[Nonviolenza] Telegrammi. 3998



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3998 del 28 gennaio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Un incontro di commemorazione e di riflessione a Viterbo nella Giornata della memoria delle vittime della Shoah
2. Anna Bravo: La zona grigia (parte seconda e conclusiva)
3. Il 30 gennaio ricordiamo Gandhi nell'anniversario della morte
4. Campagna One Billion Rising 2021: Coltiviamo la nonviolenza
5. One Billion Rising 2021: Il 14 febbraio partecipa all'evento mondiale contro la violenza sulle donne
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
 
1. MEMORIA. UN INCONTRO DI COMMEMORAZIONE E DI RIFLESSIONE A VITERBO NELLA GIORNATA DELLA MEMORIA DELLE VITTIME DELLA SHOAH
 
Il 27 gennaio 2021 il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo ha ricordato le vittime della Shoah nella ricorrenza della Giornata della memoria.
Nel pomeriggio si e' svolto presso la sede della struttura nonviolenta viterbese un incontro di commemorazione e di riflessione nel corso del quale sono state lette e commentate alcune pagine dell'ultima fondamentale opera di Primo Levi, "I sommersi e i salvati".
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dalla normativa in vigore per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
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Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Opporsi al fascismo che torna.
Opporsi a tutte le violenze.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
 
2. MAESTRE. ANNA BRAVO: LA ZONA GRIGIA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal libro di Anna Bravo, Raccontare per la storia / Narratives for History, Einaudi, Torino 2014, riproponiamo il capitolo secondo "La zona grigia" nel solo testo italiano (pp. 29-85).
Anna Bravo, storica e docente universitaria, ha insegnato Storia sociale. Si e' occupata di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; ha fatto parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita', e' deceduta l'8 dicembre 2019 a Torino, la citta' dove era nata nel 1938. Tra le opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008; (con Federico Cereja), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, Torino 2011; La conta dei salvati, Laterza, Roma-Bari 2013; Raccontare per la storia, Einaudi, Torino 2014]
 
Zona grigia e sopravvivenza
Sebbene il rapporto fra privilegio e sopravvivenza non sia nuovo nel dibattito sul sistema concentrazionario, Levi lo oltrepassa: "I prigionieri privilegiati", scrive, "erano in minoranza dentro la popolazione dei Lager, ma rappresentano invece una forte maggioranza fra i sopravvissuti" (39). I salvati, continua, devono la vita in primo luogo alla fortuna e ad abilita' personali, ma anche a una forma magari minima di privilegio: in un mondo dove la morte per fame, o per malattie da fame, era normale destino, la sola speranza stava nel conquistare "un sovrappiu' alimentare, e per ottenere questo occorreva [...] un modo, octroye' o conquistato, astuto o violento, lecito o illecito, di sollevarsi al di sopra della norma" (40). Se in altri testi Levi distingueva soltanto fra i piu' vulnerati e i piu' resistenti, ora - in I sommersi e i salvati - scrive che a sopravvivere non sono stati i migliori. Nessuno aveva osato tanto.
Il discorso semina sconcerto e dolore fra gli ex deportati. Qualcuno risponde con un argomento avanzato da molti, enunciato esemplarmente da Bettelheim: non c'e' niente che un prigioniero possa fare o evitare di fare per garantirsi la salvezza (41). Si vive e si muore per caso, e sapendolo.
Ma questo e' il medesimo giudizio di Levi, che lo ancora a una verita' elementare: se la fortuna e' capricciosa, il privilegio e' volatile. In un mondo dove non c'e' nessun perche', puo' succedere che il protetto (o il suo protettore) cadano in disgrazia, che il "buon" lavoro conquistato sia soppresso, che la gerarchia del campo si rimodelli con l'arrivo di gruppi agguerriti. Puo' succedere di vedere o ascoltare qualcosa di proibito, di finire tra i prescelti per una decimazione; e naturalmente di ammalarsi a morte. Il privilegio senza la buona sorte non basta, la buona sorte da sola a volte si'.
Da dove origina allora la reazione sofferta di molti ex deportati? Forse, dall'enunciazione che "a sopravvivere non sono stati i migliori". Forse, dall'impressione che Levi li abbia collocati nella zona dell'ambiguita' per il solo fatto di aver avuto salva la vita. E' decisivo, credo, questo passaggio: "E' solo una supposizione, anzi, l'ombra di un sospetto: che ognuno sia il Caino di suo fratello, che ognuno di noi (ma questa volta dico "noi" in un senso molto ampio, anzi universale) abbia soppiantato il suo prossimo, e viva in vece sua. E' una supposizione, ma rode; si e' annidata profonda, come un tarlo; non si vede dal di fuori, ma rode e stride" (42).
Anche se Levi allarga l'orizzonte dal Lager alla condizione umana, Caino resta il simbolo dell'odio fratricida verso il quale i nazisti spingono i prigionieri, a volte riuscendoci. E resta il fulcro della sua interpretazione della prigionia: il Lager di Caino e' il luogo di una guerra di tutti contro tutti, dove i sodalizi si trasformano fatalmente in complicita', i gruppi amicali in clan impegnati a scalzarsi reciprocamente, e non c'e' rapporto se non all'interno dei gruppi etnici e nazionali.
E' una visione condivisa da alcuni deportati, che parlano di solidarieta' immaginaria. Ma si scontra con la tendenza di altri a valorizzare gli aspetti di fraternita' e di resistenza, a certificare che il progetto nazista di controllo totale dei comportamenti non e' passato, che Hitler ha fallito. Impegno pedagogico forse troppo generoso, valutazione controversa: se il Terzo Reich ha perso la guerra, ha fatto in tempo a distruggere milioni di vite e gran parte della cultura yiddish.
