[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 34



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo"
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 34 del 28 marzo 2021
 
In questo numero:
1. Alcune poesie di Adrienne Rich
2. Umberto Santino: Sciascia e l'antimafia: trent'anni di polemiche
 
1. TESTI. ALCUNE POESIE DI ADRIENNE RICH
[Riproponiamo ancora una volta questa scelta di versi di Adrienne Rich, dal volume Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979 (edizione originale: Diving into the Wreck, W. W. Norton, New York 1973, premiato con il National Book Award nel 1974), nella traduzione di Liana Borghi (che di Adrienne Rich e' traduttrice e studiosa acutissima).
Adrienne Rich (Baltimora, 16 maggio 1929 - Santa Cruz, 27 marzo 2012) e' stata una grandissima poetessa e saggista femminista americana di straordinaria intensita' e profondita', di forte impegno civile, militante per la pace e la dignita' umana. Presentando alcuni suoi versi anni fa scrivevamo che "Adrienne Rich e' l'autrice di Nato di donna, un libro la cui lettura e' ineludibile. Ma e' anche una poetessa che ha scritto versi che ti tolgono il respiro, ovvero te lo restituiscono. Ed una militante per la pace e i diritti umani di grande rigore e nitore". Dal sito www.crocettieditore.com riprendiamo la seguente scheda di alcuni anni fa: "Adrienne Rich e' nata il 16 maggio 1929 a Baltimora. Poetessa, saggista e militante femminista, a ventun anni ha vinto il Premio Yale per giovani poeti con A change of world (1951, Un mutamento di mondo). Ha, inoltre, pubblicato le raccolte poetiche Gli intagliatori di diamanti (1955, The diamond cutters), Necessita' del vivere (1966, Necessities of life), Esplorando il relitto (1973, Diving into the wreck), Il sogno di una lingua comune (1978, The dream of a common language), Atlante del mondo difficile (1991, Atlas of the difficult world); e i saggi Nato di donna (1976, Born of woman), Segreti silenzi bugie (1966-78, On lies, secrets and silence), Sangue, pane e poesia (1986, Blood, bread and poetry); e la raccolta Oscuri campi della repubblica (1991-95, Dark fields of the republic), che comprende anche numerose sequenze narrative". Tra le opere di Adrienne Rich: Nato di donna, Garzanti, Milano 1977, 2000; Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979; Segreti silenzi bugie, La Tartaruga, Milano 1982; Lo spacco alla radice, Estro, Firenze 1985; Come la tela del ragno, La Goliardica, Roma 1985; Cartografie del silenzio, Crocetti, Milano 2000]
 
Cercando di parlare con un uomo
 
In questo deserto collaudiamo bombe,
 
ecco perche' siamo venuti qui.
 
Talvolta sento un fiume sotterraneo
premere tra due scogliere deformi
un angolo acuto di comprensione
spostarsi come un loco del sole
in questo paesaggio condannato.
 
A cosa abbiamo rinunciato per arrivare fin qui -
intere collezioni di Lp, film recitati da noi
ormai in terza visione, vetrine di fornai
piene di biscotti ebraici secchi, alla cioccolata
il linguaggio delle lettere d'amore, dei suicidi,
pomeriggi sul greto del fiume
fingendo di essere bambini
 
Venendo in questo deserto
di cui volevamo cambiare il volto
guidando tra cactacee verde spento
camminando a mezzogiorno nelle citta' morte
circondati da un silenzio
che sembra il silenzio di questo luogo
solo che e' venuto con noi
ed e' familiare
e tutte le cose finora dette
erano uno sforzo per cancellarlo -
Venendo qui siamo al confronto
 
Qui mi sento piu' indifesa
con te che senza te
Tu accenni al pericolo
elenchi l'equipaggiamento
parliamo di persone che si aiutano
in casi di emergenza - lacerazione, sete -
ma tu guardi me come un caso d'emergenza
 
Il tuo calore secco e' potere
i tuoi occhi sono stelle di una grandezza diversa
riflettono luci che dicono: uscita
quando ti alzi e misuri coi passi il pavimento
 
parlando del pericolo
come se non fossimo noi
come se collaudassimo qualcos'altro.
 
1971
 
*
 
Quando noi morti ci destiamo
 
Per E. Y.
 
1. Cercando di dirti come
l'anatomia del parco
attraverso i vetri macchiati, il modo
in cui i guerriglieri avanzano
sui campi minati, l'immondizia
che brucia senza fine nel cumulo
per tornarsene in cielo come macchia -
ogni cosa fuori della nostra pelle e' un'immagine
di questa afflizione:
pietre sulla mia tavola, portate a mano
da scene di cui mi fidavo
ricordi di quel che un tempo descrissi
come felicita'
ogni cosa fuori della mia pelle
parla del difetto che mi fa zoppicare
persino le cicatrici delle mie decisioni
persino lo sprazzo di sole nella vena di mica
persino tu, compagna creatura, sorella,
che mi siedi di fronte, scura d'amore,
lavorando come me a disfare
lavorando come me a rifare
questo strascico di maglia, questo panno di oscurita',
questo indumento di donna, cercando di salvar la matassa.
 
2. Il fatto di essere una persona separata
entra nella tua esistenza come un mobile
- un cassone di legno del Seicento
di qualche parte del Nord.
Ha una serratura enorme modellata a testa di donna
ma la chiave non s'e' trovata.
Negli scompartimenti ci sono altre chiavi
di porte smarrite, un occhio di vetro.
Piano cominci ad aggiungere
cose tue.
Vai e vieni riflessa nei pannelli.
Smetti di ricordare gli anniversari,
cominci a scrivere nei tuoi diari
piu' onestamente che mai.
 
3. L'incantevole paesaggio del Sud Ohio
tradito dalle miniere a cielo aperto, la
grossa fede d'oro al dito dell'adultero
i programmi indistinti della radio pirata vicino alla costa
sono motivi di esitazione.
Qui nella matrice del bisogno e della rabbia, la
confutazione di quanto ritenemmo possibile
fallimento di cure
dubbi sull'esistenza dell'altro
- dillo e ripetilo, le parole
si addensano di non senso -
eppure mai siamo stati piu' vicini alla verita'
delle menzogne che vivevamo, ascoltami:
la fedelta' che so immaginare sarebbe un'erbaccia
che fiorisce nel catrame, un'energia blu che buca
gli atomi ammassati di una roccia d'incredulita'.
 
