determinazione, per rinnovare il quadro politico-governativo aprendo al Pci, nel tentativo di buttare giu' il pilastro portante della democrazia bloccata, e' filopalestinese e filoarabo, suscitando le preoccupazione di Israele (il Mossad, il servizio segreto israeliano, ha ampia liberta' di movimento in Italia) e degli Stati Uniti. Fino a che punto le Brigate rosse hanno agito autonomamente o sono state "influenzate" da altri soggetti interessati a porre fine non solo a un personaggio ma a una politica?
Impastato denuncia il ruolo della mafia, in un periodo in cui se ne parlava poco o niente, le sue connessioni con l'attivita' politico-amministrativa, l'identificazione con la Democrazia cristiana, i compromessi del Pci, attacca le istituzioni, in particolare l'arma dei carabinieri per le perquisizioni in casa di dirigenti e militanti di sinistra dopo la strage nella casermetta di Alcamo, del gennaio 1976; nei notiziari di Radio Aut ampio spazio e' dato alle notizie internazionali. E' un "estremista" e ai mafiosi conviene farlo passare per terrorista, replicando la loro immagine di uomini d'ordine, che calza a pennello a un personaggio come Badalamenti, in ottimi rapporti con amministratori e marescialli. La mafia rafforzera' quell'immagine con l'assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, nel 1982, che piu' che un favore ai servizi segreti si puo' considerare frutto di un'identita' di vedute (si e' parlato della mafia come una sorta di Gladio regionale). La mobilitazione contro l'installazione dei missili a Comiso e' in pieno contrasto con il nuovo assetto della strategia militare degli Stati Uniti e della Nato. E poi c'e' tutta la sua attivita', di dirigente delle lotte contadine e di parlamentare impegnato nella lotta alla mafia, culminata con la redazione di quella che sara' la legge antimafia.
Partecipera' all'incontro anche Rita Di Giovacchino che nel suo libro Stragi considera le variabili, o le costanti, che possano avere influito in quegli anni, continuando il discorso cominciato con il Libro nero della prima Repubblica. Il quadro e' affollato: servizi segreti e massoneria normalmente "deviati", l'organizzazione segreta Gladio e la Falange armata, fascisti irriducibili e sanguinari strateghi di rivoluzioni improbabili, terroristi neri alleati di apparati istituzionali, protagonisti della criminalizzazione dello Stato a impunita' garantita, trattative mafia-Stato che costituiscono non l'eccezione ma la regola. La mafia svolge il suo compito ma si prepara a una guerra interna, la piu' sanguinosa della sua storia, e alla macelleria esterna che decima i vertici delle istituzioni. Segno che non gradisce le reazioni all'escalation della delittuosita'. Con il crollo del comunismo e la repressione dopo i grandi delitti e le stragi, dovra' cercare un nuovo ruolo. Di mafia, delle sue trasformazioni reali o presunte, e di antimafia, dei suoi problemi e delle sue realizzazioni, parleremo il pomeriggio dell'8 maggio, in un programma denso di iniziative che ci sembra il modo migliore per ricordare Peppino Impastato.
 
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: I PROBLEMI DELL'ANTIMAFIA
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riproponiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 27 aprile 2016 con il titolo "Il pericolo degli 'eroi di carta'"]
 