Per alcuni autori, e in altri testi di Levi, il Lager non e' sempre quello di Caino. Secondo Tzvetan Todorov, anche nell'asprezza della competizione per la vita i prigionieri si sforzavano di preservare un abbozzo di contratto sociale "morale", che sapevano necessario per non distruggere livelli minimi di convivenza. Ne fa parte il galateo del Lager di cui parla Levi in un'intervista, "un complesso di comportamenti che non avevano direttamente a che fare con la sopravvivenza ma che erano considerati di buona o di cattiva educazione". Come una certa "proprieta' nel vestirsi, [...] aveva importanza avere gli abiti, il cappello e le scarpe decenti, dico decenti tra virgolette [...]. Allo stesso modo era considerato un... uno sgarbo, come dire una... un atto di maleducazione parlare di crematorio, nel mio campo, o di camera a gas..." (43).
E' una forma di tutela reciproca che non esclude la violenza, e neppure certe esplosioni di aggressivita' gratuita, come i riti iniziatici in qualche caso pericolosissimi ai danni dei nuovi arrivati. Compiuti, spiega Levi, "con la crudelta' tipica delle scuole e delle caserme" (44) - il Lager e' anche una grande concentrazione di maschi; all'epoca pochissimi autori uomini nominavano questo aspetto, pochi lo nominano ancora oggi.
Levi prepara il terreno alla domanda su cosa sia stata la zona grigia delle prigioniere. Nel campo femminile di Ravensbrueck le Kapos non erano meno feroci dei loro omologhi di Buchenwald o Mauthausen, la lotta per sopravvivere poteva essere violentissima, ma non c'era l'equivalente dell'"iniziazione" maschile, e tra le comuniste francesi l'atteggiamento verso l'organizzazione politica non era paragonabile a quello degli uomini (45). Forse perche' le donne non avevano ruoli di altrettanto rilievo, forse perche' in genere erano militanti e non dirigenti. O perche' la loro scala di priorita' era piu' duttile, piu' aperta alla valutazione caso per caso. Certo e' che l'esperienza maschile e quella femminile divergono, confermando la pluralita' delle situazioni, e suggerendo un nuovo terreno di ricerca alla storia di genere. Che da allora ha accumulato un patrimonio di studi imponente. Vale la pena rileggere in questa prospettiva la preziosa memorialistica femminile e i saggi spesso bellissimi usciti negli ultimi decenni (46).
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Contro l'eccezionalismo
L'analisi della zona grigia si contrappone, anche, agli stereotipi costruiti sulla figura del superstite. Assiduo frequentatore di scuole, Levi si sente chiedere da qualche alunno perche' non sia fuggito, e dubita di essere riuscito a spiegargli perche', tanto e' diffusa l'abitudine a proiettare sul Lager le categorie del presente. Il sopravvissuto rischia di trasformarsi in colui che non ha saputo abbattere i guardiani, superare i reticolati, correre incontro alla liberta'. Effetto del cortocircuito prigionia/fuga stimolato dai media, e di una storiografia poco attenta a divulgare nella scuola la realta' dei campi.
Ma c'e' uno stereotipo peggiore degli schematismi di un ragazzino, una deformazione all'apparenza lusinghiera, in realta' oltraggiosa - quella dell'eccezionalismo.
Per Terrence Des Pres, il superstite e' l'eroe moderno capace di attraversare il male per immergersi nella vita "senza riserve, svincolato da coazioni e mediazioni culturali sotto l'urgenza degli imperativi primordiali del corpo" (47). Per molta opinione comune, e' un essere sopravvissuto perche' eccezionale, ed eccezionale perche' sopravvissuto - il che rischia di trasformarlo in testimone coatto della propria eccellenza. La critica durissima a queste o simili "mostruose" ideologie (48) non ha impedito il loro riemergere periodico. Troppo radicata e' la convinzione che soffrire sia un merito e sopravvivere un premio.
Poi c'e' la variante mistica dell'angelismo: come denuncia Alain Finkielkraut, il sopravvissuto e' precettato a testimoniare del Bene, vale a dire della presenza di Dio nella storia, cosi' da apparire doppiamente salvato, sul piano materiale, terrestre, e su quello "celeste" o metafisico, come colui che ha beneficiato del favore divino (49). Bettelheim riferisce un dialogo-simbolo fra una donna sfuggita all'arresto e alla deportazione e un'interlocutrice che aveva pagato con diversi anni di prigionia l'aiuto offerto a famiglie ebree. "Perche' proprio io mi sono salvata?" si chiede la prima; e la seconda: "Perche' lei possa dimostrare per il resto della sua vita che era stato giusto salvarla" (50). Per Levi che parla di "salvati", non di "scelti", e che in Lager ha visto ulteriormente indebolirsi "le sue convinzioni religiose, che erano gia' molto scarse" (51), questo obbligo a dimostrarsi "degni della grazia" e' un insulto.
Del resto, il favore divino costa caro. Un amico credente - ricorda ancora Levi - gli aveva detto che era stato salvato perche' scrivesse, e scrivendo portasse testimonianza (52). E' altra cosa dal dovere di testimoniare sentito dagli ex deportati, e' la condanna a giustificare la propria esistenza con la scrittura, una condanna che non prevede il "fine pena", ma il suo reiterarsi - come se tacendo il superstite perdesse il diritto alla vita. Collocando i sopravvissuti (e se stesso) fra i "peggiori", forse Levi cercava di contrastare quelle idealizzazioni, comprese le molte costruite sulla sua persona: in Italia, il testimone per conto di terzi era diventato anche il Giusto per conto di terzi (53).