1971
 
*
 
Svegliandosi nel buio
 
1. La cosa che mi arresta e'
 
come siamo composti di molecole
 
(mi mostro' il disegno del selciato)
 
disposte senza nostro consenso e consapevolezza
 
come la telefoto composta
di milioni di puntini
 
nella quale l'uomo del Bangladesh
cammina affamato
 
sulla prima pagina
senza saperne niente
 
e questa e' la sua presenza per il mondo.
 
2. Stavamo in fila fuori di qualcosa
due a due, o da soli a coppia, o solamente soli,
guardando vetrine piene di forbici,
vetrine piene di scarpe. La strada chiudeva,
la citta' chiudeva, avremmo avuto noi la fortuna
di farcela? Esponevano
in una teca, l'Uomo senza patria.
Gli alzammo i passaporti in faccia, piangemmo per lui.
 
Scaricano sangue animale nel mare
per attirare i pescecani. Talvolta ogni
aperura del mio corpo
perde sangue. Non so se
far finta che sia naturale.
C'e' una legge per questo, una legge di natura?
Tu adori il sangue
lo chiami perdita isterica
lo vuoi bere come latte
vi immergi il dito e scrivi
svieni all'odore
sogni di scaricarmi in mare.
 
3. La tragedia del sesso
e' intorno a noi, un lotto di bosco
per cui si affilano le asce.
I vecchi ripari e capanni
fissano dalla radura con una certa risolutezza
- la capanna dell'eremita', il rifugio dei cacciatori -
scene di masturbazione
e barzellette sporche.
Un mondo di uomini. Ma finito.
Loro stessi l'hanno venduto alle macchine.
Cammino nella foresta ignara
una donna nella vecchia uniforme da corve'
che si e' ristretta per starle, sono persa
a momenti, mi sento stordita
dal sole che muove le zampe tra gli alberi,
ho freddo nell'umido lichene del folto.
Niente si salvera'. Sono sola,
a calciare gli ultimi tronchi marci
con il loro strano odore di vita, non di morte,
a chiedermi cosa mai avrebbe potuto diventare tutto questo.
 
4. Chiarezza,
spruzzo
 
che acceca e purga
 
strali di sole che battono l'acqua
 
i corpi filano nell'aria
 
come alianti
 
i corpi al rallentatore
 
cadono
nella piscina
alle Olimpiadi di Berlino
 
controllo; perdita di controllo
 
i corpi risalgono
ritornano arcuati alla torre
il tempo si riavvolge su se stesso
 
chiarezza di aria aperta
dinanzi alle camere oscure
con le teste di doccia
 
i corpi ricadono ancora
a piombo
piu' veloci della luce
l'acqua si apre
come aria
come percezione
 
Una donna ha fatto questo film
contro
la legge
di gravita'.
 
5. Tutta la notte ho sognato un corpo
sul quale lo spazio pesa diversamente che sul mio
Facciamo l'amore per strada
il traffico rifluisce da noi
si rovescia come un lenzuolo
l'asfalto freme di tenerezza
non c'e' sgomento
ci muoviamo insieme come piante sott'acqua
 
Ancora e ancora, sul punto di svegliarmi
mi rituffo a scoprirti
che ancora bisbigli, toccami, continuiamo
a fluire per la lenta
foresta-oceano di luci di citta'
che ci smuove i peli del corpo
 
Ma questo e' il sogno che parla
svegliandomi
vorrei ci fosse un dove
reale su cui stare
e passarci il cannocchiale
e guardare la terra, il bosco selvaggio
dove lo spacco si apri'
 
1971
 
*
 
Incipienza
 
1. Vivere, giacere svegli
sotto l'intonaco scrostato
mentre si forma il ghiaccio sulla terra
a un'ora in cui niente si puo' fare
per affrettare le decisioni
 
sapere che il filo si compone
nel corpo del ragno
primi atomi della tela
visibile domani
 
sentire il futuro infuocato
di ogni fiammifero in cucina
 
Niente si puo' fare
se non a gradi. Scrivo la mia vita
ora per ora, parola per parola
guardando la rabbia delle vecchie sull'autobus
numerando le striature
d'aria nel cubetto di ghiaccio
immaginando l'esistenza
di qualcosa non ancora creato
questa poesia
le nostre vite
 
2. Un uomo dorme nella stanza accanto
Noi siamo i suoi sogni
Abbiamo testa e seni di donne
corpi di uccelli da preda
Talvolta ci tramutiamo in serpenti d'argento
Mentre vegliamo fumando e parlando di come vivere
lui si gira nel letto e mormora
 
Un uomo dorme nella stanza accanto
Un neurochirurgo entra nel suo sogno
e comincia a sezionargli il cervello
Lei non sembra un'infermiera
e' assorta nel suo lavoro
ha un volto severo, delicato come Marie Curie
Non e' / potrebbe essere una di noi due
 
Un uomo dorme nella stanza accanto
Ha passato tutto un giorno
in piedi, a tirare sassi nello stagno nero
che si mantiene nero
fuori del suo sogno noi saliamo incerte su per la collina
mano nella mano, saliamo incerte su per la collina
sopra la roccia vulcanica sfregiata.
 
1971
 
*
 
Dopo vent'anni
 
Per A. P. C.
 
Due donne siedono a un tavolo vicino a una finestra, ognuna colpita
diversamente dalla stessa luce.
Parlando sprizzano scintille
che i passanti per strada osservano
come un riflesso sul vetro di quella finestra.
Due donne nel fiore della vita.
I loro figli sono tanto grandi da avere figli.
La solitudine e' parte della loro storia da vent'anni,
il bordo scuro della pronta lingua,
il risvolto cupo dell'immaginazione.
C'e' neve e tuono nella strada.
Mentre parlano il lampo balena viola.
E' strano essere cosi' tante donne,
che mangiano e bevono alla stessa tavola,
che hanno lavato i bambini nello stesso lavabo
che hanno nascosto segreti l'una all'altra
hanno camiminato sul pavimento della loro vita in camere separate
e confluiscono ora nella storia come la donna del loro tempo
che vive nel fiore della vita
come in una citta' dove niente e' proibito
e niente permane.
 
