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[Nonviolenza] Telegrammi. 4060
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 4060
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Tue, 30 Mar 2021 18:29:02 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4060 del 31 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Un numero monografico di "Azione nonviolenta" su "Un secolo di resistenza alla guerra" dedicato al centenario della War Resisters’ International (1921-2021)
2. Lea Melandri: Covid e vittime. Mors tua, vita mea...
3. Umberto Santino: Mafia e politica, ovvero: le porte girevoli
4. Umberto Santino: I problemi dell'antimafia e la "qualita' del consenso". Nell'anniversario dell'assassinio di Libero Grassi
5. Umberto Santino: Mafia capitale e antimafia...
6. Umberto Santino: Borsellino 25 anni dopo: piu' domande che risposte...
7. Umberto Santino: La mafia tra violenza e collusione. Dagli ultimi omicidi ai vandali dello ZEN
8. Umberto Santino: Al Congresso nazionale dei geografi per la prima volta si parla di mafie
9. Giobbe Santabarbara: La strage degli innocenti. L'anno del governo delle leggi razziste, l'anno del governo dell'ecatombe
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. STRUMENTI. UN NUMERO MONOGRAFICO DI "AZIONE NONVIOLENTA" SU "UN SECOLO DI RESISTENZA ALLA GUERRA" DEDICATO AL CENTENARIO DELLA WAR RESISTERS' INTERNATIONAL (1921-2021)
[Dal sito di "Azione nonviolenta (www.azionenonviolenta.it) riprendiamo e diffondiamo]
E' uscito il numero 1 di gennaio-febbraio 2021 (Anno 58, n. 643) di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, bimestrale di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Fascicolo monografico su "Un secolo di resistenza alla guerra", dedicato al centenario della War Resisters' International (1921-2021).
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In questo numero:
Editoriale di Mao Valpiana, Nonviolenti di tutti i Paesi, unitevi! Contro il peggior crimine dell'umanita'; Cent'anni di storia della War Resisters' Internationale, a cura della Redazione; Mezzo secolo di attivismo antimilitarista e nonviolento, nostra intervista ad Albert Beale; L'organizzazione mondiale nel sogno di Aldo Capitini, di Daniele Taurino; I campi di lavoro-studio e l'obiezione di coscienza, nostra intervista a Daniele Lugli; Appello al popolo italiano nel nome di San Francesco e Mazzini, di Harold Bing; L'operazione Omega e la nonviolenza umanitaria, a cura della redazione; Vedere il movimento globale dall'organizzazione dello staffa, nostra intervista a Veronica Kelly; Sempre in viaggio per la pace tra campi di lavoro e di studio, nostra intervista a Franco Perna; La presenza dei Radicali oltre il muro di Berlino, a cura della redazione; Le nostre Campagne internazionali contro tutte le guerre, di Francesco Vignarca; La resistenza nonviolenta, ieri e oggi, di Daniele Quilli e Daniele Taurino.
In copertina: Centenary WRI.
In seconda di copertina: Sommario.
In terza di copertina: 2021.
In quarta di copertina: WRI Bulletin n. 1, 1923.
Il numero monografico e' impreziosito da foto d'epoca, tratte dall'Archivio del Movimento Nonviolento (Verona) e dall'Archivio della War Resisters' International (Londra).
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Direzione e amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax: 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19); e-mail: an at nonviolenti.org ; sito: www.azionenonviolenta.it
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 32 euro sul ccp n. 18745455 intestato al Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona (Iban: IT 35 U 07601 11700 000018745455).
Direttamente dal sito azionenonviolenta.it tramite il bottone E-shop.
Abbonamento solo in formato elettronico, 20 euro.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: COVID E VITTIME. MORS TUA, VITA MEA...
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso su "Il Riformista" del 10 novembre 2020.
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]
Nei dibattiti televisivi la domanda ricorrente che viene fatta a politici e medici e' quante persone possono sedere insieme alle tavole delle feste natalizie, per evitare contagi. Nessun accenno a quante mancheranno quest'anno al tradizionale appuntamento che vede riuniti famigliari e amici. Tenuto conto del numero dei decessi, che negli ultimi giorni in Italia ha sfiorato i mille, dobbiamo pensare che i posti vuoti saranno tanti e tanti, negli interni delle case, a ricordare con dolore chi manca.
Eppure, per quello scarto che ancora resta tra il singolo e la collettivita', l'attenzione pubblica sembra concentrata sulla conta dei morti che, "senza lutti, senza funerali", come ha scritto Christian Raimo, ci vien comunicata ogni sera, senza essere accompagnata dagli interrogativi e dalle preoccupazioni che ci si aspetterebbe. Lo stesso Presidente del Consiglio, illustrando il nuovo Dcpm, in diretta da Palazzo Chigi il 3 dicembre, non ne ha fatto cenno.
Dietro la crescita impressionante dei numeri spariscono volti e nomi, cosi' come il dove e il come di quelle perdite. "I morti tacciono", e' il titolo inquietante di una novella di Arthur Schnitzler. In realta' sono le loro vite che precipitano nel silenzio, quando diventano una massa indistinta e anonima da cui si ha fretta di distogliere sguardi e riflessione. E' paura, indifferenza, rimozione, o il fatto che, trattandosi in netta prevalenza di anziani, la loro morte si da' per scontata, come se si trattasse di accettare, piu' o meno consapevolmente, una sorta di sotterranea eugenetica che il covid ha solo accentuato?
