[Nonviolenza] Telegrammi. 4059



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4059 del 30 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Cessi la strage degli innocenti. Oggi in digiuno
2. "Un dono: Dieci pratiche per donne che amano la politica"
3. Alcuni riferimenti utili
4. Umberto Santino: Il futuro di Cosa nostra e il diritto alla verita'
5. Umberto Santino: Dopo Riina
6. Umberto Santino: Cosa nostra e gli sbirri
7. Umberto Santino: La sinistra che non c'e'
8. Umberto Santino: La mafia, oggi. Continuita' e mutamento
9. Benito D'Ippolito: Notte di luna piena
10. Segnalazioni librarie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
 
1. L'ORA. CESSI LA STRAGE DEGLI INNOCENTI. OGGI IN DIGIUNO
 
Prendo parte quest'oggi, 29 marzo 2021, al "digiuno a staffetta" in solidarieta' con i migranti promosso da padre Zanotelli e tante altre persone amiche.
Cosi' come confermo la mia partecipazione al "digiuno di giustizia" che da anni si svolge il primo mercoledi' di ogni mese.
Se una cosa la pandemia ha dimostrato e' che siamo una sola umanita'.
E' quindi compito di ogni persona senziente e pensante e di ogni umano istituto riconoscere a tutti gli esseri umani tutti i diritti umani, primo fra tutti il diritto alla vita.
E' quindi compito di ogni persona senziente e pensante e di ogni umano istituto adoperarsi in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
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So che un digiuno di un giorno e' misera cosa dinanzi all'orrore della strage degli innocenti in corso nel Mediterraneo, dinanzi all'orrore dei lager libici, dinanzi all'orrore della schiavitu' e dell'apartheid nel nostro paese, dinanzi al regime razzista imposto dai governi europei, dinanzi all'orrore delle guerre e delle dittature che imperversano nel mondo.
Ma che questo digiuno valga almeno come dichiarazione di volonta' di opporsi alla violenza onnicida del disordine costituito, che valga come esortazione alla necessaria resistenza morale e civile dinanzi al crimine dei potenti, che valga come riaffermazione della coscienza e della decisione di essere umani tra gli umani, come attestato di solidarieta' con tutte le vittime.
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Ed ancora una volta voglio ripetere alcune parole che tante volte in questi anni con tante persone amiche siamo venuti ripetendo per chiedere che  si realizzino immediatamente quattro semplici indispensabili cose:
1. riconoscere a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro, ove necessario mettendo a disposizione adeguati mezzi di trasporto pubblici e gratuiti; e' l'unico modo per far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani;
2. abolire la schiavitu' e l'apartheid in Italia; riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia;
3. abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani;
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Allego in calce l'appello "Fame e sete di giustizia" promosso da padre Zanotelli e dalle persone amiche del "Digiuno di Giustizia in solidarieta' con i migranti" e del "Cantiere Casa Comune".
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 29 marzo 2021
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Allegato. "Digiuno Di Giustizia in solidarieta' con i migranti" e "Cantiere Casa Comune": Fame e sete di giustizia. Un appello
Stiamo iniziando un tempo che i cristiani chiamano la Settimana Santa, con lo sguardo e il cuore rivolto al Crocifisso.
Su quel Crocifisso, all'entrata del Vaticano, Papa Francesco ha fatto mettere il salvagente di un migrante morto nel Mediterraneo per "ricordare a tutti l'impegno inderogabile di salvare ogni vita umana, un dovere morale che unisce credenti e non credenti".  Troppi cristiani, che nella settimana santa verseranno lacrime sul Crocifisso, non riescono a versarle sui crocifissi di oggi nel loro calvario sulla rotta sahariana, asiatica, balcanica, centroamericana per trovarsi poi davanti a muri e fili spinati eretti dalle nazioni ricche. Migliaia sono torturati e le donne violentate nei lager libici. Condannati a morte nel Mediterraneo, che e' diventato il Mar "Nero", il cimitero dei volti "scuri".
Siamo indignati di fronte a queste morti nel Mediterraneo (oltre 190 da inizio anno, con una media di 3 al giorno!) che da anni continuano ininterrotamente. Molte navi delle ong bloccate nei porti dalla strategia cinica dei governi che si oppongono a progetti umanitari che salvano vite; dove migliaia arrivano da situazioni drammatiche nei loro paesi attraversando il deserto e approdando nei lager della Libia; spesso respinti dalla guardia costiera libica finanziata anche dall'Italia. La rotta Balcanica dove i profughi del campo di Lipa (Bosnia) vivono una situazione drammatica, costretti a sopravvivere nel gelo e nella neve, frutto amaro della politica migratoria italiana che respinge chi arriva a Trieste dalla Slovenia; la Slovenia li respinge nella Croazia e la Croazia in Bosnia; la rotta delle Isole greche di Lesbo e Chios dove vivono in situazioni disumane profughi provenienti dal Medio Oriente e dall'Asia proprio nei giorni in cui facciamo memoria dei dieci anni dallo scoppio dell'assurda guerra in Siria e dei 5 anni dai vergognosi accordi dell'Unione Europea con la Turchia (6 miliardi di euro!).
Davanti a questa immane tragedia, da ormai tre anni (2018), e' stata promossa l'iniziativa del Digiuno di Giustizia in Solidarieta' con i Migranti, che si ritrova ogni primo mercoledi' del mese a digiunare davanti al Parlamento. Questa giornata di digiuno e' per sottolineare la dimensione politica di questo atto, condiviso anche da parte di religiose/i nei monasteri, di cittadine/i nelle proprie abitazioni e da tanti gruppi che digiunano davanti alle Prefetture della propria citta' (Firenze, Varese, Verona, Bari...).
Il Cantiere Casa Comune, per il persistere di queste politiche migratorie razziste, sia italiane che europee, rilancia a tutti il nostro impegno a fianco delle vittime di questo Sistema.
Invitiamo tutti, credenti e laici, comunita', associazioni, movimenti, a unirsi a noi per rispondere al grido di dolore di tanti fratelli e sorelle migranti sulle rotte mondiali che, dalle periferie del mondo, si muovono verso il sogno di una vita migliore, di giustizia e di dignita'.
Chiediamo con determinazione nuove leggi in tema migratorio e di cittadinanza, in Italia e in Europa, capaci di eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti dei migranti e dei giovani delle nuove generazioni. Dobbiamo mostrare concretamente piu' umanita' e solidarieta' con le vittime di questo Sistema!
Il Cantiere Casa Comune sostiene il Digiuno di Giustizia ogni primo mercoledi' del mese e insieme, partendo da lunedi' 29 marzo 2021, inizio della Settimana Santa per i cristiani, lanciamo un digiuno a staffetta che vuole coinvolgere tutti e tutte. Ogni persona, comunita', associazione puo' iscriversi e partecipare come gesto radicale e nonviolento di difesa della vita e della dignita' dei fratelli e sorelle migranti, in opposizione alla sazieta' e all'indifferenza di un'economia che uccide e di un mondo che non si lascia piu' toccare dal dolore e dalle lacrime vere degli "scarti".
Per aderire all'appello come singolo o associazione, gruppo, movimento, parrocchia, famiglia e per iscriverti al tuo/vostro digiuno di solidarieta' nel giorno prescelto entra nella pagina: https://cantierecasacomune.it/fame-e-sete-di-giustizia/
Per informazioni e adesioni scrivi a: info at cantierecasacomune.it oppure chiama alla segreteria del Cantiere Casa Comune: 0458092390
Per informazioni a Digiuno di Giustizia in solidarieta' con i migranti scrivi a: digiunodigiustizia at hotmail.com
Digiuno di Giustizia in solidarieta' con i migranti
Cantiere Casa Comune
Alex Zanotelli, Antonio Soffientini, Tarcisia Ciavarella, Mariapia Dal Zovo, Toni Scardamaglia, Daniele Moschetti, Filippo Ivardi Ganapini, Marco Colombo, Emilia Gaudio, Federico Sartori
 