1971
 
*
 
Lo specchio in cui due si vedono come una
 
1. E' lei che chiami sorella.
Il suo atto piu' semplice affascina,
come quando squama un pesce il coltello
la balena fra le lunghe dita
senza spreco di movimento o quando
rapida parlando d'amore
forbisce con la paglietta
il bollitore ammaccato
 
I pomi d'oro ti torcono il fianco
con improvviso vuoto
i cereali ti gonfiano, ogni grano
di spiga matura raccolto a  mano
Amore: il frigorifero
spalancato
le bistecce frollate si dissanguano
nella pellicola di plastica
il burro montato, le albicocche
gli avanzi acidi
 
Una cesta aspetta nel frutteto
che tu la riempia
le tue mani si scorticano contro
la ruvida corteccia,
le spine di questa pianta succulenta
Cogli, cogli, cogli
questo raccolto e' un fallimento
il succo ti scorre sugli zigomi
come sudore o lacrime
 
2. E' lei che chiami sorella
tu sfolgori come lampo per la stanza
le guizzi attorno come fiamma
ti abbagli nei suoi grandi occhi
enumerando le necessita' che non sente
spingendo i principi della tua vita
fra le sue mani
 
Lei si muove in un mondo di stoffa indiana
il corpo morbido
di ombre, il casimiro gonfio sui fianchi
mentre cammina per la strada con la camicetta di cotone
a comprare fichi freschi perche' tu li adori
a fotografare il ghetto perche' ce l'hai portata tu
 
Perche' piangi asciugati le lacrime
siamo sorelle
ti mancano le parole al suo sguardo affamato
le porgi un altro libro
segnato dalla tua matita
le porgi un disco
di due flauti che in India recitano
 
3. Tardi nella notte d'estate gli insetti
sfrigolano nel globo ingiallito
la tua pelle brucia dorata alla luce
In questo specchio, chi sei? Sogni del convento
con la sua disciplina, della stanza dei bambini
con la bambinaia, dell'ospedale
dove tutti i potenti sono mascherati
del cimitero dove siedi sulle tombe
di donne che morirono di parto
di donne che morirono nascendo
Sogni della nascita di tua sorella
tua madre che muore e muore e muore di parto
senza sapere come fermarsi
partorendoti ancora e ancora
 
tua madre morta e tu non ancora nata
le tue due mani ti afferrano la testa
tirandola giu' contro la lama della vita
i tuoi nervi i nervi di una levatrice
che impara il mestiere
 
1971
 
*
 
Canzone
 
Ti domandi se mi sento sola:
Ok allora, si', mi sento sola
come un aereo vola solo e orizzontale
sulla sua onda radio, puntando
oltre le Montagne Rocciose
verso le piste recinte di blu
di un aeroporto sull'oceano
 
Mi vuoi chiedere, mi sento sola?
Bene, certo, sola
come una donna che attraversa il paese guidando
giorno dopo giorno, lasciandosi dietro
miglio dopo miglio
piccole citta' dove avrebbe potuto fermarsi
a vivere e morire, da sola
 
Se mi sento sola
dev'essere la solitudine
di svegliarsi per prima, di respirare
il primo respiro freddo dell'alba sulla citta'
di essere l'unica che e' sveglia
in una casa avvolta nel sonno
 
Se mi sento sola
e' come la barca chiusa nel ghiaccio della riva
nell'ultima luce rossa dell'anno
che sa che cos'e', che sa che non e'
ghiaccio ne' fango ne' luce d'inverno
ma legno, con quel dono di poter bruciare
 
1971
 
*
 
A tuffo nel relitto
 
Avendo prima letto il libro dei miti
e caricato la macchina fotografica,
e tastato la lama del coltello,
mi misi
l'armatura di gomma nera
le pinne assurde
la maschera seria e ingombrante.
Mi tocca far questo
non come Cousteau con la sua
equipe assidua
a bordo della goletta inondata di sole
ma qui da sola.
 
C'e' una scala.
La scala c'e' sempre
pende innocente
al fianco della goletta.
Sappiamo a che serve,
noi che l'abbiamo usata.
Altrimenti
e' un pezzo di filamento marino
un attrezzo qualsiasi.
 
Scendo.
Piolo dopo piolo e ancora
l'ossigeno mi immerge
la luce azzurra
gli atomi chiari
della nostra aria umana.
Scendo.
Le pinne mi paralizzano,
striscio come un insetto giu' per la scala
e non c'e' nessuno
a dirmi quando l'oceano
comincia.
 
Prima l'aria e' azzurra e poi
e' piu' azzurra e poi verde e poi
nera vedo tutto nero eppure
la maschera e' buona
pompa forza al mio sangue
il mare e' un'altra storia
il mare non e' questione di forza
devo imparare da sola
a muovere il corpo senza sforzo
nel profondo dell'elemento.
 
E ora: e' facile dimenticare
perche' sono venuta
in mezzo a chi e' sempre
vissuto qui
agitando ventagli smerlati
fra le scogliere
E inoltre
si respira in modo diverso quaggiu'.
 
Sono venuta a esplorare il relitto.
Le parole sono propositi.
Le parole sono mappe.
Sono venuta a vedere il danno che e' stato fatto
e i tesori che sono rimasti.
Carezzo il raggio della mia lampada
lentamente lungo il fianco
di qualcosa piu' duraturo
dei pesci o le alghe
 
La cosa per cui venni:
il relitto e non la storia del relitto
la cosa stessa e non il mito
il volto annegato che sempre guarda
verso il sole
la prova del danno
erosa dal sale e dai flutti a questa bellezza consunta
le costole del disastro
che curvano la loro asserzione
fra i cauti fantasmi.
 
Questo e' il posto.
E sono qui, la sirena i cui capelli scuri
fluttuano neri, il tritone dal corpo corazzato
Giriamo in silenzio
attorno al relitto
ci tuffiamo nella stiva.
Io sono lei: io sono lui
 
il cui volto annegato dorme a occhi aperti
I cui seni ancora portano il peso
Il cui carico d'argento, rame, vermeil giace
oscuro nei barili
semi-incastrati e lasciati a marcire
noi siamo gli strumenti semi-distrutti
che un tempo tennero la rotta
il solcometro corroso dall'acqua
la bussola impazzita
 
Siamo, sono sei
per vilta' o per coraggio
quell'uno che torna sempre
a questa scena
portando un coltello, una macchina fotografica
un libro di miti
nel quale
i nostri nomi non compaiono.
 