Ricordo che di fronte alla morte di Primo Levi il dolore e lo stordimento per la perdita di un padre simbolico (di un santo laico, dicevano alcuni) si mischiavano alla sensazione di essere stati doppiamente abbandonati. Per la sua fine, come se i santi non avessero diritto di morire. Per il modo, come se il suicidio gettasse retrospettivamente un'ombra sulla vita. Nell'opinione comune, Levi era l'uomo che aveva vinto Auschwitz - definizione infelice per una persona cosi' libera dal vizio della belligeranza. Il suicidio rompeva quell'immagine. Di qui la pulsione, comprensibile in chi lo amava ma violenta, a "spiegarlo" per farsene una ragione. Di qui la non innocente ostinazione di alcuni aspiranti biografi a rovistare nella sua vita alla caccia del minimo dettaglio personale.
Forse l'intero capitolo sulla zona grigia si puo' leggere, anche, come difesa/diffida dalle idealizzazioni.
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Dentro e fuori dai reticolati
Sebbene non sia universalmente condiviso, in tutto il mondo il termine "zona grigia" e' entrato negli studi filosofici, femministi, di diritto, storia, teologia, cultura popolare. Ed e' diventato presto un riferimento e un terreno di confronto per moltissimi autori, da Wiesel a Todorov, da Giorgio Agamben a Dalia Hofer, da Claudia Card a Finkielkraut a Stefano Levi Della Torre, da Alberto Cavaglion a Claudio Pavone a Lawrence Langer - troppi anche solo per nominarli. Al centro, spiccano alcune domande della contemporaneita' e di sempre. Perche' vertono sulla narrazione del dolore e della morte di massa, sui soggetti che hanno la titolarita' per raccontarli. Sul giudizio morale applicabile o meno ai comportamenti delle vittime. Sulla possibilita' di usare le parole del Lager per descrivere altre realta'.
Cosa puo' dirci I sommersi e i salvati su quest'ultimo crocevia storico-teorico?
Innanzitutto, Levi mostra che comparare non significa fare il conto delle somiglianze e differenze fra due fenomeni; si tratta di "smontare" i concetti applicati al primo fenomeno nelle loro componenti di base, per distinguere quelle che gettano nuova luce sul secondo, e quelle che al contrario li falsificano entrambi. Nel capitolo sulla zona grigia, si legge che il Lager "(anche nella sua versione sovietica) puo' ben servire da 'laboratorio'" (54). Per il Gulag, che Levi considera uno dei rari terreni accettabili di comparazione fra nazismo e comunismo, poche parole, ma immerse in un'analisi del Lager cosi' minuziosa e dettagliata da offrire a chiunque la possibilita' di impostare una propria riflessione.
Oggi lo stato della ricerca e' molto cambiato, e cosi' il clima; la comparazione fra nazismo, comunismo e altri sistemi totalitari e' auspicata e praticata. Ma proprio grazie a questa maggiore liberta', si puo' scoprire che resta ancora molto da esplorare all'interno stesso del mondo concentrazionario nazista. Per la zona grigia, un esercizio necessario e ancora da completare e' capire se abbia le stesse caratteristiche e si realizzi allo stesso modo in tutti i Lager e per ogni categoria di prigionieri - a cominciare dalla differenza fra donne e uomini, che molti citano in modo commosso e sommario, e Levi con loro.
A maggior ragione, se si guarda a una realta' esterna, a un "fuori", bisogna chiedersi quali tratti siano almeno parzialmente associabili alla zona grigia, e se bastino a reggere l'analogia.
Levi scrive che e' necessario conoscere le figure turpi o patetiche della zona grigia "se vogliamo conoscere la specie umana, se vogliamo saper difendere le nostre anime quando una simile prova si dovesse nuovamente prospettare, o se anche soltanto vogliamo renderci conto di quello che avviene in un grande stabilimento industriale" (55).
Ma Levi diceva anche di non capire chi si ostinava a definire un Lager la Fiat, e - lo ricorda Lawrence Langer - dubitava dell'estensibilita' del concetto. Avrebbe respinto "any effort to identify such camp behavior with the collaboration of free men and women in the Vichy or Quisling regimes in France and Norway" - il giudizio cambia a seconda che la collaborazione avvenga all'interno o all'esterno dei reticolati (56). Si sarebbe stupito di fronte all'uso del termine "zona grigia" per definire una pratica diffusa nella Grande guerra, la "pulizia delle trincee", vale a dire le operazioni di sgombero e messa in sicurezza del territorio guadagnato in uno scontro; una cosa sono le azioni dirette a rendere inoffensivo il nemico, un'altra quelle messe in atto per sterminarlo (57).
Un esempio di buona analogia e' invece il lavoro di Claudia Card sulle mogli di proprietari di schiavi. Per quanto oppresse dal potere maritale, queste donne sono in condizione di opprimere a loro volta altri piu' vulnerabili come appunto i neri che lavorano in casa loro; e un discorso simile vale per le madri sorelle mogli di membri di organizzazioni criminali: vittime del primato maschile, da un lato, complici dall'altro (58). Card definisce queste situazioni area grigia (a suo avviso, "zona" alluderebbe troppo all'istituzione totale chiusa al mondo); ma anche al di la' di questa precisazione, il suo e' un prestito rispettoso, e utile a mettere in luce la coabitazione fra responsabilita' e irresponsabilita', la differenza fra non avere alcun potere e averne uno, sia pure circoscritto.
Non sempre e' cosi'. Puo' succedere invece che, come si puo' cogliere in vari studi e nel senso comune, ci si aggrappi al tema dell'ambiguita' e dell'incertezza dei confini. Con effetti che Levi certo non avrebbe immaginato.