Io parlerei piuttosto di "assuefazione". Cosi' la definisce il dizionario Treccani: "Assuefare e assuefarsi a un clima, a un genere di vita, a un farmaco (...) fenomeno che si verifica nell'organismo per effetto della somministrazione continua di un farmaco (analgesici, tranquillanti, ecc.) per cui viene a diminuire, o addirittura ad annullarsi, la sua efficacia...".
Tenuto conto che l'aggiornamento e' quotidiano, il numero dei morti non si puo' ignorare, per cui quello che viene meno, piu' o meno consapevolmente, e' l'empatia, il sentimento che si accompagna al dolore della perdita, anche di chi non conosciamo, la compassione nel suo senso piu' profondo, come partecipazione alla sofferenza dell'altro. Si potrebbe parlare di una sorta di anestesia che si prova guardando al numero dei decessi e non a chi ci sta dietro.
Anche la corsa allo "svago", piu' che una cancellazione dei lutti, assomiglia a quel bisogno di sopravvivenza che Elias Canetti associa al detto medioevale "Mors tua, vita mea". Per quanto sia difficile riconoscerlo, anche quando ci lascia qualcuno vicino a noi - come scrive Rossana Rossanda - "in fondo, in qualche modo, il sopravvivere agli altri alimenta l'idea falsa e onnipotente di una nostra solitudine dovuta al fatto che loro sono morti e noi no". (R.Rossanda, M.Fraire, "La perdita", Bollati Boringhieri 2008).
Se non si vuole arrivare a dire che, dietro l'assuefazione, in una societa' di massa guidata da logiche produttivistiche e competitive, c'e', stando al pensiero di Canetti, la sopravvivenza come potere - "vivere sopra", "vivere a spese altrui" -, bisogna riconoscere che la pandemia, e in particolare "l'immunita' di gregge" vista come un traguardo, hanno aperto uno squarcio su cio' che e' rimasto finora l'"impensabile" e "irrappresentabile" della morte, ma anche sugli anni e le infermita' che la precedono.
Il bisogno di cura, la dipendenza dagli altri in particolari fasi della vita, come l'infanzia, la vecchiaia, la malattia, sono elementi costitutivi dell'esperienza umana, eppure non hanno mai avuto la centralita' che meritano, sia per l'etica pubblica sia per la teoria politica. E' una svalutazione che non possiamo attribuire solo al neoliberismo, che oggi mette al lavoro la vita intera per restituirla come un vuoto a perdere quando diventa "improduttiva".
Una ragione meno indagata penso si debba cercarla nel dominio del sesso che ha riservato a se' la sfera pubblica, lasciando alla donna la funzione di continuatrice della specie, identificata come tale col corpo e le sue traversie. Fuori dalla polis, insieme a meta' del genere umano, sono rimaste a lungo le esperienze che hanno la materialita' del nostro essere, le nostre radici biologiche, come parte in causa. Consegnati alla natura e al privato, l'invecchiamento e la morte hanno subito la sorte di tutto cio' che e' stato considerato "non politico", e percio' anche fuori dalla storia e dalla cultura. Nel suo libro "Ai confini del corpo", il filosofo Franco Rella scrive: "Il quesito non poteva che essere quello estremo: come dare figura alla morte, e a quella morte in vita che e' la vecchiaia, come impedire che la ribellione alla finitezza umana continui a generare una violenza mortifera, come impedire che il sentimento dell'ultimo, invalicabile confine produca anche lo sgretolamento definitivo della parola che vorrebbe rappresentarlo". (F.Rella, "Ai confini del corpo", Garzanti 2012).
Con la pandemia si puo' dire che la morte, non solo e' uscita dal privato, vissuta spesso con dolore nell'isolamento di un letto di ospedale, lontano da parenti e amici, ma che rischia di essere spogliata del suo carico esistenziale quando a farla apparire sono solo i numeri di quanti sono stati colpiti mortalmente dal contagio.
3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MAFIA E POLITICA, OVVERO: LE PORTE GIREVOLI
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 9 settembre 2017 con il titolo "Mafia e politica, e' il tempo delle porte girevoli".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com]
Una giornalista non siciliana mi ha chiesto come mai nelle discussioni in corso per l'affannosa ricerca di candidati alle prossime elezioni regionali, non si parli di mafia e cosa penso dei rapporti tra mafia e politica nella fase attuale.
Ho risposto che il "come mai" mi sembra fuori luogo, poiche' anche prima, si fosse o meno in campagna elettorale, si parlava di mafia quando c'erano le montagne di morti e tra le vittime c'erano personaggi come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Al di fuori di queste "emergenze", l'idea di mafia era quella di un carretto siciliano sperso in qualche trazzera polverosa.
Quanto al rapporto tra mafia e politica, ho cercato di tracciare una storia ridotta all'osso. Fino agli anni Settanta del secolo scorso, le cose erano molto semplici, prevedibili. Una mafia "a regime", con una signoria territoriale di tipo totalitario, un'accumulazione a gonfie vele, legata ai traffici internazionali ma sempre ancorata alle convenienze offerte dal contesto locale, intratteneva rapporti, continuativi e proficui per entrambi, con il partito che ha monopolizzato il potere per quasi mezzo secolo.