Sembra un tiro al bersaglio, prima gli imprenditori, poi una magistrata e una prefetta, ora qualche altro imprenditore ufficialmente antimafioso e un telegiornalista. L'antimafia vive una fase difficile e qualcuno propone un manifesto per "una nuova antimafia" con discutibili autoinvestiture. Su queste pagine sono state annunciate alcune anticipazioni. La nuova antimafia dev'essere "distante da magistratura e politica" e da un giornalismo che "costruisce simboli e non fa inchieste". Deve andare "a piedi scalzi", rinunciando ai lauti finanziamenti di cui godono le associazioni piu' note.
Che ci sia bisogno di una riflessione seria, non ci sono dubbi e bisognerebbe soprattutto riflettere su cos'e' la mafia oggi e cos'e' stata l'antimafia negli ultimi decenni.
Il problema non e' solo la mafia siciliana, Cosa nostra e dintorni che vivono un periodo di crisi, alla ricerca di un ruolo in un mondo profondamente trasformato dai processi di globalizzazione. All'interno di questi processi agiscono aspetti criminogeni che generano mafie o qualcosa di simile, cioe' strutture criminali variamente organizzate ma capaci di sfruttare le convenienze offerte dalla finanziarizzazione e dall'emarginazione dal mercato di grandi aree del pianeta. In questo modo fenomeni classificabili come mafiosi proliferano sia nei centri che nelle periferie. Sono fenomeni contemporanei e dotati di futuro, anche quando riciclano forme arcaiche. E non bastano paradigmi diventati luoghi comuni come la "liquidita'". Per sfruttare le occasioni ci vuole un'organizzazione flessibile ma non certo improvvisata e precaria. Anche Cosa nostra attuale non pare piu' quella del maxiprocesso ma non e' certo un mutante alla deriva e non pare voglia imitare la monadizzazione camorristica che ha come effetto la guerra permanente.
In questo quadro l'antimafia si e' formata soprattutto come predicazione della legalita', sostegno alla magistratura piu' impegnata, scorta civica ai magistrati piu' esposti, gregarismo rispetto a protagonisti monopolizzatori dell'antimafia che conta: qualche familiare di vittima illustre, qualche leader di tipo carismatico, capace di organizzare grandi eventi. Dopo il tramonto delle grandi narrazioni, delle ideologie piu' o meno forti e delle forme-partito, la societa' civile e' emersa come la sede naturale dell'associazionismo alternativo e dell'antimafia che si autodefinisce sociale, ma spesso e' solo capace di elaborare stereotipi e di praticare rituali piu' o meno partecipati. La societa' civile riproduce la società nel suo complesso, riflette la crisi delle democrazie, afflitte da leaderismi e fidelizzazioni. I Berlusconi e i Renzi non ci sono solo in politica, proliferano anche altrove. Da questo punto di vista quel che e' accaduto piu' volte in Libera, con l'emarginazioni di voci che mostravano una qualche autonomia, costituisce l'esempio piu' significativo. Com'e' pure significativo il ruolo dei media nella creazione degli "eroi di carta", delle reincarnazioni del Verbo (prima Arlacchi, ora Saviano), dei santoni alla ricerca di chierichetti.
In una societa' a illegalita' diffusa e strutturale la magistratura ha assunto un ruolo di superpotere e anche qui non mancano protagonisti, giustizieri, salvatori della patria. Quel che e' accaduto a Telejato puo' darsi che abbia il sapore di rivalsa, ma c'e' un modo di fare giornalismo che pende troppo verso il protagonismo piu' o meno accentuato. In sociologia si parla di "imprenditori morali", non so se sia una diagnosi corretta ma certi toni richiamano i predicatori delle crociate. Piu' che "manifesti" stilati da alcuni big dell'antimafia e da qualche cantore di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, occorre una certa dose di buon senso e una massiccia dose di umilta'.
E a proposito di "piedi scalzi", un problema e' l'uso dei fondi pubblici, in Sicilia e non solo. Il Centro Impastato e' stato sempre isolato nella sua richiesta di una legislazione che fissi dei criteri oggettivi per l'erogazione di denaro pubblico. E cosi', con o senza tabella H, gran parte delle associazioni antimafia ha goduto e gode di fondi pubblici assegnati con criteri clientelari e personali. Sarebbe gia' tanto se si chiudesse il capitolo dell'antimafia assistita e si ponesse fine a questo arrembaggio al pubblico denaro.
 
7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: CHE SUCCEDE IN LIBERA...
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" l'8 dicembre 2015 con il titolo "La gestione carismatica fa male all'antimafia"]
 