1972
 
*
 
Struggendosi di fuoco
 
In una libreria dell'East Side
ho letto la testimonianza di un veterano:
 
hanno investito senza ragione
una vecchia nel Sud Vietnam
con un camion dell'Esercito Usa
 
L'ondata di caldo e' finita
inerte, assolata, l'East Side
riposa sotto le pensiline
 
Un'altra estate
le fiamme continuano a nutrirsi
 
e un caldo afoso permea il terreno
della mente, la bruciatura ha fatto presa
come se non avese piu' dubbi
 
sul suo diritto a divorare
il resto di una vita
il resto della storia
 
Stralci di notizie, come questa
soffiano sul mucchio
 
lo nutrono, che si voglia o no,
un'altra estate, e un'altra ancora
di sofferenza quieta
 
nelle librerie, nei parchi
per questo noi gridiamo, noi
soffriamo in silenzio
 
1972
 
*
 
Distruggendosi di fuoco
 
Per E. K.
 
Guardiamo nella stufa stasera
come in uno specchio, si',
 
il ciocco corrugato, il nucleo
gassoso giallo-blu
 
la cenere grigia screziata di rosso, si',
li conosco dentro le palpebre
e sotto la pelle
 
Il tempo ci afferra come una corrente
che sale, succhiando i calori
del ventre, del cervello
 
Mi dicesti di aver posto la mano
sull'orma di un indiano morto da molto tempo
e per un attimo conobbi quella mano,
 
quell'orma, quella roccia,
quel sole che produce vividi sogni
Una parola puo' far questo
 
o, come stasera, lo specchio del fuoco
della mia mente, che brucia come se potesse continuare
a bruciare se stesso, bruciando appena
 
divorando tutto
finche' non c'e' niente nella vita
che non ha nutrito quel fuoco
 
1972
 
*
 
Per una sorella
 
Per Natalya Gorbanevskaya, incarcerata per due anni in un manicomio
sovietico per attivismo politico; e altri
 
Non mi fido di nessuno di loro. Solo della mia esistenza
gettata nel mondo come una catena da traino
sbattuta e contorta da molti collegamenti casuali
tirata di qua, tirando di la'.
 
Devo rubare la sensazione di polvere sul pavimento,
di latte inacidito nella dispensa
dopo che vennero a prenderti.
Sono costretta a immaginare lo sguardo che hai lanciato dietro di te.
 
Pochi paragrafi sui giornali,
tenendo conto degli errori di stampa, le omissioni volute,
la violenza specializzata dei medici.
Non mi fido di loro, ma sto imparando a usarli.
 
Poco a poco dalle congetture sfocate
emerge il tuo viso, un marmo sommerso
issato lentamente dal profondo.
Sento le corde irrigidirsi sotto il peso della disperazione.
 
Ti hanno perquisito per contrabbando, hanno preso delle annotazioni.
Uno sguardo d'intelligenza potrebbe costarti vent'anni.
Meglio tracciare cerchi inesistenti con il dito,
cercare di imitare il sorriso di chi e' per sempre ottuso.
 
Immagini mie. Questa metafora per cio' che succede.
Un geranio in fiamme su una tovaglia verde
diventa tuo. Tu, tornando a casa dopo
per accendere la stufa, prendi la macchina da scrivere e ricominci. La tua
storia.
 
1972
 
*
 
Per chi e' morto
 
Ho sognato che ti chiamavo al telefono
per dire: Sii piu' dolce con te stesso
ma tu stavi male e non hai risposto
 
Lo spreco del mio amore continua cosi'
cercando di salvarti da te stesso
 
Mi ha sempre dato da pensare l'energia
residua, acqua che scorre giu' per la collina
molto dopo che le piogge sono cessate
 
o il fuoco che devi abbandonare per andare a letto
ma che non puoi lasciare, quasi ma non del tutto spento
i carboni rossi piu' vivi, piu' curiosi
nelle vampate di fiamma e nel morire
di quanto vorresti tu
seduta la' assai dopo la mezzanotte
 
1972
 
*
 
Da un sopravvissuto
 
Il patto che facemmo era il solito patto
di uomini e donne di allora
 
Non so chi credevamo di essere
che la nostra personalita'
potesse resistere al fallimento generale
 
Per fortuna o sfortuna, non sapevamo
che la razza umana fosse in fallimento
e che vi saremmo stati coinvolti
 
Come chiunque altro, pensavamo di essere speciali
 
Il tuo corpo per me e' vivido
come lo e' sempre stato; anche di piu'
 
perche' e' piu' chiaro cio' che sento
so cosa poteva e cosa non poteva fare
 
non e' piu'
il corpo di un dio
o qualcosa che ha potere sulla mia vita
 
L'anno prossimo sarebbero stati venti anni
e tu sei morto con spreco
tu che avresti potuto fare quel salto
che parlammo, troppo tardi, di fare
 
che io vivo ancora
non come un salto
ma un susseguirsi di brevi movimenti sorprendenti
ognuno dei quali rende possibile il seguente
 
1972
 
2. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SCIASCIA E L'ANTIMAFIA: TRENT'ANNI DI POLEMICHE
[Dal sito del "Centro Impastato" di Palermo (www.centroimpastato.com) riprendiamo questo intervento del 2017.
Umberto Santino e' con Anna Puglisi il fondamentale animatore del "Centro Impastato" di Palermo, che come tutti sanno e' la testa pensante e il cuore pulsante del movimento antimafia. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000, 2010; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Dalla mafia alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; Mafie e globalizzazione, Di Girolamo Editore, Trapani 2007; (a cura di), Chi ha ucciso Peppino Impastato, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 2008; Breve storia della mafia e dell'antimafia, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; Le colombe sulla rocca, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; L'altra Sicilia, Di Girolamo Editore, Trapani 2010; Don Vito a Gomorra, Editori Riuniti, Roma 2011; La mafia come soggetto politico, Di Girolamo Editore, Trapani 2013; Dalla parte di Pollicino, Di Girolamo Editore, Trapani 2015. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su "La nonviolenza e' in cammino", da ultimo nel supplemento "Coi piedi per terra" nei nn. 421-425 del novembre 2010. Il sito del Centro Impastato e' www.centroimpastato.com
Leonardo Sciascia, scrittore italiano (1921-1989) fortemente impegnato nella difesa della dignita' della persona, nella denuncia dei poteri criminali e dei crimini di tutti i poteri. Autentico illuminista, nel suo impegno civile e' stato spesso un energico polemista (come a tutti i polemisti gli e' accaduto talvolta di eccedere, di essere strumentalizzato, di sbagliare). Opere di Leonardo Sciascia: tutte le opere sono state ripubblicate in tre volumi di Opere (a cura di Claude Ambroise) da Bompiani; ma si vedano anche alcuni libri-intervista e alcuni ulteriori volumi di materiali vari (interventi parlamentari, risvolti editoriali, etc.). Opere su Leonardo Sciascia: nell'immensa bibliografia sciasciana segnaliamo almeno le seguenti opere particolarmente utili: un'agile monografia introduttiva e' quella di Claude Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, 1988; un fine saggio critico complessivo e' quello di Massimo Onofri, Storia di Sciascia, Laterza, Roma-Bari 1994, 2004; un'accurata biografia e' quella di Matteo Collura, Il maestro di Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia, Longanesi, Milano 1996, Tea, Milano 2000]
 