Nei primi anni '80 il quadro e' mutato: i "corleonesi", stanchi di fare i parenti poveri, hanno dichiarato guerra ai palermitani, che avevano gestito monopolisticamente potere e affari, lasciando sul terreno centinaia di morti, e i mafiosi perdenti hanno preferito diventare collaboratori di giustizia, mettendo in piazza i segreti. I delitti che hanno colpito uomini delle istituzioni hanno innescato la reazione che ha portato alla legge antimafia e al maxiprocesso. Le stragi del primi anni Novanta hanno portato a nuovi provvedimenti, come il carcere duro. Le condanne di capi e gregari hanno azzerato i centri di comando e decimato gli organici. Le manifestazioni suscitate dall'indignazione per la violenza mafiosa, vista come un assedio alla vita di tutti, le attivita' delle associazioni, il lavoro nelle scuole, le confische dei beni dei mafiosi, le denunce delle estorsioni, hanno mostrato che la signoria sul territorio non era piu' una dittatura subita passivamente. La mafia ha perso l'egemonia nel traffico di droga, praticato da altri gruppi criminali, meglio posizionati e meno esposti alla repressione, e con l'intrecciarsi di questioni che vanno sotto il nome di geopolitica, come l'implosione del socialismo reale e l'archiviazione del Pci, non ha piu' il ruolo di baluardo contro il comunismo e ogni forma di opposizione e di alternativa, che le garantiva l'impunita' come forma di legittimazione. Sul piano politico, al posto dei partiti storici, spazzati via dalle inchieste sulla corruzione, sono subentrati club personali, ditte padronali, agenzie pubblicitarie, santoni e chierichetti del web, dilettanti allo sbaraglio, giovanotti senza arte ne' parte che si improvvisano salvatori della patria.
Forse la metafora piu' adatta per rappresentare questi mutamenti e' quella delle porte girevoli, che puo' valere sia per la mafia che per il contesto politico. Scompaginata dalla dittatura dei corleonesi la tradizionale struttura organizzativa, che vedeva alla base le famiglie, come corpi intermedi i mandamenti, al vertice le commissioni e in testa il capo dei capi, negli ultimi anni il comando e' stato assunto, con reggenze incerte e precarie, dagli uomini delle seconde file, in sostituzione dei capi carcerati. Questi ultimi, una volta usciti dalle prigioni, vogliono tornare al comando, e nascono frizioni, com'e' dimostrato da qualche delitto degli ultimi mesi. Anche il sistema relazionale e' soggetto a mutazioni: nella ricerca di interlocutori con cui fare accordi e gestire affari, il ventaglio delle possibilita', soprattutto a livello politico-istituzionale, si e' allargato, ma adesso ci sono piu' rischi e meno certezze. E sono finiti i tempi d'oro della spesa pubblica. Comunque, sia all'interno che all'esterno, si puo' dire che la mafia abbia installato le porte girevoli.
Nel quadro politico, una volta archiviate le ideologie identitarie, rottamate come ferrivecchi, un passato da dimenticare e far dimenticare, sostituite con le affabulazioni dello storytelling, i passaggi da uno schieramento all'altro sono all'ordine del giorno. I voltagabbana prima erano delle eccezioni ora sono la regola, poiche' l'unica cosa che conta e' l'occupazione del potere. La politica, che e' sempre stata arte della mediazione, prima mediava tra interessi e valori, adesso deve districarsi tra opportunismo e trasformismo.
Le elezioni sono un rito sempre meno frequentato, con la meta' degli elettori che praticano lo sciopero del voto. L'unico sciopero che puo' permettersi chi ha perso il lavoro o non l'avra' mai. La metafora della porta girevole varra' per la mafia e per la politica, ma certamente non vale per il mercato del lavoro: con la crisi che si pensa di risolvere con la delocalizzazione delle aziende, massimizzando profitti e licenziamenti, chi esce non rientra piu' ed e' condannato a far parte della massa di disoccupati, precari, emarginati, che non ha nessuna rappresentanza ed e' troppo frammentata e divisa per darsene una sua. Potrebbe essere un terreno su cui costruire un'alternativa credibile, ma non pare che ci sia qualcuno che voglia misurarsi con questi temi nella campagna elettorale.
Non so se queste riflessioni hanno convinto la giornalista. Mi ha salutato osservando che anche nel mondo dell'informazione non mancano le porte girevoli. Ho ricordato che ci sono stati giornalisti che per fare il loro mestiere hanno perso la vita e ci sono tanti altri che non praticano il copiaeincolla.
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: I PROBLEMI DELL'ANTIMAFIA E LA "QUALITA' DEL CONSENSO". NELL'ANNIVERSARIO DELL'ASSASSINIO DI LIBERO GRASSI
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 27 agosto 2017 con il titolo "Ma e' finito il tempo degli eroi solitari?"]
Nel ventiseiesimo anniversario dell'assassinio di Libero Grassi, se non vogliamo limitarci a un rito stanco e ripetitivo, gli dobbiamo un atto di maturita' e di lealta'.