2. DOCUMENTI. "UN DONO: DIECI PRATICHE PER DONNE CHE AMANO LA POLITICA"
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente documento originariamente apparso sul sito https://feministpost.it/ il 30 gennaio 2021]
 
Il documento che vi proponiamo nasce dalla riflessione di donne appassionate alla politica, e si rivolge a donne gia' presenti nelle istituzioni o interessate a farne parte, a quelle che aspirano a intraprendere un'azione di governo, a quelle che operano in gruppi, associazioni e movimenti, proponendo 10 pratiche che possono accompagnare e rendere maggiormente consapevole il desiderio politico di ognuna. Ve lo proponiamo come un dono tenendo anche presente l'occasione delle imminenti elezioni amministrative in molte citta' italiane.
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Premessa
Questo documento firmato da 25 donne e' frutto di un percorso di discussione sulle pratiche di autorita' femminile dentro e fuori le istituzioni politiche, che si e' svolto a Mestre tra il 2018 e il 2019 e si e' articolato in cinque incontri, coinvolgendo anche donne di altre citta' (Venezia, Mirano, Chioggia, Vicenza).
Dopo i mesi del lockdown, e' stata messa a punto la forma definitiva e adesso il documento e' pronto per andare oltre il contesto in cui e' nato. La scommessa condivisa e' che sia uno strumento utile per far conoscere il senso di una politica inventata dalle donne, all'altezza delle sfide del presente, qui articolata in dieci pratiche elementari che possono combinarsi tra loro e moltiplicarsi nei diversi contesti della vita sociale, politica e lavorativa, dando vita a nuove narrazioni.
Hanno partecipato al confronto donne appassionate di politica che si sono riconosciute preziose l'una per l'altra, la cui formazione e' avvenuta in contesti diversi: il femminismo della differenza, l'associazionismo, il movimento ecologista e pacifista, l'amministrazione locale, alcuni partiti della sinistra, la partecipazione al governo della propria citta' o del Paese, l'impegno nelle professioni, nell'arte, nella ricerca filosofica e spirituale.
Tutte le firmatarie hanno una storia segnata dalla presa di parola pubblica nella propria citta' e ognuna ha sperimentato in luoghi, tempi e modi diversi la forza dell'autorita' di origine femminile, riconoscendone la straordinaria efficacia insieme alle difficolta' e agli ostacoli.
L'associazione "Preziose" di Venezia ha avviato la discussione sulle pratiche. La relazione politica con la filosofa Annarosa Buttarelli ha condotto alcune a coinvolgersi in prima persona nel progetto "Scuola Alta Formazione Donne di Governo", impegnandosi nella trasmissione dei saperi di origine femminile da sempre all'opera nella storia.
La scrittura del documento delle dieci pratiche presuppone percorsi relazionali di sperimentazione e trasformazione soggettiva, anni di lavoro politico, letture e incontri in grado di aprire a una piu' alta ricerca di senso. E ancora, progetti realizzati, battaglie attraversate, passaggi e simboli ritrovati.
Il documento si rivolge, in particolare:
- alle donne piu' giovani, attive nei movimenti, per le quali "lotta politica" significa soprattutto manifestare, rivendicare diritti, denunciare pubblicamente violenze e ingiustizie, ma che ancora non conoscono l'eredita' piu' significativa del femminismo: la liberta' relazionale;
- a quelle che operano nella politica istituzionale, perche' riconoscano come precedente di forza le forme di governo femminile gia' in atto nella realta' e si interroghino sul proprio agire, misurandosi con le pratiche inventate dalla politica delle donne;
- agli uomini tutti, perche' cambino radicalmente il loro modo di porsi, di fare e di pensare la politica.
Ci auguriamo che questo documento, con le opportune mediazioni, susciti un'ampia discussione tra generazioni politiche diverse e favorisca processi di presa di coscienza e trasformazione soggettiva.
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Dieci pratiche in cui ci riconosciamo
- La pratica di fare la differenza
La differenza si fa innanzitutto dentro di se'. Si pratica concretamente quando si entra in relazione con donne e uomini che ne sono consapevoli. Fare la differenza significa costruire giorno per giorno il senso libero del proprio essere donne o uomini. Il femminismo a cui ci richiamiamo afferma il valore della differenza e mette la vita al centro della politica anziche' l'esercizio della forza e del potere in tutte le sue forme. I sessi sono due, non riducibili l'uno all'altro, differenti, non uguali. Le donne non sono una classe ne' una categoria ne' tantomeno un "genere" da includere nel concetto di "umanita'". Ognuna e ognuno parla non per astrazioni universali ma a partire da se': capire questo e' essenziale per sprigionare la forza della differenza.
- La pratica della radicalita'
Radicalita' e' andare oltre la posizione rivendicativa o di contrapposizione alle logiche e ai giochi del potere e mettersi in relazione con altre o altri, assumendo la posizione affermativa del desiderio. A partire dal desiderio e dalle relazioni si possono pensare nuove istituzioni, percorsi piu' incisivi per la trasformazione della realta', del modo di rappresentarla, pensarla e nominarla. Siamo radicali, per esempio, quando ci chiediamo se i problemi ci toccano da vicino, ci riguardano direttamente, rinunciando a parlare in generale e in astratto. Siamo radicali se entriamo concretamente nel merito delle questioni, avendo chiaro il contesto reale in cui si sono presentate, ascoltando donne e uomini che le vivono, confrontando tra loro le diverse soluzioni proposte. Ognuna di noi ha tolto consenso e credito al sistema patriarcale e scommette sulla possibilita' gia' in atto di un "governo femminile della realta'" che fa leva sulla vita reale e sulle relazioni.
- La pratica della liberta' femminile
Praticare la propria liberta' e' l'esercizio piu' alto della nostra soggettivita'. La liberta' come la intendiamo e' relazionale, non individuale. E' legata alla cura delle relazioni e non si pone come valore assoluto. Si rafforza quando riconosciamo la liberta' dell'altra e dell'altro. Si manifesta sul crinale tra liberta' e necessita', nel riconoscimento dei limiti e nella consapevolezza che la nostra liberta' dipende da quella di altre donne. Non pensiamo alla liberta' come diritto dell'individuo sancito dalla Legge o dalla democrazia, ma come guadagno dell'umanita' femminile che nel corso della storia ha lottato per essere fedele a se stessa e realizzare i propri desideri.
- La pratica delle relazioni