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Da concetto a metafora
Quantomeno in Italia, la risposta all'analisi della zona grigia e' stata una tendenza istantanea, e ancora prevalente nei media e nel linguaggio quotidiano, a mutilare il concetto della sua carica innovativa.
Oggi si usa il termine come un attrezzo psico-antropo-sociologico buono per leggere ogni realta' che appaia opaca, nascosta, mal definita. Dalla struttura per lo spionaggio telefonico nella piu' grande azienda italiana (59) alla presunta trattativa stato/mafia, non esiste settore che non abbia diritto alla sua zona grigia; ce l'hanno la politica, la cultura, la societa', i servizi di informazione, le polizie, lo spettacolo, lo sport, e naturalmente la mafia, l'etica e la bioetica. E' stata, per usare le parole di Alberto Cavaglion, una marcia trionfale. Ma lungo la strada si e' perso molto del suo significato originario: sono sparite le distinzioni fra gli abitatori della zona grigia, il suo rapporto con il potere, l'abnormita' della pressione sull'individuo, alla cui luce - ammonisce Levi - vanno considerati i temi della "complicita'" e della responsabilita'. Cancellati i suoi caratteri fondanti, alla zona grigia mediatizzata non sono rimasti che l'oscurita' e l'incertezza dei confini - terreni ideali sia per gli psicologismi sia per le mentalita' complottiste. Dalla precisione del concetto si e' passati alla vaghezza della metafora.
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La zona grigia addomesticata
A ridosso dell'uscita de I sommersi e i salvati, uno scrittore e giornalista, ex partigiano con una storia giovanile di adesione a fascismo e razzismo, scrive sul quotidiano "la Repubblica" un articolo dove, "partendo da un elogio della zona grigia, [...] si approdava, con non piccola forzatura, a un invito all'assoluzione da ogni colpa individuale e collettiva" (60). Molti che, come l'articolista, potrebbero riflettere in chiave autobiografica sul potere di corruzione del fascismo, preferiscono cercare riparo in una abusiva ma provvidenziale terra di mezzo. Levi ne rimane stupefatto e ferito (61). Sotto i suoi occhi, l'espressione zona grigia diventa una sorta di "liberi tutti" dalle responsabilita' del passato.
Di li' a poco diventera' anche una scorciatoia storiografica, raggiungendo il suo estremo in Italia, dove negli anni Ottanta gli ormai laicizzati studi sulla resistenza stavano vivendo una fase di passaggio.
Ad alcuni (soprattutto ad alcune studiose) sembrava sterile la rigida distinzione instaurata da sempre fra una minoranza attiva e l'area vastissima di quanti non "avevano saputo fare una scelta" (62) - intendendo per scelta, riduttivamente, l'atto di salire in montagna (in subordine, di appoggiare i partigiani) o all'opposto di arruolarsi nelle milizie fasciste (in subordine, di sostenere la repubblica di Salo'). E sembrava improduttivo, oltre che moralistico, spiegare la parzialita' e l'instabilita' del radicamento partigiano fra le popolazioni con il ricorso a stereotipi annosi come l'arretratezza italiana o il particolarismo contadino: il disamore popolare poteva avere le sue ragioni.
Questione delicata, perche' riconoscere che l'appoggio (o l'ostilita') erano dipesi, anche, dalle diverse strategie politico/militari dei partigiani, non era indolore. Sebbene aperta al bisogno di dedicare uno sguardo piu' libero ai fatti del 1943-'45, una non piccola parte degli studiosi esitava a metterlo in pratica - ma non rinunciava a usare metaforicamente il nuovo concetto.
Sostituire "zona grigia" a espressioni datate e colpevolizzanti come ritardo, attendismo, inerzia, e' stata almeno in parte un'operazione di maquillage - il che contribuisce a spiegare la rapidita' con cui la nuova formulazione e' entrata nel linguaggio storiografico. In apparenza, si apre la strada a una visione non manichea degli orientamenti popolari; in realta', spesso si sottintende che non c'e' molto da capire. Grigiore, opacita', ambiguita', il quadro e' gia' li' - un quadro monco, in cui la popolazione per lo piu' compare come la cassa di risonanza della lotta armata, quasi una componente ambientale che aderisce, sabota o si astiene in una partita giocata tra fascisti e partigiani.
Il fatto e' che la nuova zona grigia ha poco a che fare con quella di Levi: la sua nasceva per sottrazione dai due blocchi dei "buoni" e dei "cattivi", revocando ad alcuni la definizione impiegata fino ad allora, per spostarli nel nuovo territorio - il che implicava un ripensamento delle due partizioni originarie.
La zona grigia addomesticata, al contrario, non ridisegna affatto quei recinti, semplicemente aggiunge loro un'appendice pronta per tutti gli usi, compresi alcuni assolutamente impropri. Infatti al suo interno si fanno rientrare soggetti diversissimi fra loro, dagli indifferenti di cui e' giusto dire che non avevano "fatto una scelta", a quanti si erano schierati in forme invisibili alle categorie della politica. Per esempio le e i resistenti senza armi, e quanti agivano fuori dai circuiti di partito e dentro reticoli parentali, di vicinato, di paese.
Che con questo uso dilagante della categoria "zona grigia" si faccia a qualcuno uno sconto, a qualcun altro un'ingiustizia, non sembra importare molto. Qui il concetto non nasce dall'analisi storica, al contrario la sostituisce e la fa apparire futile. In tempi brevi, zona grigia diventa il nuovo modo di nominare una realta' poco o niente studiata, e che non si ritiene decisivo studiare - nell'ortodossia storiografica e intellettuale degli anni Ottanta domina ancora l'aspetto armato/militante, e sottoporre a un vaglio critico il rapporto fra combattenti e popolazioni metterebbe in luce i chiaroscuri degli uni e delle altre. Espulsi dalla resistenza, quei chiaroscuri vengono spostati al suo esterno, e la zona grigia entra nell'"autobiografia" del paese come nuovo tassello di un fantasmatico carattere nazionale.