Dalla sua denuncia in quasi totale solitudine sappiamo che molte cose sono cambiate: i commercianti e gli imprenditori che denunciano non sono piu' un'eccezione, anche se non si puo' dire che costituiscano la regola; sono nate associazioni antiracket in buona parte dell'Italia, c'e' un impegno delle istituzioni e la lotta contro le estorsioni e' diventata una delle forme piu' significative dell'antimafia e piu' ricche di risultati, ma negli ultimi anni un percorso che sembrava decisamente avviato a produrre un profondo mutamento nei comportamenti degli operatori economici e dei cittadini, consapevoli che il pizzo riguarda anche loro, mostra incrinature e pone problemi. Affrontarli, con un confronto franco e aperto, mi pare il modo migliore per ricordare Libero Grassi.
Il movimento antiracket, tenendo conto della pervasivita' del fenomeno estorsivo e della complessita' dei rapporti che da esso scaturiscono, deve confrontarsi con una societa' in cui non e' facile distinguere tra chi compie scelte limpide e definitive e chi, per origini familiari, per legami forti e codici culturali sedimentati, non riesce a dare un taglio netto. Si parla di figure borderline e si pone un dilemma: emarginarle e condannarle a una sudditanza irredimibile o accompagnarle, con intelligenza e con gli occhi ben aperti, in un percorso di liberazione? Non e' un problema nuovo, ma e' antico quanto l'antimafia. Se ne discusse gia' ai tempi dei Fasci siciliani, accogliendo nelle loro file pregiudicati e offrendo loro una possibilita' di affrancarsi coinvolgendoli in un progetto collettivo. Per andare a tempi piu' recenti, quando alcune donne del popolo palermitano si sono costituite parti civili in processi di mafia, a cominciare dal maxiprocesso, rompendo con la cultura della passivita' e della soggezione, e hanno avuto il sostegno solo di pochissimi, mentre gran parte dello schieramento antimafia le ha isolate, avanzando riserve sulla personalita' delle vittime, non si e' dato un buon segnale: invece di incoraggiare altri a seguire il loro esempio, si e' avuto l'effetto di inchiodarli a un destino gia' segnato. Per alcuni l'antimafia sembra essere un club esclusivo, una forma di perbenismo. Ma non va dimenticato che personaggi mafiosi hanno cercato di cavalcare la protesta popolare e non c'e' da sorprendersi se ora non hanno problemi a travestirsi da antimafiosi.
I protagonisti dell'azione antimafia sono soggetti diversi: comitati, centri, associazioni, organizzazioni strutturate e gruppi informali, che vengono rappresentati come soggetti della societa' civile, un'espressione che nel linguaggio contemporaneo ha indicato l'insieme di raggruppamenti e relazioni che agiscono e si sviluppano al di fuori dei poteri istituzionali, con i partiti politici che avrebbero fatto da ponte. L'accento posto sullo strapotere dei partiti, che avrebbero monopolizzato e saccheggiato i poteri pubblici, ha portato a considerare la societa' civile come il mondo nuovo che scalzava la partitocrazia e rigenerava la democrazia. La crisi, fino alla sparizione, della forma partito, sostituita da clan personali, rilancerebbe il ruolo alternativo della societa' civile. E' un'illusione. La crisi della democrazia, poiche' di questo si tratta, riguarda non solo le forme storiche di rappresentanza, come il partito e il sindacato, ma anche le varie articolazioni della societa' civile, afflitte anch'esse da vizi non minori: il leaderismo, il protagonismo, la corsa alla spartizione dei fondi pubblici. La "societa' liquida" e' un mare abitato da questi pesci.
Rispetto ad altre forme di mobilitazione sociale, l'azione antimafia ha una sua peculiarita', coniugando la lotta contro le mafie, i poteri criminali, con la lotta contro le forme di criminalizzazione del potere, le interazioni tra crimine e istituzioni che hanno segnato la storia del nostro Paese e spiegano la persistenza del fenomeno mafioso e di altri fenomeni ad esso assimilabili. L'antimafia vuole essere insieme coscienza critica e pratica di mutamento, ma non e' vaccinata contro involuzioni e tentazioni a cui non sempre e' facile resistere. Gli avvenimenti degli ultimi anni sono casuali, meri incidenti di percorso, o pongono interrogativi di fondo? Qualche esempio: proclami antimafia a cui non corrispondono comportamenti coerenti, protocolli di legalita' e codici etici che rimangono sulla carta, rapporti con le istituzioni che si risolvono in scambi di favori, le associazioni fantasma, l'attivismo senza riflessione. Ma un conto e' la denuncia puntuale e documentata, un altro la generalizzazione che mira a delegittimare, con effetti che possono essere disastrosi.
Libero Grassi parlava di "qualita' del consenso", riferendosi alle forze politiche, ma il discorso vale anche per l'antimafia e la societa' civile. Appiattirsi sull'esistente, ritagliarsi uno spazio, riservarsi corsie preferenziali, assicurarsi scampoli di rendite, vuol dire gareggiare per ottenere il consenso al livello piu' basso. Andare controcorrente, non per partito preso e per vocazione minoritaria, ma per aprire prospettive di cambiamento, e' un rischio e una scommessa. Se riteniamo che l'esempio di Libero Grassi abbia ancora un senso, vale la pena correre questo rischio e accettare questa scommessa. E per tenere i piedi per terra, che diciamo all'imprenditrice Magda Scalisi, che da quando gestisce il rifugio Parco dei Nebrodi riceve continue minacce, e al restauratore di Brancaccio che ha fatto arrestare gli estorsori, ha perso il lavoro e si sente uno sconfitto? Il tempo degli eroi solitari non e' ancora finito?