Le relazioni femminili, luogo di scambio tra due che sono sempre "dispari" l'una nei confronti dell'altra, sono la forza che possiamo mettere in campo per essere piu' felicemente e fedelmente noi stesse. In questa disparita', e non sull'appiattimento dell'"una vale una", corre il piu' dell'energia, della liberta' e della politica femminili. Il primo passo necessario e' prendere coscienza del legame profondo con la madre, nostra origine reale e simbolica, su cui si fonda il desiderio di intrecciare relazioni privilegiate con altre donne. Le relazioni non sono gia' date. Non basta dichiarare di essere in relazione: c'e' un percorso da fare, si passa per un lavoro onesto e rigoroso su di se' che rende disponibili alla trasformazione soggettiva. Due donne in relazione tra loro non formano un luogo chiuso, escludente o autosufficiente, sono invece la leva piu' efficace perche' di due in due cresca nel mondo una rete di forza femminile in grado di contrastare la logica del potere.
- La pratica delle genealogie femminili
Praticare una genealogia vuole dire fare riferimento alla parola e alle azioni di altre donne che prima di noi hanno saputo dire la verita' e regolarsi secondo le proprie ragioni, in fedelta' all'esperienza soggettiva. Si tratta di una relazione "verticale" che integra le relazioni nel presente. Quanta indipendenza di pensiero e autonomia di azione hanno esercitato le donne che sono venute prima di noi? Quali mediazioni hanno messo in atto? Partendo da queste domande si ritrova il filo delle genealogie femminili rese invisibili dal primato della parola maschile. Quando ci dobbiamo orientare nei diversi campi in cui siamo impegnate o quando siamo chiamate a prendere decisioni, riferiamoci alle genealogie del sapere femminile, chiediamo aiuto alle donne autorevoli, non solo quelle del presente ma anche quelle del passato. Facciamo tesoro delle loro indicazioni per il nostro agire. Esiste un ordine simbolico femminile, una ricchezza di pratiche creative, di linguaggi sapienziali e spirituali, di insegnamenti a cui ogni donna puo' riferirsi in ogni momento della sua vita,"fonti" a cui attingere e da cui ricevere "doni" preziosi.
- La pratica della riconoscenza
Riconoscenza e' saper onorare il "debito" di gratitudine nei confronti della madre e di tutte quelle donne che nel corso della nostra vita ci hanno incoraggiate, sostenute, e hanno saputo costruire mediazioni che per noi sono state importanti. E' fondamentale chiederci a chi dobbiamo la consapevolezza che abbiamo raggiunto, riconoscere il bene che riceviamo da altre donne e anche da alcuni uomini, dal territorio, dall'ambiente. E' importante rendere visibili le relazioni che ci sostengono e ci autorizzano ad andare avanti e a rilanciare nei contesti in cui agiamo. "Riconoscenza" e' una parola femminile universale che indica il passaggio a un piano piu' alto di civilta'. Di qui passa l'amore per il mondo da cui muove la politica vera.
- La pratica di promuovere autorita' sociale femminile
C'e' autorita' di origine femminile ovunque ci si prenda cura del vivere insieme, si sanino le ferite, si compiano gesti pieni di significato, si trovino le parole giuste nei momenti di conflitto, si inventino mediazioni efficaci avendo come prima motivazione non il vantaggio personale ma il desiderio di migliorare il mondo. Promuovere autorita' femminile significa anzitutto fare attenzione alle donne (e agli uomini) che operano nei contesti reali con competenza, generosita' e capacita' di tessere relazioni. Non basta volgere lo sguardo a queste figure sociali positive, che sono tante benche' spesso invisibili e anonime. E' necessario indicarle come esempi e promuovere concretamente la loro opera.
- La pratica dell'amore per la citta' e per il luogo in cui si vive
E' una pratica che nasce da un radicale cambiamento di sguardo: superata l'estraneita' nei confronti della citta' e del territorio e l'indifferenza per chi ci vive accanto, il nostro sguardo si orienta verso la comunita' di cui siamo parte. Questa pratica d'amore si realizza nei contesti, qui e ora, a partire dallo spazio vicino alle case che abitiamo, senza rigide separazioni tra dentro e fuori, tra pubblico e privato, tra cio' che accade nel "piccolo" dei contesti reali e cio' che capita nel "grande" del mondo.
Il vincolo di prossimita', l'attenzione a quelle e quelli che abitano accanto a noi, alle vicine e ai vicini di casa e nei diversi contesti della vita sociale, politica e lavorativa diventano cosi' il fondamento dell'azione politica. Amare il luogo che abitiamo comporta il prendersene cura, garantire una presenza consapevole che ha attenzione per la vita materiale e al tempo stesso ha a cuore la qualita' della vita pubblica. Le cose possono cambiare in meglio quando sono all'opera donne attente e sensibili – ma anche uomini liberi dal bisogno di primato -, consapevoli della fragilita' e dell'interdipendenza tra viventi.
- La pratica del desiderio
Si tratta di non smettere mai di interrogarsi su cio' che ci muove a livello profondo, anche inconscio, e saper ricondurre il confronto politico con altre e altri alle ragioni del desiderio. Quando, per esempio, ci si candida a elezioni: qual e' il desiderio che ci spinge? L'amore per il mondo? Provare a rispondere alle richieste di liberta' e giustizia? Lavorare per la salvaguardia dell'ambiente e la cura del territorio? Quanto, invece, pesa l'ambizione di potere o il semplice protagonismo personale? Il desiderio femminile di liberta' apre la strada a un'azione politica che dia spazio all'immaginazione creativa, al pensiero fecondo, alle pratiche artistiche.
- La pratica della trascendenza e della spiritualita'
Le donne che oggi intendono impegnarsi nel governo di un'impresa, di una citta' o di una nazione con l'intento di restituire dignita' alla politica e all'economia, strappandole alla gestione brutale del potere e alle logiche onnivore del profitto, non possono prescindere da un cammino interiore che le conduca a un'autentica trasformazione, in relazione con altre donne libere e consapevoli. E' politico sentirsi in connessione con la terra e con gli altri viventi, con la bellezza naturale, con quella delle espressioni artistiche. E' politico saper tenere conto dei limiti. In molte pratiche femminili, come la ripetizione dei gesti di cura, la pazienza di insegnare a parlare, il silenzio, coltivare un orto, raccogliere erbe medicinali, e ancora la tessitura, la calligrafia, si e' sempre manifestato un legame inscindibile tra spiritualita' e sapienza materiale. Queste pratiche hanno tenuto le donne vicine a un'idea di cio' che e' sacro e ad un tempo alle necessita' dell'esistere, senza gerarchie ne' divisioni tra spirito e materia, conducendo alle fonti della vita stessa, generando un incontro imprevisto con il presente vivo e con il respiro che attraversa la storia. Queste pratiche sono politiche perche' contrastano la perdita di umanita' che stiamo patendo in questo presente.
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Alessandra De Perini, Franca Marcomin, Maria Teresa Menotto, Luisella Conti, Luana Zanella, Nadia Lucchesi, Desiree Urizio, Silvana Giraldo, Renata Cibin, Luciana Talozzi, Carla Neri, Antonella Cunico, Laura Guadagnin, Grazia Sterlocchi, Lucia Catalano, Paola Morellato, Annalisa Faverin, Grazia Guarenti, Paola Pattaro, Cristina Bergamasco, Laura Bellodi, Daniela Bettella, Maria Voltolina, Stefania Bertelli, Renata Mannise.
 