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Un'eredita' raccolta
Novita' di sostanza sul nodo storico del rapporto partigiani/popolazione cominciano a manifestarsi nei primi anni Novanta. Se e' decisiva l'aria di liberta' che spira dopo il crollo del muro di Berlino, in Italia a determinare la direzione del cambiamento contribuisce il pensiero di Levi. Assimilata per decenni a una palude opportunista (63), la parte maggioritaria della popolazione ha cominciato proprio allora a essere guardata con piu' sensibilita', per esempio sottolineando la fatica di sopravvivere e la sofferenza comune, o rifiutando di stigmatizzare esitazioni e sentimenti di estraneita' rispetto allo scontro in corso (64).
Ma c'e' un risultato piu' sorprendente, favorito in buona misura dal concetto di resistenza civile, messo a punto nell'89 da uno storico francese di formazione nonviolenta, Jacques Semelin (65). E' il debutto di un filone di ricerche locali e no - storie di singoli o di microgruppi, di exploit e di lunghe routine, di salvataggi (o di complicita') - in cui la popolazione e' narrata come soggetto portatore di motivazioni e obiettivi propri, non sempre integrabili all'interno dello schieramento resistenziale.
In alcuni casi - e' una novita' assoluta - si sceglie di lavorare intorno alle memorie di comunita' vittime di stragi naziste. Memorie "estreme", perche' si sono cristallizzate intorno a quell'evento traendone materia per una ostilita' duratura verso i partigiani locali, a volte verso la resistenza in blocco. Estreme, anche, perche' esacerbate dalle false accuse di profascismo e di subordinazione ai parroci, che risuonano nell'autodifesa dei resistenti e nei discorsi pubblici. A queste memorie, fino ad allora lasciate in esclusiva alla pubblicistica antipartigiana o assegnate alla zona grigia addomesticata, si dedicano opere che rappresentano un evento per il solo fatto di essere state scritte (66). E che portano quelle vicende nella storia nazionale, come chiedevano da tempo alcune comunita' (67). A volte l'idea di una ricerca mirata parte dal loro interno, e diventa operativa con la "convocazione" di un gruppo di docenti universitari cui si chiede di appurare l'accaduto.
Qui la lezione di Levi si sente. Come lui, gli autori "smontano" i due blocchi di "buoni" e di "cattivi" - i partigiani della zona, la popolazione che ne condanna l'operato. Come lui, conducono un'analisi serrata e accurata dei conflitti, paure, rancori innescati o esasperati dalla strage, dei poteri locali - quelli, negoziabili, delle vacillanti istituzioni, dei partigiani, dei notabili, della comunita', degli stessi fascisti del luogo. Su tutti, il potere di vita e di morte dei responsabili della strage.
Ne escono straordinari spaccati di memorie ancora ferite, di situazioni (e di soggetti) i piu' diversi, di un lungo compianto che puo' affratellare o dividere. Storie vive, e veridiche.
Oggi non si puo' che partire da questo patrimonio di ricerche se si vuole affrontare con franchezza il processo che porta alcune comunita' a trasferire la responsabilita' degli eccidi dai tedeschi ai partigiani. E se si vuole esaminare laicamente le difficolta' della resistenza a porsi come matrice dell'identita' collettiva. E' quel che fa anche Tzvetan Todorov in un libro del '94 (68), dove racconta l'andirivieni spasmodico fra comandi partigiani, tedeschi, fascisti, con cui il sindaco di una cittadina francese cerca di scongiurare un cortocircuito di rappresaglie e controrappresaglie, e la disperazione del fallimento.
Che gli autori rivendichino o meno la lezione de I sommersi e i salvati, poco importa. Importa molto quel che il loro lavoro testimonia: che a dispetto delle distorsioni, l'appartato Levi e' stato determinante nella costruzione di un nuovo spirito del tempo.
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Note
39. P. Levi, I sommersi e i salvati cit., p. 1020.
40. Ivi, p. 1021.
41. Bruno Bettelheim, Sopravvivere [Surviving and Other Essays, 1979], Feltrinelli, Milano 1981, pp. 197-231.
42. P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 1054, dal capitolo "La vergogna". Il tema di Caino e' ampiamente commentato da Tzvetan Todorov, "Il secolo di Primo Levi", in Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico [Memoire du mal Tentation du bien, 2000] Garzanti, Milano 2001, pp. 213-23.
43. Vedi l'intervista resa ad Anna Bravo e Federico Cereja, a Torino il 27 gennaio 1983, ora col titolo Intervista a Primo Levi, ex deportato, a cura dei medesimi, Einaudi, Torino 2011, pp. 4-5, 11.
44. Ibid., p. 21.
45 Claire Andrieu, Reflexions sur la Resistance a' travers l'exemple des Francaises de Ravensbrueck, in "Histoire@Politique. Politique, culture, societe'", II (maggio-agosto 2008), n. 5, dossier Femmes en resistance a' Ravensbrueck, online: http://www.cairn.info/revue-histoire-politique-2008-2.htm.