"A futura memoria (se la memoria ha un futuro)" e' il titolo del libro in cui, nel dicembre del 1989, poco dopo la sua scomparsa, sono stati pubblicati alcuni scritti di Leonardo Sciascia, tra cui l'articolo del "Corriere della sera" del 10 gennaio 1987, con il titolo, redazionale, "I professionisti dell'antimafia" (1).
In quell'articolo Sciascia esordiva con una lunga citazione dal suo romanzo Il giorno della civetta, pubblicato nel 1961, in cui il protagonista, il capitano Bellodi, ripensa l'esperienza del prefetto Mori, durante il periodo fascista, disapprova la sua azione fondata sulla sospensione delle garanzie costituzionali in Sicilia e indica un'altra strada: "bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America... Bisognerebbe, di colpo, piombare nelle banche: mettere mani esperte nella contabilita'... delle grandi e piccole aziende, revisionare i catasti... annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie... e confrontare questi segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso". E aggiungeva un'altra autocitazione, tratta dal romanzo A ciascuno il suo, del 1966: "Ma il fatto e'... che l'Italia e' un così felice Paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che se ne e' stabilita una in lingua" (2).
Seguivano dei riferimenti al libro La mafia durante il fascismo dello storico Christopher Duggan, recentemente scomparso, e a una piece teatrale, La Mafia, di Luigi Sturzo, il prete fondatore del Partito popolare, di cui si sono trovati solo gli abbozzi del quinto atto, che davano un'immagine inquietante della realta' della mafia (3). Il riferimento centrale nel corpo dell'articolo era il libro di Duggan, considerato "un'accurata indagine e sensata analisi" su mafia e fascismo. In effetti il testo di Duggan era basato su una ricerca archivistica abbastanza attenta, ma arrivava a una conclusione inaccettabile: che il fascismo avesse inventato la mafia. Certamente il fascismo ha utilizzato la lotta alla mafia per risolvere i suoi conflitti interni, ma la mafia c'era, non era un'invenzione. Il prefetto Mori ha potuto agire solo fino a un certo punto; il tentativo di andare oltre quel punto, colpendo politici e grandi agrari collusi con la mafia, e' stato arrestato con il suo precoce pensionamento. Sciascia utilizza il libro dello storico inglese per trarne un'indicazione: "l'antimafia come strumento di potere". E avverte che quello che e' accaduto con il fascismo puo' "accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando".
Per avallare questo assunto venivano fatti degli esempi: un sindaco, innominato, ma il riferimento era a Leoluca Orlando, che "per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso, anche se dedichera' tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne trovera' mai per occuparsi dei problemi del paese o della citta' che amministra". L'altro esempio aveva nomi e cognome: il magistrato Paolo Emanuele Borsellino che, per avere svolto indagini sulla mafia, aveva scavalcato un magistrato piu' anziano ed era stato nominato procuratore a Marsala. La conclusione di Sciascia era tranchant: "i lettori prendano atto che nulla vale piu' in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso". Era evidente che tutta l'analisi precedente, volta al passato, era solo una preparazione per questa sciabolata rivolta al presente.
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Le reazioni all'articolo di Sciascia, Il Coordinamento antimafia
Le reazioni all'articolo di Sciascia, pubblicato con un titolo redazionale che appesantiva ancora di piu' il contenuto, furono furenti. Ta gli altri ci fu un comunicato dell'associazione Coordinamento antimafia che, utilizzando la classificazione antropologica del capomafia don Mariano, coprotagonista del romanzo Il giorno della civetta, che distingueva uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaracqua', definiva Sciascia un quaquaracqua', cioe' una nullita', e lo relegava "ai margini della societa' civile" (4).
Il Coordinamento antimafia era nato nel 1984 su proposta del Centro Impastato. Dopo una fase abbastanza travagliata di convivenza, in cui aveva tentato di collegare il variegato mondo dell'antimafia cittadina (aderirono 38 organizzazioni, tra associazioni, centri, comitati, sezioni di partito, frange di sindacato, ma alcune organizzazioni esistevano solo sulla carta), nel 1986 si era formata una singola associazione che aveva mantenuto quella denominazione ma in realta' coordinava solo se stessa e si configurera' sempre piu' come tifoseria del sindaco. Con l'aiuto di stampa e televisione si poneva come l'unico verbo antimafia. Agiva insieme come claque e come ordalia, ignorando tutto cio' che si muoveva al di fuori di essa e non era pronto a intrupparsi nelle sue file.
Il comunicato del Coordinamento suscitava la reazione di Sciascia che, si puo' dire, non aspettava altro per infierire. Definiva il Coordinamento "frangia fanatica e stupida di quel costituendo o costituito potere... un potere fondato sulla lotta alla mafia che non consente dubbio, dissenso, critica. Ne sono soddisfatto: si sono consegnati all'opinione di chi sa di avere un'opinione, nella loro vera immagine". A dire di Sciascia esso coordinava "interessi politici e stupidita'" (5). E il "Giornale di Sicilia", che plaudiva all'articolo di Sciascia, penso' bene di pubblicare i nomi dei componenti del Coordinamento, qualcosa che somigliava a una schedatura e a una gogna.
Tenendo conto dell'esperienza personale, il mio giudizio sul Coordinamento e' ancora piu' duro di quello di Sciascia: bisogna mettere nel conto anche una sequela di scorrettezze, si potrebbe dire: la scorrettezza come regola, come modello relazionale e modo di essere. Qualche esempio: comunicati approvati e non dati alla stampa, poiche' c'era una supervisione, occulta ma evidente, dei dirigenti del Pci e delle Acli, allora affiancati nella lotta contro l'installazione dei missili nucleari a Comiso; il peso esercitato dalle appartenenze a partiti e organizzazioni nazionali, al limite dell'arroganza e della presunzione; la superficialita' e la mancanza d'interesse di tanti, che pure godevano di credito e di pubblicita'. Ma un conto e' il giudizio politico un altro la gogna.