3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: IL FUTURO DI COSA NOSTRA E IL DIRITTO ALLA VERITA'
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 23 novembre 2017 con il titolo "Morto Riina ora servono le verita'".
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com]
 
Le reazioni suscitate dalla morte di Riina offrono un quadro dominato da due visioni di fondo. Da un lato c'e' chi sostiene che Cosa nostra e' sempre la stessa, corrisponde ancora alla ricostruzione canonizzata dal maxiprocesso: una struttura piramidale e verticistica, con le famiglie, i mandamenti e le commissioni, anche se e' diventato problematico tenerle in piedi poiche' i capi sono in carcere, piu' d'uno all'ergstolo. Dall'altro lato si dice che quella mafia non c'e' piu', non c'era neppure ai tempi del maxiprocesso, dato che la scalata dei corleonesi aveva rivoluzionato la struttura tradizionale, una sorta di repubblica confederale e presidenziale, sostituendola con una monarchia assoluta, una dittatura personale. E c'e' chi sostiene che negli ultimi anni si sarebbe formata una sorta di Cosa nuova, che avrebbe rinunciato alle violenza e preferirebbe fare ricorso alle pratiche corruttive. Tali pratiche sarebbero anche il comune denominatore delle cosiddette "nuove mafie", che avrebbero sostituito alla "signoria territoriale" il controllo monopolistico su un singolo settore. In ogni caso, avvertimento unanime: per evitare sorprese, "non bisogna abbassare la guardia".
Piu' realisticamente, negli ultimi anni in Cosa nostra hanno convissuto due anime. C'e' la fazione degli irriducibili, rappresentata soprattutto dai boss in carcere che vorrebbero ripristinare la linea stragista, incuranti che quella linea ha avuto esiti disastrosi per la tenuta dell'organizzazione. C'e' poi la fazione, a quanto pare maggioritaria, dei "moderati" che ritengono necessario, almeno per qualche tempo, riporre le armi (sono pur sempre dei mafiosi, cioe' professionisti della violenza, non si sono trasformati in gestori di una bocciofila), ricomporre le gerarchie interne e all'esterno ricostruire il sistema di rapporti, dai professionisti ai rappresentanti delle istituzioni, che in passato e' stato la vera forza della mafia siciliana.
Non ci vuol molto a capire che le cose sono da tempo cambiate. Sono finiti i tempi d'oro degli appalti – anche se qualcosa di appetitoso rimane e bisogna essere pronti per metterci le mani –, del partito pigliatutto, dell'egemonia sui traffici internazionali. Uccidere un sindacalista, fare sparare a Portella significava essere sicuri di farla franca, poiche' la violenza era funzionale al mantenimento di un determinato assetto di potere, era una risorsa politica e come tale veniva impiegata e legittimata con l'impunita'. Ma se si uccidono Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino era prevedibile che ci fosse una reazione e anche se quei delitti, come le stragi del 1993, non sono stati solo di mafia, ma vi hanno concorso altri soggetti, quel che e' certo e' che Riina e gli altri capi hanno pagato con una collezione di ergastoli e il carcere duro. Riina sara' stato fino alla fine il gran capo di Cosa nostra, ma e' morto da sconfitto, non da vincitore.
Gia' con Provenzano la gestione monocratica avrebbe ceduto il passo a una prospettiva di gestione collegiale. Quindi il problema, dopo la morte di Riina, non sarebbe eleggere un nuovo capo dei capi, ma trovare una soluzione di compromesso, in cui, se un capo dev'esserci, dovrebbe avere poteri limitati e controllabili: un primus inter pares. Se il passaggio alla collegialita' – con il ripristino del metodo elettivo, come si e' fatto per il rinnovo delle cariche nel clan di Santa Maria di Gesu' – e' gia' avvenuto, non ci sono problemi. Se deve ancora avvenire si potrebbe ricorrere a un organismo provvisorio, com'e' accaduto in passato. Nel 1970, in seguito alla decisione di sciogliere l'organizzazione, in un periodo di repressione conseguente alla strage di Ciaculli, si scelse di costituire un gruppo ristretto, un triumvirato, composto da Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, sostituito da Riina, un trio malassortito, che avrebbe spianato la strada all'offensiva dei corleonesi. Oggi, con i vuoti negli organici, la ricostruzione dovrebbe essere affidata alle seconde file e ad alcuni seniores a piede libero.
I familiari delle vittime hanno lamentato che Riina si e' portati nella tomba segreti che avrebbero fatto di un delinquente semianalfabeta della provincia siciliana un protagonista di quella che, con una buona dose di generalizzazione, e' stata definita "la vera storia d'Italia". Ma c'e' chi dice che quei segreti potrebbero essere una formidabile arma di ricatto, una sorta di "capitale politico" da spendere nei modi che saranno ritenuti piu' opportuni. La storia delle alleanze e delle complicita' potra' essere solo in parte ricostruita nelle sedi investigative e giudiziarie. E non so fino a che punto possano essere considerate affidabili le allusioni di Giuseppe Graviano. Usa l'arma del ricatto, rievocando Berlusconi, o scalpita perche' si sente abbandonato al suo destino? Il diritto alla verita', che non riguarda solo i familiari delle vittime ma e' irrinunciabile in una democrazia che non voglia continuare a chiudere scheletri negli armadi, dovrebbe essere garantito sul piano politico, con un impegno collettivo. Diversamente ci sara' un passaggio dalla delega alla magistratura alla delega agli storici.
 
5. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: DOPO RIINA
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 18 novembre 2017 con il titolo "Don Calo', Riina e gli altri capi"]
 