46. Cfr. fra gli altri, Dalia Ofer e Lenore J. Weitzman (a cura di), Donne nell'Olocausto, Le Lettere, Firenze 2001; Sara R. Horowitz, The Gender and Good and Evil: Women and Holocaust Memory, in Jonathan Petropoulos e John K. Roth (a cura di), Gray Zones. Ambiguity and Compromise in the Holocaust and its Aftermath, Berghahn Books, New York 2005, pp. 165-78. Un esempio chiarissimo (non un modello!) della differenza si coglie confrontando l'esperienza del corpo affamato narrata da Jean Amery, Intellettuale a Auschwitz [Jenseits von Schuld und Suhne. Bewaltigungsversuche eines Uberwaltigten, 1966], Bollati Boringhieri, Torino 1987, pp. 39, 37, 35, 54-55, 40, e da Margareta Glas-Larsson, Survivre dans un camp de concentration. Entretien avec Margareta Glas-Larsson, commente' par G. Botz e M. Pollak, in "Actes de la recherche en sciences sociales", VIII (1982), n. 41, pp. 4-28. Mi permetto di rimandare anche all'Introduzione di Anna Bravo a Donne nell'Olocausto, cit.
47. Terrence Des Pres, The Survivor. An Anatomy of Life in the Death Camps, Oxford University Press, New York 1976; ora in traduzione italiana: Il sopravvivente. Anatomia della vita nei campi di morte, a cura di Adelmina Albini e Stefanie Golish, Mimesis, Milano-Udine 2013.
48. Si vedano B. Bettelheim, Sopravvivere, cit., pp. 197-231; P. Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 1020, capitolo "La zona grigia".
49. Alain Finkielkraut, Le combat avec l'Ange, in "Le messager europeen", IV (1990), n. 4, pp. 229-40.
50. B. Bettelheim, Sopravvivere, cit., pp. 36-37.
51. Intervista a Primo Levi, ex deportato, cit., p. 26.
52. Cfr. P. Levi, I sommersi e i salvati. cit., pp. 1054-55, capitolo "La vergogna".
53. "Per una sorta di transfert collettivo, il Giusto tra i Giusti, il campione dell'umano si e' visto attribuire una delega che lo chiamava a pensare e garantire per tutti. Ma a lui chi pensava?" Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere, Einaudi, Torino 2007, p. 127. Di Ferrero vedi anche Primo Levi in Italia, intervento al convegno La manutenzione della memoria. Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei, Torino, 9-10-11 ottobre 2003, a cura di Giovanni Tesio, Centro Studi Piemontesi - Regione Piemonte, Torino 2005, pp. 23-31, ora anche (col titolo La solitudine di Primo Levi) in www.ernestoferrero.it
54. P. Levi, I sommersi e i salvati cit., p. 1022.
55. Ivi, p. 1020.
56. Lawrence L. Langer, Legacy in Gray, in Memory and Mastery: Primo Levi as Writer and Witness, a cura di Roberta S. Kremer, State University of New York Press, Albany (N.Y.) 2001, pp. 208-9.
57. Frederic Rousseau, Aux marges de la guerre: le nettoyage des tranchees. Exploration d'une "zone grise" durant la Grande Guerre, in Philippe Mesnard e Yannis Thanassekos (a cura di), La zone grise: entre accommodement et collaboration, Kime', Paris 2010, p. 235. Il saggio, interessante, tratta della "pulizia delle trincee", vale a dire delle operazioni di sgombero e messa in sicurezza del territorio guadagnato. Nella IV parte (pp. 293-390) del citato Gray Zones, a cura di Petropoulos e Roth, il concetto di zona grigia viene fatto interagire con i limiti giuridici ed economici della denazificazione, e con l'autodifesa di una istituzione come la Chiesa protestante.
58. Claudia Card, Women, Evil, and Gray Zones, in "Metaphilosophy", XXXI (ottobre 2000), n. 5, pp. 509-28. Di Card, vedi anche The Atrocity Paradigm. A Theory of Evil, Oxford University Press, New York 2002, specie il capitolo "Gray Zones", pp. 211-34, 260-64.
59. Marco Belpoliti, La "zona grigia", introdotta vent'anni fa da Primo Levi, in "La Stampa", 27 settembre 2006.
60. Alberto Cavaglion, Attualita' (e inattualita') della zona grigia, in Primo Levi. Scrittura e testimonianza, Atti del convegno omonimo (Roma, Sala del Refettorio del Senato della Repubblica, 10 giugno 2004), a cura di David Meghnagi, Libri Liberi, Firenze 2006, p. 45. Il giornalista citato e' Giorgio Bocca.
61. Ibid.
62. Il mito di un'unanime mobilitazione antifascista e antinazista costruito nel dopoguerra era ormai alle spalle, anche se ha una tendenza a riemergere in circostanze politicamente delicate come elemento dell'uso pubblico della storia.
63. Vedi la critica a queste posizioni di Gian Enrico Rusconi, Resistenza e postfascismo, il Mulino, Bologna 1995, cap. I.
64. Pietro Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995, pp. 47-54.
65. Jacques Semelin, Sans armes face a' Hitler. La resistance civile en Europe, 1939-1943, Payot, Paris 1989.
66. Storia e memoria di un massacro ordinario, a cura di Leonardo Paggi, Manifestolibri, Roma 1996; Michele Battini e Paolo Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana 1944, Marsilio, Venezia 1997; Giovanni Contini, La memoria divisa, Rizzoli, Milano 1997; Paolo Pezzino, Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca, il Mulino, Bologna 1997; Id., Storie di guerra civile. L'eccidio di Niccioleta, ivi 2001; Id., Sant'Anna di Stazzema: storia di una strage, ivi 2008; Alessandro Portelli, L'ordine e' gia' stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999; Leonardo Paggi (a cura di), Stragi tedesche e bombardamenti alleati. L'esperienza della guerra e la nuova democrazia a San Miniato (Pisa): la memoria e la ricerca storica, Carocci, Roma 2005; Luca Baldissara e Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, il Mulino, Bologna 2009 (questo volume riguarda Marzabotto).