Alla testa del Coordinamento e suoi ispiratori erano personaggi che, a dimostrazione della tempra della loro fede e della loro coerenza, dopo sono passati nel centrodestra, in piena bufera di berlusconismo, come dire il picco dell'immoralita' pubblica nella storia dell'Italia repubblicana. Sbocco non nuovo di trasversalismi teorizzati e praticati e di "estremismi" fasulli. Per esempio, il gesuita Ennio Pintacuda, punto di riferimento per l'antimafia piu' pubblicizzata e grande sostenitore di Orlando, fino allo scontro con il confratello Bartolomeo Sorge e l'abbandono della Compagnia di Gesu', si e' riposizionato nell'area filoberlusconiana, avendone in cambio la direzione del Cerisdi, un centro studi che per molto tempo ha goduto di lauti finanziamenti pubblici e mirava a formare la classe dirigente della citta' (6). Altri, tra cui gli estensori del comunicato antisciascia e allora in prima linea nel Coordinamento, sono letteralmente scomparsi.
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Un buco nell'acqua: il comunicato del Centro Impastato
Nel tentativo di riportare la polemica a un confronto civile, mettendo al centro i problemi e lasciando da parte offese e insulti, come presidente del Centro Impastato scrivevo un comunicato pubblicato dal giornale "L'Ora". Ecco il testo:
Abbiamo preferito non prendere la parola nel corso delle recenti polemiche perche' il tono di esse ci e' sembrato il meno adatto per una riflessione seria su alcuni problemi particolarmente gravi, che rischiano di aggravarsi ulteriormente. Ci limitiamo adesso ad alcune considerazioni molto sommarie su qualcuno di essi.
1) Valutazione dell'operato del sindaco Orlando e della giunta pentapartito. Il sindaco Orlando ha compiuto alcuni gesti (quali, per esempio, la costituzione di parte civile del Comune al maxiprocesso, le dichiarazioni fatte nel corso di esso, il tentativo di portare un minimo di trasparenza nella procedura di aggiudicazione degli appalti di opere pubbliche) che non possono non essere apprezzati, ma tutti i problemi di Palermo (la disoccupazione, il risanamento del centro storico, il funzionamento delle aziende municipalizzate etc. etc.) restano irrisolti per ragioni che non e' difficile individuare: la Democrazia Cristiana rimane legata ai peggiori interessi, sotto la tutela di uomini come Lima, e il pentapartito e' un pantano che non consente nessuna politica rinnovatrice. Ci sembra arrivato il momento di fare un bilancio di questa amministrazione comunale e di vedere se e' possibile sbloccare una situazione di immobilismo, avvelenata da polemiche personalistiche.
2) Conformismo e anticonformismo. In una citta' in cui straripa l'assuefazione alla violenza, la stragrande maggioranza degli abitanti non si scuote neppure per l'assassinio di un bambino, si svolgono manifestazioni in cui s'inneggia alla mafia, dominano il conformismo filomafioso e l'indifferenza, parlare di "conformismo antimafioso" ci sembra un po' troppo.
3) Antimafia: seria o da vetrina. E' vero, c'e' un'antimafia "da vetrina", come qualcuno l'ha definita, ma vogliamo fare qualche esempio? Ci sembrano "antimafia da vetrina": l'azione, abbastanza incolore, dei vari Alti Commissari contro la mafia; l'altrettanto incolore operato delle Commissioni antimafia, nazionale e regionale; le prediche con il morto davanti; le scoperte di grandi e piccoli inviati che hanno dovuto attendere l'uccisione di Dalla Chiesa per parlare di mafia come "questione nazionale" e lo hanno dimenticato il giorno dopo; i fumetti televisivi e cinematografici e le pubblicazioni di mafiologi improvvisati regolarmente prefate da firme "prestigiose"; buona parte delle attivita' svolte nelle scuole per utilizzare in qualche modo i finanziamenti regionali; i centri inesistenti che hanno finanziamenti pubblici per centinaia di milioni; le sigle fabbricate sulle ceneri di ipotesi piu' consistenti che si e' fatto di tutto per non far maturare. Si collocano su un altro versante i pochissimi magistrati che, rischiando la vita, hanno svolto le inchieste piu' impegnative contro la mafia.
4) Problema della "giustizia giusta". E' il problema piu' grosso, e non e' di facile soluzione. La mafia e la criminalita' organizzata non sono una novita', ma le dimensioni e la complessita' attuali lo sono, e gli attuali ordinamenti giuridici sono inadeguati per fronteggiare fenomeni che non sono un'"emergenza" ma un dato strutturale.
Ci chiediamo: ci puo' essere "giustizia giusta" con gli assassinii regolarmente impuniti? Si ritiene che, passata l'onda alta delle uccisioni, tutto si risolva con l'"uscita dall'emergenza" e il ristabilimento delle regole del "garantismo classico"? Non occorre piuttosto elaborare una riforma del processo penale e della normativa vigente che tenga conto di questi fatti nuovi? Come intervenire sui canali di accumulazione illegale? Come troncare il meccanismo di simbiosi tra capitale illegale e legale garantito dal segreto bancario? Non si tratta di decretare "stati d'assedio", o di avallare "teoremi Buscetta", ma di trovare soluzioni adeguate a problemi che non possono essere minimizzati o considerati con ottiche tradizionali.
Per affrontare seriamente questi temi non ci pare che siano utili le polemiche, soprattutto quando si risolvono in ingiurie e scomuniche. Occorrono: coraggio, studio, serenita' (7).
Il comunicato cadeva nel vuoto. Commentavo: "Non e' il momento adatto per discutere seriamente e serenamente. Bisogna schierarsi, come se si fosse nel pieno di un combattimento senza esclusione di colpi" (8).
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La promozione di Borsellino e la bocciatura di Falcone
Successivamente alla pubblicazione dell'articolo, c'e' stato un incontro tra Sciascia e Borsellino, in cui ci sarebbe stato un "chiarimento". Sciascia ha ammesso di essere stato "mal consigliato" e non si puo' non osservare che uno come lui, maitre-a'-penser gia' da anni, non poteva non essere consapevole degli effetti che le sue parole avrebbero avuto. Avrebbe potuto e dovuto far attenzione a chi lo consigliava e a cosa consigliava.
Se la ferita sembrava rimarginata, e i rapporti tra Sciascia e Borsellino erano diventati quasi amichevoli e cordiali, in realta' nel profondo essa rimaneva aperta e sanguinante. Dopo la strage di Capaci, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, in un incontro pubblico Borsellino, gia' consapevole di un destino che si avvicinava, in un accorato intervento, in cui ricostruiva le difficolta' e le inimicizie che avevano segnato la vita e l'attivita' di Falcone, diceva: "Tutto comincio' con quell'articolo sui professionisti dell'antimafia" (9).