La notizia e' stata data come se fosse un fulmine a ciel sereno, e invece si tratta di una replica, di un deja' vu. Comprendo la reazione di Franco La Torre, figlio di Pio, che si e' visto recapitare un messaggio da don Ciotti in cui lo si avvertiva che era venuto a mancare il rapporto di fiducia e quindi non avrebbe fatto piu' parte del consiglio di presidenza di Libera, ma quel che e' accaduto si spiega se si guarda alla storia del coordinamento antimafia piu' noto e prestigioso a livello nazionale e al suo funzionamento, almeno per quello che sono riuscito a capire negli anni in cui come rappresentante del Centro Impastato ne ho fatto parte. Ma prima vediamo quale sarebbero le "colpe" di Franco La Torre che avrebbero incrinato la fiducia del sacerdote che dirige Libera dai suoi primi passi. In un'assemblea nazionale La Torre, da alcuni anni dirigente nazionale e internazionale delle reti di Libera, ha mosso delle critiche all'operato dell'organizzazione su alcuni temi di fondo, come l'inchiesta su Mafia capitale, i recenti avvenimenti sul fronte dell'uso dei beni confiscati, il processo di formazione dei dirigenti e la mancanza del confronto necessario per raggiungere decisioni condivise. La risposta di don Ciotti e' stata un sms che corrisponde a un licenziamento. Lo dicevo gia': non e' la prima volta che succede e bisogna rifare, anche se sinteticamente, il percorso che ha portato alla nascita di Libera. L'associazione di associazioni e' nata nel 1995 con un'assemblea a cui sono state invitate l'Arci, le Acli, la Sinistra giovanile, era la logica dei comitati Prodi che si formavano in quel periodo. Ricordo una lettera inviatami da Luciano Violante, uno dei padrini di battesimo, in cui spiegava il mancato invito al Centro e ad altre realta' di Palermo e della Sicilia come un "disguido". Ma si trattava di qualcos'altro, tanto che il primo nucleo di Libera era formato dalle sezioni locali di quelle associazioni nazionali e come referenti regionali vennero nominati, non eletti, i loro rappresentanti. In Sicilia tocco' a una rappresentante delle Acli, che mai si era particolarmente impegnata in iniziative antimafia. In un'assemblea svoltasi a Palermo, il Centro Impastato e il Centro sociale san Saverio dell'Albergheria posero il problema, don Ciotti non ritenne di doverlo affrontare, invitando genericamente all'unita', e i due centri decisero di non aderire. Alle elezioni regionali del 2001 la rappresentante regionale di Libera si candido' con Forza Italia e fu indotta a dimettersi. Si riapri' la discussione e, fiduciosi in un nuovo clima, noi del Centro decidemmo di associarci. Negli anni successivi nacquero problemi che portarono alla "sparizione" di due vicepresidenti nazionali e al dimissionamento delle rappresentati nazionali del lavoro nelle scuole e per i beni confiscati, due militanti siciliane. Chi invitava ad aprire una discussione fu messo alla porta, come il gruppo di Palermo, uno dei piu' attivi a livello nazionale. In un articolo pubblicato su queste pagine, il 18 novembre 2006, scrivevo che "una gestione di tipo carismatico rischia di vanificare anni di lavoro e di emarginare esperienze preziosissime. C'e' da augurasi che si faccia strada una democrazia interna indispensabile in un'organizzazione che piu' che una monarchia dev'essere una confederazione di realta' diverse e un laboratorio di analisi, di progetti e di iniziative, nel rispetto della storia e dell'identita' di tutte le componenti". Successivamente mi arriva un messaggio in cui mi viene detto che don Ciotti mi sospende, "temporaneamente", dall'organizzazione. Un trattamento da scolaretto discolo. Preferisco dimettermi.
Quello che e' accaduto adesso a La Torre dimostra che quel tipo di gestione non e' un ricordo del passato. Qualcuno ha scritto che il carisma e' una risorsa, ma puo' diventare un problema se l'invito alla discussione, qualsiasi accenno di critica, anche la piu' seria e costruttiva, vengono considerati un'offesa personale e aprono la strada all'esclusione.
Con tutto quello che e' accaduto negli ultimi mesi, con imprenditori che passavano per antimafiosi incriminati o arrestati per mafia, l'ufficio del tribunale di Palermo per il conferimento degli incarichi ai liquidatori giudiziari dei beni confiscati, il piu' importante a livello nazionale, gestito con criteri clientelari, le giuste critiche all'associazionismo antimafia del presidente del Senato Pietro Grasso, con il rischio pero' di mettere tutti nello stesso mazzo, bisognerebbe fare del confronto la scelta indispensabile per venire a capo di problemi che mettono in forse i principi fondamentali su cui dovrebbe fondarsi l'antimafia. Ci si puo' solo augurare che sulle lacerazioni e contrapposizioni prevalgano le ragioni del dialogo e dell'impegno comune.
 
8. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: A PALERMO LA CONFERENZA SU PACE E DIRITTI NEL MEDITERRANEO. LA PACE NAVIGA CONTROCORRENTE....
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 20 novembre 2015 con il titolo "I coraggiosi della pace che sfidano la guerra"]
 