67. Nel caso di Civitella, paese toscano in cui il contrasto fra la memoria prevalente nella comunita' e quella della resistenza era particolarmente acceso, lo Stato si era ridotto a cassare il paese dalle commemorazioni ufficiali.
68. Tzvetan Todorov, Une tragedie francaise. Ete' 1944: scenes de guerre civile, Seuil, Paris 1994.
 
3. INIZIATIVE. IL 30 GENNAIO RICORDIAMO GANDHI NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE
 
Ricorre il 30 gennaio l'anniversario della scomparsa di Mohandas Gandhi.
Realizziamo ovunque iniziative di ricordo della grande figura della nonviolenza che siano occasione di meditazione, di testimonianza e di impegno per la pace, contro tutte le violenza, in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano e dell'intero mondo vivente.
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Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento (traduzione del fondamentale libro di Gandhi: Hind Swaraj; ora disponibile anche in nuova traduzione col titolo Vi spiego i mali della civilta' moderna, Gandhi Edizioni); La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori, e quello di Christine Jordis, Gandhi, Feltrinelli. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006; Giuliano Pontara, L'antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006, 2019.
 
4. REPETITA IUVANT. CAMPAGNA ONE BILLION RISING 2021: COLTIVIAMO LA NONVIOLENZA
[Dal coordinamento One Billion Rising Italia (per contatti: obritalia at gmail.com) riceviamo e diffondiamo]
 
Carissime attiviste e carissimi attivisti,
vi giriamo  il comunicato che annuncia la campagna One Billion Rising 2020-2021. In streaming o in presenza, in base alle evoluzioni della pandemia, vogliamo esserci per continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni sulla necessita' di diffondere una cultura della nonviolenza.
Quest'anno il messaggio di One Billion Rising e' quello di manifestare e far sentire la nostra voce per affermare la liberta' delle donne, per condannare ogni forma di violenza, per diffondere una cultura del rispetto, della cura per tutte le donne abusate, discriminate, oppresse e per la terra che ci da' la vita.
Speriamo che anche quest'anno vi faccia piacere essere parte di questa famiglia globale che vede coinvolti 200 paesi e un miliardo di persone uniti nel lottare per un mondo equo, giusto, solidale.
Stiamo lavorando alla pianificazione di un evento, online o in presenza, e vi manderemo presto tutti i dettagli, ma, come sempre siamo aperti a vostre idee, contributi, che potrebbero essere importanti e utili per tutti. Per questo ci piacerebbe conoscerci meglio, via zoom, come abbiamo gia' fatto con alcuni di voi o al telefono, e costruire insieme gli eventi 2021. Scrivete a questa mail se vi fa piacere sentirci e confrontarci cosi' da poter organizzare presto una chiamata.
A seguire il comunicato stampa della campagna 2021 e il link alla nuova presentazione di One Billion Rising.
Grazie sempre per la vostra presenza e vicinanza
Un saluto affettuoso
Nicoletta, Luisa, Silvia (coordinamento OBR Italia)
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Campagna One Billion Rising 2021: #ColtiviamoLaNonViolenza
La pandemia di Covid-19 ha rivelato una volta di piu' la violenza di un sistema di disuguaglianze sociali profonde, che ci viene imposto da troppo tempo. In tutto il pianeta, la maggior parte dei lavoratori in prima linea in questa emergenza, dagli operatori sanitari agli assistenti domiciliari, dai lavoratori domestici ai braccianti, sono donne. E, come la Terra, sono le meno valorizzate e protette. Ogni tre giorni una donna e' vittima di femminicidio e il 78% degli omicidi avviene tra le mura domestiche. I dati sono allarmanti, troppo, e in netto aumento dall'inizio del periodo pandemico. Per questo motivo One Billion Rising 2021 lancia un appello per un tempo nuovo che celebri e onori le donne e la nostra Madre Terra.
Vogliamo coltivare un futuro per questa Terra, che insieme alle donne e' essenziale per la vita di tutti. Un futuro di amore, non di violenza; di speranza, non di cinismo; di gioia, non di desolazione; di vita, non di distruzione. Come ogni anno, il 14 febbraio 2021, in presenza o in streaming, in oltre 200 paesi in tutto il mondo, faremo sentire la nostra e la vostra voce per chiedere un nuovo modello di societa', libera dalla violenza e rispettosa del nostro pianeta. Le stesse elezioni negli Stati Uniti e la nuova coppia presidenziale confermano la fiducia nelle possibilita' di un futuro sostenibile e in una politica globale che abbia come priorita' il ruolo sociale e i diritti delle donne, ma anche l'attenzione nei confronti della Terra. Questa attenzione e' oggi un atto di resistenza perche' e' l'opposto di quello che impone la macchina neoliberista: mette in contatto le persone e le comunita' con la Terra.
"Seminate, curate giardini, fisicamente o metaforicamente", ha esortato V (Eve Ensler) fondatrice di OBR, "fatelo per far nascere, crescere e coltivare qualcosa di migliore. Questo puo' essere il sogno in cui crediamo. Il momento e' ora". In un'epoca di isolamento forzato, causato dall'emergenza sanitaria, coltivare un giardino un orto, interiore o collettivo, significa far crescere la bellezza e la vita, diventando un gesto rivoluzionario, una direzione concreta in tempi di collasso ecologico, sociale e spirituale.
Non possiamo mantenere l'estrazione continua del lavoro delle donne e dei prodotti della Terra senza restituire loro la gratitudine e il rispetto che meritano. Dobbiamo onorare e proteggere la Terra e le donne affinche' ci sia un futuro. E sia migliore del passato.