Falcone era stato ostacolato piu' volte e in vari modi: bocciata la sua candidatura a Consigliere istruttore, al posto di Rocco Chinnici, fondatore del pool antimafia, assassinato il 29 luglio 1983; bocciata la sua candidatura al Consiglio superiore della magistratura. Si potrebbe dire che, dopo la mafia, i principali nemici di Falcone siano stati i suoi colleghi. Per invidia, per il peso della sua personalita', non ostentato ma effettivo, per la sua visibilita'.
Si e' detto e scritto che la bocciatura della candidatura di Falcone a capo dell'Ufficio istruzione, allora strategico nell'attivita' giudiziaria antimafia e successivamente abolito, sia stata il frutto dell'applicazione del criterio dell'anzianita', che porto' a favorire un magistrato come Antonino Meli, che mai si era occupato di mafia e che smantellera' il pool antimafia, portando indietro di anni l'attivita' giudiziaria contro la mafia. E siccome il rispetto del criterio fondato sull'anzianita' era proprio quello che voleva Sciascia, la colpa sarebbe sua. Accusa che gli si e' rivolta in passato ed e' ritornata nel giorni scorsi, in occasione del trentennale dell'articolo sul "Corriere".
Sciascia aveva gia' risposto a quell'accusa. In un articolo sulla "Stampa" del 6 agosto 1988, scriveva: nel promuovere Borsellino il CSM si era "sottratto alla regola vigente senza pero' stabilirne un'altra. Se l'avesse in quel momento stabilita, il caso del dottor Falcone, con tutto quel che oggi importa, non ci sarebbe stato. Adottando un criterio per promuovere Borsellino e tornando invece alla vecchia regola per non promuovere Falcone, ecco il nodo che presto o tardi sarebbe venuto al pettine. La situazione di oggi, insomma, non l'ho inventata io con quel mio articolo sul 'Corriere': c'era, e non poteva che esplodere. Io non ho fatto che avvertirla, e tempestivamente" (10). Non si puo' non dargli ragione.
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Trent'anni dopo
Perche' a trent'anni dall'articolo di Sciascia quelle parole vengono ricordate e riesplodono le polemiche? Tornano a confrontarsi, senza dialogare, due schieramenti. C'e' chi considera Sciascia un maestro di pensiero e di vita, un profeta, e invita al pentimento, all'autocritica, chi sta dall'altro lato e allora e ancor oggi lo considera un bastian contrario che ha fatto danni all'antimafia, provocando l'isolamento dei magistrati piu' impegnati ed esponendoli alle critiche e all'avversione di coloro che hanno usato le sue parole per condannare ed autoassolversi. Possiamo definirli i "professionisti della mafia", a cominciare dai politici, dagli imprenditori, piu' o meno collusi, che, facendosi scudo del prestigio dello scrittore, passavano dal silenzio e dalla difensiva al contrattacco, nel momento in cui erano in difficolta' e il maxiprocesso veniva percepito come un inizio e piu' d'uno pensava che prima o poi sarebbe toccato a lui. Da cio' nascera', dopo il successo del maxiprocesso in tutti i tre gradi di giudizio, lo smantellamento del pool antimafia. Ma questo non c'entra con il parere di Sciascia. Pero' la sua polemica, sbagliata nel tono, nella scelta degli esempi e del tempo, si prestava a quel tipo di uso strumentale.
I problemi che lo scrittore poneva erano reali: il pericolo della strumentalizzazione dell'antimafia, il rispetto delle regole, la democrazia come unica strada per lottare la mafia, poiche' ha "tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia" (11). Il tema di fondo del discorso di Sciascia era il sistema di garanzie, cioe' il garantismo. Ne aveva un'idea che sapeva di religioso, come se si trattasse di una sorta di depositum fidei. Partendo da alcuni esempi concreti, aveva intravisto una sua violazione, che si era ritenuto in dovere di denunciare come un vulnus all'ordinamento democratico, ma per molti anni il culto del garantismo piu' che la certezza del diritto aveva assicurato la certezza dell'impunita'.
Sciascia ha per molti anni esercitato una sorta di magistero civile: come abbiamo visto, aveva indicato, nei primi anni '60, le banche come il terreno su cui sondare l'accumulazione mafiosa; precedendo di quasi trent'anni il mio saggio La mafia finanziaria scritto e pubblicato quando imperversava lo stereotipo della mafia imprenditrice, per giunta disorganizzata (12). Il maestro di Racalmuto, dopo aver raccontato la provincia siciliana (13), ha percorso una linea narrativa che mischiava i generi letterari, con ampio spazio per la trattazione saggistica, l'analisi sociologica e il conte philosophique. Il costante ancoraggio alla tradizione illuministica piu' che un vezzo letterario era un modello di scrittura e un metodo di indagine. I suoi apologhi su una societa' mafiosizzata nei suoi centri di potere, nei suoi codici culturali, nella sua pratica quotidiana, costituiscono una variazione sul tema del potere e delle sue implicazioni criminali, e questo e' un patrimonio ormai consegnato alla storia della letteratura e alla cultura, non solo italiana.
Trent'anni dopo possiamo chiederci se le sue parole sono state una profezia. Certo, con quel che e' accaduto negli ultimi anni, siamo portati a pensarlo. Un breve elenco: imprenditori che si mostravano in prima fila nella lotta alla mafia incriminati per i loro rapporti con Cosa nostra; uno di essi, che passava per promotore del movimento antiracket, colto in flagrante mentre intascava una mazzetta; un telegiornalista, insignito di award internazionali, che ha fatto passare una faccenda di corna per aggressione mafiosa; una magistrata, dirigente dell'ufficio che gestisce i beni confiscati, che ne aveva fatto un'azienda privata, assegnandoli ai suoi amici e ricevendone favori, in un classico do ut des; una prefetta che le teneva bordone. Con questo campionario di "buoni esempi" si deve riconoscere che la realta' ha superato le rappresentazioni dello scrittore, ma potremmo dire che non ci troviamo di fronte a "professionisti dell'antimafia" (i professionisti, cioe' persone capaci e competenti, ci vogliono, per l'antimafia come per qualsiasi altro tema, arduo e complesso, quelli che fanno danno sono i dilettanti e i cialtroni) ma a dei cattivi attori che hanno recitato la commedia dell'antimafia. La cosa grave, e che ci induce a una impietosa riflessione, e' che tanti ci hanno creduto.