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: MAFIA CAPITALE E ANTIMAFIA...
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 25 luglio 2017 con il titolo "A chi serve indossare gli abiti antimafia"]
Mentre i giudici romani sentenziavano che nella capitale opera un'associazione a delinquere che gode della complicita' di amministratori e politici corrotti e svolge attivita' criminali, dall'estorsione all'usura, dal traffico di droga al riciclaggio, ma non si puo' catalogare come mafia, probabilmente perche' non e' stata provata la capacita' d'intimidazione dei suoi capi in grado di produrre assoggettamento, a Palermo, con le notizie sulle infiltrazioni in associazioni antiracket, sono tornati a galla i problemi dell'antimafia. Non sono nuovi ma ogni volta pare che si parta da zero. E c'e' una ragione.
Dopo quello che e' accaduto in questi anni, dall'imprenditore "antimafioso" che si e' rivelato un estorsore ai suoi colleghi in prima fila nelle manifestazioni antimafia incriminati per rapporti con mafiosi, al palazzo di giustizia in cui la sezione che assegnava gli incarichi di amministratore dei beni confiscati era diventata un mercatino per clienti affezionati, non c'e' stata una riflessione adeguata.
Ora si parla di associazioni inattive da tempo o che avrebbero rapporti con mafiosi. Chi non e' un novizio dell'attivita' antimafia puo' ricordare che quando si e' cercato di costruire un collegamento tra i vari soggetti, sono comparse sigle dietro cui non c'era nulla, pure invenzioni di qualcuno che voleva partecipare pensando che fosse in cantiere qualcosa di simile a un club prive' o ai provini per uno spettacolo. Al Coordinamento antimafia formatosi nel 1984 aderirono 38 organizzazioni, di cui 19 esistevano solo sulla carta o non hanno partecipato a nessuna attivita'. Ci sono associazioni nazionali che dicono di raccogliere un numero altissimo di comitati, fondazioni, organizzazioni con sedi locali in tutto il territorio; se quel numero corrispondesse alla realta' si potrebbe pensare che mafiosi, 'ndranghetisti, camorristi, capi e gregari di altre consorterie criminali dovrebbero lasciare l'Italia e chiedere asilo politico da qualche altra parte.
Falcone diceva che per trovare la mafia bisogna seguire la pista dei soldi, forse si potrebbe dire la stessa cosa per l'antimafia. Dove ci sono fondi pubblici da spartire, con o senza tabelle H, si da' il caso che ci sia una ressa per prendere parte al banchetto. Bisognerebbe mettere da parte definitivamente la discrezionalita', terreno in cui si incontrano protagonisti e comparse del sistema clientelare, con una legge che fissi dei criteri oggettivi per l'erogazione dei fondi pubblici, ma non si vuol fare perche' a tanti va bene cosi'.
Anche per l'antiracket dev'essere accaduto qualcosa dal genere, ma non e' solo una questione di soldi. Oggi per alcuni essere, o fingere di essere, antimafia e' seguire il vento che tira, contando di poter sfruttare convenienze che non sono soltanto finanziarie. Si guadagna in prestigio, si indossa l'abito della rispettabilita' necessario per comparire in societa'. Qualcosa di simile ai mafiosi che indossano il grembiulino. Non so se le associazioni prese di mira facciano parte di questa sceneggiata, mi auguro di no. Se c'e' un'antimafia di facciata, per fortuna ci sono tanti che fanno scelte coraggiose e si comportano di conseguenza. E la cosa piu' sbagliata e' fare di ogni erba un fascio, come fa qualcuno che si autoproclama grande o piccolo inquisitore.
Una nota a margine delle recenti celebrazioni della strage del 19 luglio. Sbaglio o si e' rinnovato il gioco con i morti? Prima il superpoliziotto Arnaldo La Barbera, ora il procuratore Tinebra. Non ci sono altri? Quando il capomafia Salvatore Cancemi diceva che Scarantino non l'aveva mai visto, la vicenda doveva chiudersi li'. Chi tra gli inquirenti, stagionati o alle prime armi, ha voluto o accettato che la tragica farsa, con al centro un ragazzo di borgata, sequestrato e torturato per costringerlo a recitare un copione sotto dettatura, continuasse e perche'? Si voleva chiudere al piu' presto l'inchiesta o si e' deciso di volare basso? Da quello che e' accaduto, con l'isolamento, l'avversione e i malevoli interrogatori davanti al CSM, quando erano vivi, e poi il balletto di condanne e assoluzioni, si puo' trarre una conclusione: dopo la mafia, i principali nemici di Falcone e Borsellino sono stati i loro colleghi.
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: BORSELLINO 25 ANNI DOPO: PIU' DOMANDE CHE RISPOSTE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 19 luglio 2017 con il titolo "Le risposte che mancano"]
Dopo 25 anni dalla strage di via d'Amelio sono piu' le domande che le risposte. Perche', a 57 giorni dalla strage di Capaci, la mafia tornava a colpire in modo cosi' eclatante? Perche' Borsellino era l'erede di Falcone, perche' sarebbe diventato Procuratore nazionale antimafia, perche' stava indagando sulla strage del 23 maggio, perche' si opponeva a una trattativa in cui la mafia, in cambio della cessazione della violenza, chiedeva la revisione del maxiprocesso e altre concessioni e per rafforzare il suo peso contrattuale ricorreva a un nuovo atto di guerra?