Tra le prime adesioni alla campagna 2021 ci sono Amref, Differenza Donna Ong, Assist Associazione Nazionale Atlete, Rebel Network
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Per contatti:
obritalia at gmail.com
https://www.facebook.com/obritalia
https://www.instagram.com/onebillionrisingitalia/
www.onebillionrising.org
 
5. INIZIATIVE. ONE BILLION RISING 2021: IL 14 FEBBRAIO PARTECIPA ALL'EVENTO MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE
[Dal Coordinamento One Billion Rising Italia (per contatti: obritalia at gmail.com) riceviamo e diffondiamo]
 
Carissime e carissimi attivisti,
siamo quasi arrivati alla conclusione di questo anno cosi' doloroso e difficile per tutti e ci fa piacere, prima di tutto, mandarvi i nostri auguri di buone feste. Da sempre quello che caratterizza il movimento One Billion Rising e' la tenacia e la speranza di cambiamento e miglioramento ed e' quello che ci auguriamo per tutti noi nel 2021.
#ColtiviamoLaNonViolenza: e' questo il messaggio che quest'anno vogliamo lanciare. Facciamo sentire la nostra voce per affermare una cultura del rispetto delle donne e della Terra che ci ospita e che ci dona la vita. E per farlo quest'anno vogliamo coinvolgere gli uomini, chiedendo proprio a loro di seminare e diffondere un messaggio di nonviolenza. Inoltre stiamo definendo una collaborazione con Emergency che vedra' alcuni dei loro volontari disponibili a partecipare agli eventi OBR in streaming e in presenza per raccontarci alcuni progetti ed esperienze di aiuto e cura per e con le donne che hanno portato avanti e che oltre al reale sostegno hanno determinato un cambiamento culturale, di mentalita' e comportamento. Proprio quel cambiamento per cui ci battiamo e che e' necessario per il futuro.
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Come di consueto alcune prime indicazioni per la campagna di sensibilizzazione e l'evento 2021, torneremo a scrivervi a gennaio:
Scarica i loghi ufficiali OBR 2021, la cover facebook 2021 per pubblicarli sui tuoi social: https://www.dropbox.com/sh/8mkvk4bk9zue3gg/AACMRPuHI150g7kRsugdC7OUa?dl=0
Scarica alcuni testi da poter leggere o recitare durante gli eventi: https://www.dropbox.com/sh/if2zmljvlm0b4np/AABCYtlm5pJFdVdNMkHuNVi9a?dl=0
Invita gli uomini a partecipare alla campagna 2021 diventando "testimonial di un messaggio di nonviolenza". In che modo? Attraverso foto o video, interventi/letture durante l'evento che esprimano la loro volonta' di opposizione e denuncia ad ogni forma di violenza, da condividere sui social utilizzando gli hashtag ufficiali: #1BillionRising #ColtiviamoLaNonViolenza
Organizza un evento domenica 14 febbraio, in streaming o, dove sara' possibile, in presenza, mantenendo le norme di sicurezza, per manifestare insieme a un miliardo di persone in tutto il mondo.
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Evento in streaming  domenica 14 febbraio dalle 11 alle 13
- Utilizza una piattaforma web che consenta di organizzare videoconferenze, come ad esempio zoom.
- Crea un link dove poter seguire l'evento, mandalo a tutti i tuoi contatti (associazioni, gruppi, persone) per invitarli a partecipare, piu' siamo, meglio e'!
- Iscriviti al sito per segnalare il tuo evento a questo link http://bit.ly/Registra_il_t uo_evento_sulla_pagina_internazionale_OBR e scrivi a obritalia at gmail.com per comunicarci quando sara' il tuo evento
- Pianifica una scaletta dell'evento*, come ad esempio:
- introduzione di un moderatore
- interventi degli attivisti
- letture di testi, performance, ecc.
- flashmob online
- Pubblica l'evento in streaming sui social, usa gli hashtag #1BillionRising #ColtiviamoLaNonViolenza
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Evento in presenza domenica 14 febbraio o nei giorni della settimana di San Valentino
- Scegli una location dove vengano rispettate le norme di sicurezza
- Pianifica una scaletta dell'evento, come ad esempio:
- introduzione di un moderatore
- interventi degli attivisti
- letture di testi, performance, ecc.
- flashmob online
- Invita tutti i tuoi contatti a partecipare e durante l'evento registra video e scatta foto e pubblicale sui tuoi social utilizzando gli hashtag ufficiali #1BillionRising #ColtiviamoLaNonViolenza
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Per quanto riguarda i permessi e le autorizzazioni sul copyright ve li gireremo i primi di gennaio.
Rimaniamo sempre siamo aperti a vostre idee, contributi, che potrebbero essere importanti e utili per tutti e siamo qui per rispondere alle vostre richieste. Grazie a chi ci ha scritto, chiamato e a chi si e' confrontato con noi. Se vi fa piacere, scrivete a questa mail cosi' da poter organizzare presto una chiamata online.
Grazie sempre per la vostra presenza
Tanti affettuosi auguri
Nicoletta, Luisa, Silvia (coordinamento OBR Italia)
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Sito ufficiale  https://www.onebillionrising.org
Facebook https://www.facebook.com/obritalia
Instagram https://www.instagram.com/onebillionrisingitalia/
Email obritalia at gmail.com
hashtag ufficiali #1BillionRising #ColtiviamoLaNonViolenza
 
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Strumenti
- Marina Cattaruzza, Marcello Flores, Simon Levis Sullam, Enzo Traverso (a cura di), Storia della Shoah, Utet, Torino 2005, 2006, Rcs, Milano 2019, 10 voll.
- Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995, 1999, Mondadori, Milano 2011, 2 voll. per complessive pp. XII + 1480.
- Walter Laqueur (a cura di), Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino 2004, 2007, pp. XXXIV + 934.
 
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
8. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3998 del 28 gennaio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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