Ma quel che ci interessa oggi e' lo "stato dell'arte" dell'antimafia. Cos'e' accaduto dopo le polemiche del 1987, a parte gli episodi gia' richiamati? Sono sorti comitati, centri, associazioni e fondazioni, quasi tutti vanno avanti con finanziamenti ottenuti con metodi personalistici e clientelari. La proposta del Centro Impastato che la Regione siciliana si doti di una legge che fissi dei criteri oggettivi per l'erogazione dei fondi pubblici e' stata isolata, come se fosse una stranezza, la trovata eccentrica di chi non conosce le regole del gioco. In realta', le conosce ma non le accetta.
Nel 1995 e' nata Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, sulla base di associazioni nazionali come le Acli, l'Arci, la Sinistra giovanile del Pds, legate direttamente o indirettamente ai partiti, e il primo, consistente, nucleo di adesioni si e' costituito con l'elenco dalle loro sezioni locali, a prescindere se fossero o meno impegnate in attivita' antimafia. I referenti regionali sono stati nominati sulla base della loro appartenenze a queste associazioni. In Sicilia e' toccato a una rappresentante delle Acli, che mai si era vista in iniziative antimafia. Successivamente la referente si e' candidata con Forza Italia ed e' stata "dimissionata". Dimissionati due vicepresidenti e i responsabili per il lavoro nelle scuole e per i beni confiscati, senza nessuna discussione. Chi scrive e' stato sospeso, e si e' dimesso, dopo aver posto problemi di democrazia interna, dovuti al leaderismo carismatico del fondatore, il sacerdote Luigi Ciotti. Recentemente e' stato "licenziato" con un messaggino il figlio di Pio La Torre, protagonista delle lotte contadine, dirigente comunista e parlamentare nazionale, ucciso il 30 aprile del 1982.
Le attivita' continuative sono quelle nelle scuole, del movimento antiracket, per l'uso sociale dei beni confiscati. Nelle scuole l'educazione alla legalita' si riduce troppo spesso a prediche senza analisi, al richiamo al rispetto delle leggi, ignorando che ancora piu' grave dell'illegalita' mafiosa e' quella delle istituzioni, che hanno troppi scheletri negli armadi e nessuna volonta' di aprirli. Le associazioni antiracket, con esempi significativi, si limitano alle regioni meridionali, nonostante che le estorsioni siano ormai presenti sul territorio nazionale; l'uso sociale dei beni confiscati si limita a una decina di cooperative in tutta l'Italia.
Sul terreno della giustizia accanto a magistrati seriamente impegnati ci sono altri in vetrina o in giro con un personaggio come il direttore della rivista "Antimafia duemila", che dice di avere ricevuto dalla Madonna di Fatima la mission di lottare la mafia, anticristo del nostro tempo, di avere le stimmate e di essere il maggiore esperto di Ufo! Qualche altro magistrato, smessa temporaneamente o definitivamente la toga, fa da foglia di fico a potenti in cerca di credenziali o si candida come salvatore della patria, andando incontro a patetici insuccessi. Sulla stampa e alla televisione qualcuno si atteggia a monopolista del pensiero unico antimafioso.
Il processo in corso sulla "trattativa" Stato-mafia rischia di delegare al potere giudiziario problemi, come il rapporto tra mafia, politica e istituzioni, che dovrebbero essere affrontati e risolti dall'intera societa'. Viviamo una crisi della democrazia, all'interno di una crisi piu' generale frutto del dominio del capitalismo finanziario e della dittatura del mercato globalizzato, che aggravano squilibri territoriali e divari sociali. In Italia, dopo vent'anni di Berlusconi, andato al potere con milioni di voti, sembrava che ci si potesse rialzare, con uno scatto di dignita'. Ma i giovani "rottamatori" hanno fatto, o tentato di fare, quello che non e' riuscito al patriarca di Arcore, abolendo l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che tutela i licenziati senza giusta causa, e progettando una riforma costituzionale impresentabile. Per fortuna il 4 dicembre c'e' stato il referendum, ma non possiamo campare solo di referendum. Bisogna ripensare e ricostruire i fondamenti del vivere quotidiano. Su questa strada la lezione di Sciascia (considerato per tutta la sua opera, e non per un singolo episodio, che puo' essere criticabile) con i suoi meriti e le sue contraddizioni, puo' essere un buon bagaglio di viaggio e le sue pagine, lette con attenzione e non con devozione, ci servono ancora per capire in che mondo viviamo, anche se la realta' e' andata al di la' delle sue piu' pessimistiche previsioni.
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Note
1. L. Sciascia, A futura memoria (se la memoria ha un futuro), Bompiani, Milano 1989. Le citazioni successive sono tratte da questo libro.
2. L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1961; A ciascuno il suo, Einaudi, Torino 1966.
3. C. Duggan, La mafia durante il fascismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1986; L. Sturzo, La Mafia, in Scritti inediti 1890-1924, Cinque Lune, Roma 1974.
4. Cfr. U. Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Runiti University Press, Roma 2009, terza edizione, pp. 325 ss. Anche per le successive considerazioni si rimanda a questo testo.
5. L. Sciascia, A futura memoria, cit., pp. 131 ss.
6. U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit., p. 395.
7. "L'Ora", 3 febbraio 1987, Troppa antimafia? ma dai; il comunicato e' pubblicato in appendice al mio L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997, pp.269 s.
8. U. Santino, L'alleanza e il compromesso, cit., p. 77.
9. L'incontro, organizzato dalla rivista "Micromega", si svolse il 25 giugno 1992, presso la Biblioteca comunale di Palermo.
10. In L.Sciascia, A futura memoria, cit., p. 153.
11. Ibidem, p. 139.
12. U. Santino, La mafia finanziaria. Accumulazione illegale e complesso finanziario-industrale, in "Segno" nn. 69-70, aprile maggio 1986, pp. 7-49, trad. inglese: The financial mafia. The illegal accumulation of wealth and the financial-industrial complex, in "Contemporary Crises", vol. 12, n. 3, September 1988, pp. 203-243, e in www.centroimpastato.com; P. Arlacchi La mafia imprenditrice. L'etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il Mulino, Bologna 1983, a cui e' ispirata la legge antimafia del 1982, che non considerava la dimensione finanziaria che gia' allora si affermava a grandi passi.
13. L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari 1956.
 
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Numero 34 del 28 marzo 2021
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