Dopo le smentite delle dichiarazioni del falso pentito Scarantino, l'annullamento delle condanne di alcuni capimafia e l'individuazione di altri responsabili della strage, in seguito alla collaborazione di Spatuzza, con i processi in corso a Caltanissetta e a Palermo, si sta cercando di decrittare le intercettazioni dei colloqui di Giuseppe Graviano per ricavarne qualche altro scampolo di verita'. Il capomafia di Brancaccio parla di una "cortesia" che gli sarebbe stata chiesta da Berlusconi che, una volta assicuratosi il potere, non sarebbe stato ai patti. Confessione di una mezza verita', centellinata per lasciare tutti con il fiato sospeso (collaborera' o non collaborera'?) o millantato credito? Che interesse poteva avere Berlusconi a una strage per assassinare Borsellino? Possiamo richiamare quello che sappiamo: si e' messo in casa Vittorio Mangano per proteggere se stesso e i suoi figli da un possibile sequestro e lo ha esaltato come "eroe" perche' non ha aperto bocca su un ruolo che non era propriamente quello di stalliere. La nascita di Forza Italia ha convinto i mafiosi a mettere da parte il ricatto separatista per puntare sul cavallo vincente. Dell'Utri, che e' molto piu' di un compagno di strada, e' in carcere per concorso esterno e pensa di seguire l'esempio di Contrada che ha ottenuto dalla Cassazione la revoca della condanna. Le inchieste sul ruolo di Berlusconi nelle stragi sono state archiviate, ma lasciando aperto uno spiraglio con l'accenno "a possibilita' di contatto tra Cosa nostra e gruppi societari controllati dagli indagati" (Alfa-Berlusconi e Beta-Dell'Utri), ma finora tutto lascia pensare che molte pagine di una storia in gran parte da scrivere rimarranno vuote. Intanto un personaggio che sembrava fuori gioco e' di nuovo al centro della scena politica e rischia di tornare in sella, sospinto da una sinistra disancorata dalla realta', inconcludente e rissosa.
"Non fu solo mafia", si dice, lo si e' detto per tutte le stragi e i delitti politico-mafiosi, ma le inchieste non sono mai andate oltre la mafia, lasciando spazio a una probabile verita' storica, spesso parziale e ipotetica. I mafiosi hanno progettato ed eseguito una strage dopo l'altra per vendicarsi e fare sfoggio del loro potere, o hanno confidato nella copertura di altri, coinvolti o comunque interessati alla strategia stragista? La violenza mafiosa aveva gia' avuto un effetto boomerang, dopo i delitti dei primi anni '80, e in particolare con l'assassinio di dalla Chiesa, con la legge antimafia e il maxiprocesso. Non era prevedibile che le stragi del '92 e del '93 avrebbero reinnescato la reazione istituzionale, ma ha preso la mano un delirio di onnipotenza criminale?
"Una strage semplice", e' il titolo di un libro di Nando dalla Chiesa che indica la causale della "doppia strage" nell'istituzione della Superprocura. "Prendersi l'Italia nelle mani": nel lessico mafioso questa era il progetto di Falcone e Borsellino avrebbe preso il suo posto con lo stesso proposito. Si potrebbe osservare che Falcone vivo la Superprocura non l'avrebbe avuta e Borsellino aveva mostrato segni di non aspirarvi. Era stato tra i firmatari di un documento che ne segnalava i pericoli e ne contestava l'utilita'. Ma poi, per le insistenze del ministro Scotti, che lo candidava a Superprocuratore (e non si accorgeva di indicarlo come prossimo bersaglio) si sarebbe messo a disposizione. E a quella disponibilita' la mafia, da sola o accompagnata, rispondeva con l'inferno del 19 luglio? E a spingere in quella direzione potrebbero essere state l'intervista ai giornalisti francesi sul traffico di droga a Milano, gestito da Vittorio Mangano, e l'inchiesta sugli appalti?
Qualunque sia l'esito dei processi in corso, Borsellino, con Falcone e pochi altri, rimane il protagonista di una stagione decisiva nella storia del contrasto istituzionale al prepotere mafioso. Con una contraddizione di fondo: lo Stato era impegnato fino a un certo punto. E il punto era stato segnato con lo scioglimento del pool antimafia dopo l'esito del primo grado del maxiprocesso. Il "voltare pagina", di cui parlava l'ordinanza-sentenza che ne era la premessa, con riferimento agli omicidi politici, in cui si sarebbe realizzata "una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della Cosa Pubblica", era insieme un programma, non realizzato, e un messaggio, non accolto. "Ho visto la mafia in diretta" avrebbe detto Borsellino alla moglie. E i magistrati Russo e Camassa riferiscono che avrebbe accennato a un amico traditore. Aveva scoperto che la doppiezza era una trappola e che la trattativa era permanente? E da quel momento aveva cominciato a contare i giorni che lo separavano dal 19 luglio?