Il 12 e il 13 novembre a Palermo si e' svolta una conferenza su pace e diritti nel Mediterraneo, promossa dall'associazione Primalepersone, dall'Adif (Associazione diritti e frontiere), dall'Universita', dal Comune e dalla Consulta delle culture, con il contributo della Sinistra unitaria europea. Vi hanno partecipato protagonisti storici della vita politica e del pacifismo, studiosi, operatori sociali, europarlamentari e hanno portato la loro testimonianza rappresentanti delle comunita' extracomunitarie presenti in citta'.
La conferenza ha avuto il merito di mettere insieme temi che abitualmente vengono considerati separabili: dai mutamenti climatici alle migrazioni, dalla pace ai diritti umani. Filo conduttore degli interventi e' stata la considerazione che ci troviamo di fronte a problemi che non sono leggibili sotto la voce "emergenze" ma sono strutturalmente legati alle dinamiche della globalizzazione cosi' come si e' configurata negli ultimi decenni. Un'economia sempre piu' segnata dalla finanziarizzazione, che emargina gran parte della popolazione mondiale e arricchisce ulteriormente una sparuta minoranza, che incentiva le guerre per assicurarsi le risorse mondiali, calpesta diritti umani fondamentali, come quello alla mobilita', dopo aver reso invivibili molte aree del pianeta, e aggrava il disastro ambientale.
Che ruolo ha l'Unione europea? Le scelte, ribadite dalla conferenza di Malta della settimana scorsa, fondate sulle quote di rifugiati assegnate ai singoli paesi membri, con dei no espliciti dei paesi dell'Est che frappongono muri e fili spinati, e sulla mobilita' forzata e la esternalizzazione delle frontiere, con il mandato ai paesi da cui muovono i flussi migratori, spesso retti da dittature, di contenere le persone dentro i loro confini, invece di avviare una strategia adeguata replicano la logica dell'emergenza.
E mentre milioni di persone si accingono a lasciare i loro paesi, va in scena una guerra che assume forme diverse dalle guerre tradizionali: qualcuno parla, credo che l'abbia fatto per primo Papa Francesco, di prove generali di una terza guerra mondiale. I massacri di Parigi del 13 novembre, che fanno seguito ad altre ecatombi (ma siamo pronti a commuoverci solo per quello che avviene a casa nostra o negli immediati dintorni) ne sono la riprova e le minacce rivolte ad altri paesi e ad altre citta', Roma, Londra e Washington, e' probabile che trovino i fedeli di un dio fatto a immagine e somiglianza degli istinti umani peggiori pronti a metterle in atto.
Parlare di pace in questo momento storico puo' sembrare il pio desiderio di anime belle che non vogliono prendere atto della realta', ma non c'e' niente di piu' realistico della consapevolezza dei disastri che le guerre e le politiche internazionali hanno prodotto, suscitando odio verso i paesi occidentali, spingendo frange crescenti verso il fanatismo religioso e l'apocalisse con il kalashnikov. Lo spettacolo dell'orrore messo in scena dall'Isis si inserisce in un contesto in cui proliferano conflitti in varie parti del pianeta e ne' gli organi internazionali ne' gli stati nazionali sono capaci di pensare e attuare una strategia che vada alle radici delle tensioni. In questo quadro gli unici che possono fregarsi le mani per il buon andamento dei loro affari sono i produttori e i trafficanti di armi.
Lo stereotipo dell'emergenza vale anche per le mafie transnazionali. Le mafie accumulano grandi masse di capitale, favorite dai proibizionismi che sbarrano la strada ai canali legali e sanciscono il loro oligopolio dei traffici internazionali, da quello delle droghe a quello degli esseri umani. Il crimine organizzato, lungi dall'essere un fenomeno residuale, fa parte a pieno titolo di questo contesto e le attivita' illegali sono fra le fonti di finanziamento del sedicente stato islamico.
Nel suo ultimo libro, una sorta di testamento, Luciano Gallino parla della scomparsa del pensiero critico e della vittoria della stupidita'. Mentre il neoliberismo si atteggia a pensiero unico di un Occidente la cui tavola di valori e' ridotta alla competizione per aggiungere qualche punto di Pil, il fanatismo pesca nei libri sacri le credenziali per la replica della guerra santa. In questo quadro l'unica strada che puo' portarci fuori dallo scontro di civilta', con esiti disastrosi per tutta l'umanita', e' la riscoperta delle ragioni fondamentali della convivenza civile. Costruire la pace, realizzandone quotidianamente le condizioni, promuovere nuove forme di partecipazione democratica, ridare un senso a una rappresentanza sempre piu' mortificata, intrecciare rapporti tra quanti vogliono operare in questa direzione e non vogliono arrendersi a logiche che danno per ineluttabile la situazione attuale, denunciare le complicita' a vari livelli: questi vogliono essere gli obiettivi della conferenza di Palermo, che e' solo il primo passo di un programma di impegni. Utopie concrete che sanno di doversi misurare con le difficolta' di una navigazione controcorrente.
 
9. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
10. NUGAE. TRE RACCOLTE DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: "IL CUGINO DI MAZZINI", "DUE DURE STORIE" E "STORIE NERE DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE"
 
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) tre raccolte di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie", "Due dure storie. Rieducare gli educatori e Il delitto della principessa di Ebla" e "Storie nere dall'autobiografia della nazione".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverle puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarle.
 
11. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Mario Cervi, "Il giornalismo, la mia vita", Societa' Europea di Edizioni - Il Giornale, Milano 2021, pp. 176, euro 7,50.
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Riedizioni
- Mario Tangheroni, Commercio e navigazione nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1996, Rcs, Milano 2021, pp. 480, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Gialli
- Ellery Queen, Il re e' morto, Mondadori, Milano 2020, pp. 304, euro 6,90.
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Strumenti
- Susanna Granello (a cura di), Agenda della scuola. Anno scolastico 2020/2021. Terzo trimestre, Tecnodid, Napoli 2021, pp. 208, euro 40.
 
12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
13. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4069 del 9 aprile 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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