Che succede nella mafia quando muore, o viene scalzato o esautorato, un capo o un capo dei capi come Toto' Riina? Per trovare una risposta a questa domanda possiamo fare una breve incursione nel passato dell'organizzazione mafiosa. Di capo supremo, a Palermo e dintorni, parlavano gia' le relazioni del questore Ermanno Sangiorgi di fine Ottocento. Gli otto gruppi mafiosi operanti in quel periodo hanno avuto per qualche tempo come capo un Francesco Siino, che a un certo punto, vedendo che la sua leadership non era riconosciuta, si dimette e comincia uno scontro tra i vari gruppi. Da allora inizia una storia in cui ci sono dei capi, ma non e' detto che ci sia un capo dei capi.
Andando a tempi piu' recenti, troviamo capimafia riconosciuti per il loro prestigio, ma sempre in un territorio limitato. Nel secondo dopoguerra a capo della cosca corleonese c'e' il dottore Michele Navarra, consacrato dalla devozione popolare come "u patri nostru", asceso al potere dopo uno scontro sanguinoso (dal 1944 al 1948 ci sono 44 omicidi e 26 tentati omicidi). Ha forti agganci politici (prima separatista, poi liberale, infine democristiano), e' cavaliere della Repubblica, ma deve tenere a bada la leva dei viddani che fanno parte dell'organizzazione. Tra essi c'e' il giovane Luciano Leggio (per un errore di trascrizione Liggio) che mal sopporta il potere di Navarra e nell'agosto del 1958 gli tende un agguato e lo uccide. Con lui ci sono Provenzano e Riina. Sono loro che successivamente muoveranno all'assedio delle famiglie mafiose di Palermo. Sempre nel secondo dopoguerra, un altro capo storico e' Calogero Vizzini, protagonista dell'attentato a Li Causi del 16 settembre 1944, che terra' la scena per molti anni. Ai funerali di don Calo', morto di morte naturale nel 1954, a reggere i cordoni della bara, ostentazione di una vicinanza al corpo del capo, c'e' Giuseppe Genco Russo, che sara' il successore. Ma, che si sappia, non c'era allora un'organizzazione con un centro di comando unitario in tutta la Sicilia, o almeno nelle province occidentali.
Di un gruppo di capimafia, designati al fine di definire la linea di condotta per far fronte alle misure predisposte dopo la strage di Ciaculli, parla una sentenza istruttoria del magistrato Cesare Terranova del giugno 1964. Ne facevano parte Cesare Manzella e Gaetano Badalamenti di Cinisi, Salvatore Greco e Salvatore La Barbera di Palermo, Giuseppe Panno di Casteldaccia, Luciano Liggio di Corleone. Di "commissione" parla sempre Terranova in una sentenza del maggio 1965. Era composta da quindici capimafia e il capo riconosciuto sarebbe stato Giuseppe Panzeca di Caccamo. Siamo alle prime informazioni su quella che sara' la cupola. Gli avvenimenti piu' recenti dovrebbero essere noti. La scalata al potere dei corleonesi, alleati con mafiosi delle famiglie palermitane che tradiscono i loro capi, come Bontate e Inzerillo; la guerra di mafia dei primi anni '80, con un migliaio di morti – ma alcune centinaia sarebbero lupare bianche, difficili da documentare -, che ha come effetto boomerang l'emorragia dei "pentiti" (e tra essi, Buscetta che rivela l'organigramma di Cosa nostra); la violenza esterna che decapita la classe dirigente, con l'uccisione, tra molti altri, di Mattarella, La Torre e Dalla Chiesa, con un altro effetto boomerang: la legge antimafia del 13 settembre 1982, il maxiprocesso con molte condanne di capi e gregari.
Lo stratega di questa guerra e' Toto' Riina che fa della violenza, portata all'estremo, la risorsa fondamentale per assicurarsi il comando e per l'attacco allo Stato con le stragi del '92 e del '93. Un capomafia tirannico e feroce che non si preoccupa delle conseguenze o confida in misteriose coperture, che non gli hanno evitato 26 ergastoli e il carcere duro. Sara' stato grande capo fino alla fine, ma muore sconfitto. Se l'hanno ispirato e spalleggiato soggetti esterni a Cosa nostra, proveranno ad accertarlo indagini e processi in corso. Che succede adesso, dopo la morte di Rina? Da intercettazioni risulta che dentro Cosa nostra c'e' stata una vacatio: "finche' non muoiono Riina e Provenzano non si vede lustro", si dicono due mafiosi. Che vuol dire? Che Cosa nostra ha osservato una regola o, trincerandosi dietro l'ossequio simbolico ai capi storici, non e' stata in grado di esprimere una nuova leadership? Intanto ci sono capimafia che escono dal carcere ed e' molto probabile che nascano frizioni con i reggenti che hanno preso il loro posto. Nei mesi a venire potrebbe riprendere la contesa per il potere. In una fase che si dice di transizione, ma potrebbe essere di crisi. Vedremo se irreversibile o meno.
 
6. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: COSA NOSTRA E GLI SBIRRI
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 2 novembre 2017 con il titolo "Il decalogo del perfetto mafioso che vieta comparati con gli sbirri"]
 
"Non si fanno comparati con gli sbirri": e' il terzo comandamento del decalogo di Cosa nostra trovato nel villino in cui si nascondevano Salvatore e Sandro Lo Piccolo. II decalogo del "perfetto mafioso" era stato trascritto su un foglio, per ricordare norme trasmesse di bocca in bocca, com'era in uso tra i mafiosi, prima che Provenzano si dedicasse alla scrittura dei pizzini. Ci si puo' chiedere se quel decalogo sia ancora in vigore, ma, a quanto pare, il terzo comandamento e' ancora rispettato, o quanto meno si cerca di farlo rispettare. Il capomafia di Bagheria, Giuseppe Scaduto, ha ordinato al figlio di uccidere la sorella perche' aveva una relazione, lei dice di amicizia, con un maresciallo dei carabinieri. Doveva uccidere anche il maresciallo e il convivente. Se non bisogna fare "comparati", figurarsi se puo' essere consentito amoreggiare con uno "sbirro" e probabilmente "farsi sbirra", violando segreti e passando informazioni. Ma il figlio si e' rifiutato, con la motivazione: "ho trent'anni e non mi voglio consumare. Se vuoi fallo tu". Si e' detto: non e' un'esplicita presa di distanza dalla cultura e dall'etica mafiose, in nome di un'etica alternativa; e' una motivazione basata su un calcolo costi-benefici, ma e' comunque un rifiuto, che dimostra distacco da una prassi che lo condannerebbe a trascorrere il resto della sua vita in carcere.
La proibizione di avere rapporti con gli "sbirri" e' espressione del non riconoscimento del monopolio statale della forza. Lo "sbirro" e' un estraneo e un nemico. La mafia ha un suo ordinamento, un complesso di regole la cui trasgressione va punita con una sanzione che puo' essere la morte. Per la mafia l'omicidio non e' un reato, e' la pena che applica a chi non osserva le sue regole o ostacola i suoi interessi. E' la faccia dell'antistato che convive con l'altra faccia che rappresenta le interazioni con le istituzioni.
Sfogliando vecchie pagine di storia, si trovano episodi che mostrano come il rapporto con soggetti che rappresentano lo Stato, sono lo Stato, venga considerato una trasgressione del codice mafioso da punire con la morte. Nel processo ai fratelli Amoroso, del 1883, uno dei delitti piu' feroci ed emblematici e' l'uccisione di un giovane, Gaspare Amoroso, colpevole di aver fatto il servizio militare come carabiniere: un disonore per i congiunti mafiosi. Il giovane viene attirato in un tranello, i "giustizieri" fanno cerchio attorno a lui e ognuno di loro infligge una coltellata. La punizione e', dev'essere, collettiva. E' il gruppo mafioso che "fa giustizia". "Lassatimi iri", grida il giovane, ma non ha scampo. Agli occhi dei suoi parenti, il suo "delitto" e' troppo grave per poter essere perdonato.
Il boss Scaduto, che voleva ricostruire la cupola mafiosa, senza riuscirci, ha voluto attenersi a una tradizione storica, ma il suo progetto di fare una strage per lavare una violazione del codice d'onore mafioso non e' stato realizzato, neppure con il ricorso a un sicario, che si sarebbe rifiutato. Piu' che di contraddizioni interne a Cosa nostra, si puo' parlare di problemi nati in una famiglia di sangue mafiosa. La figlia ha fatto le sue scelte da tempo: e' un'amministratrice di alberghi e ha avuto una vita sentimentale lontanissima dai canoni mafiosi. Il figlio, con il suo rifiuto, mostra di non riconoscersi nel codice che il padre vorrebbe imporgli. I figli del capomafia Scaduto piu' che rampolli di un boss di Cosa nostra sono cittadini di una societa' che ha altri scopi e altri riferimenti.
La crisi della mafia siciliana sta pure nel comportamento dei figli che non seguono le orme dei padri, ma e' soprattutto frutto della repressione istituzionale che ha svuotato gli organici, dei problemi all'interno del sistema relazionale, con soggetti che non vogliono correre troppi rischi, dei rapporti con la politica che non ha piu' un preciso asse di riferimento, del minor ruolo nei traffici e negli appalti, delle attivita' antimafia, con i commercianti e gli imprenditori che non vogliono pagare il pizzo, che mostrano che il consenso si e' ridotto. E' una crisi irreversibile o e' solo una fase di transizione? Tutto dipende dal contesto, che ha visto notevoli cambiamenti ma in cui l'illegalita' per buona parte della popolazione continua ad essere una cultura e una risorsa. E in questo terreno organizzazioni di tipo mafioso potrebbero trovare la possibilita' di riprendersi e risalire la china. Si chiamino Cosa nostra o Cosa nuova.
 
7. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA SINISTRA CHE NON C'E'
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 31 ottobre 2017 con il titolo "La sinistra deve ripartire dai disoccupati"]
 
Le considerazioni di Enrico Del Mercato sulla sinistra siciliana possono essere l'occasione per una riflessione che non puo' riguardare solo la Sicilia. Si tratta di ricostruire una storia che ha dominato la scena mondiale fin dalla seconda meta' del XIX secolo. La sinistra, le sinistre, debbono la loro denominazione alla collocazione negli emicicli parlamentari, ma la loro nascita e il loro sviluppo non si sono realizzati nelle sedi istituzionali, ma nel corpo della societa'. I "proletari di tutto il mondo" che il Manifesto di Marx ed Engels del 1848 invitava ad unirsi, erano gli operai ammassati nelle fabbriche e negli slum londinesi, che cominciavano a ribellarsi e venivano chiamati ad essere attori di un processo rivoluzionario. Su questa base, i partiti socialisti e comunisti erano forme di organizzazione e scuole di educazione delle classi subalterne. Con percorsi piu' o meno fedeli alle teorizzazioni, le rivoluzioni socialiste furono l'esempio da seguire per molti decenni. In Italia gli operai del Nord e i contadini del Sud dovevano essere i soggetti della strategia rivoluzionaria di Gramsci. Ma prima di lui lo avevano capito e praticato in Sicilia Giovanni Orcel e Nicolo' Alongi, dirigenti di mobilitazioni di massa che si scontravano con la violenza mafiosa. Nel secondo dopoguerra il Blocco del popolo vinse le elezioni regionali del 20 aprile 1947 perche' era alla testa di un movimento con centinaia di migliaia di persone: braccianti, mezzadri e contadini poveri. A quella vittoria si rispose con la strage di Portella della Ginestra e l'alleanza della Democrazia cristiana con le destre. La riforma agraria del 1950, con fazzoletti di terra assegnati per sorteggio, diede il via a un flusso migratorio di piu' di un milione di persone. Questo dissanguamento demografico ha segnato un drastico ridimensionamento di sindacati e partiti che avevano diretto le lotte, scrivendo la pagina piu' intensa e drammatica della storia dell'antimafia. Nei decenni successivi le sinistre in Sicilia hanno avuto un ruolo sempre meno rilevante perche' hanno perso gran parte della loro base sociale. Il Partito comunista ha cercato di tenersi a galla con il consociativismo. Ultimo sprazzo di luce: l'impegno di Pio La Torre contro la mafia e per la pace.
Nel resto d'Italia gli operai negli ultimi anni sono stati decimati dalla crisi e dalle delocalizzazioni. Con l'implosione del "socialismo reale", il PCI (nel frattempo i socialisti erano stati spazzati via da Tangentopoli) ha celebrato alla Bolognina il suo passaggio ufficiale da partito di classe a partito d'opinione. Con il renzismo si ha la cancellazione di ogni traccia di sinistra. Adesso ci sono frammenti di ceto politico che cercano di sopravvivere e predicatori di alternative senza aggancio con la realta'. Come si esce da questo vicolo cieco? Penso che l'unica strada sia guardare alla societa' cosi' come si presenta oggi: un panorama popolato da disoccupati, precari, lavoratori in nero, giovani senza futuro, immigrati costretti a un lavoro schiavistico. Questi potrebbero essere i soggetti di un nuovo blocco sociale, ma e' un mondo frammentato e difficile da ricomporre, pero' e' qui che si gioca non solo il futuro della sinistra, ma della democrazia.
Forse un riferimento al passato puo' giovare: il piano del lavoro di Di Vittorio, il segretario della CGIL piu' combattivo e prestigioso, del 1949, era una risposta alla disoccupazione del suo tempo. Oggi un piano del lavoro deve rispondere alle attese di strati sociali emarginati. Con quali obiettivi? Si potrebbe porre al centro la salvaguardia dell'ambiente, mettendo in sicurezza il territorio, edifici pubblici e abitazioni private. Centri storici e periferie. Un grande cantiere che darebbe lavoro a milioni di persone. Ma ci vogliono grandi investimenti pubblici, in controtendenza rispetto ai canoni del neoliberismo. Per mutare rotta ci vorrebbe una mobilitazione che richiede una presenza diffusa sul territorio, smantellata negli ultimi anni. E' un sogno? Lo rimarra', se non ci si comincia a muovere in questa direzione. In Sicilia come altrove. Va da se' che questo e' un discorso di lunga lena e non un manifesto per campagne elettorali.
 
8. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: LA MAFIA, OGGI. CONTINUITA' E MUTAMENTO
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento pubblicato originariamente sulla cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" il 20 settembre 2017 con il titolo "Mafia, quel vuoto di verita' che pesa"]
 
Dall'11 al 15 settembre, presso il Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'Universita' degli Studi di Milano, si e' svolta la settima edizione della Summer School sul tema: "La mafia, oggi", organizzata da Nando dalla Chiesa. Al centro dei lavori una serie di domande: la mafia non e' piu' quella di una volta, non spara piu', ha ceduto il passo alla corruzione? La mafia non ha piu' territori, e' ovunque? La mafia "vera" c'e' solo nelle regioni meridionali, la criminalita' organizzata delle altre regioni non e' mafia? "Mafia Capitale" non esiste, e' un abbaglio della procura di Roma?
Le relazioni in programma, nel rispondere agli interrogativi, con gli strumenti della ricerca teorica e con le ricostruzione dei fenomeni in atto, hanno posto l'accento sul rapporto tra continuita' e mutamento e tra crimine organizzato e potere. Per le mafie storiche si e' chiarito che, al di la' di rappresentazioni rigide e schematiche, se puo' parlarsi di continuita' per la persistenza di aspetti costitutivi, come l'estorsione, espressione emblematica della "signoria territoriale", di sostanzialmente continuativo c'e' proprio la capacita' di trasformarsi e rinnovarsi, con una grande capacita' di adattamento al mutamento dei contesti spazio-temporali. Senza questa elasticita', soprattutto la mafia siciliana, in gran parte identificata con Cosa nostra, sarebbe scomparsa da tempo, spazzata via dalla modernita'. Se c'e' ancora e' proprio per la sua capacita' di intrecciare arcaico e post-moderno.
Nei tempi della post-verita', delle narrazioni che eroicizzano i boss, utilizzano la mafia come brand pubblicitario, le dedicano ristoranti e luoghi di ritrovo, scambiano l'esse con il percipi, il "discorso" scientifico sulla mafia stenta a farsi strada, anche perche' troppe volte prevalgono rappresentazioni che ignorano la storia, cancellando la continuita', e fanno della mafia una corporation manageriale, con i boss che mandano i figli a studiare ad Oxford e giocano in borsa. Che la mafia degli ultimi decenni possa definirsi "finanziaria", per la superfetazione dell'accumulazione illegale, e "transnazionale", per l'articolazione delle presenze e dei traffici, non ci sono dubbi, ma basta ascoltare le voci anche di una sola intercettazione per rendersi conto che persistono accenti e posture vernacoli e rionali. Che si sposano benissimo con le opportunita' offerte dalla globalizzazione, soprattutto attraverso il sistema relazionale, che non ha funzione di mero supporto, ma e' stato, ed e', un aspetto costitutivo del fenomeno mafioso.
Le "nuove mafie" sono mafie o sono un'altra cosa? Qui il problema e' l'ancoraggio al territorio, che pur non essendo esplicitamente previsto dalla formulazione della legge antimafia del 1982, e' considerato requisito indispensabile del fenomeno mafioso. L'elaborazione piu' recente, avallata anche dalla Cassazione, indica la possibilita' di applicare il 416bis anche quando il controllo e' su un settore d'attivita': le forniture, il movimento terra, lo smaltimento dei rifiuti ecc.
Sul problema della corruzione, che porta piu' d'uno alla considerazione che ormai le mafie non hanno bisogno di usare la violenza poiche' risulta piu' efficace l'uso di pratiche corruttive, si e' precisato che non si tratta di una novita' e che in ogni caso corruzione e mafia sono fenomeni distinti e non c'e' nessun bisogno di inserire nel 416bis un riferimento alle pratiche corruttive, anche quando assumono il carattere di corruzione sistemica e organizzata. La legge antimafia, e' stato sottolineato, rappresenterebbe una risposta eccezionale a una condizione eccezionale, cioe' l'attacco allo Stato mosso da Cosa nostra con i grandi delitti e le stragi. E c'e' chi, nel corso dei lavori, ha posto il problema della sua applicabilita' in presenza di condizioni diverse. In ogni caso, un ampliamento ad libitum della figura di reato porterebbe alla polverizzazione del fenomeno mafioso, a una sorta di mafia fai da te.
Il tema di fondo che e' emerso dai lavori riguarda il contesto attuale, in cui legale e illegale si sovrappongono, la politica coincide con gli interessi privati, il potere formale viene sostituito da un potere reale, che si pone non come eccezione ma come regola. In questo quadro rimane un vuoto di verita'. Le stragi del '92 e del '93 sono solo mafiose o richiamano responsabilita' all'interno delle istituzioni? Sono espressioni di un delirio di onnipotenza criminale o, avendo pesantemente condizionato le dinamiche del potere nel nostro Paese, non possono non coinvolgere altri attori? A suo tempo chi scrive aveva proposto che il lavoro che la Commissione parlamentare antimafia ha fatto sul depistaggio dell'inchiesta per l'assassinio di Peppino Impastato venisse fatto per i grandi delitti e le stragi su cui non c'e' una verita' giudiziaria o e' solo inadeguata e parziale. A Milano il Presidente del Senato ha proposto la costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi. Mi auguro che la sua richiesta venga accolta, ma la storia del nostro Paese, da Portella della Ginestra a oggi, e' stata una collezione di scheletri negli armadi.
 
9. SCORCIATOIE. BENITO D'IPPOLITO: NOTTE DI LUNA PIENA
 
Notte di luna piena
i rami spogli dell'albero sembrano ossa
di mani innumerevoli che tentano
afferrare il cielo
 
Brama di vivere
e fuga dal mondo
 
In questo deserto
tutta la storia umana
tutta la tragedia
di essere maschere
e alito di vento
 
10. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riedizioni
- Emma, Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano, Laterza, Roma-Bari 2020, Gedi, Roma 2021, pp. XIV + 176, euro 12,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
 
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
12. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4059 del 30 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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