7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA TRA VIOLENZA E COLLUSIONE. DAGLI ULTIMI OMICIDI AI VANDALI DELLO ZEN
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2017]
L'omicidio a Campobello di Mazara di Giuseppe Marciano', genero del boss Diego Burzotta, e quello del 22 maggio scorso di un boss come Giuseppe Dainotti a Palermo, nel quartiere Zisa, ripropongono un tema che sembrava archiviato. Le teorizzazioni di una mafia mercatista, lanciata sul mercato globale e nel business internazionale, che si sarebbe lasciati alle spalle stragi e omicidi, e di una mafia che avrebbe sostituito il ricorso alle armi con la strategia della collusione-corruzione, mostrano ancora una volta che distinzioni troppo nette, rotture e salti che segnerebbero discontinuita' irreversibili, sono poco adatte per capire l'evoluzione di fenomeni complessi, a cominciare dalla mafia. Intanto, non e' vero che la mafia di prima non prestasse attenzione alle dinamiche del mercato, legale e illegale, o che tralasciasse di giocare la carta della collusione-corruzione (basterebbe guardare alla storia, non solo a quella recente, per accorgersene) e il ricorso alla violenza, praticata o minacciata, come dimostrano gli omicidi di cui parlavamo e le quotidiane minacce agli amministratori pubblici, diligentemente registrate dai rapporti di Avviso pubblico, finora rimane un carattere imprescindibile del corredo identitario degli affiliati all'associazione mafiosa, nel suo modello siciliano e in altre espressioni che ad esso, in qualche modo, si riferiscono.
La relazione della Procura nazionale antimafia presentata il 22 giugno scorso, nelle pagine che riguardano Cosa nostra, oscilla tra una registrazione della crisi sopravvenuta in seguito all'azione repressiva degli ultimi decenni, con le condanna di capi e gregari, i conseguenti vuoti negli organici e la promozione delle seconde file, e una marcata sottolineatura della persistenza del fenomeno mafioso che attraverserebbe un periodo di transizione ma tutto sommato sarebbe capace di riorganizzarsi e di proseguire i suoi traffici. Riguardo ai rapporti con la pubblica amministrazione viene segnalata una novita': se prima si poteva parlare di infiltrazione e accaparramento di somme consistenti di denaro pubblico, attraverso appalti, subappalti, autorizzazioni, concessioni ecc., oggi emergerebbe un dato inquietante: la regolazione della spesa pubblica, il suo orientamento e la sua determinazione attraverso il ruolo decisivo dei broker, o facilitatori, che individuano le possibilita' di acquisire fondi pubblici, come quelli europei, e indirizzano o sollecitano la pubblica amministrazione a compiere le pratiche necessarie per assicurarseli. Si realizzerebbe cosi' un governo della spesa pubblica da parte delle organizzazioni criminali, con la decisiva ipoteca a vantaggio di esse e dei loro complici nella veste di consulenti, decisori e utilizzatori.
Va da se' che questo non sarebbe possibile senza un sistema di rapporti che legano gruppi piu' o meno classificabili come mafiosi al contesto sociale e istituzionale. La Procura nazionale antimafia insiste sulla tenuta di questo sistema relazionale, anche se segnala fatti significativi come il diffondersi dell'antiracket e la presa di coscienza di buona parte della societa' civile. Una conferma della buona salute di cui godono le relazioni mafiose viene dall'inchiesta di Messina,con trenta ordini di custodia cautelare per mafiosi, imprenditori, professionisti, amministratori, "insospettabili" accomunati in "silenziosa fratellanza" da interessi e modelli culturali condivisi. E' una "nuova mafia" che cavalca lo Stretto, un'"entita' invisibile", stranamente con nomi e cognomi, che si insinua nell'economia, o siamo ancora dentro un percorso in cui si incrociano continuita' e innovazione? Quel che e' certo e' che ci troviamo immancabilmente dinanzi a un problema di fondo: con un'economia legale in perenne crisi, a smentita di microscopiche variazioni del PIL, reclamizzate come mutamenti di rotta e passi in avanti per uscire dal tunnel, una Sicilia e un Mezzogiorno su un binario morto, e con il vuoto politico che si e' venuto a creare dopo la scomparsa delle "grandi narrazioni" e il prevalere di un'ideologia che santifica il mercato ed esalta la competizione, sbandierando la legalita' ma riducendola a retorica e tattica di camuffamento, qualunque sia la sorte di singole organizzazioni, i soggetti che reggono le fila dell'economia illegale, in crescente espansione, dalla droga ai traffici di armi e di esseri umani, hanno un futuro assicurato. Anche quello che e' accaduto allo ZEN (che si dovrebbe leggere: Zona di Emarginazione Nord), con la distruzione del busto di Falcone, e' la riprova che per buona parte degli abitanti del quartiere l'illegalita' e' mezzo di sopravvivenza e pratica quotidiana e la legalita' e i suoi simboli sono visti come estranei o nemici.
8. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: AL CONGRESSO NAZIONALE DEI GEOGRAFI PER LA PRIMA VOLTA SI PARLA DI MAFIE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2017]
La settimana scorsa all'Universita' Roma 3 si e' svolto il XXXII Congresso geografico italiano, che ha fatto registrare un'importante novita'. La Societa' italiana dei geografi esiste da 150 anni ma e' la prima volta che una sessione dei lavori venga dedicata allo studio della criminalita' organizzata. All'incontro hanno partecipato docenti, dottorati e dottorandi ma anche studiosi non accademici che hanno dato un importante contributo alla ricerca sulle varie forme di crimine organizzato. Si e' parlato del pizzo nei quartieri di Palermo e dell'esperienza antiracket, del rapporto tra mafie e urbanistica, del coinvolgimento in attivita' illegali di rappresentanti della pubblica amministrazione in vari modi implicati in pratiche corruttive, dell'insediamento di clan camorristici a Roma, delle ricerche sulla criminalita' in Francia, di Mafia Capitale, delle mafie al Nord, delle strategie criminali in aree della Campania, dell'evoluzione della mafia radicata nei territori originari ma aperta agli spazi offerti dai processi di globalizzazione.
Si e' cosi' delineato un quadro che nel ripercorrere il lavoro gia' svolto apre prospettive per l'impegno futuro. La domanda che ha animato il dibattito pone un problema di fondo: e' possibile costruire una geografia delle mafie? Il che significa elaborare un'analisi facendo riferimento ai luoghi in cui sono nate e sviluppate. Ricostruire una storia e individuare le dinamiche in corso a partire dal territorio. Per limitarci alla mafia siciliana, che rimane ancor oggi il modello di criminalita' piu' studiato e piu' complesso, che si ripropone anche in contesti diversi dalla casa madre e che in qualche modo si riaffaccia anche in altre forme di crimine organizzato, che ruolo ha avuto il territorio nelle sue articolazioni: la citta', nel suo centro e nelle sue periferie, le campagne, dai latifondi alle aree a coltura intensiva, i mercati, il carcere, gli uffici pubblici, i luoghi canonici in cui si esercita la signoria territoriale mafiosa e le nuove frontiere dei traffici e degli affari?
Il territorio viene visto non solo come spazio fisico, con la sua morfologia, ma luogo in cui si intrecciano le attivita' e le relazioni interpersonali che costituiscono il contesto favorevole allo sviluppo di organizzazioni criminali. A dire il vero questo problema se l'erano posto i criminologi di scuola positivistica, che all'interno di un'analisi multifattoriale, ponevano l'accento sul fattore ambientale, sul clima, scadendo in una visione deterministica che andava a braccetto con un'antropologia elementare che segnava come un destino ineluttabile la vocazione criminale. Oggi si tratta di praticare una transdisciplinarieta' che troppo spesso e' solo predicata e l'approccio geografico, se inteso come parte di un "paradigma della complessita'", apre una prospettiva affascinante. Ovviamente un'analisi della mafia non puo' non essere anche analisi dell'antimafia, dalle lotte contadine, in particolare in Sicilia, alle mobilitazioni degli ultimi decenni. E anche su questo terreno i luoghi hanno un loro ruolo. Siano luoghi della memoria, a ricordate le vittime della violenza mafiosa, sottraendoli a una sorta di agiografia civile, o luoghi di aggregazione e di produzione dei beni di un'economia alternativa, ma anche laboratori di nuovi modelli di vita comunitaria. Laboratori politici.
Alla fine dell'incontro i congressisti si sono posti il problema di come continuare un lavoro appena cominciato. Se ci si muovera' sulla strada di un impegno collettivo, all'interno e all'esterno dell'accademia, un mondo da rivitalizzare con compiti che non si limitino a moltiplicare le discipline e le cattedre, il congresso dei geografi italiani, che per la prima volta ha affrontato questi problemi, puo' considerasi un ottimo inizio.
9. CRONACHE DI NUSMUNDIA. GIOBBE SANTABARBARA: LA STRAGE DEGLI INNOCENTI. L'ANNO DEL GOVERNO DELLE LEGGI RAZZISTE, L'ANNO DEL GOVERNO DELL'ECATOMBE
In questo antico e nobile reame di Nusmundia tutto viene immediatamente dimenticato.
Io non dimentichero' mai l'anno del governo delle leggi razziste che nel 2018-19 ha riportato Hitler al potere in Italia. Io non dimentico l'orrore.
Io non dimentichero' mai l'anno del governo dell'ecatombe di centomila persone nel 2020-2021 perche' a governare il paese di fronte all'epidemia c'era un branco di criminali dementi e narcisisti. Io non dimentico l'orrore.
Sottoposti al lavaggio del cervello dalla televisione tutti coloro che non sono nel novero delle vittime, che non sono nel movimento delle oppresse e degli oppressi, che non sono tra quanti della classe delle sfruttate e degli sfruttati hanno acquisito coscienza di classe, dimenticano le responsabilita' dei governanti nella violazione dei diritti umani, nella strage degli innocenti.
Io non dimentico l'orrore.
Io voglio verita' e giustizia.
Io voglio che i criminali fascisti (e poco conta se si siano fatti fascisti per ignoranza o per stupidita', per sadismo o per improntitudine: conta che hanno perseguitato e lasciato morire innumerevoli esseri umani) siano allontanati per sempre dalle istituzioni della repubblica democratica ed antifascista, che siano loro per sempre interdetti tutti i pubblici uffici.
Io non dimentico l'orrore.
Io non dimentico le vittime.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
E' il primo dovere in questo antico e nobile reame di Nusmundia, e' il primo dovere ovunque.
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Mark Honigsbaum, Pandemie, Salani, Milano 2020, Le Scienze, Roma 2021, pp. 534, euro 9,90.
*
Riedizioni
- Ernst K. Kantorowicz, I due corpi del re. L'idea di regalita' nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino 1989, 2012, Rcs, Milano 2021, pp. 576, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4060 del 31 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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